Aps-I Rischi e opportunità

Da EU wiki.

Per cominciare[modifica]

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Marco Se noi giovani capissimo che il nostro futuro e quello del nostro Paese dipendono davvero dalle scelte che verranno fatte sull’Europa, la tentazione di non andare a votare nel maggio 2019, che ho raccolto da più parti, sarebbe molto minore. Saremmo più motivati a recarci al seggio elettorale e a votare sulla base di scelte ragionate.

Aps Le ragioni per le quali non solo tanti giovani, ma tanti elettori non più giovani oggi non vanno a votare sono molte. Forse più di tutto pesa una sfiducia generale verso la politica, verso l’intera classe politica, giudicata non solo distante e non di rado corrotta, ma soprattutto incapace di risolvere in modo adeguato i problemi che il cittadino affronta ogni giorno con il fisco, con le amministrazioni pubbliche di ogni livello nonché, specie per i giovani, quando si cerca un lavoro e si viene respinti.

Di queste difficoltà, di questa vera e propria crisi del sistema democratico spero che parleremo più avanti, a conclusione del nostro colloquio. Ora io vorrei invece cercare di spiegare perché è importante andare a votare per le elezioni europee.

Marco E allora mi piacerebbe cominciare col chiederLe un brevissimo giudizio di sintesi sulle ragioni per le quali vale la pena non solo di andare a votare ma di votare per l‘Europa e non contro l’Europa: perché si dovrebbe puntare sull’Unione europea per affrontare il futuro di questa e delle prossime generazioni?

Aps Ci provo. La ragione fondamentale può forse essere espressa così. La qualità della vita di ognuno di noi dipende da tutta una serie di fattori: salute, famiglia d’origine e di scelta, risposta ai bisogni primari a partire da alimentazione e casa d’abitazione; e gli affetti, le amicizie, la qualità e sicurezza del lavoro, la vita di relazione, gli svaghi ed altro ancora. Alcuni di questi beni dipendono da noi, dalle nostre scelte individuali e dal nostro comportamento, altri li troviamo già determinati alla nascita (positivi o negativi che siano) e non possiamo cambiarli, altri ancora sono il risultato della fortuna o della sfortuna, mentre ci sono beni e obbiettivi che possono essere più o meno soddisfacenti a seconda della qualità e dell’efficacia delle istituzioni sociali, economiche e politiche.

Quest’ultimo è il terreno in cui interviene l’organizzazione della vita collettiva, dunque la politica. Ebbene, si può mostrare con chiarezza che per raggiungere un assetto soddisfacente in alcuni campi fondamentali della nostra vita individuale e collettiva lo Stato nazionale non è in grado di provvedere in modo adeguato. Quale che sia la qualità delle sue politiche e dei suoi politici.

Marco Quali sarebbero questi campi fondamentali?

Aps Elenco i più importanti: la pace entro l’Europa; la difesa dai rischi delle guerre nei confronti degli Stati esterni all’Europa; un regolamento razionale delle migrazioni dai Paesi vicini e soprattutto dall’Africa; l’occupazione anzitutto giovanile; una crescita economica sostenibile (cioè, non distruttiva del pianeta); la tutela dei livelli occupazionali in un mondo ormai globalizzato; lo sviluppo e la disponibilità di fonti energetiche rinnovabili che non minaccino il clima; il governo del nuovo mondo digitale. Solo l’Europa unita può essere in grado, già oggi e ancor più domani, di assicurare ai cittadini dei nostri Paesi il raggiungimento stabile di questi obbiettivi e dei diritti che sono essenziali per il benessere e per la sicurezza individuale e collettiva.

Marco Perché Lei dice “solo l’Europa”?

Aps Lo vedremo meglio, ma anticipo questo dato. Nel mondo di domani molte grandi scelte saranno compiute da un piccolo numero di grandi Stati, dagli Usa alla Cina, all’India al Brasile alla Russia. Nessuno Stato europeo sarà tra questi, perché sono tutti troppo piccoli. Già oggi la percentuale della popolazione europea a livello mondiale è di meno del 7%, meno di 500 milioni su 7 miliardi di uomini e donne, quanti ne conta il pianeta. Tra pochi decenni la quota degli europei scenderà al 4%. Ma oggi l’euro è la seconda moneta mondiale. Il mercato europeo è al primo posto nel mondo. E la qualità della vita e del modello sociale europei sono al vertice. Su queste basi l’Europa potrà svolgere un grande ruolo nel futuro. Ma solo se politicamente unita.

Marco L’elenco dei settori in cui l’Europa dovrebbe agire unitariamente è senz’altro impressionante. Ma le cose stanno davvero così? Ciascuno di questi obbiettivi è davvero raggiungibile solo con l’Europa unita? E se fosse, allora i nostri Stati nazionali, compresa l’Italia, perderebbero ogni funzione?

Aps È proprio così; si può dimostrarlo punto per punto, come spero di fare. Ma sia chiaro, gli Stati nazionali non scomparirebbero affatto con l’unione politica dell’Europa: molte funzioni importanti resterebbero di loro competenza, ed è giusto che sia così. L’identità storica e attuale di ogni nazione e di ogni regione non verrebbe meno, guai se così fosse. Al livello europeo vanno affrontate solo le sfide alle quali la dimensione nazionale non è in grado di rispondere. È qui il principio di base di un’unione federale.

Marco Noi giovani apparteniamo – per carattere oltre che per appartenenze famigliari, sociali e culturali – a tanti mondi distinti, ci formiamo e diventiamo adulti in condizioni di vita e con ideali anche molto distanti tra loro. Lei a chi intende rivolgersi nel corso del nostro dialogo?

Aps Ha ragione nel chiedermi questo. Pensandoci, direi che la mia aspirazione sarebbe di parlare a più categorie di giovani, molto diverse per il loro approccio alla politica e all’Europa. Ci sono giovani come Lei, Marco i quali sono in linea di principio favorevoli all’Europa (i sondaggi e le statistiche dicono che in Europa e anche in Italia siete in maggioranza!) ma vorrebbero capire meglio cosa sia davvero l’Unione, come sia organizzata, come operi e come sia possibile rispondere alle critiche ampiamente diffuse sui media e nei giornali, specie in tempi recenti. Ci sono giovani che disprezzano la politica e pensano che ciò che conta nella vita sia soprattutto raggiungere con le proprie forze il successo personale: Roberto la pensa così. Altri giovani ritengono che la sfera della politica e la stessa democrazia siano una prerogativa dello Stato nazionale e solo di questo: Matteo la pensa così. Altri aspirano a dedicare una parte della loro attività al bene del prossimo attraverso il volontariato, non con gli strumenti della politica: Luisa la pensa così. Altri considerano l’idea di un’Europa unita un’utopia, che mai vedrà la luce: Luca la pensa così. Altri ancora sostengono che solo una rivoluzione culturale, volta a sostituire il modello consumistico-capitalistico, possa salvarci dall’anarchia della globalizzazione finanziaria, e nutrono sfiducia non solo nel sistema economico e finanziario del capitalismo ma anche nelle attuali istituzioni pubbliche, nazionali o internazionali che siano: Elena la pensa così. Altri infine hanno una visione globale del mondo di oggi, sono sensibili alle esigenze del Terzo mondo, sono per così dire cosmopoliti, favorevoli a iniziative quali “Amnesty International” o “Medici senza frontiere”, sono pacifisti, mondialisti e pertanto ritengono ormai superato dalla storia l’obbiettivo dell’unione politica europea: Mario la pensa così. Ecco, io vorrei parlare, oltre che a te, a ciascuno di loro, a Roberto, a Matteo, a Luisa, a Luca, ad Elena e a Mario: ai primi cercando di convincerli che sono in errore, agli altri mostrando che l’ideale europeo non è in contrasto, ma invece complementare, integrativo e addirittura funzionale rispetto a ciò in cui essi giustamente credono.

Alcune obiezioni ricorrenti[modifica]

Marco Vorrei allora citare subito alcune obiezioni, alcuni pungenti rilievi che ho sentito ripetere da amici e compagni quando il discorso cade sull’Europa: giudizi negativi dei quali penso si debba tenere conto e sui quali desidererei che Lei si pronunciasse.

