Aps-III Strutture, politiche, storia dell’Unione

Da EU wiki.

Istituzioni, leggi, decisioni, pareri e procedure dell’Unione[modifica]

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Marco A questo punto io vorrei capire meglio come è strutturata e come funziona questa Unione, con i suoi successi e i suoi fallimenti. Chi detta le regole, chi governa, chi giudica?

Aps Mi ha posto tre domande cruciali, Marco, si direbbe che Lei abbia letto Montesquieu (e forse è così, o sbaglio?). Proviamo a descrivere in breve le istituzioni fondamentali dell’Unione europea. Esse sono cinque: i due Consigli (il Consiglio europeo e il Consiglio dei Ministri), il Parlamento europeo, la Commissione, la Corte di Giustizia. Si aggiungono – con competenze più settoriali – la Banca Centrale Europea e la Corte dei Conti. Ma prima di parlarne, è necessario richiamare la fonte di tutte le istituzioni e di tutte le normative di base dell’Unione europea: questa fonte è costituita dai Trattati fondativi dell’Unione, messi a punto alla unanimità dai Governi e ratificati da tutti gli Stati membri. Essi rappresentano, insieme alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, la “Costituzione” dell’Unione europea. Oggi fonte primaria del diritto dell’Unione sono i due trattati sottoscritti a Lisbona nel 2007 e in vigore dal gennaio del 2009: il Trattato sull’Unione europea (Tue) e il Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (Tfue). Parleremo più avanti della storia che ha preceduto questa normativa, dal 1951 al 2007.

Marco Cosa sono e cosa fanno i due Consigli?

Aps Il Consiglio europeo (CE) riunisce periodicamente, più volte all’anno, sotto la guida di un Presidente elettivo, i Capi di Stato o di Governo (a seconda delle rispettive strutture costituzionali, ad es. per la Francia partecipa il presidente della Repubblica) dei Paesi dell’Unione e il Presidente della Commissione. È l’organo dal quale sono venute le principali iniziative politiche dell’Unione negli scorsi anni e decenni: così ad esempio nel 2011 il Fiscal Compact e le altre misure per fare fronte alla crisi, così l’iniziativa per l’unione bancaria, tuttora in corso. Si deve considerare attualmente l’organo di governo strategico più importante e più autorevole dell’Unione europea. Il CE delibera normalmente “per consenso”, cioè all’unanimità, che si presume se nessuno rifiuta la sintesi del presidente del CE. Il suo Presidente dal 2009 viene eletto dai suoi membri per due anni e mezzo, rinnovabile per una sola volta, tra personalità europee, in particolare ex primi ministri. I primi due presidenti del CE dopo Lisbona sono stati il belga van Rompuy e il polacco Tusk, tuttora in carica.

Marco E il Consiglio dei ministri?

Aps Il Consiglio dei ministri (rinominato semplicemente Consiglio) è composto dai ministri competenti dei Paesi dell’Unione – anzitutto i ministri dell’economia, i ministri degli esteri, i ministri dell’Interno, i ministri dell’agricoltura e così via, a seconda delle materie trattate. La presidenza si rinnova con frequenza semestrale a rotazione tra tutti i Paesi dell’Unione. Il Consiglio esercita non solo poteri di decisione ma anche e soprattutto poteri legislativi nelle questioni di competenza dell’Unione. Il Consiglio delibera a maggioranza, semplice o qualificata, in co-decisione con il Parlamento europeo. Ma per una serie di materie di particolare importanza, precisate nei trattati – ad esempio in tema di fiscalità, di polizia, di disavanzi eccessivi dei bilanci nazionali, in certi profili della politica sociale e in numerose altre materie – è richiesta l’unanimità dei voti del Consiglio; e quasi sempre su queste materie il Parlamento europeo (PE) non esercita un potere legislativo ma soltanto una funzione consultiva. Inoltre i ministri dell’economia e delle finanze dell’Unione formano l’Ecofin e quelli tra loro appartenenti ai Paesi che hanno adottato l’euro formano l’Eurogruppo dotato di un presidente eletto tra i ministri per la durata di due anni e mezzo.

Marco Non sono troppi tutti questi presidenti?

Aps Quanto ai ministri finanziari, è giusto che i Paesi dell’euro abbiano un presidente del gruppo Euro perché gli aspetti specifici sono importanti. E’ anche senz’altro spiegabile che i trattati abbiano distinto il Presidente del Consiglio europeo dal Presidente della Commissione. Tuttavia i trattati non escludono che le due cariche possano venir attribuite alla medesima persona. E diversi osservatori preferirebbero questa unificazione in quanto il Presidente sarebbe l’esponente di punta dell’Unione europea anche a livello internazionale, in un’epoca come è la nostra nella quale la personalizzazione della politica al vertice è divenuta la regola in quasi tutti i Paesi.

Marco Non è strana l’esclusione del Parlamento europeo da materie importanti per l’Unione?

Aps Il principio della codecisione tra PE e Consiglio dei ministri è giusto, perché in una prospettiva di federazione tra Stati accanto ad una Camera del popolo (il PE) deve esistere una Camera degli Stati, la quale nel caso dell’Unione è rappresentata, con funzioni distinte come abbiamo visto, dai due Consigli. I Parlamenti sono stati creati nella storia d’Europa, anzitutto in Inghilterra, proprio per governare il processo legislativo e per deliberare in materia fiscale (“no taxation without representation”). Sono i trattati stessi ad avere sancito che l’Unione europea si fonda sulla democrazia rappresentativa. Ed è perciò contraddittorio che per alcune tra le materie più importanti per le quali i trattati hanno stabilito la competenza dell’Unione il Parlamento europeo, che rappresenta i cittadini europei, sia escluso dal potere legislativo. Altrettanto ingiustificata è l’assenza di un potere fiscale a livello europeo, del quale il Parlamento europeo dovrebbe essere co-titolare insieme con il Consiglio che rappresenta gli Stati. Dobbiamo aggiungere peraltro che nel corso di oltre trentacinque anni, da quando il PE viene eletto a suffragio universale, i suoi poteri si sono costantemente accresciuti, nel senso che ognuno dei trattati ha aumentato le materie in cui opera la codecisione. Ma le eccezioni ci sono ancora e sono rilevantissime.

Marco Quali altri poteri ha il Parlamento europeo?

Aps Oltre al potere di codecisione legislativa, là dove esso è previsto dai trattati, il PE ha un ruolo fondamentale nella nomina del Presidente della Commissione e dei singoli Commissari. Può anche votare la censura costringendo l’intera Commissione a decadere dalla carica. Ha inoltre il compito di discutere e approvare il bilancio annuale e il bilancio pluriennale dell’Unione, sul primo dei quali può bloccare il processo sino al raggiungimento di un’intesa con il Consiglio. Ha il potere di proporre emendamenti ai trattati e di assumere risoluzioni non vincolanti su tutte le materie di competenza dell’Unione. Le mozioni e le risoluzioni del PE – preparate in modo ammirevole per completezza e approfondimento all’interno delle Commissioni nelle quali sono presenti parlamentari di tutti i partiti e quindi votate in adunanza plenaria – hanno aperto la via a molte innovazioni e riforme sui diritti, sull’ambiente, sul lavoro, sui rapporti sociali.

Marco Della Commissione anche la stampa e la televisione si occupano continuamente. I principali commissari sono ormai considerati come dei super-ministri, ai quali i governi nazionali debbono rendere conto. Perché accade questo?

Aps Va premesso che i governi nazionali concorrono in modo determinante alla nomina del Presidente della Commissione e dei commissari, quindi non si tratta di “soggetti” alieni dal circuito del consenso politico che coinvolge, innanzitutto, gli Stati membri. In ogni caso, poi, sia il mercato unico e l’unione monetaria sia le altre funzioni dell’Unione rendono necessario non solo un coordinamento tra gli Stati membri in tema di economia ma anche il rispetto di vincoli che, sottoscritti dai singoli governi, debbono venire monitorati per non mettere a rischio l’economia e la finanza dell’Unione, come già abbiamo visto. Per questo il Trattato di Lisbona prevede che la Commissione “vigili” sull’applicazione del diritto dell’Unione europea da parte degli Stati membri.

Marco Da chi viene nominata la Commissione?

Aps La Commissione è nominata dal Consiglio europeo e dal Consiglio e votata dal Parlamento europeo. Il Presidente è proposto dal Consiglio europeo a maggioranza qualificata, tenendo conto dell’esito del voto popolare per il PE. Il Consiglio, in accordo con il Presidente eletto, propone le altre personalità che devono comporre la Commissione. Tale disciplina è il frutto di un’evoluzione che per la nomina del presidente e dei commissari ha determinato, dal Trattato di Maastricht in poi, un aumento del potere del Parlamento europeo e il superamento del requisito della unanimità da parte del Consiglio europeo. Questa evoluzione è molto importante perché segna un progressivo avvicinamento dell’Unione al modello costituzionale di una democrazia rappresentativa, nel quale sia il potere legislativo sia il potere esecutivo hanno la loro fonte prima nella sovranità popolare. Trattandosi però di un modello di stampo federale, entrambi i poteri vengono esercitati in connessione con una “Camera degli Stati”, cioè con i due Consigli: per la nomina della Commissione e del suo presidente vi è il ruolo determinante del Consiglio europeo, per il potere legislativo il Consiglio legifera in codecisione con il PE quando non addirittura da solo ove i Trattati lo prevedano; e il potere di governo è in realtà esercitato in misura eminente, quanto agli indirizzi di fondo, dallo stesso Consiglio europeo, come anche si è detto.

