Aps-IV Prospettive dell’Unione

Da EU wiki.

Un’Europa a cerchi concentrici?[modifica]

Carlomagno.jpg

Marco Oggi l’Unione ha 28 Stati membri, che diventeranno 27 con l’uscita del Regno Unito. Sono tutti sullo stesso piano? Sono tutti davvero schierati per un’Unione più avanzata? Quali dovrebbero essere i confini d’Europa?

Aps La scelta degli Inglesi di uscire dall’Unione è stata una scelta drammatica, in parte emotiva, che a mio avviso si rivelerà dannosa per la Gran Bretagna; ma sarà il futuro a mostrare se e quanto questo sia vero. Ciò non toglie né mai deve far dimenticare che la storia dell’Inghilterra è stata una componente fondamentale della storia d’Europa. Le moderne democrazie costituzionali, fondate sulla distinzione dei tre poteri, sono nate sul modello inglese del Seicento. La rivoluzione industriale è partita dall’Inghilterra. E pochi sanno che i primi a teorizzare in modo preciso la teoria del federalismo, applicabile anche all’Europa, sono stati alcuni pensatori inglesi, tra i quali J. R. Seeley nel secondo Ottocento e Lord Lothian negli anni Trenta del Novecento. L’Inghilterra, come la Scozia, resterà sempre parte integrante dell’Europa e della civiltà europea, anche dopo il referendum del 2017.

Marco E i Paesi dell’Est europeo?

Aps L’estensione dell’Unione ai Paesi dell’est europeo era un dovere storico, dopo il crollo del comunismo: essi fanno parte a pieno titolo dell’Europa e della sua storia. Tuttavia oggi le posizioni sul futuro dell’Unione e sulle sue scelte sono molto differenziate tra i diversi Paesi. E in taluni di essi – specie in Polonia e in Ungheria, che con altri Paesi vicini fanno parte del cosiddetto gruppo di Visegrad – si sono manifestate posizioni politiche di chiusura verso una prospettiva di unione politica, verso il rispetto dei principi di democrazia stabiliti dai trattati e dalla Carta dei diritti, approvata da tutti, nonché verso ogni forma di accoglienza di migranti se non su base volontaria. Vedremo dove queste posizioni potranno condurre. È in corso un processo di reviviscenza del nazionalismo, oggi ridenominato “sovranismo”, non solo ad est dell’Europa, come sappiamo...

Marco A questo punto mi chiedo: è concepibile un’Unione europea differenziata? Un’Europa per così dire a cerchi concentrici, con un nucleo di Paesi che formino una vera federazione di Stati ed altri Paesi per così dire periferici, ma comunque partecipi del mercato unico?

Aps Questa è davvero una questione fondamentale. In Europa è in discussione da decenni. Io stesso (mi permetto questa autocitazione) ho scritto su questo tema esattamente trent’anni fa, nel 1988, prima di Maastricht. Ebbene, la risposta è sì, ma solo a certe condizioni. La prima è questa: di un possibile nucleo stretto debbono comunque essere parte sia la Francia che la Germania, perché il cuore dell’unione politica, la sua ispirazione originaria e il suo codice genetico stanno in questo patto nato dalle ceneri delle due guerre mondiali. La risposta è sì anche perché in realtà la storia dell’integrazione europea è stata sin qui proprio la storia di un’integrazione differenziata. L’accordo di Schengen che ha istituito la libera circolazione dei cittadini tra Paesi dell’Unione è partito da un gruppo di Stati membri e ancora oggi non è condiviso da tutti. La politica sociale dell’Unione, stabilita a Maastricht, è stata in un primo tempo respinta dalla Gran Bretagna. E soprattutto, la moneta unica, l’euro, oggi è realtà in 19 Paesi, mentre altri Paesi si preparano e ad entrare ed altri ancora almeno per ora non intendono farlo.

Marco Ma come è possibile far convivere più cerchi concentrici?