Se Lei è d’accordo, ne riporto alcuni.
“I parlamentari europei sono distanti dai cittadini.” “L’Europa impone diktat dall’alto senza alcun riguardo
per i cittadini dei vari Stati.”
“A scuola ci insegnano l’Unione Europea e i suoi valori con tante belle parole, mi sembra una bella favola che nella realtà non funziona.”
“L’Europa fa gli interessi delle banche e della grande finanza.”
“Le regole europee sono una messa in scena dei poteri forti.”
“Non basta che l’Europa garantisca la pace. Questa è stata una funzione del passato. Ora bisogna guardare al futuro. A me sembra incapace di rispondere ai nuovi problemi.”
“L’accoglienza dei flussi migratori deve venire in secondo piano rispetto ai problemi dei cittadini italiani.”
“Con l’euro ci hanno preso in giro.”
“Mi sembra che le istituzioni europee siano uno spreco di soldi.”
“I parlamentari sia italiani, che europei, fanno solo i propri interessi. A loro non interessano davvero i problemi dei cittadini. Io non mi sento rappresentato dal mio Stato, tantomeno dall’Europa.”
“I vari Stati europei sono troppo diversi: storie, economie, culture e politiche estere differenti. Se ci sono Paesi che stanno meglio da soli non mi sembra giusto costringerli ad unirsi, magari sobbarcandosi i problemi degli Stati più deboli. Un’Europa davvero unita non potrà mai esserci.”
“Non ho scelto di nascere in questo Paese e nel mondo di cui fa parte. Sinceramente mi fanno schifo tutte queste ingiustizie. Non mi sento parte di un mondo che arricchisce i più ricchi e fa morire nella miseria migliaia di persone, un mondo sempre più intriso di guerre e sofferenze.”

Aps Ho ascoltato. È una batteria impressionante di critiche e di obiezioni. Ciascuna di queste merita attenzione. Alcune sono frutto di pregiudizi, o di informazioni non corrispondenti al vero. Altre hanno un fondamento reale. Tenterò di rispondere a tutte. Ma desidero intanto sottolineare in via generale che respingere l’idea di Europa e rifiutarsi di prendere parte al voto sono due atteggiamenti contraddittori. Tagliarsi fuori dal voto vuol dire lasciar decidere agli altri al posto nostro cose che riguardano la nostra vita. Sul primo aspetto, prima di respingere l’Unione bisogna capire bene le conseguenze di un ritorno alle barriere nazionali, al nazionalismo e al protezionismo, che l’Europa ha sperimentato per secoli, con esiti funesti. Se in alcune circostanze proteggere inizialmente le proprie industrie e produzioni può essere opportuno o addirittura necessario, l’esperienza ha dimostrato che l’isolamento e la chiusura portano all’impoverimento e alla dequalificazione, a danno dei consumatori. Si può criticare un’istituzione (come lo è l’Unione europea) per gli errori che può aver commesso e che ancora sta commettendo, ma volerne fare a meno, volerla abolire è tutta un’altra cosa, sarebbe un errore fatale: si può dimostrare che la sicurezza e la condizione economica e sociale dei cittadini europei peggiorerebbe anziché migliorare se l’Unione venisse meno.

No all’Europa, all’euro, ai migranti? Sì alla Nazione?[modifica]

Marco Mi permette di proporle – a nome di uno degli interlocutori virtuali da Lei citati all’inizio – una serie di battute lampo che i populisti/nazionalisti ripetono continuamente, chiedendoLe risposte altrettanto immediate? Immagino che poi potremo riprendere ciascuno di questi punti in modo più argomentato.

Aps Proviamo...

Marco Prima gli interessi degli italiani, poi tutto il resto, direbbe Matteo. Sì alla nazione, questa è la cosa fondamentale che i passati governi hanno rinnegato. Ora finalmente il vento è cambiato!

Aps Il punto è proprio questo: cosa è nell’interesse degli italiani? Il sovranismo, cioè la pretesa che non vi sia alcuna autorità superiore rispetto alla sovranità nazionale, mette in primo piano obbiettivi che apparentemente soddisfano interessi popolari e rispondono a insicurezze e reazioni dell’opinione pubblica – anzitutto sulla disoccupazione e sulla crisi migratoria – erroneamente sottovalutate sin qui. Ma solo apparentemente la chiusura delle frontiere e il ritorno all’autarchia rispondono all’interesse dei nostri cittadini. A medio e lungo termine l’interesse degli italiani (come pure l’interesse degli altri popoli europei) è di individuare un giusto equilibrio tra autonomia, libertà degli scambi e condivisione delle politiche in sede europea.

Marco Basta acquiescenza alle regole europee. Ritorniamo sovrani in casa nostra, lo dicono in tanti.

Aps Se ogni Paese dell’Unione adottasse questo principio, non risolverebbe le sfide che superano le dimensioni nazionali. E per più si ricreerebbe l’ideologia per la quale il vicino è potenzialmente nostro nemico. La ricetta del sovranismo va contro l’interesse dei nostri popoli.

Marco Vogliamo riconquistare una sovranità perduta, la sovranità italiana.

Aps La risposta è questa: nessun Paese europeo è ormai più sovrano, né potrà esserlo più, in un mondo globalizzato e multipolare in cui esistono Stati di dimensioni continentali. L’Unione europea è la sola via per recuperare una sovranità perduta. E nulla toglie alle identità e alle sovranità nazionali, per tutto ciò in cui queste possono e debbono mantenersi.

Marco Eppure c’è chi dice che l’Italia di oggi sarebbe all’avanguardia in questo processo di riconquista della propria sovranità.

Aps Ho letto anch’io una recente intervista di colui che è considerato l’ideologo di tali posizioni, molto ascoltato da chi oggi ci governa, l’ex consigliere di Trump, ora attivo in Europa proprio su questo fronte, Steve Bannon. Richiesto di esplicitare in cosa consista questa nuova dottrina, della quale l’Italia della maggioranza attuale sarebbe l’antesignana, Bannon ha risposto: “Francia e Germania vogliono gli Stati Uniti d’Europa [fosse vero, soggiungo io...], mentre l’Italia di oggi vuole un’Europa di Stati nazionali sovrani ma coordinati tra loro” (Fubini, Corriere della Sera, 22 ottobre 2018). Tutto qui? Ma questa non è una nuova dottrina, questa sarebbe l’Europa di ieri, l’Europa della Grande Alleanza del 1815, l’Europa che porta alla guerra quando l’accordo tra gli Stati si incrina. Questa è la vecchia Europa!

Marco Basta immigrazioni, direbbe Matteo. Gli immigrati tolgono il lavoro agli italiani, creano solo problemi. Vanno respinti!

Aps I migranti ci servono, eccome: badanti, operai, lavoratori agricoli, edili, senza gli immigrati andiamo a fondo. Senza nuovi immigrazioni in 40 anni l’Italia perderebbe la metà del Prodotto interno lordo (lo ha documentato la Banca d’Italia).

Marco Ma non sono comunque troppi? Uno ogni quattro italiani.

Aps Questo è un dato falso; è quanto un campione di cittadini ritiene che sia la percentuale degli immigrati. È il tasso di immigrazione percepito, non quello reale. La realtà è completamente diversa: la nostra quota di immigrati è oggi il l’8,5 % della popolazione italiana. Ed è inferiore a quella della Francia, della Germania, del Belgio e di altri Paesi dell’Unione.

Marco Non è ora di bloccare altri ingressi?

Aps Gli ingressi in Italia da un anno sono diminuiti dell’80%, grazie alle iniziative del precedente governo. Ma questo dato non viene fatto circolare dai media.

Marco Gli immigrati ci costano. Utilizzano le nostre strutture sanitarie. Frequentano gratuitamente le nostre scuole.

Aps Ma teniamo presente che le imposte versate dagli immigrati al fisco italiano ogni anno ammontano a 9 miliardi di euro.

Marco L’Italia si trova esposta per ragioni geografiche a flussi molto più elevati rispetto agli altri Paesi europei. Questo non è giusto.

Aps È vero, non è giusto. Ci vuole un controllo europeo e una responsabilità condivisa sulle immigrazioni: questo dobbiamo chiedere e ottenere, non le chiusure nazionali che vorrebbero i Paesi dell’Est europeo. I migranti regolari vanno istruiti e immessi nel mercato del lavoro.

Marco Il Paese è pieno di immigrati irregolari.

Aps Gli irregolari sono meno dell’1% della popolazione. Sono comunque troppi, i migranti irregolari vanno respinti pur nel rispetto di procedure corrette. Ma su base europea, non su base nazionale. Ci vuole una frontiera esterna ai confini dell’Unione, debitamente organizzata e finanziata dall’Unione. E gli accessi vanno limitati intervenendo efficacemente nei Paesi di origine dei migranti: anche questo, su scala europea e non nazionale.

Marco L’Italia regala all’Europa 20 miliardi all’anno: lo ha detto il Governo.

Aps Falso! Ne versa 14 e ne riceve quasi 12, che spesso non riesce a spendere per eccesso di burocrazia nazionale e per incapacità.

Marco Se serve agli italiani, dice Matteo, anche le regole europee possono anzi debbono essere trasgredite.

Aps Anzitutto le regole europee le abbiamo approvate anche noi. Possono essere cambiate, seguendo le procedure concordate, ma non violate unilateralmente da uno Stato membro dell’Unione europea. E poi, attenzione: se mettiamo in crisi la libera circolazione di merci e capitali, entra in crisi l’intera economia nazionale. Senza le regole europee sul mercato unico, da noi sottoscritte e presenti in Costituzione, l’Italia non potrebbe realizzare un volume di esportazione di centinaia di miliardi all’anno! È questo che si vuole? Il collasso della nostra economia?