Marco Quali sono i compiti della Commissione?

Aps La Commissione europea, che include un commissario per ciascun Paese dell’Unione, esercita fondamentalmente le funzioni di governo dell’Unione, attraverso l’opera del presidente, dei singoli commissari e del collegio nel suo complesso. Dalla Commissione e dai singoli commissari dipende la struttura amministrativa dell’Unione, che si articola in una ventina di direzioni generali, ognuna delle quali opera per un settore di competenza dell’Unione, dal bilancio all’economia e finanza, dalla concorrenza all’agricoltura, dal commercio alla politica sociale e così via. La Commissione non ha però tutti i poteri di un governo, trovando dei bilanciamenti nel ruolo di impulso e di definizione degli orientamenti generali che è proprio del Consiglio europeo e perché anche il Consiglio ha importanti prerogative “gestorie” in certe materie (ad es. la procedura per disavanzi eccessivi). È importante sottolineare che la Commissione ha conservato in base ai trattati l’esclusiva dell’iniziativa legislativa entro l’Unione. Inoltre la Commissione assolve a un’altra funzione molto importante, distinta da quella tipica di un governo: è “custode dei trattati”, nel senso che verifica, controlla e se necessario sanziona quei comportamenti degli Stati membri e di altri soggetti pubblici e privati, i quali deroghino rispetto alle normative comunitarie.

Marco Chi è competente per la politica estera?

Aps Anzitutto il Consiglio europeo come collegio, il suo presidente e il presidente della Commissione. Ma il Trattato di Lisbona ha creato anche la carica di Alto rappresentante dell’Unione nei rapporti internazionali. Costui (anzi, costei: l’attuale titolare è l’italiana Federica Mogherini) è designato dal Consiglio europeo ed è in pari tempo anche vicepresidente della Commissione. Inoltre presiede il Consiglio quando questo si riunisce nella composizione relativa agli affari esteri, alla presenza dei ministri degli esteri dei Paesi dell’Unione.

Marco Rimane da vedere quali sono le funzioni della Corte di giustizia.

Aps La Corte di giustizia, che ha sede in Lussemburgo, è composta da giudici e avvocati generali. Ognuno dei giudici proviene da uno dei Paesi dell’Unione. Dal 1988 esiste anche, subordinata ad essa, una Corte di primo grado (c.d. Tribunale dell’Unione europea). Il compito fondamentale della Corte è di decidere, su istanza dei governi, dei privati o anche di un’istituzione europea, se un provvedimento legislativo o di governo dell’Unione sia o meno conforme alle norme dei trattati europei. Su istanza della Commissione, la Corte accerta le violazioni degli Stati membri e li condanna al pagamento di sanzioni pecuniarie. Inoltre può decidere, su richiesta di un giudice nazionale e quindi in via “pregiudiziale”, sull’interpretazione del diritto dell’Unione; nel far ciò la Corte si pronuncia spesso sulla compatibilità di una misura nazionale con il diritto dell’Unione che è chiamata a interpretare e così qualsiasi giudice nazionale (e quindi qualsiasi parte che controverta dinanzi ad esso) ha il potere di ottenere il controllo sugli atti degli Stati che violano il diritto dell’Unione. Sono funzioni di grandissimo rilievo: alcuni principi fondamentali del diritto europeo sono stati introdotti sulla base di decisioni della Corte di giustizia, ad esempio il principio della diretta applicabilità del diritto dell’Unione all’interno di uno Stato membro o quello della prevalenza del diritto dell’Unione rispetto alle leggi nazionali, nelle materie di competenza dell’Unione stessa. Ma i casi e i temi che hanno generato sentenze di importanza storica pronunciate dalla Corte di Giustizia sono molto numerosi.

Marco Può farmi alcuni esempi?

Aps Mi limito a citare due casi celebri. Nella causa Van Gend & Loos del 1963 la Corte di giustizia europea ha stabilito che le disposizioni dei Trattati europei hanno un effetto diretto a vantaggio dei cittadini degli Stati membri, anche se in contrasto con norme di legge nazionali (il Belgio aveva introdotto un dazio in deroga rispetto ai trattati); allora si trattava del Trattato CEE (Comunità economica europea) del 1957, ma il principio sancito dalla Corte vale ancora oggi con la disciplina in vigore. Nel 1964, nella sentenza relativa alla causa Costa/Enel tale principio venne ribadito con la motivazione che gli Stati membri, avendo approvato il Trattato del 1957, hanno rinunciato in via definitiva ad una parte della loro sovranità relativa alle materie disciplinate dal trattato europeo. Potrei ricordare molte altre decisioni della Corte, ugualmente importanti.

Marco Che rapporto c’è tra la Corte di Giustizia e la Corte sui diritti umani?

Aps Quest’ultima, che risiede Strasburgo, non è un organo dell’Unione europea ma del Consiglio d’Europa, un’istituzione nata nel 1948 che comprende oltre 40 Paesi non solo dell’Unione europea. Il compito della Corte europea per la salvaguardia dei diritti umani è di pronunciarsi sul rispetto dei diritti umani, su ricorso di singoli o di enti pubblici e privati, diritti che sono elencati nella Convenzione europea per la salvaguarda dei diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali (Cedu) del 1950 e nei suoi numerosi protocolli. Vi è una parziale sovrapposizione con la Corte di Giustizia dell’Unione e con le Corti costituzionali nazionali perché la prima (la Corte di Lussemburgo) svolge ormai un ruolo, dopo il trattato di Lisbona, anche con riferimento all’interpretazione della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione le cui disposizioni in molti casi si ispirano alle norme e alla giurisprudenza della Cedu.

Marco Vi sono altre istituzioni dell’Unione europea?

Aps Sì, l’Unione include la Corte dei Conti e la Banca Centrale Europea. Inoltre vi sono due organi consultivi importanti, il Comitato economico e sociale e il Comitato per le Regioni.

Marco Vorrei capire a questo punto cosa sono le leggi dell’Unione europea.

Aps Le due fonti fondamentali della legislazione dell’Unione sono i regolamenti e le direttive. Esse possono formarsi solo entro i limiti delle competenze e delle funzioni che i trattati attribuiscono all’Unione. Poiché tali competenze, esclusive e concorrenti, sono ormai molteplici, anche il raggio della legislazione europea è assai ampio. Mentre i regolamenti sono oltre che obbligatori anche direttamente applicabili entro l’Unione, le direttive sono strutturate in forma di principi, che dovranno venire tradotti in leggi nazionali tenute ad accoglierli, anche in forma non identica nei diversi Paesi. Questa formula è molto importante perché lascia aperta la via a soluzioni nazionali differenziate, purché non contrastanti con le regole di base adottate al livello europeo. Regolamenti e direttive possono essere adottati, quando il Tfue lo prevede, secondo la c.d. procedura legislativa ordinaria, che prevede appunto la codecisione tra Consiglio e Parlamento europeo. Per questo possono essere definiti atti legislativi dell’Unione europea.

Marco Come nascono questi due modelli legislativi, come si forma una legge europea?

Aps La procedura legislativa dell’Unione ha due forme diverse. La prima è la “procedura legislativa ordinaria”, con la quale un progetto di legge predisposto dalla Commissione viene discusso sia dal Parlamento europeo che dal Consiglio; per acquistare forza di legge il testo votato dal Parlamento e dal Consiglio deve alla fine essere identico, un risultato al quale si arriva spesso soltanto al termine di una serie di contatti tra i tre organi; si può anche attivare, a questo fine, un gruppo di lavoro composto da un egual numero di delegati delle tre istituzioni, il cd. Trilogo, per facilitare il raggiungimento di un accordo. La seconda procedura è invece detta “procedura legislativa speciale”; in una serie di materie previste specificamente dai Trattati, la messa a punto di un regolamento, di una direttiva o di una decisione è, di norma, prerogativa del solo Consiglio, il quale dopo averla approvata all’unanimità la sottopone al Parlamento europeo a titolo di consultazione non vincolante nella maggior parte dei casi, mentre solo in alcuni altri casi il parere del Parlamento è richiesto per l’approvazione dell’atto, e quindi il Parlamento potrà dire si o no, senza potere intervenire sulla formulazione del testo.

Marco Non deve essere facile arrivare a un testo condiviso quando vi debbono lavorare tante istituzioni diverse.

Aps Infatti, il cammino non è semplice, sia entro ciascuna delle quattro istituzioni (la Commissione, i due Consigli, il Parlamento), sia nell’interazione tra di esse. Del Trilogo abbiamo appena parlato. Ma vorrei sottolineare un altro aspetto: occorre che nel Consiglio dei ministri si trovi un’intesa tra i Governi, un’intesa unanime quando i trattati lo esigono nella procedura legislativa speciale e un’intesa maggioritaria nella procedura legislativa ordinaria. Per arrivare a questo – come pure in generale per predisporre le delibere dei due Consigli – è fondamentale l’attività del Comitato di rappresentanti permanenti dei governi (Coreper), in genere composto di diplomatici, che prepara le bozze di delibere che poi i Consigli saranno chiamati ad approvare. È un lavoro di negoziazione spesso molto arduo – perché in questa sede ogni rappresentante tende a sostenere le posizioni che ritiene più vantaggiose per il proprio governo e per il proprio Stato – ma essenziale per poter giungere a una posizione comune. La Commissione istruisce le sue proposte al proprio interno e il Parlamento europeo matura le sue posizioni attraverso il lavoro delle commissioni parlamentari.