Aps In linea di principio, tutti i Paesi che hanno ratificato i trattati europei – e dunque hanno espressamente riconosciuto che le competenze dell’Unione sono quelle stabilite dai trattati – dovrebbero accettare di condividere le scelte approvate, su tutte queste materie, dalla maggioranza dei governi e dal Parlamento europeo, rispettando naturalmente il principio di sussidiarietà. Senonché la storia (come un grande giudice della Corte Suprema americana, Oliver Wendell Holmes, diceva a proposito della genesi del diritto) non è figlia della logica, è figlia dell’esperienza. E l’esperienza dell’integrazione europea mostra che in molte circostanze bisogna accettare un’integrazione differenziata. Certe politiche possono essere condivise da alcuni governi dell’Unione ma non da altri, quanto meno in un primo tempo come risulta dagli esempi che ho citato.

Marco Come funzionerebbero in questi casi le istituzioni dell’Unione?

Aps Qui sta il vero nodo. Se è relativamente semplice una geometria differenziata su singole politiche, le cose si complicano se le differenze riguardano il funzionamento del le istituzioni, che sono di tutti. A partire dal 1997 i Trattati europei, in particolare il Trattato di Lisbona oggi in vigore, hanno previsto che si possano decidere “cooperazioni rafforzate” per politiche innovative, purché condivise da almeno otto Paesi dell’Unione; ed è prevista inoltre una “cooperazione strutturata” anche più ristretta per la difesa. Nel Consiglio voterebbero solo i governi che decidano di procedere, dopo avere comunque proposto a tutti l’iniziativa. Del resto, già oggi esiste l’Eurogruppo che riunisce i rappresentanti dei soli governi dell’Eurozona.

Marco E il Parlamento europeo parteciperebbe? E la Commissione?

Aps La Commissione senz’altro sì, come già oggi avviene. Quanto al Parlamento, i trattati tacciono su questo punto. È vero che il Trattato di Lisbona nel disciplinare le due cooperazioni si riferisce solo ai governi e il Parlamento ne sembra escluso. Ma è anche vero che un articolo del trattato (art. 333 Tfue) prevede che i governi della cooperazione rafforzata possano decidere di adottare la procedura legislativa ordinaria: cioè di decidere anche a maggioranza, in codecisione con il Parlamento europeo. Certo, per questo occorre in partenza un voto unanime dei Paesi che vogliono la cooperazione rafforzata. È un ostacolo, ma forse non insuperabile dopo il distacco della Gran Bretagna che mai avrebbe condiviso quella che viene chiamata la “clausola passerella”. E si può immaginare che in futuro su queste politiche innovative la discussione sia aperta a tutti entro il Parlamento europeo, ma il voto sia limitato ai soli parlamentari eletti dai Paesi che abbiano intrapreso la cooperazione rafforzata o strutturata. La via è dunque percorribile.

Marco In questa prospettiva ci sarebbe un’unione economica tra tutti i 27 Paesi e un’unione politica solo per chi lo vuole, purché (come Lei ha detto) condivisa almeno da Francia e Germania?

Aps Sì, ma le cose non sono mai così semplici come possono sembrare. In realtà il mercato unico non è solo un mercato, lo abbiamo già detto: c’è la coesione a sostegno delle regioni meno ricche, c’è la solidarietà, c’è la politica commerciale comune, c’è la tutela dei diritti fondamentali. Come si fa a non riconoscere che queste sono competenze non solo di natura economica ma di natura politica? Dunque anche la via dei cerchi concentrici è disseminata di ostacoli. Solo il futuro dirà se e come essi potranno venire superati.

Marco Ancora pensando al futuro, quali dovrebbero essere secondo Lei i confini di un’Europa unita?