Marco Io sento dire che per abbassare il debito bisogna che l’economia cresca e per crescere bisogna investire, anche a costo di far salire il debito.

Aps Quasi tutti gli economisti – e così pure le istituzioni internazionali indipendenti e le istituzioni europee – sono d’accordo sui primi due punti. Ma contestano recisamente la terza affermazione: non è aumentando il debito che l’economia cresce. Per crescere davvero, l’economia ha bisogno di due cose: investimenti pubblici con risorse vere e non con aumento del debito, e più investimenti privati nazionali e stranieri, che ci saranno soltanto se ci sarà fiducia nel nostro Paese. La fiducia invece sta venendo meno. E questo è inaccettabile, se si pensa a quante energie sane ci sono in Italia.

Marco Non sono dunque i vincoli al bilancio che ci impediscono di crescere?

Aps Controllare i nostri conti – il debito e il deficit – è indispensabile per noi, o meglio per i nostri figli, per la loro sopravvivenza dignitosa, per non costringerli un giorno a sacrificare gran parte del loro stipendio per far sopravvivere i loro genitori e i loro nonni. Non perché ce lo chiede l’Europa. Se il debito è alto, occorre aumentare le tasse per pagare gli interessi necessari per farvi fronte. E diminuiscono le risorse per gli investimenti, per i servizi pubblici, per le future pensioni.

Marco Possibile che per pochi decimali di differenza sul deficit si incrini la fiducia nell’Italia?

Aps Sì. Perché quei pochi decimali costituiscono lo spartiacque tra un debito che comincia a scendere e un debito che continua a salire.

Marco Cosa sono tutti questi attacchi al Governo? Hanno appena cominciato, vogliono il cambiamento, lasciamoli governare poi giudicheremo: questo lo dicono in tanti.

Aps È vero, lo sento ripetere anch’io. Ma a parte il fatto che la critica (la critica, non l’insulto...) è un valore del le democrazie, c’è soprattutto un altro elemento da tenere presente: quando tu vedi un’auto sfrecciare a poca distanza da un burrone apertosi dopo la curva, non cerchi di segnalare il pericolo? Noi siamo in questa situazione, purtroppo. Limitarsi a dire “giudicheremo più avanti”, in questo caso è sbagliato. Oggi l’Italia per la prima volta da oltre mezzo secolo è isolata in Europa. E questo è niente in confronto a quanto potrebbe capitarci a breve.... Non è giusto allora segnalare in tempo il pericolo? Prima che sia troppo tardi?

Marco Finalmente abbiamo un Governo che parla chiaro all’Europa, secondo molti. È vero questo?

Aps Senza che si sia ancora deciso nulla (ottobre 2018), sulla sola base di dichiarazioni del Governo, il tasso di interesse sui nostri titoli è salito di molto rispetto a quello degli altri Paesi europei e ci costerà, se non scende, 900 milioni in più nel già nel 2018 e ben 5 miliardi in più nel 2019! E potrebbe esplodere: i mercati non si fidano più a investire nei nostri buoni del tesoro e perciò alzano il prezzo.

Marco Per ottenere qualcosa bisogna gridare, bisogna battere il pugno sul tavolo, anche questo lo dicono in tanti!

Aps Nell’Unione europea questo metodo ha sempre fatto fiasco. Per ottenere qualcosa bisogna chiedere le cose giuste e farlo nel modo giusto. Soprattutto, bisogna essere credibili. E poi, troppo spesso i governi italiani – e l’ultimo non fa certo eccezione – hanno chiesto all’Europa di risolvere problemi che nascono in Italia e che sono risolubili solo in Italia. A cominciare dallo sbilancio dei nostri conti pubblici.

Marco Perché risolubili solo in Italia?

Aps Ma è evidente. Se l’evasione fiscale supera i 100 miliardi all’anno e di conseguenza le tasse sono troppo elevate, tutte a carico dei cittadini onesti; se la burocrazia rallenta ogni decisione; se la giustizia è la più lenta d’Europa e ci vogliono dieci anni per concludere un processo; se le mafie intossicano intere regioni del Paese, anche al nord; se tutto questo toglie risorse all’economia sana, fa salire il debito pubblico e disincentiva gli stranieri dall’investire in Italia, di chi è la responsabilità? Dell’Europa forse? No di certo.

Marco E di chi allora?

Aps Lo vogliamo dire? La responsabilità è dei cittadini che non si ribellano a questi mali e dei governi che non li combattono con decisione, per paura dell’impopolarità. Preferiscono accusare l’Europa di colpe non sue. Preferiscono le battute insultanti sull’Europa. Questo è molto più facile. E procura consensi a buon mercato da parte dei cittadini ignari: i sondaggi purtroppo lo confermano.

Cosa ci ha dato l’Unione[modifica]

Marco La stampa, i media e i social network lanciano continuamente messaggi negativi, critici sull’Europa e sull’Unione europea. Anche chi si oppone ai sovranisti aggiunge subito che “questa Europa” non va bene. Vorrei sentire da Lei se è possibile formulare in breve un messaggio di segno opposto, che mostri quali siano – se ci sono – i risultati ottenuti dall’Europa da quando è nato il progetto di integrazione.

Aps Sì, credo che sia possibile ed anzi necessario. Nel corso di questo dialogo spero che approfondiremo sia gli aspetti positivi sia i nodi non ancora sciolti dell’Unione. Io ricorro all’immagine della cattedrale incompiuta proprio per mettere in luce il fatto che un edificio imponente già esiste. Esso deve essere conosciuto e apprezzato come merita, molto di più di quanto oggi non accada. Le navate principali di questo edificio sono tre, secondo me, ma ci sono anche molte cappelle laterali, come nelle grandi chiese romaniche e gotiche. E c’è una base, un fondamento comune di regole e di diritti. Inoltre, la prospettiva di entrare a far parte dell’Unione europea ha costituito un fattore determinante nella transizione alla democrazia in Paesi europei governati ancora dopo la seconda guerra da regimi autoritari, dalla Grecia dei colonnelli alla Spagna franchista e al Portogallo di Salazar. Le navate sono, rispettivamente, la pace; il benessere; la solidarietà.

Marco La pace in Europa ormai mi sembra scontata.

Aps La prospettiva di un guerra tra Paesi europei oggi è remota, sembra scomparsa per sempre. Abbiamo alle spalle settant’anni di pace, una condizione che in Europa non si era mai avuta dalla fine dell’Impero romano, da oltre quindici secoli. È un successo straordinario, del quale si rende pienamente conto chi ha visto da vicino e vissuto l’orrore della guerra: non la vostra generazione, per fortuna. Non c’è dubbio che il processo di integrazione europea è sta to un elemento determinante di questo risultato. Non solo: l’Unione europea è stata ed è promotrice di pace anche fuori dai propri confini, basti pensare alle tante missioni di pace alle quali prende parte attiva nel mondo. Tuttavia solo la realizzazione di una vera difesa comune potrà ad un tempo rendere impossibile una guerra intra-europea e assicurare all’Unione le condizioni per la propria difesa, per la propria sicurezza e per la propria autonomia rispetto alle grandi potenze di oggi e di domani. Soprattutto in un mondo dove le risorse saranno sempre meno e si avranno condizioni climatiche mai viste prima.

In un mondo che cambia velocemente se non si completa l’integrazione e addirittura si torna indietro, la guerra tra gli Stati europei potrebbe tornare, la libertà e l’autonomia potrebbero sparire, considerando che gli Stati nazionali diventerebbero facile preda delle potenze mondiali. E solo un’Europa unita potrebbe promuovere una crescita sostenibile.

Marco Davvero l’Unione europea ha creato benessere? Le critiche non mancano, mi pare.

Aps I fatti parlano da soli. Con la creazione del mercato comune, a partire dal 1957, il livello della ricchezza nei Paesi della Comunità economica europea (CEE) e poi dell’Unione europea è cresciuto negli anni in misura impressionante. Per l’Italia, ad esempio, il reddito pro capite si è quintuplicato nel corso dei decenni, dagli anni Cinquanta al 2010: da Paese povero, dal quale ancora dopo la seconda guerra si emigrava nelle Americhe e in Australia, siamo diventati uno dei Paesi più floridi del pianeta. La libera circolazione delle merci e dei capitali ha permesso di promuovere una concorrenza non più ostacolata dalle frontiere e dai dazi, così che i prodotti migliori per qualità e prezzo sono arrivati nei negozi e nei supermarket di tutta Europa e le imprese più valide hanno potuto esportare liberamente a vantaggio dei consumatori: lo sperimentiamo ogni giorno. Non è certo un caso se la Comunità economica europea, inizialmente limitata ai sei Stati fondatori (Francia, Germania, Italia, Belgio, Olanda e Lussemburgo) si è progressivamente estesa dal 1972 al 2013 prima a nove, poi a dodici, a quindici, a venticinque e a ventotto Stati europei (ora ventisette, dopo l’uscita della Gran Bretagna).

