Aps-VI Il mondo di domani

Da EU wiki.

Europa federale: un progetto planetario[modifica]

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Marco Vorrei a questo punto del nostro dialogo rivolgerLe alcune domande che mi sono posto e che corrispondono alle obiezioni di uno dei nostri interlocutori virtuali menzionati all’inizio, Mario. Il mondo di oggi è ormai un mondo globale e lo sarà ancor più quello di domani. L’ambiente e la sua tutela, i consumi energetici e le energie alternative, la rivoluzione informatica e telematica, il lavoro scientifico, le nuove tecnologie lo sviluppo demografico e le migrazioni di milioni di individui, persino le epidemie e i flagelli naturali, tutto questo avviene su scala mondiale. E allora, non Le sembra che la prospettiva dell’Europa e della sua unione politica sia già superata dai fatti e che convenga, per chi riflette sul futuro e vorrebbe lavorare a prepararlo, ragionare in chiave planetaria e non più in chiave solo europea?

Aps Anch’io mi sono interrogato più volte su questo. Le risposte che mi sono dato hanno un doppio versante. Da una parte occorre capire come l’Europa di oggi si colloca riguardo a questi grandi temi. Dall’altra parte si può immaginare come l’Unione europea, una volta che fosse a regime, potrebbe operare su scala globale. Premetto, per chiarezza, che per globalizzazione intendo sostanzialmente due realtà: da un lato l’interdipendenza sempre più stretta e più intensa tra le economie e i sistemi finanziari dei diversi Paesi dei cinque continenti, un fenomeno che ha oggi assunto dimensioni mai raggiunte prima; dall’altro, la presenza di istituzioni che hanno un raggio d’azione planetario; alcune pubbliche e promosse dagli Stati – dalle Nazioni Unite all’Organizzazione mondiale del commercio e alle Corti di giustizia internazionali, alcune delle quali molto recenti – altre private, nate spesso su base volontaria o promosse da imprese e gruppi di interesse, tra le quali le Organizzazioni non governative (Ong).

Marco Ma non sarà proprio per questa realtà di un mondo ormai globale che molti giovani oggi si sentono lontani dalla politica nazionale ed anche dalla politica europea perché si sentono piuttosto cittadini del mondo?

Aps Sentirsi cittadini del modo è importante, è bellissimo. Ma questa consapevolezza non elimina, non deve sostituire la propria appartenenza alle altre cerchie più limitate, dal comune alla regione, dallo Stato nazionale all’Europa, tutte reali e compatibili come abbiamo già detto. Aggiungo che forse nessuna alternativa quanto quella europea è altrettanto efficace per agire politicamente quale cittadino del mondo.

Non posso fare a meno, a questo proposito, di citare un’intuizione di Kant, il quale ha scritto che “l’associazione di popoli è progressivamente pervenuta a tal punto che la violazione di un diritto avvenuta in un punto della Terra è avvertita in tutti i punti” (Per la pace perpetua, terzo articolo); questo è stato scritto nel 1795, prima che i mezzi di comunicazione moderni e contemporanei venissero ad esistenza, portando il mondo intero sino all’interno delle nostre case.

Marco È un pensiero anticipatore straordinario! Tuttavia, se è vero che siamo ormai parte di un mondo globalizzato, ci si può chiedere se sia davvero così importante occuparsi e preoccuparsi dell’Europa e della sua unione politica; Lei ha già ricordato che solo il 7% della popolazione mondiale appartiene all’Europa e questa percentuale decrescerà ancora nei prossimi decenni.

Aps Anzitutto va detto che in questo 7% ci siamo noi e ci saranno i nostri e vostri figli e nipoti e pronipoti. Poter avere una voce e un’influenza in un mondo che si sta trasformando in profondità – con prospettive affascinanti ma anche con gravissimi rischi – è una ambizione giusta. Ma c’è di più: su molti fronti i cittadini europei hanno, nella loro maggioranza, convinzioni e tendenze di avanguardia, orientate verso un futuro di convivenza pacifica, di prosperità equilibrata, di tutela dei meno fortunati, di provvidenze sociali e sanitarie, di rispetto dei diritti umani e della democrazia. Perché rinunciare a svolgere un ruolo su questi fronti, a fianco dei grandi Stati di domani? Anche sui poteri dell’Onu l’atteggiamento degli europei è tendenzialmente avanzato, in una prospettiva cosmopolitica. Il primo a coniare questo termine è stato il filosofo Diogene: Alessandro Magno, condotto dagli Ateniesi a conoscere il celebre filosofo, gli chiese di quale città fosse originario; e Diogene rispose così: “io sono cosmopolita” cioè, alla lettera, “io sono cittadino del mondo”.

Marco Quale è il ruolo dell’Europa attuale, in questo contesto?

Aps L’Europa rappresenta già oggi un elemento importante, anzi fondamentale nel processo di globalizzazione in corso. Costituisce il più grande mercato, non per il numero degli abitanti ma per il volume degli scambi. L’euro è la seconda moneta mondiale, dopo il dollaro. Sulla tutela dell’ambiente l’Europa è all’avanguardia, rispetto a tutti gli altri grandi Stati. Anche sulle energie alternative si sta muovendo con decisione. I suoi sistemi di welfare, che pure differiscono da Paese a Paese, sono i più avanzati rispetto a quelli del resto del mondo, dagli Stati Uniti alla Cina, dall’India all’America meridionale. Basti pensare ai sistemi sanitari nazionali, che costano in Europa molto meno rispetto agli Stati Uniti. Il livello medio di benessere e la qualità della vita sono i più alti rispetto a quelli degli altri Continenti.