Marco Vi sono anche altri atti giuridici dell’Unione, diversi da regolamenti e direttive?

Aps Naturalmente sì. Il trattato di Lisbona prevede, accanto ai regolamenti e alle direttive, anche le decisioni, le raccomandazioni e i pareri (art. 288 Tfue). Le decisioni possono essere di due tipi: obbligatorie per il destinatario o i destinatari, oppure prive di un destinatario specifico, ma comunque obbligatorie per la generalità dei consociati (decisioni in materia istituzionale). In quest’ultimo caso, possono venire deliberate con la procedura legislativa ordinaria. Le raccomandazioni e i pareri esprimono, d’ufficio o su richiesta, opinioni non vincolanti delle istituzioni europee su questa o su quella materia. Ci sono però anche numerosi atti non legislativi (Atti autonomi) i quali sono deliberati da una singola istituzione, la Commissione o il Consiglio, sulla base delle rispettive competenze e funzioni, senza la necessità di un intervento delle altre istituzioni dell’Unione. Ma non è tutto: l’Unione agisce anche attraverso numerosi altri canali. Essi hanno in comune il fatto di non essere provvedimenti vincolanti, ma solo atti di indirizzo e di proposta (ad es. le comunicazioni). Eppure sono stati spesso e sono tuttora di grandissimo rilievo.

Marco Non si stupirà se Le chiedo di dirmi al riguardo qualcosa di più....

Aps La terminologia è varia, come è varia la natura di questo atti. Vi sono le risoluzioni, con le quali un’istituzione dell’Unione esprime propositi di azione futura manifestando una volontà politica comune. Vi sono le dichiarazioni che prefigurano sviluppi ulteriori dell’Unione ovvero danno l’interpretazione di decisioni assunte in precedenza. E poi anche comunicazioni, spesso di grande valore interpretativo e quindi fonte importante per l’orientamento degli operatori. E ancora: vi sono i Libri Bianchi, con i quali la Commissione pubblica un dossier, frutto di laboriose indagini preliminari, su un capitolo importante del futuro sviluppo dell’Unione: così il Libro bianco del 1985 sul mercato interno, quello del 2004 sui servizi di interesse generale, quello del 2006 sulla comunicazione, infine il Libro bianco del 2017 sul futuro dell’Europa. E molti altri.

Marco Non è eccessiva tutta questa proliferazione di documenti? Per di più non vincolanti?

Aps A differenza di quanto avviene negli Stati nazionali, l’Unione europea, forse perché è un organismo ancora in divenire, ha generalmente proceduto nelle sue politiche con una visione di medio e lungo periodo. Non è vittima della miopia della quale soffrono molti spesso le politiche nazionali, con lo sguardo fisso ai sondaggi quotidiani e alle elezioni del giorno dopo. Eppure l’Unione non trascura di consultare l’opinione pubblica: i sondaggi periodici di Eurobarometro su cosa i cittadini pensano dell’Europa sono ben noti. Questi atti “non vincolanti” servono anche a preparare il terreno per future evoluzioni della legislazione vincolante.

Marco Questa prospettiva di lungo periodo, non appiattita sull’oggi mi convince molto. Tuttavia mi chiedo se gli strumenti non vincolanti abbiano un ruolo effettivo nelle politiche dell’Unione europea.

Aps Certo la loro efficacia è indiretta. I giuristi parlano di soft law, per indicare questo tipo di atti non vincolanti. Bisogna però considerare un aspetto importante: il processo di integrazione europea è un’impresa senza precedenti, anche perché mira a raggiungere un livello alto di integrazione senza sacrificare la sovranità degli Stati membri, ogni qualvolta questo non sia indispensabile. Dunque si cerca, d’intesa con i governi, di promuovere una cooperazione tra le istituzioni dell’Unione (i due Consigli e la Commissione) e i governi nazionali. La procedura chiamata “coordinamento aperto” ha questa finalità: la Commissione organizza riunioni alle quali partecipano i governi nazionali interessati allo scopo di confrontare le rispettive esperienze ed elaborare le pratiche migliori (best practices) per la messa a punto di progetti. In particolare sul terreno della cultura e della valorizzazione del patrimonio culturale, anche il carattere non vincolante di questi strumenti si è rivelato utile per accedere ai finanziamenti europei.

Marco Nelle materie di competenza concorrente come si combina il livello legislativo europeo con il livello nazionale?

Aps Per il raggiungimento degli scopi del mercato unico, quando una competenza è concorrente, cioè spetta sia agli Stati che all’Unione, l’Unione europea interverrà con le proprie regole quando l’obiettivo sarà meglio raggiungibile con una normativa a livello europeo, piuttosto che con tante normative nazionali e, ovviamente, in tal caso la direttiva o il regolamento europeo prevarrà sulle leggi nazionali. Nel tempo c’è stata un’evoluzione, promossa anzitutto da alcune sentenze della Corte di giustizia sulle caratteristiche dei prodotti posti in commercio. Si è affermato da un lato il principio del mutuo riconoscimento, da parte di uno Stato, dei requisiti richiesti dalle leggi di un altro Stato, dall’altro lato l’obbligo per gli Stati membri di non discostarsi dai criteri minimi relativi alla salute e alla sicurezza stabiliti a livello europeo, senza tuttavia impedire che una legge nazionale possa imporre per i propri prodotti (e solo per questi, non per i beni importati) requisiti più restrittivi rispetto alla normativa europea.

Marco Capisco allora perché molti contestino all’Unione europea la complessità delle procedure.

Aps Sì, queste critiche risuonano spesso. Tuttavia è giusto tenere presente che la trasparenza delle procedure europee è notevolmente superiore rispetto a quella propria di molte procedure nazionali; e che la stretta cooperazione con gli Stati è un valore positivo, perché non solo evita di creare una enorme burocrazia europea, ma anche perché coinvolge gli Stati membri nell’attuazione di politiche condivise.

Marco Se si volessero modificare i Trattati, come si dovrebbe procedere?

Aps La procedura per riformare i trattati è disciplinata dall’art. 48 del Tue (come modificato da Trattato di Lisbona). Ogni governo dell’Unione o il Parlamento europeo o la Commissione possono proporre progetti di modifica dei Trattati. Il Consiglio europeo (CE), sentito il PE, decide a maggioranza semplice se convocare una Convenzione composta da parlamentari nazionali, parlamentari europei, rappresentanti dei Governi e rappresentanti della Commissione. La Convenzione esamina i progetti e adotta per consenso la proposta di una Conferenza intergovernativa. In tal caso una Conferenza dei rappresentanti degli Stati membri decide di comune accordo le modifiche ai trattati. Queste entrano in vigore solo dopo essere state ratificate da tutti gli Stati membri dell’Unione.

È una procedura certamente complessa e di difficile attuazione, soprattutto perché occorre l’unanimità sia per la delibera finale della Conferenza intergovernativa sia per le ratifiche degli Stati. Esiste anche una procedura semplificata per modifiche di una parte del Trattato sul funzionamento dell’UE, che si può esperire senza la convocazione della Convenzione e senza la partecipazione del PE, con delibera unanime del Consiglio europeo. Ma occorre anche qui la ratifica di tutti gli Stati membri dell’Unione. È chiaro che queste procedure sono tali da rendere ardui i tentativi di modifica. Ma per sbloccare questi ostacoli occorrerebbe anzitutto modificare proprio l’art. 48, e per farlo occorre precisamente seguire la procedura che ho appena descritta! È un nodo stretto, molto difficile da sciogliere. Anche per questa ragione il Trattato di Lisbona ha previsto che un gruppo di Stati possa comunque avanzare nell’integrazione attraverso procedure particolari, le cooperazioni rafforzate e le cooperazioni strutturate.

Marco Spesso si sente accusare l’Unione europea di non essere democratica. E la si contrappone alle “vere” democrazie, che sarebbero quelle nazionali. È giustificata questa accusa?

Aps È giustificata solo per le decisioni in cui in base ai trattati il Parlamento europeo non ha voce in capitolo. Per le leggi europee che si formano con la procedura legislativa ordinaria (e quindi di codecisione) tra Parlamento e Consiglio su proposta della Commissione questa critica è infondata perché l’Unione risponde pienamente ai requisiti costituzionali di una democrazia parlamentare di taglio federale. Quanto alle decisioni di governo dell’Unione, tutto ciò che viene deciso dalla Commissione ha il medesimo fondamento di legittimazione democratica: la Commissione in base ai trattati è infatti nominata dal Parlamento europeo sulla base dei risultati del voto popolare e può essere fatta decadere con un voto dello stesso Parlamento. Chi imputa alla Commissione di non essere eletta ignora un principio elementare: nelle democrazie parlamentari è il Parlamento che legittima il governo, non l’elezione diretta. Inoltre, sia il Presidente designato che i candidati Commissari vengono interrogati dal Parlamento europeo prima della nomina per accertarne l’idoneità all’incarico, con una procedura addirittura spesso piu stringente di quella operante per i ministri nazionali entro il loro Stato.