Marco I Paesi dell’Est europeo hanno anch’essi raggiunto la prosperità?

Aps Nei Paesi dell’Est europeo, usciti da mezzo secolo di subordinazione all’Urss, la concorrenza e la libera circolazione di persone e capitali, insieme con gli interventi di supporto dell’Unione europea, hanno avuto un peso determinante nel far crescere il livello di benessere. Ad esempio, nel breve periodo dal 2006 al 2008, subito dopo l’ingresso nell’Unione europea, il Prodotto interno lordo per abitante (Pil) è salito in Ungheria del 27,4%, in Polonia del 26.3%, in Romania addirittura del 73,9%1[1]. Ed ha continuato a salire, subito prima della crisi, anche negli altri Paesi. Non vi è dubbio che la crescita dell’Europa e il benessere che ne è derivato nell’arco di ormai quasi settant’anni sono stati incentivati in misura molto elevata proprio in virtù dell’integrazione economica.

Marco Il benessere di cui Lei parla ha anche altre dimensioni?

Aps Sì. Chi non ha vissuto il dramma di un’inflazione galoppante – la più ingiusta delle imposte, diceva Luigi Einaudi – forse non può capire l’importanza della stabilità monetaria, che protegge il risparmio, che permette al cittadino di programmare il proprio futuro e che è stata assicurata dalla moneta unica, l’euro. Nel commercio internazionale il fatto che l’Europa nello stipulare accordi commerciali e trattati agisca come un unico soggetto dà molto più peso anche alle richieste dei singoli Paesi di fronte ai colossi del mondo di oggi, dagli Usa alla Cina all’India alla Russia: a tutela dei propri prodotti, contro le forme di concorrenza sleale o non corretta da parte dei Paesi terzi. E ancora: benessere è anche la possibilità di circolare liberamente, come a casa propria, in ogni paese dell’Unione, come ben sanno i giovani e che hanno usufruito di un programma Erasmus, ma non solo loro. Investimenti per il benessere futuro, nostro e altrui, per i Paesi dell’Unione e per il mondo, sono anche le politiche di avanguardia che l’Europa persegue a livello internazionale sulle energie rinnovabili e sulla difesa dell’ambiente dai rischi climatici.

Dunque, un insieme imponente di risultati resi possibili solo dalla progressiva integrazione europea, là dove l’Europa parla e agisce con una voce sola. Che poi esistano difficoltà, fasi critiche e insufficienze è verissimo. Ne parleremo in seguito. Ma in nessun caso è stato dimostrato che esse sarebbero risolte in modo migliore tornando indietro, alle sovranità nazionali del passato.

Marco La terza navata, la solidarietà, mi sembra però in netta crisi. O sbaglio?

Aps Purtroppo questo oggi è vero. Ascoltiamo ogni giorno rivendicazioni dei governi che puntano al proprio interesse nazionale (a quello che essi credono essere l’interesse nazionale...) in una logica di dare e avere che non è quella sulla quale si è costruita l’integrazione europea. È una deriva che può svuotare di significato l’Unione. Tuttavia il principio di solidarietà non solo è chiaramente sancito nei trattati, ma è ancora pienamente attivo nelle politiche dell’Unione. Vedremo tra poco alcuni dati, ma possiamo anticipare che alla politica di coesione a sostegno delle regioni meno ricche d’Europa il bilancio dell’Unione ha destinato per il settennio dal 2014 al 2020 un volume complessivo di risorse di bilancio pari a 352 miliardi di euro. Le politiche di coesione non sono altro che una declinazione del principio di solidarietà sul terreno dell’economia. E poi ci sono gli interventi per le emergenze e per le calamità naturali. Si potrebbe e si dovrebbe fare di più, se il bilancio dell’Unione lo consentisse. Ma quello che l’Unione fa è già molto, anche se è scarsamente pubblicizzato.

Marco Vorrei capire meglio sino a che punto queste tre direttrici, che Lei ha metaforicamente chiamato le navate dell’Unione, sono fondate su pilastri saldi.

Aps Vedo che le metafore le usa anche Lei. Ebbene, è sufficiente leggere i primi dieci articoli del Trattato per l’Unione europea di Lisbona del 2009 per ritrovare sanciti con estrema chiarezza gli obbiettivi della pace, della prosperità e della solidarietà accanto ai diritti fondamentali di libertà e di democrazia.

Marco Lei ha parlato anche di un fondamento comune di regole e di diritti nell’Unione.

Aps Si tratta appunto dei diritti fondamentali enunciati nei Trattati europei e nella Carta dei diritti dell’Unione approvata nel 2000: i diritti di libertà, di cittadinanza, di giustizia, di democrazia, il principio di distinzione e di equilibrio tra i poteri. Questi diritti, che sono i pilastri in ogni moderna costituzione, valgono sia al livello dell’Unione sia entro ciascuno degli Stati membri.

Questi fondamenti positivi – la pace, il benessere, la solidarietà, i diritti fondamentali – non debbono venire dimenticati né sottovalutati.

Rischi per l’Italia, rischi per l’Europa[modifica]

Marco Proprio perché l’elezione europea del 2019 sarà importante, mi può dire qualcosa di più sulle posizioni attuali dell’Italia riguardo all’Europa?

Aps Sì, ma desidero dire sùbito, a scanso dì equivoci, che la mia è una posizione non super partes ma di parte. Questo dovrebbe già essere chiaro, ma qui lo ribadisco espressamente. Posizione di parte non nel senso di riferimenti a un partito o a singoli personaggi politici, bensì nel senso che la mia tesi si riassume nell’affermazione dell’importanza decisiva di una piena adesione del nostro Paese alle finalità di una unione politica come traguardo dell’integrazione eu-

ropea. A mio giudizio, tutto ciò che mette a rischio questo processo è distruttivo per il nostro Paese e per il suo futuro, cioè per il futuro delle generazioni a venire. Ma c’è di più: il venir meno di una politica pro-europea dell’Italia può mettere a rischio l’intero edificio dell’Unione.

Marco Quali sono allora a Suo giudizio i rischi che il Governo attuale fa correre all’Italia?

Aps Con un deficit più ampio di quello concordato con l’Unione il rischio principale è che il mancato contenimento strutturale (cioè graduale ma costante) del nostro debito pubblico, superiore al 130% del nostro prodotto interno lordo - un debito pubblico che è il più elevato in Europa dopo quello della Grecia - determini una reazione di sfiducia dei potenziali sottoscrittori dei buoni del tesoro: banche, fondi di investimento italiani e stranieri, privati. Essi esigerebbero, a fronte del rischio, interessi molto più elevati, insostenibili per la finanza pubblica: altrimenti i titoli resterebbero inoptati. Ma in Italia la spesa pubblica ha la necessità di emettere ogni anno titoli per circa 400 miliardi di euro per rinnovare i titoli in scadenza e coprire gli impegni assunti in bilancio, i quali includono naturalmente le risorse per i servizi pubblici, per gli stipendi delle forze dell’ordine e degli impiegati pubblici, per la sanità, per le scuole e per altri beni pubblici essenziali. Se gli interessi crescono fuori misura rispetto a quelli degli altri Paesi europei – è questo lo spread di cui tanto si parla – non solo sale corrispondentemente anche il costo dei prestiti delle banche ai privati e dei mutui, non solo l’imposizione fiscale salirebbe sino a livelli insostenibili per i contribuenti, ma lo Stato può rapidamente divenire inadempiente. Lo Stato potrebbe andare in default. A questo scenario si deve aggiungere il grave rischio che corre il sistema bancario italiano e dunque l’intera economia.

Marco Lei sa che ci sono economisti che hanno scritto interi volumi contro l’euro. E posso dire che ci sono giovani che questi libri li hanno letti. Forse in questo gli anti-euro e gli anti-Europa sono stati più efficaci dei loro avversari?

Aps Io non sono un economista, né pretendo di esserlo. Ho letto anch’io testi di economisti anti-euro come pure testi pro-euro. E questi ultimi mi hanno persuaso decisamente di più dei primi. Provo a riassumere in poche affermazioni le ragioni del mio convincimento:

  1. L’euro era ed è necessario al corretto funzionamento del mercato unico.
  2. Che esso fosse uno strumento necessario ma non sufficiente ai fini dell’integrazione economica e politica è stato sostenuto sin dal 1992, proprio da chi ha programmato la moneta unica: era chiaro già allora che occorreva dotare l’Unione anche di un potere di politica economica e fiscale, cioè di un governo dell’economia dotato delle necessarie risorse, che ad oggi ancora essa non possiede; questo non è stato possibile allora per l’opposizione di alcuni governi, anzitutto quello francese.
  3. Pertanto la creazione dell’euro è stata una tappa di un percorso ancora incompiuto, che tuttavia un grande politico come Helmut Kohl ha voluto – affrontando l’impopolarità nella sua Germania, che oggi invece si giova largamente dell’euro, mentre allora i tedeschi erano contrarissimi ad abbandonare il marco – avendo ben chiaro l’obbiettivo dell’unione economica e politica di un’Europa federale.
  4. L’euro ha comunque garantito in questi anni il risultato importantissimo della stabilità della moneta e dunque anche della tutela del risparmio, obbiettivi particolarmente importanti in anni di crisi dell’economia come sono stati quelli del decennio 2008-2017.
  5. L’euro è ormai la seconda moneta mondiale ed è la principale fonte di autorità dell’Europa nel contesto dei rapporti non solo economici internazionali.