Non solo: l’integrazione europea ha assicurato all’Europa tre quarti di secolo di pace interna, un risultato che non si era mai raggiunto in 2000 anni di storia. Attenzione: sto dicendo che questi grandi successi sono tutti, anche se in misura diversa, legati al processo di integrazione, sono successi dell’Unione europea. Questo fatto viene quasi sempre passato sotto silenzio, e non solo dagli avversari dell’unione politica. Come ha scritto Tommaso Padoa-Schioppa nel 2008 “solo l’Unione europea ha saputo elaborare la formula atta a governare il processo di internazionalizzazione [...]; perciò l’Unione ha titolo e forza per esigere che questa formula sia applicata alla mondializzazione; ma a condizione che essa completi l’edificio dell’unione con la formazione di un governo capace di decidere e di agire sia all’interno che all’esterno”. (Id., The Ghost, 2016, p. 125)

Marco Ma allora, se è così, il più è fatto! O no?

Aps Direi di no, per due ragioni. Perché la costruzione europea è ancora incompiuta e quindi a rischio, come abbiamo

visto sopra. E perché le sfide che la globalizzazione pone al mondo di domani, ma già alla realtà di oggi, sono tutt’altro che vinte, dai rischi terribili di guerre anche nucleari al degrado dell’ambiente, dall’energia alla povertà alla disoccupazione alla perdita di lavori tradizionali a causa delle innovazioni tecnologiche, dai rischi della finanza globale alla criminalità internazionale, per citarne solo alcune. Queste ed altre sfide non potranno venire affrontate se non a livello globale. Ma l’Unione europea, se saprà completare l’unione politica, sarà (meglio: potrà essere) all’avanguardia nel promuovere misure efficaci. Non solo è in molti campi già più avanti, ma possiede una vocazione cosmopolitica superiore rispetto ad ogni altra parte del mondo.

Marco Non mi è chiaro cosa questo significhi.

Aps Significa tre cose. Anzitutto la cultura europea, dalla Grecia sino al presente, ha sviluppato, come abbiamo già accennato sopra, un filone di pensiero che concepisce l’unità del genere umano come fine supremo dell’ordine politico, da conseguire nel rispetto della libertà e della democrazia. Inoltre, l’Europa sta portando avanti un modello di unione politica su base federale che, se completato, costituirà un modello (in parte lo è già) per altri continenti, dall’Africa all’America meridionale: ieri l’Europa ha diffuso il modello dello Stato nazionale, del quale gli effetti nefasti si sono visti nel Novecento e si vedono ancor oggi ad esempio in Africa e nel Medio oriente; domani potrebbe suggerire il modello federale.

Marco Lei parlava di tre ragioni a proposito del modello cosmopolitico europeo. Ma ne ha citate solo due...

Aps La terza è questa, ed è forse la più importante. Il progetto di unione politica federale dell’Europa è stato, sin dall’origine – da Kant ai Padri fondatori dell’Unione, Altiero Spinelli, Jean Monnet, ma non solo loro – un progetto aperto alla prospettiva di un’unione politica planetaria. Le memorie di questi personaggi sono chiarissime al riguardo: “unire l’Europa per unire il mondo” come si espresse Mario Albertini nel 1980. Ma solo un’Europa unita potrà esercitare un ruolo di avanguardia nel promuovere le istituzioni internazionali già esistenti, dalle Corti di Giustizia internazionali all’Organizzazione internazionale del commercio (Wto) ma soprattutto al livello più alto, alle Nazioni Unite, nate per tutelare la pace nel mondo. Questo intendevo dire parlando di vocazione cosmopolitica dell’Europa. L’Europa è la maggiore speranza di chi crede nell’ideale dell’unità politica del genere umano. E chi si batte per l’Unione europea si batte per un obbiettivo che supera l’Europa stessa e riguarda il mondo. Se l’Europa federale non vedrà la luce, questo ideale rischia di rimanere utopia ancora per secoli, forse per sempre.

Marco Lei parla continuamente di Europa federale ed ha chiarito già prima quali siano le istituzioni che l’Unione si è data, ispirate ai principi del federalismo. Ma Le chiedo di ritornare su questo punto, perché ho l’impressione che non molti sappiano distinguere tra “unione politica” e “unione federale”.

Aps La distinzione è di importanza fondamentale. L’unione europea che già oggi esiste e la cattedrale incompiuta di cui abbiamo parlato sono fondate sul modello politico del federalismo. Questo significa che l’Unione non è e non sarà uno Stato unitario, un Superstato, un Leviatano che assorbe e sostituisce gli Stati nazionali, ma una federazione di Stati che mettono in comune con efficacia e con metodo democratico alcune competenze, per obbiettivi non raggiungibili a livello nazionale, come abbiamo visto. Federazione significa questo. Il discorso sarebbe lungo, anche se affascinante: ma voglio almeno dire che la dottrina politica del federalismo costituisce un punto di arrivo rispetto alle grandi rivoluzioni politiche e istituzionali dell’età moderna, il liberalismo, il socialismo e la democrazia. Le incorpora tutte, con una dimensione sovranazionale che ad esse mancava.