Aps Tra i Paesi da includere nell’Unione vi sono gli Stati balcanici (Serbia, Montenegro, Albania, Bosnia), per i quali le trattative, lunghe e complesse, differenziate per ciascun Paese, sono in corso e si spera che giungano a conclusione in tempi brevi. Vi sono poi altri Paesi ai confini d’Europa – ad est l’Ucraina, l’Armenia ed altri, inclusa la stessa Russia, nonché i Paesi della sponda del Mediterraneo – con i quali l’Unione europea potrebbe e dovrebbe stringere accordi di associazione economica ed anche di sicurezza senza che essi facciano parte dell’Unione stessa e delle sue istituzioni. Infine c’è la Turchia, con la quale trattative per un ingresso nell’Unione erano in corso, difficili anche per le dimensioni di questo Paese e per la sua diversità culturale e religiosa rispetto all’Europa. Le opinioni pubbliche in Europa sono prevalentemente contrarie all’ingresso, anche se a mio avviso non può essere la religione a costituire un impedimento, in linea di principio. Ma l’ingresso nell’Unione, che divide gli stessi turchi, è ormai reso impossibile per la deriva autoritaria che la Turchia sta attraversando, incompatibile con i principi dell’Unione europea.

Livello delle sfide e livelli di governo[modifica]

Marco Tutti i problemi, tutte le difficoltà e le sfide che emergono da questa nostra conversazione indurrebbero a pensare che il disagio susciti una reazione anche rabbiosa, ma intensa, una pressione sulla politica perché si muova, perché si attivi, perché risolva tali sfide meglio di quanto non stia facendo. Invece la reazione si manifesta nell’astensione dal voto, sempre crescente. Oppure nei consensi accordati ai movimenti populisti quando non addirittura in un voto di rifiuto dell’Unione come è accaduto con il voto inglese (Brexit). Non sono allarmanti queste due forme di reazione da parte dei cittadini?

Aps Lo sono certamente. Dei rischi gravi che si correrebbero adottando le ricette semplicistiche dei populisti e dei neo-nazionalisti abbiamo già parlato. Però spesso si dimentica quanto l’adesione all’Europa abbia contato in positivo nel corso dei decenni per un Paese come l’Italia. Se dagli anni Cinquanta agli anni Novanta del Novecento il reddito pro-capite in Italia si è quintuplicato, se le esportazioni dei nostri prodotti più validi sono enormemente cresciute, questi risultati (ma non sono i soli) li dobbiamo in larga parte proprio al fatto di aver accettato la sfida europea.

Marco Ma perché allora questo alto livello di astensionismo?

Aps Questo purtroppo è oggi un male diffuso, non solo in Europa. Da decenni, negli USA vota poco più della metà degli elettori. È un aspetto della crisi delle democrazie sul quale si dovrebbe ragionare in profondità, e non possiamo farlo qui; ci sono in proposito molte diagnosi acute, molti rimedi ipotizzati e ipotizzabili. La democrazia, a cominciare proprio dalla democrazia rappresentativa, è un valore che si apprezza soprattutto quando viene a mancare: come l’aria che respiriamo, come la libertà politica, come la salute. Vorrei però richiamare un punto per me essenziale: molte carenze della politica che sono alla base della crescente disaffezione dei cittadini verso la democrazia rappresentativa e verso il voto sono in realtà la conseguenza del fatto che i relativi problemi non sono risolvibili al livello nazionale; non è certo questa l’unica ragione della crisi di fiducia nella politica, ma ne è una componente importante, anche se per lo più sottovalutata.

Marco C’è un legame tra l’astensionismo delle elezioni nazionali e quello delle elezioni europee?