Dunque occorre completare l’unione economica e monetaria europea, non rischiare di distruggerla uscendo dall’euro. Va aggiunto che anche alcuni illustri studiosi e osservatori qualificati e anche critici dell’euro, come oggi si presenta entro l’Unione, concordano nel ritenere che i rischi in caso di crisi sarebbero affrontabili e superabili se e solo se gli strumenti fiscali e di governo dell’economia a livello europeo venissero adeguatamente potenziati entro un percorso chiaramente tracciato verso l’unione politica: così Paul Krugman, così Joseph Stiglitz, così Paul De Grauwe.

Marco Chi condivide questa linea è naturalmente preoccupato in questo momento, perché ritiene che l’uscita dall’euro sarebbe disastrosa per l’Italia. Ma tale rischio secondo Lei è davvero reale? Potremmo essere costretti ad uscire dall’euro?

Aps Premetto che non dobbiamo accontentarci delle dichiarazioni dei partiti di governo e del governo stesso, volte a rassicurare che l’Italia vuole rimanere nell’Unione e vuole mantenere l’euro. Sono i comportamenti effettivi del governo e i voti del Parlamento che devono esser valutati per la loro coerenza con queste dichiarazioni. Se i comportamenti e le decisioni risultassero tali da mettere a rischio la finanza pubblica e la tenuta del sistema bancario, potremmo trovarci davvero tra breve “a un passo dall’uscita dall’euro” (Guido Tabellini, “Il Foglio”, 3 ottobre 2018). C’è chi questa uscita la vorrebbe, asserendo che il Paese anzi se ne avvantaggerebbe. Io condivido la tesi della maggior parte degli economisti: le conseguenze sarebbero disastrose. Uscire dall’euro non è previsto dai trattati e comporterebbe l’uscita dall’Unione europea; né è ipotizzabile rifiutare l’unione e restare nell’euro, come una parte dell’opinione pubblica sembra desiderare: questo è semplicemente impossibile. Come ha scritto recentemente Lorenzo Bini Smaghi (La tentazione di andarsene, p. 184), con l’uscita dall’euro e con il ritorno ad una moneta nazionale i depositanti correrebbero a ritirare i loro fondi presso le banche, il governo dovrebbe vietare depositi all’estero, i tassi di interesse sui titoli schizzerebbero su livelli elevatissimi, il sistema bancario e molte imprese indebitate in valuta estera rischierebbero il collasso, la rapida svalutazione della nuova lira rispetto all’euro farebbe anche salire drasticamente l’onere di ripagare il debito contratto dalla Banca d’Italia con le altre Banche centrali; ed altro ancora. L’economia entrerebbe in crisi distruggendo massicciamente posti di lavoro. L’uscita dall’euro, se si dovesse verificare, avrebbe dunque conseguenze gravissime per il Paese: per il livello di benessere, per i nostri risparmi, per la crescita, insomma per il nostro futuro.

Marco Secondo Lei gli Italiani vorrebbero lasciare l’Unione europea?

Aps Io sono convinto che gli Italiani questo non lo vogliano. Tra l’altro, nessun partito lo ha messo nel programma elettorale, neppure i partiti oggi al governo. Potremmo essere fuori dall’euro senza averlo voluto! Ma quando la crisi si verificasse, la deriva sarebbe rapida. E probabilmente irreversibile.

Marco Per quale ragione l’Italia sta correndo, proprio ora, questo enorme rischio?

Aps I governi dell’ultimo decennio, pur senza affrontare con decisione l’esigenza di ridurre il debito pubblico in rapporto al Pil, avevano impostato una politica di graduali riforme che promettevano di migliorare la crescita avviando la decrescita del debito e del deficit: un’impostazione registrata e apprezzata dall’Unione e dai mercati. L’attuazione del “contratto” di governo Lega e Cinque stelle varato nel 2018 comporterebbe – in base alle stime disponibili ad oggi, ottobre 2018 – un onere a regime per le finanze pubbliche di oltre 100 miliardi di euro: 50 miliardi per la Flat Tax, 20-30 per il reddito di cittadinanza, decine di miliardi per la revisione della legge Fornero sulle pensioni. Quel che sappiamo adesso è che della maggior spesa di circa 37-38 miliardi per il 2019, 22 sarebbero in disavanzo, mentre 15-16 sarebbero coperti con entrate di incerta affidabilità. (Bordignon, “La Voce”, 9 ottobre 2018). Se non si vuole aumentare la pressione fiscale, se non si riesce a diminuire sufficientemente sin d’ora la spesa pubblica, se il recupero dell’evasione non basta e richiede comunque un impegno pluriennale, se la crescita della nostra economia è lenta e insufficiente per cause non facilmente contrastabili in tempi brevi (burocrazia, confusione normativa, giustizia lenta, corruzione, mafie, privilegi), se tutto questo è vero, allora la conclusione è una sola: noi queste risorse previste nel contratto di governo non le abbiamo, se non a condizione di smentire gli impegni già assunti e squilibrare ulteriormente i nostri conti.

Marco Sono dunque troppi i soldi che il governo ha dichiarato di voler spendere?

Aps Sì, sono troppi. E sarebbero anche male impiegati. Sono troppi perché le risorse necessarie non ci sono: non resterebbe se non aumentare ancora di più l’enorme debito pubblico nostro. Già oggi paghiamo, con le tasse, 65 miliardi all’anno solo per gli interessi sul debito. Inoltre, l’aumento dei tassi già minaccia di spingere l’economia verso la recessione. Ecco perché il programma di governo, così come è stato annunciato (ottobre 2018), non risulta sostenibile.

Marco E perché questi soldi sarebbero comunque male impiegati?

Aps Esprimo, naturalmente, un’opinione personale. La flat tax al 15% e al 20% vorrebbe dire privilegiare i ricchi a spese dei meno abbienti, in quanto si ridurrebbe ai minimi termini la progressività della tassazione, che tra l’altro è un principio e obbligo fondamentale sancito dalla Costituzione. La revisione della legge Fornero con l’anticipazione dell’età pensionabile creerebbe un peso maggiore per chi oggi lavora. Per concedere qualche anno di meno di lavoro ai pensionabili di oggi si mette un peso aggiuntivo sulle spalle dei pensionati di domani, che sono i giovani di oggi: è un atto grave di iniquità, di ingiustizia nel rapporto tra le generazioni. Quanto al reddito di cittadinanza, esso può avere un senso, ma solo se è un rimedio temporaneo che porti poi a un impiego. I nostri centri per l’impiego sono strutture fragili; a loro si chiederebbe di garantire tre offerte di lavoro in un’area limitata a 50-80 chilometri dalla residenza del disoccupato. Ma se i posti di lavori in quella zona non ci sono, non sarà il centro per l’impiego a crearli; il Paese infatti manca di una organizzazione diffusa su tutto il territorio e sufficientemente strutturata per far incontrare la domanda e l’offerta già esigua di lavoro. La promessa di un reddito indipendentemente dal lavoro spingerebbe decine di migliaia di persone nell’area del lavoro nero. Dunque, un programma non realizzabile, che sarebbe comunque socialmente iniquo.

Marco Ho letto però che il Governo sostiene che l’aumento del deficit rispetto alle precedenti intese servirebbe ad aumentare la crescita, dalla quale dipende anche il calo del debito pubblico. E ciò compenserebbe gli scarti.

Aps Secondo gli osservatori indipendenti (Fondo monetario internazionale, Banca d’Italia, Commissione europea e altri che si sono pronunciati ad oggi, ottobre 2018) sta proprio qui il difetto principale della manovra: la crescita della spesa non viene destinata ad investimenti bensì a una redistribuzione di risorse, sostanzialmente ininfluente (se non addirittura negativa[2]) rispetto rispetto all’obbiettivo della crescita. È questo l’ostacolo che determina il giudizio negativo degli osservatori. E se non ci sarà crescita, anche lo squilibrio dei conti risulterà ulteriormente accentuato, con le conseguenze che abbiamo già visto.

Marco Perché Lei ha detto che anche il sistema bancario sarebbe a rischio?

