Libro Rodano Disoccupazione

Da EU wiki.
Copertina
Giorgio Rodano
La disoccupazione
Laterza - ISBN 9788842056232 - Bari, 1998 - 174 pagine - Libro 7€
https://www.laterza.it/index.php?option=com_laterza&Itemid=97&task=schedalibro&isbn=9788842056232

Giorgio Rodano ha avuto, presso la Facoltà di Scienze Politiche dell'Università di Roma "La Sapienza", l'affidamento dell'insegnamento di Politica Monetaria. Dal 2009 è titolare degli insegnamenti di Istituzioni di Economia e di Macroeconomia presso il Corso di Laurea di Ingegneria gestionale della Facoltà di Ingegneria dell'informazione. Dall'anno 2011-12 è docente in quiescenza con contratto di insegnamento presso il Dipartimento di Ingegneria informatica. È socio della Società Italiana degli economisti e della American Economic Association.

Il volume spiega in modo chiaro e didattico, tutti gli aspetti che riguardano il mondo del lavoro e la disoccupazione. Descrive le statistiche e le teorie, mettendole a confronto con i fatti reali. Anche se tratta la materia in modo generale, approfondisce il discorso riguardo all'Italia. Il volume è del 1998, ma purtroppo non ha perso affatto la sua attualità.

Estratto

(pag. 140) Come abbiamo fatto propria la lezione di Smith, abbiamo cioè fatto affidamento sui meccanismi del mercato, sulla capacità della «mano invisibile» di creare nuovi posti di lavoro, così dobbiamo appropriarci anche di quella di Keynes: con le sue sole forze il mercato non è in grado di garantire una piena occupazione stabile e di buona qualità. Per questo il mercato va aiutato a realizzare questo obiettivo. E non va aiutato una volta ogni tanto, quando si manifesta un’emergenza. Credo che ormai sia chiaro che quando qualcosa si rompe nel mercato e, più in generale, nella capacità dell’economia di produrre posti di lavoro al ritmo necessario, il processo di aggiustamento è tutt’altro che rapido: abbiamo visto che esso può richiedere anni, se non addirittura decenni.

C’è bisogno allora che la politica sorvegli l’andamento dei mercati con attenzione e lungimiranza, senza attendere il momento dell’emergere delle difficoltà, quando «i buoi sono già scappati» ed è troppo tardi per ottenere risultati nel breve periodo. La politica deve perciò «predisporre un assetto permanente, orientato all’obiettivo di una disoccupazione involontaria tendenzialmente nulla e di un’occupazione di buona qualità: un assetto analogo a quello che la politica monetaria si è da tempo data per la stabilità dei prezzi» (P. Ciocca). Certo, oggi non si deve neppure essere keynesiani in modo ingenuo, come lo erano molti governi e molti economisti negli anni sessanta, quando si pensava che la regolazione della domanda aggregata, con gli strumenti della politica monetaria e della politica di bilancio, fosse la soluzione di tutti i problemi. Parafrasando Marx, si può dire che una politica permanente per la piena occupazione è «una faccenda maledettamente seria e complicata». Non ci si può illudere che essa dia risultati tangibili nel breve periodo, soprattutto se si parte, come oggi, da una disoccupazione particolarmente elevata.

Serve - anche se non basta - la politica macroeconomica. Soprattutto non va intesa in modo vecchio, come fine tuning del livello della domanda aggregata. Essa deve essere finalizzata ad assicurare il più possibile le condizioni generali che consentono la crescita nella stabilità, perché appunto queste sono le condizioni in cui le imprese sono disposte a investire in occupazione: perciò si deve curare il livello della domanda effettiva, ma si deve fare attenzione anche e soprattutto alla stabilità dei prezzi, e al buon funzionamento dei mercati finanziari e del credito.

La politica macroeconomica degli anni sessanta si basava sull’idea che ci fosse un tradeoff, un’alternativa, tra disoccupazione e inflazione: si poteva ridurre la prima pagando un costo in termini della seconda (quanto più l’economia è «calda», tanto più impiega lavoro e riduce perciò la disoccupazione, ma al tempo stesso tanto più tende a far aumentare i prezzi). Nel gergo degli economisti questo tradeoff è sintetizzato nella «Curva di Phillips», una relazione decrescente tra tasso di disoccupazione e tasso di inflazione. L’idea che ispirava le politiche macroeconomiche era appunto che la società poteva ben sopportare un po’ di inflazione per avere una disoccupazione bassa. Sappiamo come è andata a finire quando sul sistema economico si sono scaricati, in rapida successione, gli shock dei primi anni settanta: l’inflazione è esplosa e il tradeoff è andato a rotoli.

L’idea di sfruttare il tradeoff «comprando» minor disoccupazione «pagandola» con maggiore inflazione era sbagliata non solo perché lasciava il sistema disarmato di fronte al verificarsi di shock improvvisi e inattesi. Era sbagliata anche perché tutti i soggetti si abituavano a considerare l’inflazione come un modo facile per risolvere i problemi e le controversie, e si comportavano di conseguenza. Questo valeva per tutti, lavoratori, sindacati e imprese, governi e consumatori. I lavoratori e i loro rappresentanti chiedevano aumenti (perché i prezzi aumentavano) e le imprese li concedevano (perché si sarebbero rifatte aumentando i prezzi). I governi «drogavano» l’attività produttiva con l’inflazione e uno degli effetti di questa «droga» era che l’uso del lavoro diventava rigido. Dal canto loro, i consumatori si rassegnavano a un mondo di prezzi crescenti, e non assolvevano perciò al loro ruolo, fondamentale per il funzionamento della concorrenza, di soggetti che cercano di acquistare ai prezzi più bassi.