Marco Questa costruzione mi sembra semplice e complessa al tempo stesso. Ma perché Lei si chiedeva se ho letto Montesquieu?

Aps Perché quando ho cercato di rispondere alle sue domande – “Chi regola? Chi governa? Chi giudica?” – avrà notato che le istituzioni europee si inquadrano bene nella struttura dei tre poteri (legislativo, esecutivo, giudiziario) teorizzata appunto da Montesquieu. Con due precisazioni importanti, però: in primo luogo il potere legislativo europeo è esercitato, su iniziativa della Commissione, in codecisione dal Parlamento europeo e dal Consiglio dei ministri nella logica di uno stato federale, ma in materie di grande sensibilità politica il Parlamento ne è escluso, come si è detto, e il Consiglio decide all’unanimità; in secondo luogo il potere di governo è ripartito tra il Consiglio europeo e la Commissione, nella forma che abbiamo precisato. Si tratta di due anomalie rispetto alla teoria della separazione dei poteri. Più che di separazione dei poteri, nel sistema istituzionale dell’Unione si deve perciò parlare di equilibrio dei poteri.

Marco Quelle che Lei ha chiamato anomalie andrebbero corrette?

Aps L’esclusione del Parlamento europeo da una parte importante della funzione legislativa è ingiustificabile in un ordinamento democratico; e così pure il potere di veto nel Consiglio. In duemila e cinquecento anni non si è individuato un altro sistema per decidere in comune delle faccende umane, accanto al sorteggio, se non il contare i consensi. La Chiesa stessa, che di istituzioni è maestra, dal 1179 ha stabilito che il papa viene eletto se ottiene almeno i due terzi dei voti dei cardinali. Quanto alla seconda anomalia, essa a mio giudizio è accettabile: in quasi tutti gli ordinamenti, talune funzioni di governo sono esercitate da altri organi, ad esempio dal presidente della Repubblica ovvero dalla Seconda Camera, come nel caso del Senato americano. Che il Consiglio europeo conservi le facoltà di impulso politico che sta esercitando va bene; purché non ne pretenda l’esclusiva e purché non crei una seconda burocrazia dipendente dal Consiglio europeo e dal Consiglio accanto a quella che dipende dalla Commissione.

Le politiche dell’Unione[modifica]

Marco Le crisi che oggi ci preoccupano – anzitutto disoccupazione giovanile, mancata crescita, immigrati – non si risolvono negando l’Europa, ma rafforzandola, Lei lo ha sostenuto prima. Ma mi chiedo se si possa avere fiducia nell’Unione europea come promotrice di politiche sane; se ci siano davvero elementi per darle credito.

Aps Una risposta può venire da uno sguardo a ciò che l’Unione ha fatto in questi anni e decenni. La serie delle politiche messe in opera dall’Europa è impressionante. Mi limito a poco più di un elenco, neppure completo. Con il mercato unico l’Europa ha realizzato in un trentennio, attraverso un procedimento straordinariamente articolato, l’obbiettivo della libera circolazione di persone, merci, servizi e capitali entro l’Unione. Per conseguire questo obbiettivo è stato necessario adottare una legislazione comune e una moneta unica, in modo da garantire la concorrenza e la stabilità monetaria. Con la politica di promozione attiva della libera concorrenza l’Unione ha assicurato ai consumatori prodotti migliori a prezzi competitivi ed ha in pari tempo favorito la crescita dell’economia degli Stati membri incentivando e tutelando l’iniziativa imprenditoriale. A questo proposito, l’Unione vieta alle imprese di concordare i prezzi o di ripartirsi i mercati; di abusare della propria posizione dominante in un determinato mercato per escludere concorrenti meno influenti. Anche il controllo delle concentrazioni tra imprese è effettuato dalla Commissione per evitare che una concentrazione finisca per impedire o pregiudicare il mercato concorrenziale; dove invece un’impresa ha già una posizione dominante sul mercato, le è fatto divieto di abusarne.

L’Atto unico del 1986, ma soprattutto il trattato di Maastricht del 1992 hanno esteso le competenze dell’Unione alla dimensione sociale e alla solidarietà, destinando importanti risorse allo sviluppo rurale, alla formazione del capitale umano, agli affari marittimi e alla pesca, all’innovazione e all’istruzione e soprattutto alle politiche di coesione, le quali hanno lo scopo di ridurre le disparità economiche e sociali tra le diverse regioni d’Europa. Non solo: da Maastricht in poi l’Unione persegue politiche di tutela dell’ambiente e del territorio, politiche di formazione per i giovani e per i lavoratori, politiche di investimento nella ricerca, politiche di protezione dei consumatori, interventi a favore del patrimonio culturale europeo, razionalizzazione del sistema dei trasporti, promozione di una comune politica dell’energia, linee comuni sulla sanità pubblica ed altro ancora.

Marco Non è eccessivamente ampio questo ventaglio di competenze?

Aps No, perché in questi campi la competenza dell’Unione non deriva da una competenza esclusiva e spesso nemmeno da una competenza concorrente, ma è il frutto di interventi di sostegno alle politiche nazionali, e questo in virtù del fondamentale principio di sussidiarietà, sul quale torneremo. L’Unione, in base al Trattato di Lisbona (art. 3 Tfue), ha competenza esclusiva solo in poche fondamentali materie, per le quali una disciplina unica e centralizzata è indispensabile per il corretto funzionamento del mercato unico: l’unione doganale, le regole sulla concorrenza, la politica monetaria dei Paesi che adottano l’euro, la conservazione delle risorse biologiche del mare e la politica commerciale comune.

Marco Ma allora nelle materie in cui l’Unione ha una competenza esclusiva si fa tutto a Bruxelles e ci vengono calati degli ordini dall’alto? Gli Stati in queste materie sono tagliati fuori ?

Aps Innanzitutto bisogna dire che si tratta di materie individuate dai trattati istitutivi, con i quali sono gli Stati a conferire all’Unione le competenze esclusive in questi campi. Ma l’Unione esercita queste competenze anche con la collaborazione degli Stati. Facciamo alcuni esempi. L’unione monetaria, con cui è nato l’euro, ha istituito la Banca Centrale europea la quale è governata da un Consiglio al quale spettano le decisioni più importanti sulla politica monetaria; nel Consiglio sono presenti, con diritto di voto, i governatori delle Banche centrali degli Stati membri che adottano l’euro. Anche la politica della concorrenza in alcune materie è stata parzialmente decentrata, nella sua attuazione, alle autorità nazionali.

Marco Ci sono profili comuni alla base delle diverse politiche dell’Unione europea?

Aps La trama che tiene insieme le politiche è stata costruita intorno ai tre macro obiettivi di cui si parlava prima: crescita, coesione e stabilità della moneta. Essa si è strutturata, dopo il trattato di Maastricht, in vasti piani di intervento che hanno preso il nome di “strategie”, per indicare una modalità decisionale e di implementazione. Tra queste si possono ricordare la Strategia europea per l’occupazione (Seo, dal 1997), e la Strategia Lisbona 2010 ora confluita nella Strategia Europa 2020. Quest’ultima indica le priorità della crescita e riguarda l’occupazione, la ricerca scientifica e lo sviluppo tecnologico, i cambiamenti climatici e l’energia, l’istruzione e la lotta contro la povertà e l’esclusione sociale; e si deve realizzare in partenariato con gli Stati membri.

Si tratta per lo più di programmi che individuano alcuni fondamentali obiettivi tematici alla cui realizzazione devono essere indirizzati i fondi del bilancio europeo. È importante rilevare che essi riguardano anche, in larga misura, alcuni ”beni pubblici europei” (difesa, ambiente, energia), i cui vantaggi ricadono anche sull’Italia. Altre strategie sono più specifiche. Ad esempio nel dicembre 2008 è stato approvato dai governi dell’Unione lo Small Business Act per la politica di sostegno alle piccole e medie imprese (Pmi) a livello europeo, permettendo così di destinare quote importanti dei fondi europei e consentendo inoltre, dal 2013, di equiparare i professionisti europei alle Pmi per l’accesso ai fondi. Anche per lo sviluppo del digitale sono in corso finanziamenti di rilievo, come su numerosi altri fronti (Fondi europei per le imprese, 2018). Per contrastare la disoccupazione giovanile è stato predisposto (su raccomandazione del Consiglio europeo dell’aprile 2013) il programma “Garanzia giovani”, che prevede finanziamenti agli Stati e iniziative per l’occupazione giovanile.

Marco Come si realizzano tutte queste politiche?