I confini istituzionali di una federazione sono di due ordini: da una parte i livelli territoriali inferiori mantengono le loro prerogative, a cominciare dagli Stati nazionali; dall’altra parte, la federazione ha le caratteristiche di un ordine costituzionale democratico, in quanto il potere legislativo, il potere di governo e il potere giudiziario sono esercita ti, in via esclusiva o in codecisione, da organi diversi: per l’Europa, i Consigli, la Commissione, il Parlamento eletto, la Corte di giustizia. Il federalismo, al quale si ispira la costruzione europea, è un modello esemplare per le istituzioni politiche del futuro: coniuga autonomia e interdipendenza, evita le autocrazie fondate sull’accentramento e sul mancato equilibrio tra i poteri, possiede la doppia legittimazione democratica del voto popolare e della Camera degli Stati. Inoltre, la federazione implica l’accettazione dei livelli territoriali inferiori e di quelli superiori, sino al livello planetario; implica cioè un concetto non esclusivo di sovranità.

Marco Lei ha chiarito la dimensione territoriale del federalismo politico. Ma se oggi il mondo è globale, il territorio come elemento di aggregazione non ha perduto importanza?

Aps Questo è un punto importantissimo, ha fatto bene a sollevarlo! Dico subito che qui non possiamo approfondire la questione, mi limito a richiamare pochi punti. Quando parliamo della necessità di un perimetro di regole per disciplinare la concorrenza, per diminuire le crescenti disuguaglianze non solo sociali ma anche tra le imprese, per contrastare la formazione di potenti monopoli e oligopoli per taluni settori dell’economia, per arginare le deviazioni dei circuiti mediatici, per intervenire al di là delle frontiere nazionali o continentali in difesa dei diritti, per combattere la criminalità internazionale, per disciplinare il soft law delle pratiche negoziali transnazionali, tutto questo (e molto altro) implica, in forme diverse, la messa a punto di strategie ed anche di istituzioni nuove, in larga misura ancora da studiare e da realizzare. È un capitolo vasto e difficile della globalizzazione, che oggi viene studiato da molti (Cassese, 2016; Economist, 17 novembre 2018) e per il quale alcune possibili scelte future sono già state delineate. Occorre mettere punto anche forme nuove di legittimazione democratica, diverse rispetto a quelle delle democrazie tradizionali e delle stesse democrazie rappresentative. Tuttavia non per questo la prospettiva del federalismo politico perde di incisività, tutt’altro, perché una serie di interventi dei poteri pubblici sovranazionali sarà comunque necessaria.

Marco Ho appena letto il bellissimo libro di Edward Wilson, Metà della Terra, Salvare il futuro della vita, 2016. Il quadro che egli traccia è impressionate. Se è vero che le due massime sfide che il mondo di oggi deve affrontare sono il mutamento irreversibile del clima e il declino della biodiversità sino alla possibile estinzione delle specie, non c’è da stupirsi se tra quei giovani che si interessano del futuro dell’umanità queste sfide impegnino spesso il meglio dei loro pensieri sul futuro e il meglio delle loro energie per tentare di cambiare lo scenario apocalittico ormai reso ben chiaro dalle revisioni degli scienziati. E non mi meraviglio, allora, che l’ideale europeo possa venire in secondo piano per alcuni di loro. O tra i due piani c’è correlazione.

Aps Sì, è proprio questa correlazione che ho cercato di mettere in luce in alcuni passaggi del nostro dialogo. Il momento in cui il mutamente climatico determinato dall’eccesso di anidride carbonica diverrà irreversibile è molto vicino, pochi decenni. Il momento in cui l’estinzione delle specie raggiungerà un tasso non più recuperabile e porterà alla distruzione della natura è anch’esso molto vicino, pochi decenni. Entrambe queste prossime catastrofi saranno state causate dalla specie umana. Entrambe possono ancora essere evitate. Però bisogna intervenire da subito e con misure molto più drastiche di quelle già avviate, anche se praticabili e non distruttive. Un’economia biocompatibile, rispettosa delle risorse del pianeta, è certamente possibile. Ma interessi economici e politici molto potenti e bene organizzati la ostacolano; e le misure necessarie per realizzarla sfuggono all’ottica di breve termine e al corto raggio di incidenza delle politiche nazionali.

È proprio qui che, una volta di più, la presenza attiva dell’Unione europea potrà risultare determinante, a condizione che l’Europa sia davvero unita: l’Europa è più avanti su questo terreno, ma deve poter contare di più, dialogare alla pari con le altre potenze. In altre parole, l’impegno mondialista e l’impegno federalista, che trova il suo centro oggi in Europa ma ha portata planetaria, possono e debbono convivere in ciascuno di noi. Sono, per così dire, due “militanze” ideali complementari. E quella di chi si batte per l’Unione europea ha anche una valenza direttamente politica, oltre che democratica, perché i cittadini europei hanno una struttura già operante e un potere di voto.

Marco Ci sono anche altre sfide (come se queste non bastassero…)?

Aps Dice bene, Marco. Le sfide non sono soltanto il clima e la biodiversità. Dobbiamo quanto meno menzionare l’intelligenza artificiale e le sue interferenze possibili con le scelte individuali e collettive; le manipolazioni genetiche non solo terapeutiche ma potenzialmente invasive sulle generazioni future; gli enormi spazi (e i connessi rischi) che si aprono per le neuroscienze; i meccanismi delle comunicazioni via internet e la minaccia molto reale di controllo capillare sulla vita e sulle preferenze degli individui…. E mi fermo qui.

Marco C’è anche su questi versanti una correlazione con l’Europa?

Aps Sì. Perché in ognuno di questi terreni, fondamentali per le loro prospettive positive ma anche per i rischi immensi che possono comportare per le libertà individuali e collettive, la sfida sta nel saper dominare il campo, nel condurre ricerche indipendenti, nel mettere in atto strategie di governo e di difesa dai pericoli. E l’Europa non dovrebbe dipendere da altri. Non è un caso se oggi Cina e Usa stano impegnando risorse enormi sull’intelligenza artificiale, ad esempio. L’Unione europea può e deve investire a sua volta su ciascuno di questi fronti. Una volta di più, i nostri singoli Stati nazionali non sono in grado di farlo.