Aps Perché l’aumento ulteriore del debito pubblico con i rischi dei quali abbiamo parlato comporta, con la salita dello spread, un deprezzamento dei titoli pubblici che le banche italiane posseggono, per un valore complessivo, già oggi, di alcune centinaia di miliardi di euro. Dunque il loro capitale e la loro solidità finanziaria diminuirebbero. E parallelamente si assottiglierebbe la quota di risorse destinate ai fidi e ai crediti alle imprese e ai privati: una fonte essenziale per l’economia di un Paese. Crisi della finanza pubblica e crisi bancaria: una prospettiva che potrebbe portarci fuori dall’euro.

Marco Le argomentazioni che Lei ha espresso mi sono sembrate persuasive. Ma quando giorni fa ho ascoltato in televisione un’intervista al ministro Salvini, il suo modo di rivolgersi agli ascoltatori mi ha molto colpito: era il tono quasi spavaldo di chi appare più che sicuro di fare l’interesse degli italiani. Secondo lui, il governo attuale vuole un’Europa più efficace, più vicina ai cittadini, con più poteri al Parlamento europeo e meno poteri di intervento dei “burocrati” sull’economia degli Stati. Secondo lui il rimpatrio di centinaia di migliaia immigrati irregolari è possibile. Secondo lui l’età del pensionamento deve scendere ancora, non si può avere la schiena spezzata (come se i lavori usuranti non fossero già esentati..). Dunque, la manovra del governo italiano andrà avanti, non arretrerà “di un millimetro”. Chi lo ascoltava era portato a concludere: forse questi hanno ragione, diamo loro credito, fidiamoci e vediamo...

Aps Ho visto anch’io la trasmissione. L’oratoria era senza dubbio molto efficace. Finalmente qualcuno che sa quello che vuole e sa farsi ascoltare, veniva fatto di pensare. Ma poi ci si accorge che nessuna obiezione, nessuna critica gli era stata rivolta dalla conduttrice né dagli altri partecipanti. Perché le istituzioni indipendenti nazionali e internazionali sono unanimi nel ritenere che la manovra del governo non incrementerà la crescita? Possibile che si sbaglino tutti? Perché non rilevare che l’aumento dello spread ha già determinato perdite cospicue ai risparmiatori e che nel 2019 andrà peggio? Perché non chiedere cosa succederebbe se gli interessi sui nuovi buoni del tesoro raddoppiassero o triplicassero in quanto altrimenti non verrebbero acquistati? Perché non obiettare che il pensionamento anticipato avrà conseguenze sui giovani di oggi che saranno pensionati domani, come asseriscono tutti gli esperti? Perché non citare l’allungamento in corso della speranza di vita, che fa sì che si resti poi pensionati per venti o trent’anni con danno evidente per chi lavora e dovrà mantenere, direttamente e indirettamente attraverso le tasse, chi non lavora in quanto pensionato? Perché dichiarare di volere un’Europa più forte e contemporaneamente tuonare ogni giorno contro le sue istituzioni alleandosi con chi le vuole indebolire? Perché isolare anche nella politica internazionale l’Italia dall’Europa, proprio quando la protezione americana sta venendo meno? A questi ed altri interrogativi non c’è stata risposta perché non ci sono state domande. Ed è qui un altro elemento inquietante. Comunque l’oratoria è indubbiamente efficace. Se non fosse così, i sondaggi non darebbero al governo il consenso del quale gode attualmente.

Marco Mi ha colpito di sentire che anche gli esponenti del sovranismo affermano tutti di volere l’Europa, ma un’Europa diversa. E mi sono detto: ma allora se si va all’elezione del 2019 e tutti dicono di volere l’Europa, come fa l’elettore a scegliere?

Aps Anzitutto colpisce che chi si batte per un ritorno alle nazioni sovrane affermi subito dopo che la battaglia si farà alle elezioni europee, e con ciò riconosca in pieno il ruolo di queste. Quanto alle dichiarazioni, Altiero Spinelli diceva che c’è un criterio sicuro per capire chi è davvero in favore dell’unione politica federale e chi è contro, pur dichiarandosi pro-europeo: da parte dei primi le proposte vanno nel senso di attribuire alle istituzioni sovranazionali dell’Unione – Commissione, Parlamento europeo, Corte di Giustizia – i poteri propri di una federazione, da parte dei secondi si auspica un coordinamento tra governi che lasci però agli Stati l’ultima parola. Meglio forse un avversario palese che un falso amico dell’Unione.

Marco Ci sono anche avversari esterni dell’Unione?

Aps Sì, e ci sono sempre stati. Il progetto europeo è di tale portata che non può non suscitare resistenze politiche, economiche e culturali, sia all’interno che all’esterno dell’Europa. Un fallimento dell’Unione lo vorrebbero in tanti. Contro l’Unione militano potenti interessi politici, finanziari ed economici. I rischi di crisi si devono anche a queste forze avverse.

Marco Questo scenario è davvero drammatico. Ma L’Unione europea non potrebbe fare nulla per intervenire in caso di crisi della nostra finanza pubblica?

Aps Gli strumenti oggi esistono. Nel 2012 è stato creato – con l’accordo e la sottoscrizione di tutti i 19 Paesi dell’Eurozona – un nuovo importante strumento, denominato Meccanismo europeo di stabilizzazione (European Stability Mechanism, ESM), più noto come Fondo Salvastati, dotato di un capitale iniziale di 700 miliardi di euro, il quale è abilitato a intervenire a sostegno di uno Stato dell’Eurozona in difficoltà che deve però garantire una gestione rigorosa della finanza pubblica accompagnata dall’impegno ad attuare riforme strutturali, con sanzioni pesanti e automatiche qualora l’impegno non venga rispettato, sulla base di valutazioni operate fondamentalmente dagli altri governi, dunque con un metodo intergovernativo. Inoltre, un altro strumento recente, denominato OMT (Outright Monetary Transaction), consente alla Banca centrale europea di acquistare in caso di necessità anche titoli del debito pubblico di un Paese in difficoltà, ma solo se la valutazione sull’affidabilità finanziaria del Paese sarà positiva e, in ogni caso, anche qui solo dopo che il Paese abbia concordato con gli altri governi dell’Eurogruppo un programma di risanamento, debitamente garantito e monitorato.

Marco Se queste garanzie ci fossero, i rischi verrebbero condivisi a livello europeo?

Aps Sì, questa condivisione è di importanza fondamentale non solo nell’interesse dei Paesi deboli ma anche in quello dei Paesi europei più forti. Solo così l’unione economica e finanziaria e la stessa moneta unica potranno reggere le sfide di domani. Ma questo richiederà il completamento dell’unione bancaria ed anche la modifica delle regole dell’ESM.

Marco Se l’uscita dall’euro comporta l’uscita dall’Unione europea, cosa dovremmo aspettarci?

Aps Per l’Italia questa sarebbe una catastrofe. Torneremmo indietro di mezzo secolo. Tra l’altro ci taglieremmo fuori da una rete di vitali rapporti economici e commerciali conclusi anche per il nostro Paese dall’Unione europea attraverso centinaia di accordi commerciali che andrebbero rinegoziati dall’Italia in posizione di debolezza.

Marco L’Europa può permettersi un’uscita dell’Italia?

Aps È una domanda giustificata. In effetti il nostro Paese è per dimensioni economiche il terzo entro l’Unione, dopo l’uscita della Gran Bretagna, la quale però non era nell’euro. Il caso italiano sarebbe ben più grave anche rispetto al caso della Grecia. E metterebbe in crisi anche il sistema bancario dei Paesi dell’Eurozona: tutti possiedono titoli nostri, che pure essi stanno prudenzialmente riducendo in via precauzionale (70 miliardi in meno solo negli ultimi mesi, ottobre 2018). Tuttavia di fronte al rischio che il default italiano faccia affondare l’euro, gli altri Paesi dell’Eurozona e l’Unione nel suo complesso reagirebbero comunque per salvarlo, e con esso il mercato unico e dunque la stessa Unione europea.

Marco E l’Italia?

Aps L’Italia potrebbe restare fuori da questi interventi di salvataggio. Perché se la sua affidabilità sarà valutata al di sotto degli standard internazionali, la Banca centrale europea non potrà intervenire ad acquistare i nostri buoni del tesoro con l’OMT né potrà attivarsi l’ESM se prima non verrà sottoscritto un impegno vincolante di risanamento e di adozione di riforme strutturali. Un impegno ben più pesante, anche perché a questo punto imposto dall’esterno, rispetto alle politiche che l’Italia potrebbe mettere in atto, d’intesa con l’Europa, per avviare una graduale ma strutturale discesa del proprio esorbitante debito pubblico.

Marco L’uscita dell’Italia segnerebbe la fine dell’Unione come oggi la conosciamo?