Aps La realizzazione delle politiche avviene in parte con finanziamenti diretti, erogati direttamente dalla Commissione, in parte con finanziamenti indiretti erogati agli Stati membri e alle regioni, che provvedono ad allocarli sul territorio. Tra i finanziamenti diretti uno dei più importanti è il Programma Horizon 2020 per la ricerca, l’innovazione lo sviluppo tecnologico, dotato di un finanziamento complessivo di 80 miliardi per il periodo 2014-2020. Tra i finanziamenti indiretti sono fondamentali il Fondo sociale europeo per l’inclusione sociale e l’istruzione, nato sin dal 1957, il quale ha stanziato 90 miliardi per il periodo 2014-2020; il Fondo di coesione, nato con l’Atto unico del 1986 e con il Trattato di Maastricht del 1992, che promuove lo sviluppo delle regioni svantaggiate e dispone per il periodo dal 20142020 di 63,4 miliardi, i quali sommati a quelli del Fondo regionale e sociale raggiunono i 352 miliardi; il Fondo europeo per lo sviluppo regionale; e il Fondo agricolo di garanzia, che incoraggia la produzione di alimenti sicuri e di qualità nel rispetto dell’ambiente, che è dotato per il periodo 2014-2020 di 100 miliardi.

Marco Sono fondate le accuse ricorrenti alla “burocrazia” di Bruxelles?

Aps Queste accuse sono infondate, per diverse ragioni. Anzitutto si deve tenere presente che per regolare un mercato così vasto la struttura amministrativa della Commissione di Bruxelles conta in valore assoluto meno funzionari e impiegati di quelli attivi in una grande città come Milano o Rotterdam. Questo è possibile in quanto l’Unione europea non è costruita come una struttura capillarmente presente sul territorio, perché affida alle amministrazioni nazionali ed anche locali il compito di adeguarsi, dove è necessario, alle direttive comuni. Inoltre, quando si imputa all’Europa, talvolta a ragione, un eccesso di regolamentazione minuta, non si dice che quasi sempre sono i governi nazionali ad imporre in sede europea queste regole con la prescrizione di caratteristiche individuate, a ragione o a torto, allo scopo di renderle esclusive, ad esempio per tutelare i prodotti tipici del proprio Paese. Poi questi stessi governi a casa propria si lamentano degli effetti di quanto loro stessi hanno preteso a Bruxelles.

Marco Come avviene l’assegnazione delle risorse europee?

Aps Il bilancio viene programmato con due diverse procedure. Ogni sette anni l’Unione stabilisce l’ammontare complessivo delle sue risorse (Quadro pluriennale di sviluppo) su proposta della Commissione, con l’accordo di tutti gli Stati membri e con il voto del Parlamento europeo. Entro questa cornice pluriennale, l’Unione vara il proprio bilancio annuale.

Marco In cosa consiste il Quadro pluriennale di sviluppo?

Aps L’Unione programma il proprio sviluppo in termini di obbiettivi e di risorse. Dal momento che queste sinora provengono per la massima parte dagli Stati membri, la programmazione settennale avviene con la partecipazione attiva dei governi. La Commissione europea elabora una proposta, che viene discussa, votata dal Consiglio dei ministri all’unanimità e poi approvata se vi è il parere conforme del Parlamento europeo.

Marco Si sa già come sarà composto il prossimo Quadro pluriennale?

Aps Il prossimo Quadro pluriennale riguarderà gli anni dal 2021 al 2027 e sarà decisivo per lo sviluppo futuro dell’Unione. Il Parlamento europeo se ne è occupato in via preliminare ed ha enunciato un parere articolato, votato il 18 marzo 2018;[1] esso propone un aumento complessivo delle risorse, dall’attuale 1,04 all’1,3 del Prodotto interno lordo dei 27 Paesi dell’Unione; e soprattutto si individuano obbiettivi in linea con le esigenze di fondo dell’Europa, dalla tutela dell’ambiente alle migrazioni, dalle nuove tecnologie all’energia. La Commissione a sua volta ha presentato una proposta articolata il 2 maggio 2018.[2]

Marco Vorrei capire meglio quali sono gli obbiettivi principali del quadro pluriennale dell’Unione.

Aps Per i sette anni dal 2014 al 2020 il programma di bilancio in corso[3] comprende 371.4 miliardi per la coesione economica, sociale e territoriale (ricerca e innovazione, ambiente, risorse naturali, impiego, inclusione sociale, piccole e medie imprese ed altro), 420 miliardi per l’agricoltura, la pesca, lo sviluppo rurale e l’ambiente, 142.1 miliardi per la crescita e l’occupazione (ricerca, educazione, energia, piccole e medie imprese, reti telematiche, trasporti), 66.3 miliardi per le politiche di cooperazioni internazionale e per le spese umanitarie, 17.7 miliardi per la politiche di sicurezza, di cittadinanza, salute giustizia, 69.6 miliardi per le spese amministrative.

Marco Sono molti o sono pochi?

Aps Sono molti se si guarda alla molteplicità degli interventi, tutti rigorosamente scelti e monitorati. Sono pochi, troppo pochi se solo si pensa a quanto resti da fare per la crescita sostenibile, per l’occupazione soprattutto giovanile, per l’energia, per le nuove tecnologie, per la difesa comune: tutti obbiettivi che richiedono politiche europee e non solo nazionali. Al bilancio europeo attualmente è dedicato appena l’1% del Prodotto nazionale lordo complessivo dell’Unione, mentre il bilancio federale degli Stati Uniti supera il 20% del Pil. Il bilancio annuale dell’Unione, che si indirizza ad oltre 400 milioni di cittadini attraverso le politiche che ho ricordato, è oggi dell’ordine di 140 miliardi, inferiore a quello di alcune tra le maggiori imprese bancarie o industriali europee!

Marco Da dove derivano le entrate dell’Unione?

Aps Sono risorse proprie le entrate dell’Unione che le vengono conferite sulla base di una decisione normativa unanime dei governi, ad esempio una quota dell’IVA, ovvero il provento di dazi alle frontiere d’Europa. Sono risorse proprie anche quelle derivanti dal trasferimento di una quota del Prodotto nazionale lordo che ogni Stato membro conferisce annualmente all’Unione; attualmente quest’ultimo cespite copre circa i tre quarti del bilancio dell’Unione; esso è evidentemente differenziato sulla base delle dimensioni e del livello di ricchezza dei singoli Stati; si tratta comunque di una somma inferiore all’1% del Pil nazionale.

Marco Come si potrebbe aumentare il bilancio dell’Unione?

Aps Ciò si può fare con il ricorso a nuove risorse proprie, derivanti da imposizioni non nazionali ma europee: ad esempio quelle sulle emissioni di carbonio (carbon tax) o sulle transazioni finanziarie o sul Web, che in futuro potranno risultare fondamentali per disporre delle risorse necessarie per sviluppare le politiche dell’Unione. La sola carbon tax – che disincentiva le fonti di energia produttive di carbonio e incentiva le energie pulite potrebbe offrire un gettito di 75-90 miliardi annui, che potrebbero salire a 150 miliardi (Alberto Majocchi, 2018) con uno strumento che per di più favorirebbe la tutela dell’ambiente dal rischio climatico. È stato calcolato che non sarebbe difficile aumentare il bilancio annuale dell’Unione dall’1% attuale al 2,5% del Pil europeo, includendo anche le spese per la difesa.

Marco Posso avere un’idea di come è composto un bilancio annuale dell’Unione?

Aps Prendiamo il bilancio relativo all’anno 2017, che ammonta complessivamente a 157,8 miliardi di euro.[4] Le poste principali di spesa sono le seguenti: 74,8 miliardi per la crescita intelligente e inclusiva (dei quali 53,5 miliardi per la coesione economica, sociale e territoriale, per l’ambiente, per le piccole e medie imprese e altro; 21,3 miliardi per la crescita e l’occupazione); 58,5 miliardi per la crescita sostenibile, l’agricoltura e la tutela del territorio; 4,2, miliardi per la sicurezza e la cittadinanza; 10,1 miliardi per l’Europa globale, la cooperazione internazionale e le spese umanitarie; 9,3 miliardi per le spese amministrative.

Marco Si può avere un’idea di quanto ha dato e di quanto ha ricevuto l’Italia in un anno recente?

Aps Certamente, anche questi dati sono agevolmente reperibili nel portale europa.eu già citato. Ad esempio, nel 2016 l’Italia ha versato all’Unione 14 miliardi di euro e ha ricevuto 11,5 miliardi, dei quali il 44% è andato all’agricoltura, il 39% alle politiche regionali, l’11% a ricerca e sviluppo, il 2% a cittadinanza sicurezza e giustizia.

Marco Perché l’Italia riceve meno di quanto versa all’Unione?

Aps Perché nonostante i fattori di crisi, l’Italia è ancora uno dei Paesi più ricchi in Europa. In base al principio di solidarietà, fondamentale per l’Unione, una quota delle risorse del bilancio europeo va a sostenere lo sviluppo dei Paesi meno ricchi, tra i quali i Paesi dell’Europa orientale. E non è solo una questione di solidarietà ma anche un calcolo economico: crescendo, questi paesi incentiveranno i propri consumi, a vantaggio anche dei Paesi produttori più prosperi.

Marco In alcune Regioni e in alcuni Paesi i fondi europei assegnati non vengono utilizzati se non in parte, e tra questi Paesi c’è il nostro, a quanto scrivono i giornali.

Aps È una mancanza gravissima, che spesso si deve alla politica di approssimazione dei beneficiari pubblici e privati del nostro Paese: occorre la presenza di assetti organizzativi stabili e competenti i quali da un lato individuino le esigenze e le procedure corrette, dall’altro consentano di utilizzare efficacemente i finanziamenti assegnati. La stabilità dei governi e la continuità delle politiche contano molto nel creare le cornici favorevoli all’impiego di queste risorse.