Marco Lei ha osservato che già oggi l’euro costituisce la seconda moneta mondiale dopo il dollaro. Ma in un mondo globale non dovrebbe esistere una sola moneta?

Aps Bella domanda, vale un trilione di dollari almeno... Fuori dallo scherzo, mi limito a dire che il problema esiste, è stato sollevato e discusso da tempo da illustri economisti quali Robert Triffin, Robert Mundell e altri. Quello che si può immaginare, e che in effetti alcuni gruppi di riflessione (il primo è stato avviato da Tommaso Padoa-Schioppa e da Michel Camdessus nove anni orsono) stanno vagliando, è l’attivazione di un paniere delle principali monete – dollaro, euro, renmimbi, yen in primo luogo – al quale attingere con diritti speciali di prelievo: ciò permetterebbe di evitare che il sistema monetario mondiale sia di fatto egemonizzato da una sola moneta, il dollaro, il quale come è naturale riflette anzitutto gli interessi del Paese che lo emette e lo gestisce, gli Stati Uniti. È un tema molto importante e molto complesso, sul quale una volta di più l’Unione europea potrà esprimere una posizione di avanguardia.

Marco Nel contrasto tra sovranisti ed europeisti che, come Lei ha sottolineato all’inizio, sarà il fronte decisivo dell’elezione europea del 2019, io credo di aver notato una differenza di fondo non solo sui programmi ma nel modo di proporli. I sovranisti, i nazionalisti sembrano animati da una tensione emotiva che si manifesta nei toni e che preclude ogni confronto sereno su soluzioni non semplicemente distruttive. Ma questo non rischia di pregiudicare la causa europea?

Aps Lei ha ragione a sollevare questo problema. I sovranisti fanno appello a emozioni e suscitano pulsioni che vanno al di là (o piuttosto restano al di qua) delle argomentazioni razionali. E questo non solo in Italia: pensiamo alla Baviera, all’Ungheria, all’Austria. Gli europeisti controbattono punto per punto e le loro ragioni non vengono contestate razionalmente. Senonché nel votare, gli elettori sono sempre fortemente influenzati dalle emozioni. E la politica non è certo solo ragione, è passione e dunque emozione. Ciò che ha reso possibile la costruzione europea è stata la rivolta morale contro le guerre del Novecento, è stata una autentica passione civile. Guai a pensare che questo rischio di guerre non esista più; ma ora premono altre pulsioni, soprattutto quelle indotte dall’insicurezza, dalle immigrazioni incontrollate, dalla paura del domani per il mondo del lavoro. E allora chi soffia sul fuoco di questi sentimenti ha grande spazio. Potrebbe vincere la partita. Bisogna assolutamente riuscire a far sentire ai cittadini, agli elettori che la costruzione europea è una potente fonte di sicurezza e di pace per il domani. Bisogna suscitare anche l’emozione per l’ideale europeo; e vorrei invitare tutti all’ascolto di un breve filmato accessibile su internet, che a me è parso bellissimo, realizzato a Norimberga nel 2014.[1]

Bisogna suscitare una nuova passione civile per l’Europa unita. Io vedo anche questo nostro dialogo come un tentativo di far vivere questa passione.

La politica, i giovani, la scuola[modifica]

Marco Lei ha parlato di rischi gravissimi per il mondo di domani. A cosa si riferiva?

Aps Mi riferivo a prospettive ormai evidenti a chiunque voglia osservare la realtà. Sono i progressi della ricerca scientifica, dalla genetica alle tecnologie avanzate, a rendere possibile e prossimo il raggiungimento di traguardi straordinari, sino a ieri impensabili: sulla durata della vita umana, sulla lotta vittoriosa contro le carestie, contro le malattie, contro la fatica fisica e molte sofferenze che per millenni hanno afflitto l’umanità.

Ma contestualmente, proprio questi progressi mettono a rischio la sopravvivenza della specie umana e della vita stessa sulla Terra: dalla minaccia nucleare allo sfruttamento delle risorse del pianeta, dalla manipolazione genetica sino alla rivoluzione digitale e telematica che potrebbe sviluppare forme di dominio occulto sulla vita individuale e collettiva, forme abnormi di intelligenza artificiale lesiva di ogni libertà. Pericoli immensi, non scontati, non inevitabili, ma contrastabili solo con gli strumenti dell’informazione corretta e della democrazia. Cioè con gli strumenti della politica. Ecco perché la politica resta fondamentale.

Marco Oggi il mondo è già globale nella produzione, negli scambi, nella finanza, nella criminalità. In cosa dovrebbe ancora diventare globale?

Aps Nella politica. Beninteso, non nel senso che debba nascere uno Stato mondiale. Come già Kant aveva acutamente osservato. il rischio di una dittatura a livello planetario sarebbe terrificante. No, quello che dovrebbe svilupparsi – e che in misura ancora embrionale si sta sviluppando attraverso l’Onu e le altre organizzazioni internazionali – è un sistema politico federale costituito da grandi Stati e da federazioni di Stati (come l’Unione europea). Le decisioni più importanti, quelle che debbono rispondere alle sfide della guerra e della pace, dell’ambiente e dell’economia planetaria sarebbero assunte democraticamente entro uno schema istituzionale di federazione politica.