Aps Credo di sì. In un certo senso i due fenomeni derivano da carenze simmetricamente opposte. Per l’Europa molti non vanno a votare perché ritengono che l’Unione risponda in modo insufficiente ai bisogni di sicurezza e di crescita; e questo è in buona parte vero, come abbiamo già visto. Alle elezioni nazionali molti tra gli astensionisti sono mossi dalla stessa disillusione, ma qui va detto che la crisi dello Stato nazionale dipende in larga misura dall’assenza del livello sovranazionale che in settori chiave come la sicurezza e lo sviluppo, gli investimenti e la difesa, le immigrazioni e le nuove tecnologie potrebbe, esso solo, modificare la condizione dei cittadini e assicurare un futuro ai nostri Paesi. Il cittadino avverte il problema, constata che esso non viene affrontato, o lo è solo a parole; e reagisce come si è detto. E allora la vera responsabilità è proprio delle classi politiche nazionali, che rifiutano di affidare all’Europa i poteri e gli strumenti con i quali tali problemi potrebbero invece venire risolti. Per dirlo in poche parole e in termini generali: se un problema non può venire affrontato al livello nazionale perché è di portata più grande rispetto allo Stato nazionale, esso resterà irrisolto a meno di non affidarlo al giusto livello di governo, dunque in molti casi proprio all’Europa.

Marco Ma ci sono anche sfide che superano lo stesso livello europeo perché sono planetarie: dal riscaldamento climatico alle guerre, dalla minaccia nucleare alla povertà estrema di oltre un miliardo di individui, dai genocidi alle malattie epidemiche e alla riduzione della biodiversità. E non solo.

Aps Queste sono immense sfide globali, risolubili (forse...) solo al livello globale. Ma anche su questo fronte vorrei sottolineare che l’Europa ha un ruolo importante, anzi fondamentale. O meglio, potrebbe averlo, se fosse politicamente unita: perché proprio su questi fronti gli europei hanno una visione cosmopolitica più matura, più avanzata rispetto a tutti o a quasi tutti gli altri Paesi e continenti. La condizione è però sempre la stessa: senza un’unione politica federale, queste posizioni resteranno potenziali, dunque non avranno il necessario impatto sulla politica mondiale, che sarà sempre più egemonizzata dai grandi Stati.

Marco Mi pare di aver capito che Lei sostiene questo: le sfide, i problemi che la politica si trova davanti e che non riesce a risolvere sono un fattore determinante della reazione negativa che l’elettorato manifesta con voti populisti e di rigetto per l’assetto esistente, oppure con l’astensione.

Aps È così. Vorrei formulare la questione in termini più generali. Ogni problema, ogni obbiettivo, ogni ostacolo da superare sul terreno delle decisioni collettive e dunque sul terreno della politica deve venire impostato, affrontato e se possibile risolto mediante strumenti adeguati, con il supporto di istituzioni in grado di raggiungere lo scopo. Se l’obbiettivo è raggiungibile a livello locale (ad esempio, un giardino pubblico), va affrontato a quel livello; se a livello regionale (ad esempio, la rete dei trasporti locali), lo stesso; se a livello nazionale (dalla sanità all’istruzione, dalla previdenza sociale all’artigianato alla tutela del territorio e così per moltissimi altri problemi), è questo il giusto livello di decisione; se è risolubile a livello continentale, non sarà lo Stato nazionale ma l’Unione europea a poterlo fronteggiare: per esempio per il mercato unico e per la difesa, come abbiamo già visto; se infine il problema si pone a livello globale, servono le istituzioni globali. Questa scelta del giusto livello va naturalmente motivata, nel rispetto del principio di sussidiarietà, cioè privilegiando il livello più basso possibile, il più prossimo ai cittadini; ci ritorneremo. Dunque, occorre commisurare il livello istituzionale alla natura dei problemi da affrontare. Se ci si ostina a sostenere che lo Stato nazionale può fare e deve fare tutto, ci si scontra con la realtà. E si determina la reazione alla politica che stiamo sperimentando. E non solo in Italia, ma ovunque in Europa.

Marco Ma non c’è il caso che i diversi livelli debbano interagire tra loro?

Aps Certamente, questo accade spessissimo sulle questioni di competenza concorrente, della quale abbiamo già parlato. Ed è giusto che sia così. L’Unione europea mette a punto programmi e finanziamenti in cooperazione con gli Stati. E a ciascun livello, anche nei casi di cooperazione, occorre che siano rispettati i principi di democrazia: esercizio del potere di governo legittimato dalle Camere, equilibrio tra i poteri.