Marco Quanto contano le lobbies, gli interessi delle grandi imprese nelle politiche dell’Unione europea?

Aps È ben vero che gli interessi particolari sono oggi spesso più “forti” che non l’interesse generale al quale dovrebbero rispondere sia i parlamenti che i governi. Le lobbies d’altra parte non vanno necessariamente demonizzate, in alcuni casi contribuiscono all’elaborazione di normative migliori di quanto i politici o i funzionari potrebbero fare da soli; è necessario però che vi sia trasparenza, e per questo si è introdotto il registro europeo delle lobbies. Quando funziona correttamente il circuito Commissione-Consiglio-Parlamento europeo, l’Unione è forte ed efficace. Ad esempio si è imposta e si sta imponendo persino alle potentissime multinazionali statunitensi, Google, Apple, Amazon. Là dove ha i poteri necessari, l’Unione europea è già una potenza. Una potenza pacifica, naturalmente.

Marco Lei ha appena descritto molte politiche positive dell’Unione europea, che abbiamo visto intrecciarsi con le criticità nate dalla crisi. Ma io vorrei dirLe che ci sono alcune cose sulle quali noi giovani siamo tutti d’accordo: una è l’abolizione delle frontiere, un’altra è l’opportunità di svolgere in un altro Paese dell’Unione una parte degli studi universitari, il Programma Erasmus. Nessuno dei miei amici, neanche gli anti-europei, si dichiara contrario.

Aps È vero. Le posso dire, anzi confessare, che quando è partito il programma Erasmus io, che insegnavo all’Università, ero perplesso. Ebbene, avevo torto. La possibilità di studiare per un anno in un altro Paese d’Europa si è rivelata una carta vincente, uno dei maggiori successi dell’Unione. Credo che una delle ragioni per le quali oggi in tutta Europa – lo mostrano i sondaggi anche recenti – i giovani sono molto più favorevoli all’Unione europea rispetto alle altre fasce d’età stia proprio qui. Inoltre ora è possibile anche fare esperienze di lavoro in Europa o confrontarsi con altri giovani quando si programmano delle nuove iniziative imprenditoriali. L’Europa è diventata un po’ casa propria per tanti, e questo è bellissimo.

Marco Mi pare di capire che la politica economica dell’Unione, nonostante i limiti che Lei ha denunciato, sia orientata su diversi obbiettivi, non soltanto sulla stabilità della moneta e sulla sostenibilità dei bilanci nazionali; è così?

Aps Sì. Possiamo vederlo con chiarezza se ricorriamo ad uno schema classico della politica economica. Gli obbiettivi sono tre: la stabilità, che mantiene fermo il valore della moneta evitando le conseguenze disastrose di un’alta inflazione distruttiva dei risparmi nonché il grave rischio della deflazione; la crescita sostenibile – compatibile con la tutela ambientale e con le condizioni di sviluppo delle comunità – che è il frutto di una disciplina rigorosa della libera concorrenza e della messa in opera del mercato unico; la coesione, che opera una redistribuzione, affidata agli Stati, di una quota delle risorse a vantaggio degli Stati e delle Regioni più povere; il principio di solidarietà è ben presente nelle politiche europee.

L’Unione, pur nei limiti delle risorse di cui dispone, persegue tutti questi obbiettivi, ognuno dei quali è sancito nei Trattati europei. Moneta unica, concorrenza, sviluppo e coesione hanno queste finalità. Aggiungo una considerazione: se guardiamo bene, questi tre obbiettivi, fondamentali per l’integrazione economica e sociale, sono in corrispondenza con quelle che abbiamo denominato le tre navate principali dell’Unione: la pace è un fattore basilare di stabilità, il benessere è legato alla crescita, la solidarietà si realizza sul fondamento dell’equità sociale. Vi è una coerenza di fondo nel disegno della cattedrale.

Marco Se volessimo sintetizzare l’esigenza più acuta di oggi e per il prossino futuro, quale sarebbe la priorità per le politiche dell’Unione?

Aps Se è vero, come è vero, che occorre evitare il rischio di recessione, fronteggiare la globalizzazione senza chiusure dannose, aumentare la crescita sostenibile e combattere l’alto livello di disoccupazione soprattutto giovanile, la risposta è molto chiara. Occorre una robusta iniezione di investimenti pubblici da parte dell’Unione, destinati in primo luogo ai beni pubblici europei: dalla formazione avanzata alla ricerca alla tutela del territorio, dalle energie alternative alla intelligenza artificiale al welfare e alla sanità, dalla difesa allo sviluppo dell’Africa. Non è più, questa, un’opinione isolata: ormai si sta facendo strada anche tra gli economisti. Mi limito a citare l’importante progetto messo a punto da un gruppo di alto livello presieduto da Romano Prodi e Christian Sautter, che ha valutato in 100-150 miliardi di euro all’anno dal 2018 al 2030 la somma necessaria per procedere in questa direzione (Boosting Investment in Social Infrastructure in Europe, gennaio 2018). “Non ha senso che gli investimenti pubblici in Europa siano fermi sotto le medie di qualunque altra parte del mondo” (Fubini, Corriere della Sera, 20 febbraio 2019). Non possono essere gli Stati a provvedere alle necessarie risorse, perché sballerebbero i conti aumentando ulteriormente il debito pubblico. E puntare solo sulle esportazioni (che comunque hanno un ruolo molto importante e nelle quali l’Italia è in primo piano, subito dopo la Germania) non è sufficiente ai fini della crescita e dell’occupazione. Gli strumenti per procedere nella direzione indicata ci sono, e già li abbiamo ricordati: dalla carbon tax alla web tax ai bonds. Questa è la vera priorità. Naturalmente, bisognerà assicurarsi che le risorse siano utilizzate correttamente da parte degli operatori sia pubblici che privati, senza deviazioni, senza inefficienze, sotto il controllo di Agenzie specializzate a loro volta responsabili verso le istituzioni dell’Unione.

Breve storia dell’Unione, 1948-2017[modifica]

Marco Come è nata l’idea dell’Unione europea?

Aps Se dovessimo farne la storia, anche per sommi capi, ci vorrebbe lo spazio di un libro. Basti dire che spiriti sommi avevano immaginato da secoli un’unione politica dell’Europa, talora dell’intera cristianità o addirittura dell’intero genere umano. In modi e contesti diversissimi, Dante Alighieri e Immanuel Kant hanno scritto pagine imperiture in proposito. Dante ha scritto che solo un impero in grado di dirimere con la forza del diritto una controversia tra i regni e tra le cit tà avrebbe portato alla pace (circa 1312, Monarchia, 1. 10). Kant ha tracciato il disegno di una federazione planetaria tra Stati quale strumento per la pace perpetua (1784 e 1795). Su un piano ben differente, sovrani di tempi diversi, da Carlo Magno a Federico II, da Carlo V a Napoleone hanno tentato di unificare l’Europa, ma hanno operato nella prospettiva di una conquista militare, di uno Stato unico sotto un solo sovrano; e sono stati fermati da altri Stati, da altri sovrani, dalla Francia, dall’Inghilterra, dagli Asburgo, dalla Prussia. L’ultimo a muoversi su questa linea è stato Hitler: voleva un continente ridotto in servitù sotto il dominio germanico.

L’idea di una vera unione politica è però maturata più tardi, proprio nel pieno della guerra terribile contro il nazismo, che in quel momento sembrava inarrestabile. Dal confino in cui lo aveva recluso il fascismo dopo avergli inflitto dieci anni di carcere, Altiero Spinelli scrisse nel 1941, con Ernesto Rossi e con Eugenio Colorni, il Manifesto di Ventotene, nel quale per la prima volta l’idea di Europa veniva sostenuta, con argomentazioni in gran parte ancora attuali, nei termini di una vera unione politica federale, che avrebbe reso finalmente impossibili le guerre intra-europee. Poteva sembrare un sogno irreale, in un momento nel quale l’Europa era ormai quasi interamente caduta sotto il dominio nazista.

Marco L’integrazione europea è nata solo dopo la vittoria sul nazismo e sul fascismo?

Aps La sua genesi e il suo sviluppo sono affascinanti. Nel maggio 1948 un grande Congresso organizzato all’Aja ha per la prima volta riunito le forze favorevoli alla prospettiva di un’unione politica dell’Europa con l’intervento di esponenti politici e culturali dei Paesi dell’Europa occidentale. Un primo importante traguardo lo troviamo nel trattato del 1951 sulla Comunità del carbone e dell’acciaio (la Ceca). Ne fu ideatore il francese Jean Monnet. Egli propose con successo ai governi di Francia e Germania, appena uscite dalla seconda guerra mondiale, di sottrarre alle sovranità nazionali la gestione di quelli che erano da un secolo i due pilastri dell’economia industriale, il carbone e l’acciaio, la cui produzione era concentrata nella Ruhr, contesa anche per questo dai due Paesi in ben tre guerre tra il 1870 e il 1939. Monnet propose di affidarne la gestione ad una Alta autorità indipendente dai governi; questi sarebbero stati presenti in un Consiglio; un’Assemblea parlamentare avrebbe votato le regole insieme al Consiglio; e le controversie le avrebbe decise una Corte di giustizia. È facile vedere che qui abbiamo già, in embrione, le istituzioni di base dell’Unione europea attuale. Esse presentano molti dei caratteri che sono propri della statualità federale e democratica. Monnet questo lo aveva chiarissimo: voleva porre le premesse, partendo dal carbone e dall’acciaio, per una unione più ampia. Il suo obbiettivo finale era espresso dall’associazione da lui fondata, che si intitolava in modo inequivocabile: “Associazione per gli Stati Uniti d’Europa”.