Aps In un certo senso sì, perché l’Italia è stata per due terzi di secolo, e sin dall’inizio, un Paese fondatore che nel progetto europeo ha sempre creduto e al quale ha dato un contributo molto profondo, anche se questo non viene ricordato quasi mai. Abolire il mercato unico, la libera circolazione di merci persone capitali e servizi dall’Italia e verso l’Italia sarebbe molto grave anche per gli altri Paesi dell’Unione. Questo loro lo sanno benissimo. Ma alla crisi si può arrivare, se l’Italia abbandona le regole europee che pure ha sottoscritto. Sia chiaro, però: meglio, infinitamente meglio che il processo di unione non si arresti, persino se l’Italia dovesse restare ai margini (e dico questo con grande tristezza, sperando di venire smentito dai fatti). Il progetto europeo è di rilevanza planetaria, tutto è preferibile rispetto alla prospettiva di vederlo tramontare.

Marco È un esito solo possibile o anche probabile il naufragio dell’Unione europea?

Aps È impossibile dirlo oggi. La storia non è mai prevedibile. Alcuni segnali negativi che percorrono l’intera Europa ci sono. E sono gravi, anche a prescindere dalle responsabilità dell’Italia. L’unione bancaria non è stata ancora completata. Il fenomeno migratorio è affrontato in ordine sparso, con forti divergenze tra i Paesi dell’Unione. Sono stati fatti progressi per condividere i dati di intelligence su terrorismo e mafie tra i Paesi dell’Unione ma molto resta ancora da fare. I nazionalismi stanno rinascendo quasi ovunque, Germania compresa, e alimentano atteggiamenti emotivi e irrazionali. Sull’Africa non c’è unità di intenti tra i governi dei Pae si europei per lo sviluppo di questo grande continente, che dovrebbe essere un terreno privilegiato per investimenti europei, anche per controllare il fenomeno migratorio. È vero, c’è ancora la convinzione diffusa che l’unione politica è la giusta prospettiva per il futuro degli Stati europei e dell’Europa nel suo complesso. Ma non trova supporti sufficienti nella classe politica e nei governi. E neppure, spesso, nei funzionari dei singoli Stati che preparano le decisioni intergovernative: anche in loro spesso prevale l’ottica del (supposto) interesse nazionale, la logica della negoziazione. È un approccio profondamente diverso dalla strategia di chi affronta un problema comune con l’intento di dar vita a un progetto comune. Troppo spesso nelle decisioni dell’Unione di oggi prevalgono scelte che sacrificano il futuro.

Marco Chi ha sbagliato, allora, se siamo a questo punto?

Aps Hanno sbagliato i governi e i partiti pro-europei a non capire che bisognava tener conto delle pulsioni e delle paure dell’opinione pubblica: bisognava recepirle e collegarle con una politica efficace. Ha sbagliato l’Unione – anzitutto il Consiglio europeo, dunque ancora i governi – a non dare risposte coraggiose, adottando una politica comune su questo fronte e dotandosi in tempo di un governo comune dell’economia, di una fiscalità europea e di una comune politica sui migranti. Hanno sbagliato i media a privilegiare gli allarmi e gli slogan rispetto ai dati di fatto, spesso molto meno allarmanti di quanto percepito. Ed ora sta sbagliando il nostro governo quando sembra inconsapevole del rischio al quale sta esponendo il Paese.

Marco Quindi è un errore imputare la crisi italiana all’Europa, come sembrano credere molti italiani?

Aps Sì, è un errore. L’Unione non è stata pienamente all’altezza dei suoi compiti, ma ormai gli altri Paesi europei sono usciti dalla crisi grazie anche agli interventi che l’Europa ha messo in atto. Solo l’Italia non ne è uscita: perché sebbene i governi che si sono succeduti dal 2011 in poi abbiano cercato di imprimere una inversione alla tendenza all’aumento del debito, la produttività è aumentata poco rispetto agli altri paesi. L’Italia è frenata anche da schiaccianti pesi strutturali, che risalgono indietro nel tempo e che le impediscono la crescita: l’evasione fiscale abnorme, le mafie, la burocrazia paralizzante, la giustizia infinita, l’incertezza normativa. Il governo Lega – Cinque stelle in pochi mesi ha esposto l’Italia a gravi rischi con il Def votato dal Parlamento italiano nell’ottobre 2018. E questo è accaduto a poche settimane di distanza da quando il presidente del Consiglio italiano e il ministro dell’Economia si erano impegnati con il Consiglio europeo e con la Commissione a rispettare parametri compatibili con un sia pur lento ridimensionamento strutturale del debito. Aver trasgredito questi impegni ha minato gravemente la fiducia nell’Italia. E i mercati stanno reagendo come sappiamo, con le conseguenze che possiamo oggi temere.

Marco Eppure sentiamo ripetere continuamente che la nostra crisi, la nostra mancata crescita dipendono dall’Europa; e che dobbiamo smettere di sottometterci alla burocrazia di Bruxelles.

Aps Accollare all’Europa le nostre criticità è un’operazione politico-mediatica straordinariamente efficace. Ma è il contrario del vero. Anzitutto delle decisioni dell’Unione noi siamo corresponsabili, le abbiamo condivise nei Consigli europei, le abbiamo votate nel nostro Parlamento. Ma soprattutto, la tenuta dei nostri conti è un’esigenza vera nell’interesse nostro, come abbiamo già detto; e non è vero che sia l’Europa a ordinarci di fare tagli sui nostri servizi essenziali. L’impegno è di ridurre gradualmente il debito pubblico e il deficit. Ma siamo noi che dobbiamo decidere come farlo: se risparmiare sugli sprechi, se aumentare la produttività con le opportune riforme, o se invece, come è più facile, smentire gli impegni assunti e poi accollarne la responsabilità all’Europa. La vicenda di Brexit, con i gravi inconvenienti che solo ora gli inglesi cominciano a percepire, dovrebbe pure insegnarci qualcosa!

Marco Se le scelte dei sovranisti sono così rischiose per l’Italia, non verrà il momento in cui gli elettori, i cittadini se ne accorgeranno?

Aps Se le promesse fatte dai partiti al governo non verranno modificate, quel momento senza dubbio verrà. Ma forse sarà troppo tardi.

Marco In conclusione, per l’Europa la prognosi è infausta?

Aps Nonostante i tanti segnali negativi, che abbiamo richiamati sopra, ai quali altri se potrebbero aggiungere, nonostante i gravi rischi che l’Italia e l’Europa stanno correndo, la partita non è chiusa. È stato arduo costruire un edificio come l’Unione, le istituzioni sono difficili da creare; ma sono anche difficili da distruggere. Inoltre, come ho accennato, alla base i cittadini sanno bene che per il mondo di domani (ma in realtà già oggi) non ci sarà un ruolo adeguato per i piccoli Stati nazionali, per nessuno degli Stati europei, Germania inclusa. Un Progetto ambizioso di evoluzione dell’Unione è stato enunciato dai presidenti delle più importanti istituzioni dell’Unione. La più grave crisi economica dagli Anni Trenta è stata affrontata con decisione. Alcuni passi avanti importanti ci sono stati in questi anni, dal ruolo accresciuto del Parlamento europeo al ruolo decisivo svolto dalla Banca centrale europea, dalle recenti iniziative per una difesa comune all’introduzione di una vigilanza sovranazionale sulle banche. Last not least, una fascia alta e qualificata di intellettuali europei sta esprimendo in questi mesi, anche pubblicamente, la propria fede nell’ideale europeo. Molto bello è, ad esempio, l’appello recente di uno dei maggiori filosofi viventi, Jürgen Habermas, insieme con alcuni dei più influenti uomini politici tedeschi, in sostegno di un’Europa unita in grado di difendersi e di agire efficacemente per lo sviluppo, contro le disparità sociali e la disoccupazione (We are deeply concerned about the future of Europe and Germany, “Handelsblatt”, 25 ottobre 2018). È significativo che ci sia in Germania chi ha compreso e dichiara apertamente che dal futuro dell’unione europea dipende anche il futuro della Germania. Gli appelli pro-europei si stanno moltiplicando. Per l’Unione l’elezione europea del 2019 sarà decisiva.

Il Parlamento europeo, 2019 scadenza decisiva[modifica]

Marco Vorrei allora capire meglio perché è importante andare a votare alle elezioni europee, come saremo chiamati a fare nel mese di maggio del 2019.

Aps Le elezioni europee che si tengono ogni cinque anni sono sempre importanti. Ma l’elezione del 2019 sarà la più importante di tutte quelle svolte sinora. E questo per diverse ragioni. L’Europa si trova in una difficile condizione di crisi, una crisi di sicurezza e una crisi economica, entrambe non ancora superate: basti pensare al livello di disoccupazione soprattutto giovanile e al fenomeno impressionante delle migrazioni dal Mediterraneo e dall’Africa. Inoltre, alcune elezioni nazionali – anzitutto in Francia, con la nomina di Emmanuel Macron alla presidenza della Repubblica – hanno creato una situazione nuova, di rilancio dell’idea europea, che sta trovando un riscontro anche al livello delle istituzioni dall’Unione, a cominciare dal Parlamento europeo. Nel maggio dell’anno venturo l’esito del voto segnerà, forse irreversibilmente, il futuro dell’Unione europea. Si fronteggeranno, in tutti i Paesi dell’Unione due visioni molto diverse, se non addirittura opposte: quella di chi vuole smantellare l’Unione restituendo ai governi nazionali le funzioni che con l’integrazione sono passate all’Unione e quella di coloro che al contrario intendono portare l’Unione e dunque l’Europa e ciascuno dei suoi Paesi membri a un livello superiore e soddisfacente di funzionalità e di democrazia, seguendo la lettera e lo spirito dei trattati, che parlano di “un’unione sempre più stretta”.