Marco Se tutto questo è vero, allora bisogna concludere che la responsabilità principale per non aver proceduto nella direzione giusta è delle classi politiche nazionali. Una responsabilità molto grave!

Aps È nella natura delle cose umane che quando un sovrano o un governo ricoprono una posizione di potere, essi non siano disponibili a spogliarsene spontaneamente. I nostri piccoli Stati nazionali in realtà non sono già più sovrani nel mondo globale: i politici europei questo lo sanno bene. Ma non vogliono riconoscerlo e si rifiutano di affidare all’Unione quelle leve che ancora essa non possiede.

Marco Perché Lei insiste tanto sulla necessità di adottare il principio delle decisioni a maggioranza?

Aps Le ragioni sono due. Vi è anzitutto una ragione di efficienza; come abbiamo già ricordato, l’esperienza dei secoli ha insegnato che per decidere insieme tra eguali le questioni di interesse comune, quando non c’è accordo bisogna contarsi, altrimenti non si decide. La seconda ragione è di principio: dal momento che le competenze e gli obbiettivi dell’Unione sono stabiliti dai trattati con l’accordo di tutti gli Stati membri, se una decisione va assunta occorre che in caso di dissenso la minoranza accetti la scelta della maggioranza, purché legittimamente adottata; una unione è tale solo se nelle questioni di interesse comune si è disposti ad accogliere il parere della maggioranza, semplice o qualificata a seconda dei casi. Quando questo non avviene, quando per i trattati vale il criterio dell’unanimità anche se la materia è di competenza dell’Unione, si può ritenere che l’unione semplicemente non esiste. Il che è contraddittorio: il principio di non contraddizione vale non solo per i ragionamenti logici ma anche per le faccende umane.

Marco Siamo allora, come dicono i francesi, “ai piedi del muro”, siamo di fronte a un ostacolo non superabile?

Aps No. Il cammino di unione che sta alle nostre spalle è lungo e denso di grandissimi risultati, riconosciuti ovunque nel mondo. Anche alcune tra le scelte che l’Unione ha compiuto sul terreno istituzionale sono veramente illuminate, innovative. Quello che manca è lo slancio per compiere gli ultimi passi, nel segno della continuità ma con decisione. Il vento del pessimismo e della sfiducia, enfatizzato dalla deriva sovranista, potrebbe cambiare direzione e di questo si colgono alcuni segnali significativi, anzitutto da parte dei giovani. Il grande discorso di Emmanuel Macron alla Sorbona del 26 settembre 2017 ha segnato una vera svolta positiva. Ancora una volta ripeto che darà decisiva l‘elezione europea del 2019. La storia, che è sempre imprevedibile, conosce queste svolte inattese. Guai però a ritenere che la strada sia in discesa...

Marco A cosa si riferisce parlando di scelte istituzionali illuminate?

Aps Mi limito a un solo esempio. Abbiamo già detto che in un modello federale la legittimazione democratica si basa su un doppio versante: una Camera rappresentativa, eletta a suffragio universale su base proporzionale, e una Camera degli Stati. Negli Stati Uniti, la Costituzione del 1787 ha stabilito, per quest’ultima, che nel Senato siano presenti due senatori per ognuno degli Stati della Federazione, indipendentemente dal numero degli abitanti di ciascuno Stato, È questo il “grande compromesso” che ha sbloccato la via alla federazione americana. Ma può accadere (lo abbiamo visto anche di recente) che in tal modo la maggioranza in Senato sia costituita da senatori eletti da una maggioranza di Stati (ad esempio 51 senatori su 100) che globalmente hanno tuttavia ricevuto un numero di voti anche largamente inferiore a quelli dell’altro partito, milioni di voti in meno. Nell’Unione con il regime in vigore si è invece adottato un altro criterio, come abbiamo già ricordato parlando del Trattato di Lisbona: quando una legge o una decisione deve essere assunta dal Consiglio dei ministri a maggioranza qualificata, questa viene raggiunta solo se la delibera riceve il voto del 55% dei ministri che rappresentino almeno il 65% della popolazione dell’Unione. Così i due criteri di rappresentanza si combinano in modo armonico. E questo è molto importante, anche perché implicitamente, tenendo conto della popolazione complessiva dell’Unione, si riconosce che essa costituisce già la struttura istituzionale di un solo popolo.