Marco Dunque la finalità vera era politica, non economica.

Aps È proprio così. Oggi spesso, anzi quasi sempre si dimentica che l’integrazione europea è nata con uno scopo di natura politica: quello di portare all’unificazione politica del nostro continente, un’unificazione federale. Lo scopo era di impedire così, in via definitiva, il rischio di nuove guerre europee, che avevano devastato i nostri Paesi e il mondo intero per responsabilità dell’Europa ben due volte in pochi decenni.

Marco C’è una matrice culturale specifica, un’ideologia politica bene identificabile alla quale si può far risalire l’idea dell’unione europea?

Aps Questo è un punto importante. E la risposta è no. Nel senso che all’idea della federazione europea sono giunti, in parallelo e indipendentemente, alcuni esponenti di ideologie politiche diverse, persino opposte. Già è caratteristico che il Manifesto di Ventotene sia nato dalla discussione tra Altiero Spinelli (di formazione marxista, ex comunista), Ernesto Rossi (di formazione liberale) ed Eugenio Colorni (di formazione politica socialista). E se poi guardiamo alla fase iniziale, appena ricordata, vediamo che i tre uomini politici che hanno svolto un ruolo decisivo – Robert Schumann, Konrad Adenauer e Alcide De Gasperi – erano di formazione cattolica; inoltre, non a caso, tutti e tre avevano vissuto in regioni d’Europa site alle frontiere, l’Alsazia, la Renania, il Trentino dell’Impero austro-ungarico. L’ideale europeo accomuna le diverse ideologie del liberalismo, del socialismo e della moderna democrazia, laici e cattolici e protestanti, conservatori e progressisti. Sarà poi nella nuova struttura sovranazionale che torneranno a formarsi maggioranze e minoranze sulle singole politiche, come è normale che sia (e come già avviene oggi entro il Parlamento europeo). Prima di allora, ed ancora oggi, alla vigilia delle elezioni europee, la vera divisione è quella tra chi punta alla federazione e chi vi si oppone. La storia dell’unione europea lo mostra chiaramente sin dalle origini.

Marco E le tappe successive?

Aps Nei primi anni Cinquanta del Novecento si giunse a un passo dalla federazione, con il trattato per la Comuni tà europea di difesa (Ced, 1952), che però non venne ratificato nel 1954 dall’Assemblea francese. Allora lo stesso Monnet avviò, con altri, il progetto del Mercato comune, il cui trattato venne firmato dai governi di Francia, Germania, Italia e Belgio, Olanda e Lussemburgo nel 1957: la Comunità economica europea (Cee), originariamente a sei. Ma col tempo, in ragione del successo straordinario conseguito in pochi anni dall’economia dei sei paesi del mercato comune, la Cee si ampliò dapprima a nove Paesi, poi dodici, poi a quindici Paesi dal 1973 al 1995, infine a ventotto Paesi dal 2004 al 2013. Contemporaneamente nel 1957 nasceva anche l’Euratom, un trattato per la gestione comune dell’energia nucleare, purtroppo rimasto lettera morta dopo che la Francia di De Gaulle si dotò di un proprio armamento nucleare. Eurarom però è tuttora è in vigore e potrebbe ritornare di attualità per le energie rinnovabili.

Marco Lei come spiegherebbe questo successo del Mercato comune e della Comunità economica europea (Cee)?

Aps Una ragione di fondo della riuscita del grande progetto ideato da Jean Monnet sta nell’intuizione geniale che fosse possibile concentrare su un medesimo obbiettivo due dimensioni del vivere e del progettare che molto spesso sono divergenti, quando non addirittura contrastanti: gli interessi e i valori. L’integrazione europea costituiva e costituisce un valore largamente condiviso, perché prospetta la pace durevole tra i nostri Stati e i nostri popoli che per secoli si sono combattuti; sul terreno economico, migliorare la qualità dell’offerta e contenere i prezzi dei prodotti è anch’esso un valore; ma rappresenta allo stesso tempo anche un interesse, sia per la ragione appena espressa, sia perché le imprese più dinamiche e più sane dei diversi Paesi europei hanno interesse all’abolizione dei dazi alle frontiere e all’instaurazione di regole che garantiscano la libera concorrenza. Il compito non era semplice: per la messa a punto del mercato unico ci sono volute negli anni successivi al 1986 ben trecento direttive europee. Convergenza di valori e di interessi: ecco forse il segreto del successo del mercato comune, poi diventato mercato unico.

Marco Le istituzioni europee si sono trasformate in questi sessanta anni?

Aps Le tappe fondamentali di questa evoluzione le riassumerei così. Nel 1976 per iniziativa del presidente francese Giscard d’Estaing quella che era sino a quel momento un’Assemblea parlamentare composta di deputati nazionali si è tramutata nel Parlamento europeo eletto a suffragio universale ogni cinque anni dai cittadini europei, come è avvenuto a partire dal 1979. È stata una svolta di importanza cruciale, perché solo un Parlamento eletto direttamente possiede la legittimazione politica e istituzionale necessaria per rappresentare al livello dell’Unione i cittadini europei, che al livello nazionale sono rappresentati dai parlamentari nazionali. Frattanto si era introdotta la prassi, poi formalizzata, di riunioni periodiche dei capi di Stato e di governo dando vita al Consiglio europeo, via via diventato organo fondamentale per gli indirizzi politici dell’Unione, come abbiamo visto. Nel 1986, anche sulla base del Libro Bianco messo a punto da Jacques Delors nel 1985, fu varato l’Atto unico, il trattato che ha stabilito il traguardo ambizioso del mercato unico e l’ha accompagnato con la previsione di una politica di sostegno economico da parte dell’Europa alle regioni meno ricche del Continente, che prederà il nome di politica di coesione. È stata la risposta al progetto di unificazione politica varato dal Parlamento europeo al termine della sua prima legislatura, nel 1984, noto come “Progetto Spinelli” perché promosso dal grande federalista del Manifesto di Ventotene.

Marco E poi si arriva al Trattato di Maastricht, se non sbaglio.

Aps Certo, questo è avvenuto nel 1992. Il Trattato di Maastricht ha fissato due obbiettivi centrali: ha dettato le regole per la moneta unica, l’euro, realizzata a partire dal 1999, che si era resa necessaria per garantire un corretto sviluppo del mercato unico e della concorrenza, prima alterata da svalutazioni monetarie competitive; ed ha esteso la competenza di quella che da allora ha preso il nome di Unione europea alla politica estera e di sicurezza e alla politica interna e di giustizia, due gruppi di competenze denominati allora il secondo e il terzo pilastro dell’Unione, accanto a quello dell’unione economica e monetaria (primo pilastro), tutti e tre essenziali nella prospettiva di una futura unione politica federale. Non solo: il Trattato del 1992 ha introdotto il principio fondamentale della cittadinanza europea, che ogni cittadino di uno Stato membro dell’Unione possiede accanto alla propria cittadinanza nazionale; ha disciplinato la politica di coesione, cioè di solidarietà, già ricordata; ha enunciato il principio della sussidiarietà, un vero pilastro dell’Unione, sul quale torneremo tra poco; ha previsto l’avvio di una politica sociale dell’Unione; ed ha incluso tra le competenze dell’Unione tutta una serie di materie, dai trasporti alla ricerca, dall’occupazione alle politiche giovanili all’energia, come già abbiamo visto in merito alle politiche dell’Unione. Un complesso di riforme imponente, il più importante sino ad oggi dopo i Trattati fondatori del 1950 e del 1957.

Marco Quali sono stati i passi ulteriori?

Aps I due successivi trattati di Amsterdam (1997) e di Nizza (2000) hanno introdotto modifiche significative estendendo

i casi di decisione a maggioranza nel Consiglio dei ministri e rendendo più funzionale la procedura di codecisione tra il Parlamento europeo e il Consiglio dei ministri. A Nizza è stata anche approvata la Carta dei diritti dell’Unione, che dal 2009 è parte integrante dei trattati, un passo in avanti importantissimo. Va sottolineato il fatto che una Carta dei diritti costituisce un elemento essenziale di tutte le moderne costituzioni.

Marco E le innovazioni di questi primi anni del terzo millennio?

Aps Nel 2004 si è conclusa la Convenzione europea composta da rappresentanti del Parlamento europeo, dei Parlamenti nazionali, dei Governi e della Commissione. Ha predisposto una Costituzione (denominata Trattato costituzionale) che introduceva elementi nuovi nella disciplina dei trattati e sistemava l’intera normativa europea in modo molto più razionale. Ma il Progetto è caduto perché due referendum del 2005 sulla ratifica, in Francia e in Olanda, hanno avuto esito negativo. Una nuova Conferenza intergovernativa lo ha però ripreso quasi integralmente nel 2007, anche se in forma meno organica e senza più impiegare il termine di costituzione. E così è nato il Trattato di Lisbona entrato in vigore nel 2009, che tuttora rappresenta la costituzione dell’Unione europea. Esso consta di due trattati disinti ma collegati, il Trattato sull’Unione europea (Tue) che delinea i profili fondamentali dell’Unione, e il Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (Tfue), che specifica analiticamente gli obbiettivi e le procedure dell’Unione.