Oggi ci stiamo abituando a vivere in un mondo in cui l’inflazione è bassa, quasi nulla. E questo favorisce un cambiamento di tutti i comportamenti: dei lavoratori, che sono molto più disponibili a un uso flessibile della forza lavoro; dei sindacati, che sanno di non poter contare più sull’inflazione; delle imprese, che non possono più fare affidamento, per restare competitive, sull’aumento dei prezzi; dei consumatori, che ricominciano a far funzionare la concorrenza; degli stessi governi. Usando di nuovo il gergo degli economisti, si può dire che sta avvenendo un «mutamento del regime economico»: le economie dei paesi dell’Occidente si sono «disintossicate» dall’inflazione. Naturalmente c’è il rischio di ricadere nel vizio. Perciò, come si diceva prima, c’è bisogno di una sorveglianza permanente della politica economica, che vigili sulla situazione integrando le politiche macroeconomiche con quelle microeconomiche e con quelle istituzionali.

(pag. 156) Per concludere ci resta soltanto da riflettere un momento sulla seconda domanda importante con cui si è aperto quest’ultimo paragrafo: la società fa tutto quello che è possibile per combattere la piaga della disoccupazione?

La risposta che si è portati a dare è negativa. Ci si può semplicemente richiamare ai dati di fatto, e osservare quel che è sotto gli occhi di tutti: c’è chiaramente troppa disoccupazione perché essa possa essere considerata il frutto del funzionamento efficiente del mercato e delle istituzioni. Ma se tutti sono d’accordo sul fatto che la disoccupazione è un male, perché non si fa di più per combatterla? Ci sono due risposte. La prima è che non esiste un accordo, neppure tra gli studiosi, su quali siano le cure più efficaci. Ma questa è la minore delle difficoltà, perché sull’efficacia di determinati interventi e di determinate riforme un accordo potrebbe essere raggiunto in modo relativamente agevole.

C’è però una seconda difficoltà, ed è dovuta al fatto che qualsiasi intervento e qualsiasi riforma, anche se beneficia la società nel suo complesso, comporta sempre dei costi, che qualcuno deve pagare, arreca sempre degli svantaggi. È vero che se l’intervento è buono i vantaggi sono tali da compensare largamente i costi, ma nonostante ciò esso non verrà effettuato se il numero dicoloro che risultano svantaggiati è maggiore di quello di coloro che risultano avvantaggiati. Come sappiamo, in democrazia contano i voti, e un programma che aiuti concretamente i disoccupati a trovare lavoro o almeno a inserirsi positivamente nel tessuto sociale, ma che per ottenere questo risultato colpisca, come è inevitabile, alcune posizioni costituite, e faccia pagare il costo dell’intervento sulla maggioranza dei cittadini, potrebbe incontrare un’opposizione insormontabile.

Come osserva il rapporto del Cepr, uno degli studi più seri sul problema del lavoro in Europa, «benché la disoccupazione sia un’esperienza dolorosa per un vasto numero di persone, queste rappresentano pur sempre una minoranza male organizzata che ha relativamente poco impatto sulle decisioni politiche. La maggioranza dell’elettorato è costituita da individui con un’occupazione e che non corrono grandi rischi di rimanere senza lavoro». È un po’ triste concludere queste pagine con un’annotazione pessimistica che ci riporta alla denuncia di Swift con cui queste pagine si sono aperte. Non siamo a quel punto, non è vero cioè che la società non si cura affatto dei poveri e dei disoccupati. Forse, però, c’è un po’ di vero nella tesi che la società non se ne cura abbastanza, perché un impegno più serio e concreto (che pure farebbe guadagnare la società in termini di efficienza, equità e coesione) viene giudicato troppo costoso da una maggioranza di cittadini che, per fortuna o per virtù, non deve vivere l’esperienza della disoccupazione sulla propria pelle, e non è disposta a rinunciare neanche a una piccola parte della propria ricchezza.


Indice

Un problema vecchio. Un problema nuovo

Un problema che viene da lontano - Due soluzioni imperfette - I costi della disoccupazione

Chi cerca lavoro

Quanti sono i disoccupati italiani? E all'estero? - I disoccupati stanno aumentando - Nord e Sud. Maschi e femmine. Giovani e persone mature - Il titolo di studio - La durata della disoccupazione - Chi è che cerca lavoro - Le misure a favore del disoccupato

E chi ce l'ha

Le forze di lavoro - L'occupazione in Italia - L'evoluzione temporale dell'occupazione

La teoria del mercato del lavoro

Un modello semplificato - La piena occupazione - I contratti - Potere di mercato e distribuzione del reddito - Spinta salariale, rigidità e regolamentazione

Le teorie della disoccupazione

La disoccupazione classica - La disoccupazione keynesiana - La disoccupazione strutturale - I nessi fra i tre tipi di disoccupazione

Spiegare la disoccupazione di oggi

I mercati del lavoro sono rigidi? - Un po' di storia: la fine della «golden age» - Il seguito della storia - Il caso italiano

Prospettive e rimedi

Le prospettive - Che fare? - Il problema della flessibilità - Lavorare meno per lavorare tutti? - Per concludere: due domande importanti

Nota bibliografica