Marco Perché Lei ritiene necessario che la globalizzazione si estenda anche al livello politico?

Aps Perché altrimenti sarebbe impossibile contrastare gli effetti negativi, gli eccessi, le prevaricazioni, le violenze che le società generano inevitabilmente se non esiste un sistema istituzionale entro il quale il bilanciamento tra i diversi poteri sia in grado di contrastare queste patologie, tutt’altro che immaginarie. Ciò è vero anche per il sistema degli scambi, della produzione e della finanza. Oggi i poteri pubblici si sono indeboliti, anche in conseguenza della globalizzazione. E c’è bisogno di un riequilibrio, che a livello mondiale ancora non ha la possibilità di nascere proprio per la debolezza delle istituzioni internazionali, le quali debbono avere anch’esse una legittimazione democratica. Per questo ho parlato di una carenza della politica che andrebbe corretta. Il rafforzamento della Nazioni Unite, ad esempio, che ha al centro una riforma del Consiglio di sicurezza, potrà raggiungersi solo se sarà portato avanti a livello politico dai grandi Stati: tra i quali dovrebbe esserci l’Unione europea...

Marco Dunque il raggio della politica va ben al di là del quadro nazionale. E allora Le chiedo in che modo secondo Lei un giovane dovrebbe occuparsi di politica?

Aps Ci sarà, ci deve essere una piccola minoranza di giovani che per vocazione – sì, parlerei di vocazione, in un senso non poi tanto lontano da quello con il quale si parla di vocazione a fare il medico, l’insegnante, persino il sacerdote – sceglierà la via della politica: la politica nel suo significato alto, come vocazione a conquistare legittimamente il potere al fine di contribuire a “cambiare il mondo” nella direzione dei propri ideali. Pochi sceglieranno invece di dedicare una parte del loro tempo ad una militanza politica ideale, volontaria, ad esempio sul terreno del federalismo. E poi ci sono gli altri giovani, la stragrande maggioranza.

Ognuno di loro cercherà la sua via nelle diverse direzioni dell’attività umana. Ma ognuno dovrebbe conservare e coltivare in sé anche una scintilla di “anima politica” nel senso nobile e alto del termine: sentire la responsabilità di essere “cittadino” di ciascuna delle cerchie alle quali appartiene, che vanno dalla propria città al mondo. Ogni cittadino deve essere anche politico, insieme custode della sua polis e cosmopolita. La democrazia può vivere solo così.

In questa dimensione, l’Europa costituisce un tassello fondamentale. Come ho cercato di mostrare in questo nostro dialogo, oggi la via per avanzare verso un mondo più giusto e sano passa proprio per l’Europa. L’unità politica dell’Europa, un’Europa federale e non uno stato soffocatore delle autonomie, è un traguardo non solo per gli europei di oggi e di domani, ma per l’intero pianeta.

Marco Ascoltandola, io avverto in Lei una tensione ideale che a me personalmente piace molto, anzi mi entusiasma. E tuttavia anch’io ho incontrato amici e compagni che la pensano come alcuni da Lei evocati all’inizio. Pensano che tutti questi siano solo bei discorsi, sogni di illusi: perché il potere, gli interessi sono da sempre e saranno per sempre la sola realtà che si impone; ciò che conta sarebbe solo la politica reale (la Realpolitik, mi sembra che così la chiamino i tedeschi). E allora, chi crede nell’Europa federale sta forse nel mondo dei sogni?

Aps Vede Marco, io non nego affatto il peso schiaccian te degli interessi costituiti né della Realpolitik. Da storico del diritto, sarei sciocco se lo facessi. La storia è anche un cumulo di tragedie collettive. Molte di esse sono opera dell’uomo: guerre, genocidi, schiavitù e servitù di popoli interi, feroci dittature ed altro ancora. Illudersi che il dolore e le pulsioni aggressive possano scomparire dalla storia umana sarebbe sbagliato, irreale. Ma la storia non è solo questo. Essa include traguardi che a priori sarebbero sembrati (anzi, erano valutati) irraggiungibili, perché in contrasto con forze e con interessi possenti. Sembravano utopie irrealizzabili, ma sono diventate realtà..

Marco Potrebbe farmi qualche esempio?

Mi limito a rammentarne alcuni tra i molti possibili. La cristianizzazione dell’Impero romano tardo-antico è un fenomeno grandioso e impressionante, se si considera la profondità delle radici religiose e politiche sulle quali era sorto ed era cresciuto l’Impero. Nella seconda metà del Settecento una sovrana asburgica della più alta nobiltà europea e il figlio di lei, rispettivamente Maria Teresa d’Austria e Giuseppe II, riuscirono in appena quarant’anni a smantellare il monopolio dei due più formidabili centri di potere che da secoli dominavano in Europa (e non sempre, sia chiaro, senza risultati importanti e talora eccelsi): il patriziato e la Chiesa. Tra il 1789 e il 1791 l’Assemblea costituente francese introdusse, con votazioni ispirate al principio di democrazia, una serie di centinaia di leggi che avviarono la Francia, e più tardi l’Europa, verso un regime di eguaglianza dei diritti e di libertà economica e civile. E si deve osservare che in entrambi i casi fu determinante l’intervento del patriziato, prima ancora di quello della nascente borghesia. Il principio della progressività delle imposte, fondamentale per diminuire le disuguaglianze, ancora ai primi del Novecento era considerato tabù negli Stati Uniti, mentre due decenni più tardi fu accolto in misura che oggi ci sembra inarrivabile, sino ad oltre il 70% per i redditi maggiori.