Marco Perché parlare di costituzione, se tale non è?

Aps È vero, quello di Lisbona è un trattato, non una costituzione. Ma nella realtà, l’Unione ha già una costituzione: le istituzioni che abbiamo ricordato, le regole di decisione, le competenze stabilite, la Carta dei diritti ormai parte integrante del diritto dell’Unione, tutto questo presenta i caratteri che sono propri di un assetto costituzionale. È corretto perciò ritenere che l’Unione europea una costituzione la ha già, anche se imperfetta, incompiuta.

Marco Quali sono le innovazioni del Trattato di Lisbona?

Aps Oltre all’inclusione della Carta dei diritti, il Trattato sviluppando quanto già avviato a Nizza nel 2000 ha introdotto il principio per il quale quando il Consiglio dei ministri può decidere a maggioranza qualificata, questa richiede un voto che raccolga la maggioranza di almeno il 55% dei governi, tale da rappresentare almeno il 65% della popolazione dell’Unione. Il Trattato ha reso esplicito il principio per il quale l’Unione si regge sulla democrazia rappresentativa. Inoltre, il trattato di Lisbona ha disciplinato in modo nuovo due procedure che permettono di avviare politiche di difesa e di innovazione entro l’Unione anche se non tutti i governi le condividono: sono le procedure di cooperazione strutturata e di cooperazione rafforzata, sin qui ancora scarsamente utilizzate ma potenzialmente molto promettenti, perché permettono di superare il requisito paralizzante della unanimità.

Marco C’è chi pensa che in una costituzione europea dovrebbero essere menzionate le radici cristiane dell’Europa. Lei è d’accordo?

Aps Non lo ritengo necessario. E spiego perché. Anzitutto negare queste radici sarebbe impossibile per la ragione che esse sono già ben presenti nel diritto dell’Unione, come è stabilito nei trattati: infatti, cosa sono la coesione e il principio di solidarietà se non declinazioni istituzionali del precetto della carità? Cosa rappresenta il principio della dignità scritto nella Carta dei diritti europea se non l’espressione giuridica del precetto della pari dignità di ogni essere umano presente nei Vangeli? Questi principi sommi sono divenuti patrimonio della civiltà europea (anche quando e quanto spesso violati...), hanno una radice religiosa ma sono condivisi – e sono costituzionalmente

vincolanti – anche da chi e per chi non sia credente o appartenga a un’altra religione. Menzionare le radici cristiane dunque da una parte è inutile perché esse sono già ben presenti nel diritto dell’Unione, d’altra parte potrebbe allontanare dall’adesione alla Costituzione europea chi non sia un cristiano praticante mentre è giusto che ogni cittadino di ogni Stato membro dell’Unione si senta anche cittadino europeo.

Marco Dopo il Trattato di Lisbona ci sono state altre modifiche importanti della struttura istituzionale dell’Unione?

Aps Le innovazioni più importanti sono avvenute negli anni 2011-2012, per fare fronte alla grave crisi esplosa nel 2008. Questa ha messo seriamente a rischio la tenuta dell’euro e con essa l’intera unione economica e monetaria europea, come abbiamo visto. La Banca centrale europea ha attuato con successo in questi anni politiche incisive per salvare l’euro. I Governi a loro volta hanno deliberato un insieme di misure per mettere sotto controllo quei bilanci nazionali – a cominciare dalla Grecia e in secondo luogo dall’Italia – per i quali l’indebitamento pubblico rischiava di portare al fallimento il sistema bancario, l’economia del Paese e la stessa unione economica europea. L’Europe an Stability Mechanism (ESM), il Fiscal Compact e altre complesse misure sono servite a questo. E così pure gli altri strumenti che abbiamo menzionato a proposito dei rischi che può correre l’Unione. La politica di austerità, patrocinata in primo luogo dalla Germania, ha avuto meriti e demeriti. Oggi la crisi è in via di superamento – con la sola eccezione dell’Italia, purtroppo – e si sono avviate politiche di sviluppo, peraltro ancora non sufficienti, come abbiamo già visto. Il quadro istituzionale è rimasto, sino ad oggi, quello di Lisbona del 2009.

Marco Dopo quanto ho ascoltato comincio a rendermi conto della complessità della costruzione europea ma soprattutto di quanto alta sia l’ambizione del disegno originario chela ha vista nascere. Chi possiamo considerare i veri padri del progetto di unione?

Aps Le radici affondano in un passato lontano, che dal cosmopolitismo antico si estenda al medioevo di Dante e poi all’età moderna con Kant. Ma se vogliamo limitarci all’Unione europea quale oggi esiste, due nomi sono davvero fondamentali e possono considerarsi i “padri” dell’Europa. Li abbiamo già menzionati: Altiero Spinelli e Jean Monnet. Rispondo alla Sua domanda tracciando un brevissimo profilo di entrambi.

Altiero Spinelli, nato nel 1907, si impegnò sin da adolescente nella lotta al fascismo all’interno del neonato Partito comunista. All’età di appena 21 anni venne condannato dal Tribunale speciale e passò dieci anni in carcere (1928-1937). Nel corso di questi anni si dedicò con passione allo studio. Anche per influenza di Ernesto Rossi (come lui incarcerato dal fascismo), di Luigi Einaudi e dei federalisti inglesi (Strachey, Robbins, Lord Lothian) giunse così alla convinzione che la via del futuro non fosse il comunismo sovietico bensì la costruzione di una federazione europea. Fu per questo duramente ostracizzato dai suoi stessi compagni di carcere di fede comunista. In seguito scrisse nel confino di Ventotene con Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni il celebre Manifesto del 1941, già ricordato.

Nel 1943 fondò il Movimento Federalista Europeo. Nel 1953-54 ebbe un ruolo fondamentale nel disegnare il trattato della Comunità europea di difesa (Ced) che avrebbe condotto direttamente alla federazione. Fallito questo, dopo alcuni anni riprese la sua battaglia; fu dapprima commissario europeo, quindi venne eletto nella prima legislatura del Parlamento europeo e nel 1984 riuscì ad aggregare una maggioranza su un Progetto (Progetto Spinelli) che delineava una profonda riforma dei trattati. Il Progetto non venne recepito dai Governi, ma generò indirettamente prima l’Atto unico del 1986 e poi il Trattato di Maastricht del 1992. Spinelli scrisse saggi fondamentali sull’Europa politica ed anche una bellissima autobiografia (Come ho tentato di diventare saggio, 1984). Morì nel 1986.

Marco E Jean Monnet?

Aps L’Unione europea – come è nata nel 1951, come si è sviluppata dal 1957 in poi e come esiste oggi – è nei suoi fondamenti istituzionali e operativi il frutto del pensiero e dell’azione di Jean Monnet. Quest’uomo singolare, discendente da una famiglia di produttori di Cognac, sviluppò sin da giovane una vocazione per così dire cosmopolitica che lo condusse al segretariato della Società delle Nazioni tra le due guerre, e poi ad avviare con successo una stretta integrazione tra Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia nella lotta contro il nazismo, dal 1940 alla fine della seconda guerra. Fu l’ideatore della Comunità europea del Carbone dell’Acciaio (Ceca) del 1951 e ne fu il primo presidente. Fallita la Ced, intuì che la battaglia per l’unione politica europea potesse riprendere a partire dall’istituzione di un grande mercato comune europeo: il trattato fondamentale del 1957 come pure quello coevo sull’Euratom furono preparati da lui con la collaborazione di pochi funzionari illuminati, tra i quali i francesi Bernard Clappier e Pierre Uri.

L’impianto istituzionale dell’Unione di oggi è sostanzialmente ancora quello da lui ideato sin dal 1950, con le quattro istituzioni che abbiamo descritto. Anch’egli scrisse negli ultimi anni una bellissima autobiografia (Mémoires, 1976), che tutti dovrebbero leggere, insieme con quella di Altiero Spinelli. Alla base stavano alcune idee: che gli ideali e gli interessi potessero incontrarsi nel dar vita all’unione europea; che non gli uomini ma solo le istituzioni possono “diventare più sagge”; che le difficoltà e le crisi siano (possano essere...) le matrici dei passi in avanti verso l’unione europea; che “noi non coalizziamo gli Stati, noi uniamo gli uomini”; e che l’Unione europea “non è che una tappa verso le forme di organizzazione del mondo di domani”. Un gigante.

Naturalmente, l’Unione europea non si deve soltanto a questi due uomini. Molti altri hanno avuto ruoli centrali, dai primi grandi politici del secondo dopoguerra (Schumann, De Gasperi, Adenauer, Spaak) a Giscard d’Estaing promotore dell’elezione diretta del Parlamento europeo nel 1976, da Mario Albertini a Jacques Delors, il più grande presidente della Commissione, in carica dal 1984 al 1995, gli anni dell’Atto Unico e del Trattato di Maastricht). Ed altri ancora...