Marco Tuttavia, da quanto Lei ha detto mi pare che “completare la cattedrale” non sia affatto semplice, se l’ostacolo risiede nella resistenza accanita dei governi nazionali.

Aps Sì, la resistenza è accanita, talvolta esplicita ma spesso sorda e sottotraccia. Perché l’obbiettivo sia tanto difficile da raggiungere lo ha spiegato lucidamente Nicolò Machiavelli cinque secoli fa: dare vita a “ordini nuovi” è cosa ardua perché chi li promuove è debole in quanto privo ancora dei poteri necessari mentre chi difende l’ordine antico lo fa con ogni mezzo. I media tendono a credere e a far credere che ciò che conta è il potere esistente e che l’ordine nuovo è solo utopia.

Marco Mi viene quasi da dire che ci ritroviamo in una situazione da “banalità del male”: non essendoci ancora un “ordine nuovo” capace di governare la globalizzazione, ciascun potere nazionale, con l’alibi dell’impotenza dovuta a questa mancanza, riduce la propria politica a individualismo, carrierismo e privilegi, non accorgendosi di diventare con questa irresponsabilità il motivo dell’impasse. Prendere consapevolezza, come cittadini, di questa irresponsabilità potrebbe essere la chiave giusta?

Aps È vero. In un certo senso, l’ideale federalista nasce proprio dalla “banalità del male” frutto delle ideologie totalitarie del Novecento.

Marco Quali sono gli elementi che potrebbero segnare una svolta decisiva verso un assetto federale dell’Unione?

Aps A questa realtà si può fare fronte da un lato con la forza della ragione e della passione civile e morale, che non sono da sottovalutare mai; dall’altro con l’apporto di tre fattori determinanti, efficaci soprattutto se operano congiuntamente. Essi sono: le crisi dell’ordine antico, che costringono a individuare vie nuove; la leadership di uno o più politici che abbia/abbiano intuito le potenzialità dell’ordine nuovo legando ad esso le loro fortune politiche; infine, la “spinta dal basso”, cioè la pressione di un’opinione pubblica favorevole alla prospettiva di fondo dell’integrazione. L’Unione europea quale oggi esiste si è costruita con l’apporto di tutti e tre questi fattori. Ed è possibile che si completi così, perché i tre fattori sono tuttora essenziali per proseguire il cammino.

La cattedrale incompiuta[modifica]

Marco Lei ha detto prima che una costituzione europea esiste già, ha paragonato l’Unione a una grande cattedrale. Vorrei capire meglio il perché di questa immagine.

Aps Cerco di sintetizzare in poche frasi la ragione della metafora. Un insieme di Stati e di ordinamenti sovrani, formati nel corso di quindici secoli in un costante rapporto scambievole di culture, di confronti civili ma anche di incessanti conflitti armati, culminati in due guerre mondiali rovinose, ha intrapreso un cammino che aveva come traguardo la costruzione di un’unione politica federale. Nel corso di due terzi di secolo questo progetto ha condotto ad una profonda integrazione economica, realizzata per mezzo di una struttura istituzionale nuova e originale. L’Unione europea di oggi ha ormai molti caratteri propri di una costituzione federale: ha un Parlamento, ha una Camera degli Stati (i due Consigli), ha un’autorità di Governo (la Commissione), ha una Carta dei diritti, ha una Corte di Giustizia, ha una moneta unica, ha una procedura di approvazione delle leggi ispirata ai principi di democrazia, possiede competenze precise, alcune delle quali esclusive, altre concorrenti con le competenze degli Stati. È avvenuto in Europa qualcosa che non ha precedenti paragonabili nella storia.