E ancora: l’abolizione della schiavitù e delle servitù personali; la libertà di pensiero, d’espressione, di religione; lo stato di diritto con la distinzione tra i poteri; la sovranità popolare; la tutela di chi lavora e di chi non può pagarsi le cure; la parità tra uomo e donna; le carte dei diritti a livello planetario; last not least, l’integrazione europea. Nessuno, ancora all’inizio del Settecento, ancora nel corso dell’Ottocento e del primo Novecento prevedeva che questi traguardi sarebbero stati possibili.

Lei pensa che ciascuno di questi storici risultati non abbia conosciuto resistenze, ostacoli, strategie astute e possenti per sabotarli?

Marco Ma come, allora, tutto questo è stato possibile?

Aps Nella storia operano molte forze. Tra queste, anche la forza morale e la forza della ragione. Io sono convinto che in una società umana, in qualsiasi parte della Terra, se non è in atto una pulsione emotiva e aggressiva in fase acuta, la maggioranza delle persone è favorevole non solo alla pace ma a una convivenza civile, rispettosa del prossimo ed anche disponibile ad aiutare chi ne ha bisogno. Certamente, ci sono anche le pulsioni contrarie, come Freud, che Lei ha ricordato, sapeva ed ha espresso così bene. Ma il modello di un ordine internazionale di stampo federale esorcizza la guerra senza la pretesa di cambiare la natura umana, con le sue ineliminabili ascendenze animali. Altro è uccidersi, altro è competere civilmente nell’economia, nella politica ed anche nella cultura, così come nello sport.

La morale e la ragione possono imporsi anche rispet to alle forze del potere e degli interessi, soprattutto quando vi sia anche una componente degli interessi a spingere in questa direzione. Abbiamo visto che fu Jean Monnet ad intuire che per il progetto di integrazione europea bisognava coniugare gli interessi e i valori: è stata questa la chiave del successo del mercato unico. Fu ancora Monnet ad affermare che l’Europa si è fatta e si costruirà attraverso i modi in cui saprà rispondere alle crisi. Fu Spinelli a constatare che l’ideale europeo sinora è risorto ogni volta, dopo le sconfitte, come un’Araba fenice dalle sue ceneri.

Marco Questa risposta induce a sperare. Anche perché le crisi non mancano di certo!

Aps L’Europa unita può costituire un’altra di queste utopie realizzabili; anzi, questo traguardo è tanto più alla portata in quanto in larga misura l’utopia dell’unione si è già realizzata! Ho usato non a caso la metafora della cattedrale incompiuta. Ma bisogna volerla completare. Nell’Ottocento, molti giovani furono pronti a morire per veder raggiunto l’ideale dell’unità nazionale. Per l’Europa non si muore, ma l’ideale non è meno nobile.

Marco Ancora sul terreno della politica, mi piacerebbe sapere cosa ne pensa del divario sinistra-destra e come si inserisce all’interno di questo discorso l’europeismo?

Aps Quanto al contrasto destra-sinistra, secondo me i punti fermi sono tre.

  1. La contrapposizione tradizionale tra socialismo reale e liberalismo è scomparsa con la caduta del primo modello, rivelatosi fallimentare e perciò imploso.
  2. La contrapposizione destra-sinistra è tuttora attuale ed anzi fondamentale, nella forma di una dialettica politica tra chi ritiene che le regole della concorrenza e del mercato siano le più adeguate perché sufficienti ad assicurare il massimo benessere possibile ad ogni comunità politica e chi, invece, pur risconoscendo senza ambiguità la funzione essenziale del mercato e della libera concorrenza, ritiene necessaria la presenza attiva di strumenti di politica economica di natura pubblicistica fondati sulla democrazia politica, non solo per disciplinare il mercato che non può vivere senza regole ma anche: a) per quegli interventi di investimento su beni pubblici ai quali i privati non possono provvedere perché privi di ritorni immediati in termini di profitto (istruzione, sanità, tutela del territorio, difesa, sicurezza, ricerca fondamentale); b) per gli interventi di sostegno alle condizioni di povertà, in primo luogo attraverso un sistema fiscale ispirato alla progressività.
  3. Quanto alla contrapposizione tra un approccio nazionale e un approccio sovranazionale ai temi di politica economica e di sicurezza che sono sul tappeto di ogni Stato contemporaneo, lo spartiacque passa in realtà all’interno di ciascuno dei due schieramenti, quello della destra e quello della sinistra, come aveva lucidamente previsto già il Manifesto di Ventotene. Infatti all’interno di ciascuno dei due schieramenti ci sono coloro i quali ritengono che spetti al solo Stato nazionale adottare le opportune strategie e coloro i quali riconoscono la necessità di affidare un ruolo ad istituzioni sovranazionali (quali l’Unione europea o l’Onu o il Wto per il commercio internazionale) là dove il livello nazionale si mostri inadeguato.

Marco Resta però il fatto di cui abbiamo parlato all’inizio: molti giovani non ritengono importante votare, o addirittura dichiarano che la politica non gli interessa. L’astensionismo così elevato, da parte di cittadini di ogni età, suscita tante domande: come si spiega?

Aps Per approfondire questo tema ci vorrebbe un altro dialogo, e non basterebbe... Mi limito a brevissimi spunti. L’astensionismo colpisce oggi tutte le democrazie, anche le più antiche e avanzate; negli Stati Uniti si avvicina al 50%. Si possono formulare diverse spiegazioni. Ne elenco alcune in ordine sparso. Vi è la repulsione per troppe carriere politiche compiute senza alcun rispetto per la correttezza, spesso attraverso pratiche corruttive o canali non limpidi, eppure coronate da successo e gratificate con privilegi oggi ritenuti inammissibili. Vi è il disincanto di molti elettori verso la politica e verso i partiti, che promettono molto prima del voto e poi deludono le attese.