Marco Ad oggi, chi rappresenta in modo chiaro ciascuna di queste due posizioni?

Aps Una risposta è semplice: anzitutto Macron da una parte, Salvini, Le Pen e Orban dall’altra. Ma alla posizione pro-europea aderiscono con sfumature diverse, insieme alla Francia, anche la Germania di Angela Merkel, la Spagna, il Portogallo, il Benelux, l’Irlanda e altri.

Marco E l’Italia?

Aps L’Italia, che è stata sempre, in sessant’anni, promotrice attiva dell’integrazione europea, e come tale riconosciuta ovunque, oggi è su posizioni scettiche e negative. Ovviamente mi auguro che questa involuzione del nostro Paese costituisca solo una parentesi.

Marco Tra queste visioni diverse se non opposte, come Lei ha detto, non ci sono davvero possibili punti in comune?

Aps La domanda è assolutamente giustificata. Se è vero che la lotta politica si svolge, specie in vista delle scadenze elettorali, sulla base di programmi distinti e contrapposti, è altrettanto vero che sia al livello parlamentare che nel governo occorre quasi sempre raggiungere intese che in qualche misura sfumano i contrasti. L’importante è che la qualità delle intese non ne risenta, perché ci sono i compromessi al rialzo e quelli al ribasso. Ad esempio, la Commissione europea ha sviluppato una grande capacità di individuare, in molti casi, un punto di incontro tra posizioni inizialmente distanti espresse dai singoli governi nazionali oppure nella procedura di codecisione tra Parlamento europeo e Consiglio dei ministri, della quale parleremo. E lo stesso avviene, in altre forme, all’interno del Parlamento europeo.

Marco Perché l’elezione del 2019 presenta questi aspetti di novità rispetto alle elezioni precedenti?

Aps L’elezione del 2019 sarà in certo senso la prima vera elezione europea, e non, come spesso è avvenuto in passato, anzitutto una proiezione delle politiche nazionali. È stato Mario Albertini ad affermare, quarant’anni fa, che l’Unione europea avrebbe messo radici il giorno in cui il suo governo fosse diventato oggetto di lotta politica, come è proprio delle democrazie. Questo processo, avviato già nell’elezione europea del 2014, oggi sta compiendo un passo avanti molto deciso.

Marco Torniamo allora alle elezioni del 2019. Come si formeranno i gruppi politici e le maggioranze nel nuovo Parlamento europeo?

Aps Saranno determinanti i programmi dei partiti e le alleanze elettorali concordate prima del voto: bisognerà vedere quali partiti nei singoli Paesi – e dunque anche in Italia – si collegheranno tra loro alleandosi con l’uno o con l’altro schieramento, allo scopo di formare una maggioranza nel nuovo Parlamento europeo eletto, dal quale usciranno il Presidente della Commissione, i Commissari e soprattutto le scelte legislative e di bilancio dell’Unione nel successivo quinquennio 2019-2024. Il ruolo dei parlamentari europei eletti in Italia potrà risultare determinante.

Marco A me però pare che il Parlamento europeo conti ancora poco.

Aps Certo non conta ancora abbastanza, ad oggi. Ma che conti poco non è vero. Per due ragioni: perché senza la sua presenza attiva l’Unione europea non sarebbe una struttura democratica; e perché nel corso dei decenni, da quando i cittadini hanno cominciato nel 1979 a votarlo ogni cinque anni, dunque ormai da quarant’anni, il suo peso è costantemente cresciuto. Sul primo punto, la questione è chiara: nei regimi democratici moderni le leggi debbono essere votate da un organo eletto dai cittadini, che sono i soli sovrani; e le scelte politiche di fondo debbono essere assunte da un governo che abbia la fiducia del parlamento eletto, là dove non ci sia, come negli Usa, una costituzione presidenziale, che prevede l’elezione diretta del presidente.

Marco Dunque il voto europeo è essenziale per un funzionamento democratico dell’Unione?

Aps Sì. L’Unione europea non è uno Stato, non è neppure sino ad oggi una vera federazione di Stati, ma ha competenze economiche, sociali e politiche di tale importanza da non poter funzionare in modo democratico senza una base di legittimazione popolare: l’elezione ha questo scopo. Il peso del Parlamento europeo come abbiamo già detto è cresciuto. Le leggi nazionali sull’economia, vigenti nei diversi Paesi dell’Unione, sono in gran parte la derivazione di leggi europee, come tali votate dal Parlamento europeo, con una procedura di doppia decisione (codecisione) con il Consiglio dei ministri europeo, in coerenza con un modello di tipo federale. Questo fatto l’opinione pubblica lo ignora, la stampa e la televisione (ma anche Internet) lo trascurano. A loro volta, le forze politiche nazionali tendono ad esaltare il proprio ruolo e a svalutare il ruolo dell’Unione europea, salvo attribuirle spesso e volentieri decisioni impopolari o comunque contestabili che i governi stessi hanno sollecitato in sede europea.

Marco Tuttavia il recente doppio voto del Parlamento europeo del 12 settembre 2018 sull’Ungheria di Orban e sui diritti di copyright ha avuto ampia risonanza.

Aps Giustissima osservazione. Io considero questa data come davvero storica, perché è la prima volta dal lontano 1979 in cui le decisioni del Parlamento europeo sono state messe in risalto sulle pagine di tutti i giornali d’Europa e in tutti telegiornali. Forse la stampa e la televisione stanno finalmente prendendo atto del ruolo politico e democratico del Parlamento europeo. Il voto sull’Ungheria ha mostrato che quando si tratta dei principi di democrazia, di equilibrio tra i poteri e di libertà di pensiero i rappresentanti dei cittadini europei sono fermi nel difendere i diritti fondamentali: l’iniziativa di sanzionare le violazioni del governo di Orban ha ottenuto oltre i due terzi dei voti. Anche il voto del Parlamento sul copyright ha segnato una svolta, a tutela dei diritti d’autore, contrastando i privilegi anche fiscali dei grandi circuiti mondiali, da Google a Facebook.

Marco Ora mi è più chiaro che il Parlamento europeo è un vero parlamento e non un semplice foro di discussione, come molti ancora ritengono.

Aps Sì, nelle materie in cui i trattati hanno stabilito la sua competenza è proprio così. Anche se ci sono ancora fondamentali lacune sulle competenze da attribuire al Parlamento, per esempio in materia fiscale e di bilancio. Aggiungo un punto che mi sembra importante: oggi vediamo che spessissimo i parlamenti nazionali funzionano male, sono teatro di risse e di contrapposizioni rigide e aprioristiche, dettate dai partiti e imposte ai parlamentari. Invece le discussioni e le decisioni del Parlamento europeo avvengono in un clima molto diverso, certo anche acceso come è naturale per le scelte di un’assemblea politica, ma sereno e privo di schieramenti rigidi, immobili. È così che deve funzionare un vero parlamento.

Marco Andremo dunque a votare per il Parlamento europeo nel maggio 2019: può chiarire quale è la procedura elettorale?

Aps Una legge elettorale comune è prevista dai trattati ma ancora non esiste in Europa, anche se il criterio di base in atto è quello della proporzionalità: nel doppio senso di un numero di eletti sostanzialmente proporzionale rispetto alla popolazione di ciascuno Stato dell’Unione (con una certa sovra-rappresentazione in favore degli Stati più piccoli) e di un numero di eletti proporzionale rispetto ai voti ottenuti da ciascuna delle liste nazionali.

Marco Come si svolge il voto?

Aps Gli elettori italiani (come quelli degli altri Paesi membri, naturalmente) votano scegliendo tra le liste dei diversi partiti e potendo in molti casi esprimere preferenze sui nomi dei candidati. I partiti sono quelli tradizionali nel nostro Paese, ma i più importanti sono collegati al livello europeo con i partiti affini. I tre gruppi politici più consistenti al livello europeo sono quelli dei Partito popolare europeo (la destra moderata), dei Socialisti europei (incluso il nostro PD) e dei Liberali. Poi ci sono i gruppi della Sinistra europea e i partiti antieuropei, tra i quali da noi la Lega, in Francia i seguaci di Marine Le Pen. Questi collegamenti al livello europeo sono importantissimi perché ciascun gruppo in vista delle elezioni del nuovo Parlamento prefigura un programma europeo comune. Come scegliere? Naturalmente sulla base dei programmi e dei candidati annunciati prima del voto.