Marco E allora perché definire incompiuta la cattedrale?

Aps Perché vi sono materie per le quali, pur essendo di competenza dell’Unione, le decisioni legislative e di governo non sono coerenti con la democrazia in quanto il Parlamento ne è escluso e in quanto il veto di un governo può bloccare tutto. Perché i poteri di governo della Commissione sono insufficienti. Inoltre l’Unione con il suo Parlamento in base ai trattati non ha la competenza per esercitare autonomamente un potere fiscale, in coordinamento con i governi. Ora, senza risorse proprie di livello adeguato, gestite democraticamente, le politiche di cui l’Unione ha bisogno sono sovente impossibili. Infine, anche la procedura di modifica dei trattati dovrebbe cambiare, senza più esigere l’unanimità dei governi e delle ratifiche nazionali; la Costituzione più antica e gloriosa, quella degli Stati Uniti, non sarebbe mai nata se non ci fosse stata la clausola per la quale era sufficiente il voto di approvazione di nove Colonie su tredici per farla entrare in vigore. Per questo ricorro alla metafora della cattedrale: l’Unione europea può essere raffigurata come una costruzione grandiosa, accogliente, ma ancora priva della copertura della volta, senza la quale rischia non solo i danni delle intemperie ma il crollo.

Marco Da quanto abbiamo detto sin qui, mi pare di poter concludere che il principale errore, la principale carenza dell’Unione, come si è realizzata sin qui, consiste nel non aver saputo adottare le strategie giuste per affrontare temi fondamentali per i cittadini europei, dalle migrazioni allo sviluppo compatibile, dalle nuove tecnologie alla sicurezza e alla difesa. E questo perché su questi temi ha continuato a muoversi in un’ottica nazionale e non al livello europeo: dunque senza un governo europeo efficace e dotato dei mezzi necessari, controllato da un Parlamento europeo espressione dei cittadini. È così?

Aps È così. E la riprova sta nel fatto che nei campi nei quali queste condizioni ci sono, perché i trattati le hanno istituite – così per il mercato unico, per la concorrenza, per la moneta europea, per il commercio internazionale, per il sostegno alle regioni povere, per l’agricoltura – l’Unione è stata ed è assolutamente efficace. Addirittura, si è imposta come protagonista a livello mondiale. Di questo fondamentale difetto, che mette a rischio la sopravvivenza stessa dell’Unione perché la rende incapace di affrontare le sfide, sono responsabili tutti i governi e i parlamenti nazionali, a cominciare da quelli della Francia, che in più occasioni (nel 1954, nel 1992, nel 2005) hanno bloccato le vie che portavano verso un assetto federale dell’Unione.

Marco Ma ci sono responsabilità specifiche dei singoli Paesi dell’Unione?

Aps Ogni Paese membro dell’Unione ha le sue responsabilità per ciò che l’Unione potrebbe essere e (ancora) non è. Per sintetizzare, in modo necessariamente rapido: la Francia ha mancato di mettere la sua forza militare e il suo ruolo di membro fondatore delle Nazioni Unite al servizio dell’Unione; la Germania ha mancato di controbilanciare i vantaggi che la moneta unica le ha consentito (senza l’euro il marco si sarebbe sopravalutato vistosamente, nuocendo alle sue esportazioni) con una politica economica che abbassi il surplus eccessivo della sua bilancia dei pagamenti, recando così un danno agli altri Paesi membri; e si è opposta sinora all’accrescimento del bilancio dell’Unione; i Paesi di Visegrad dell’Est europeo stanno muovendosi in senso contrario ad alcuni principi cardine della Carta dei diritti dell’Unione, mettendo a rischio i diritti e i poteri delle loro democrazie.

Marco E l’Italia?