Marco È un quadro impressionante.

Aps La complessità dei problemi e la loro stretta interconnessione rende impossibili soluzioni semplici di problemi complessi, sicché la delusione nei confronti di chi li presentava come agevolmente risolubili si manifesta nel rigetto della politica tout court. Non vi è trasparenza nei modi in cui le scelte vengono fatte, le discussioni parlamentari sono spesso una palestra di asserzioni drastiche e poco persuasive. La selva delle infinite norme dei regolamenti, spesso tra loro contradittori come lo sono le leggi, esaspera il cittadino. Sia la stampa che la televisione, in modi diversi, enfatizzano della politica solo i lati negativi, gli scandali, le polemiche, le questioni personali, e il cittadino crede che non ci sia altro e che tutti i politici siano eguali; il che è falso. I messaggi diffusi su Internet troppo spesso veicolano insulti volgari e opinioni tanto più perentorie quanto meno fondate.

Ma soprattutto, l’errore di quasi tutti i politici è di puntare sul breve termine, ignorando la prospettiva più ampia del rapporto intergenerazionale, deludendo in particolare proprio i giovani. Infine (ma l’elenco potrebbe continuare) i sondaggi quasi quotidiani distolgono il governo e il parlamento dall’azione di medio periodo, l’unica in grado di portare a risultati validi. È l’atteggiamento che Tommaso Padoa-Schioppa definì nel 2009 con un’espressione divenuta corrente, la politica della “veduta corta”.

Marco Ma la politica non è costretta ad agire sul breve termine per ragioni elettorali?

Aps La politica è certamente indotta a questo. Ma non vi è necessariamente costretta. Perché misure impopolari adottate ad esempio all’inizio di una legislatura possono risultare positive all’opinione pubblica addirittura già prima della fine della stessa legislatura, è accaduto più volte. E perché in alcune circostanze e per alcune scelte un politico di alto profilo (sono rari, questo è vero) può persino rischiare consapevolmente l’impopolarità. Quando Helmut Kohl nel 1990 sostenne la creazione dell’euro sapeva perfettamente quale fosse l’attaccamento dei tedeschi al marco, un attaccamento ben giustificabile in base al loro passato. Ma Kohl, dopo essersi assicurato che il Trattato garantisse la piena autonomia della Banca centrale europea, si batté per la moneta europea, perché – così disse allora – l’unione politica della quale l’euro costituiva un pilastro sarebbe stata per i cittadini europei del ventunesimo secolo “una questione di guerra o di pace”. Sono parole che ancor oggi destano una profonda impressione.

Marco A me pare che la veduta corta non sia solo dei politici. La televisione insegue anch’essa l’immediato, pare sempre che debba rincorrere il sensazionalismo, le emozioni forti. E per di più mi sembra tutt’altro che neutra.

Aps Sulla deformazione comunicativa dei media e di internet, che abbiamo già evocata, purtroppo non ci sono dubbi. E i rimedi non sono semplici, perché bisogna evitare ogni forma di censura, ma in pari tempo predisporre gli strumenti per smontare le false informazioni: un compito arduo ma essenziale per assicurare un futuro alle democrazie rappresentative.

Marco Nulla da fare, allora?

Aps Alcuni rimedi esistono, ampiamente discussi da chi studia la realtà politica. Si sono introdotte istituzioni distinte da quelle politiche in senso stretto, a partire dalle Corti costituzionali, che hanno poteri sostanzialmente legislativi di peso spesso determinante anche sul piano politico. Opera ormai in molti Paesi un folto gruppo di Agenzie indipendenti e non elettive: per la concorrenza, contro la corruzione, per la borsa, per i media, anch’esse indirettamente politiche. Esistono forme di “democrazia partecipativa”, gruppi di lavoro, commissioni di studio, infiniti convegni che elaborano analisi e strategie spesso lungimiranti, anche se per lo più trascurate da chi ha il potere di decidere. Esistono anche forme di democrazia diretta, a partire dai referendum, viziati però in molti casi da finalità estranee, da domande mal poste, da spinte politiche strumentali. Grave è soprattutto l’insufficiente formazione del cittadino, che costituirebbe il vero rimedio efficace. E questo ci conduce al tema della scuola.

Marco La politica viene sempre più associata a corruzione, carrierismo, interessi individualisti. I pochi ragazzi che conosco impegnati in politica mi hanno lasciato intendere più volte di ambire anzitutto al successo personale. Altri mi dicono: ”sentiamo più politico, e quindi più incisivo, occuparci del mondo dei social che del Parlamento, percepiamo più vicino a noi un gruppo facebook che la Camera dei deputati”.

Aps Ma è davvero così diffuso tra i giovani questo disinteresse?

Marco Per rendere meglio l’idea mi permetta di farle un esempio di un episodio che mi è accaduto di recente: io abito al Lido, una piccola isola di Venezia, resa nota dal celebre Festival del cinema. Il Lido è un piccolo gioiello per Venezia non solo per il Festival, ma anche per importanti luoghi storici che vi si possono trovare. Di recente è stata organizzata una manifestazione cittadina in difesa di uno di questi luoghi, lasciato in stato di abbandono e degrado. Mi ha colpito molto vedere quanto senso civico animasse tutti gli anziani dell’isola e come alla manifestazione mancasse totalmente la presenza giovanile. Proposi a una mia compagna di corso fuori sede di andare, ma mi rispose che non abitando al Lido non sentiva sua la causa. Provocatoriamente le chiesi di quale città si sentisse cittadina attiva, ma non seppe rispondermi.

Aps L’episodio è davvero significativo. Si capisce quanto sia fondamentale ricevere a scuola una formazione civile, una educazione civica; e questo sin dai primi anni, addirittura sin dall’asilo. L’educazione civica è fondamentale. Gli ideali e la visione del mondo che un individuo porta poi con sé nella vita quasi sempre nascono negli anni giovanili, nell’adolescenza.

Marco Lei pensa che lo spazio per farsi ascoltare ci sia, presso i giovani?

Aps Ci sono comunicatori che questo lo sanno fare: ad esempio giornalisti come Rumiz, cantanti e attori come Bono degli U2 e Benigni. Loro hanno detto e scritto, non a caso proprio in queste settimane, che quando parlano di Europa, i giovani si entusiasmano. E la mia esperienza di molti anni, anzi di decenni, va nello stesso senso: oggi trovo più facile far capire l’importanza dell’ideale europeo di quanto non fosse dieci o quindici anni fa; e non solo presso i giovani. Forse perché gli avversari dell’Unione europea sono diventati tanti e fanno ricorso a toni perentori. E poi c’è un dato importantissimo; i sondaggi recenti confermano che anche in Italia il 60% dei giovani crede nell’Europa; e persino in Gran Bretagna i giovani avevano in maggioranza votato sì all’Europa.

Marco A scuola e all’università di Europa si parla poco, sono rari i professori che affrontano i temi di cui abbiamo parlato. Perché, secondo Lei?

Aps In parte dipende dai programmi, che all’educazione civica dedicano uno spazio insufficiente. Questo è molto grave. La scuola è istruzione ma è (dovrebbe essere..) anche e forse soprattutto educazione: educazione al vivere civile, educazione alla conoscenza dei principi di fondo della Costituzione. Più in generale, compito della scuola è l’educazione al culto (uso non a caso questo termine impegnativo) del vero del buono e del bello. L’impegno all’educazione civica non deve valere solo nei confronti di chi viene in Italia da fuori e nulla sa della nostra storia, ma anche per ogni giovane che deve sentirsi cittadino del proprio Paese ed insieme anche cittadino europeo e cittadino del mondo, come abbiamo detto prima.

Forse almeno in parte la scarsa propensione degli insegnanti a parlare di questi temi è dovuta al timore di sembrare politicamente schierati e di essere tacciati di parzialità nei confronti di giovani ignari. Il timore è comprensibile ed anche condivisibile. Ma da un lato è vero che l’atteggiamento di fondo di un docente quasi sempre il giovane lo percepisce anche senza dichiarazioni esplicite; dall’altro lato va detto che non si tratta di fare propaganda politica in senso stretto, questo assolutamente no, bensì di aiutare i giovani a ragionare sui fatti della storia di oggi, sul modo in cui questi possono venir comunicati e spesso anche profondamente deformati dal circuito mediatico e dalla stampa. Occorre fornire gli strumenti che permettano di valutare sia ciò che l’Unione europea già ora rappresenta nella realtà, sia ciò che essa può in prospettiva significare per il mondo di domani: nelle ambizioni, nelle scelte, nella cultura, nel contesto di un mondo globalizzato. È giusto e necessario ragionare su questi temi anche a scuola.

Conclusione[modifica]

Marco Credo di avere elementi per rispondere a chi dei miei amici mi dice “la politica non mi interessa”; a chi mi aveva detto “non voterò all’elezione europea del 2019”; e a chi mi ha dichiarato che andrà a votare “contro l’Europa”. Mi permetta di chiederLe un’ultima cosa: come condensare in poche parole il perché di un necessario impegno di ognuno, in particolare di ogni giovane, per la politica e per l’Europa?

Aps Ognuno di noi deve sentirsi non solo quale individuo che cerca di realizzare al meglio il proprio percorso di vita e di lavoro, ma anche quale cittadino del suo Paese, dell’Europa e del mondo, cioè “cosmopolita”, benché la stragrande maggioranza di noi e di voi non abbia scelto né sceglierà di fare della politica la sua professione. L’Europa ha in sé elementi di cultura e di progettualità per un futuro di pace e di benessere che potranno risultare determinanti anche a livello globale, ma solo se ci sarà un’unione politica federale entro il nostro Continente. Mai prima d’ora si era tentato di dar vita pacificamente ad un’unione di Stati-nazione che per secoli si erano combattuti, pur facendo parte di una medesima civiltà. Il punto d’arrivo è ormai prossimo. Persino l’ideale supremo di un’unione politica del genere umano sotto il segno della libertà e della democrazia non è più solo un sogno remoto, che si dissolve al risveglio. Ci sono segnali di un processo costruttivo ormai avviato. L’Europa può essere determinante nel tentare di trasformare l’utopia in realtà concreta.

Marco Dunque, un’utopia realizzabile?

Aps Fallire, come è accaduto per tante civiltà anche gloriose del passato, o invece arrivarci, completare la cattedrale – non dimentichiamolo, la cattedrale è già una realtà – questo dipenderà in gran parte da voi giovani, dalla vostra generazione. Per riuscire ci vorrà non solo la pressione degli interessi pro-europei, non solo la forza della ragione, ma la passione di chi crede che un futuro di pace e di benessere per tutti, in Europa e nel mondo, siano ideali raggiungibili, nei quali e per i quali vale la pena di credere e di lavorare.