Aps L’Italia ha mancato ed è carente, anche verso l’Europa, su più fronti. Il suo debito pubblico esorbitante mette a rischio non solo i nostri conti ma anche la moneta unica: di questo abbiamo parlato all’inizio. L’Italia ha un’amministrazione della giustizia troppo lenta che, al pari degli altri handicap nostri, scoraggia gli investimenti dall’estero, pur essendo dotata di un sistema produttivo molto efficiente quanto alle esportazioni; l’Italia ha un tasso di evasione fiscale inaccettabile, superiore a 100 miliardi euro all’anno; basterebbe recuperarne la metà per risolvere tutti i problemi di investimento e di welfare del Paese; l’Italia ha quattro mafie che paralizzano intere regioni del Paese. E mi fermo qui... È chiaro che tutto questo ci danneggia gravemente sia all’interno del Paese che entro la cornice dell’Unione europea. E questi difetti li possiamo correggere solo noi, non certo l’Europa, come già abbiamo detto.

Marco Mi colpisce nelle sue risposte di riscontrare un intreccio di giudizi positivi e ammirativi e di valutazioni critiche sull’unione europea. Non saprei dire da quale parte penda la bilancia...

Aps Ha ragione. Un fatto non va dimenticato, soprattutto in momenti di crisi come è quello presente. L’unione europea non è più il disegno sognato nei secoli da pensatori illuminati né il progetto tentato invano più volte da conquistatori e sovrani potenti e ambiziosi. È oggi una realtà politica e non solo economica, pacifica e democratica, che ha consentito ai nostri popoli di raggiungere democraticamente traguardi di pace, di benessere e di solidarietà senza precedenti e che costituisce un modello originale di valore planetario. Per questo vorrei che il nostro dialogo non perdesse di vista la metafora della cattedrale. L’Unione europea è ormai una grandiosa cattedrale. Una cattedrale incompiuta, tuttavia. E dunque a rischio, come avviene per gli edifici, anche grandiosi, ma ancora privi di un tetto che li protegga dalle tempeste. Con ciò intendo dire che l’unione europea è a rischio in quanto le forze politiche attuali da troppo tempo esitano a intervenire su questa grande costruzione con gli interventi di fondo necessari per completarla.

Marco Ci sono concrete speranze che questi ostacoli possano venir superati?

Aps La storia, come ripeto, non è mai prevedibile. Per i Greci la speranza era l’ultima dea, l’ultima a rimanere nel fondo del vaso di Pandora. Ebbene, la speranza c’è. La fiducia reciproca e la solidarietà potrebbero riaccendersi. Voglio ribadire che l’elezione europea del maggio 2019 potrà risultare determinante, se nel Parlamento neo-eletto prevarrà una maggioranza pro-europea. Lo stesso Parlamento europeo ha approvato nel febbraio del 2017 due importantissime mozioni. Da un lato si chiarisce quali iniziative si potrebbero intraprendere già ora avvalendosi del Trattato di Lisbona (ne abbiamo appena parlato a proposito dei cerchi concentrici): è il Progetto Bresso-Brok. Dall’altro lato si dichiara quali riforme dovrebbero venir introdotte quando si mettesse mano a una modifica dei trattati: è il Progetto Verhofstadt.[1] Il nucleo di queste modifiche proposte dal Parlamento sta a mio avviso in alcune riforme istituzionali, tutte nel segno della continuità: rendere generale la codecisione del Parlamento europeo per tutte le decisioni legislative dell’Unione, dotarlo di poteri propri di fiscalità, attribuire alla Commissione i necessari poteri di governo per tutte le competenze dell’Unione, eliminare il diritto di veto nei due Consigli, consentire modifiche nei trattati anche a maggioranza qualificata o superqualificata dei governi e dei parlamenti nazionali. Nulla di meno, nulla di più di questo. Sono gli ultimi passi, ma sono forse i più difficili. È questa la cupola della cattedrale.


  1. Parlamento europeo Progetto di riforma dei trattati, 15 febbraio 2017. http://www.europarl.europa.eu/sides/getDoc.do?pubRef=-//EP//TEXT+TA+P8-TA-2017-0049+0+DOC+XML+V0//EN