Aps Linee di riforma costituzionale dell’Unione europea

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Antonio Padoa-Schioppa
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Queste pagine sono state diffuse online nel dicembre 2013 nel sito del Centro Studi sul federlismo in versione inglese e riedite nel volume di Antonio Padoa-Schioppa, Verso la federazione europea? Tappe e svolte di un lungo cammino, Bologna, Il Mulino, 2015, pp. 499-516.

Premessa[modifica]

A più riprese nel corso degli ultimi anni la prospettiva di una riforma dei Trattati, che sembrava accantonata dopo la laboriosa gestazione del trattato di Lisbona, è tornata attuale, evocata come necessaria anche da diversi governi dell’Unione, tra i quali quello tedesco: da quando la crisi economica ha messo a rischio la stessa sopravvivenza dell’euro ed ha determinato un drammatico calo della crescita e dell’occupazione, quale non si conosceva dagli anni Trenta del Novecento.

Le pagine che seguono hanno lo scopo di indicare le linee di una riforma futura, tale da porre in una condizione stabile di efficienza e di legittimzione democratica sia l’Unione nel suo complesso, sia il nucleo formato dai Paesi dell’Eurozona, nonché aggregazioni ulteriori di Paesi membri dell’Unione più ampie o più ristrette rispetto all’Eurozona, ma comunque non coindicenti con tutti i membri dell’Unione stessa.

Le riforme qui ipotizzate possono venire realizzate, a seconda delle materie e delle funzioni, sulla base di diverse procedure. Alcune di esse non richiedono modifiche dei Trattati in vigore e possono venire conseguite sulla base delle norme esistenti, in particolare ricorrendo alla disciplina delle cooperazioni rafforzate o a quelle sui poteri impliciti (art. 352 TFUE) o relative all’euro (art. 136 TFUE). Altre richiedono invece innovazioni normative da ottenere con le procedure previste dall’art. 48 del Trattato sull’Unione europea (TUE). Infine è possibile ipotizzare una via ulteriore, che porti ad uno o più nuovi trattati concernenti soltanto alcuni Paesi membri dell’Unione, come è avvenuto con il Fiscla Compact e con L’ESM.

Per ciascuna di queste ipotesi i tempi di realizzazione sono diversi. Mentre la’ttivazione di riforme possibili entro i trattati esige, dal punto di vista formale, semplicemente la volontà politica di realizzarle da parte di un congruo numero di Paesi membri, la modifica dei trattati comporta la ratifica di tutti e dunque un tempo di attuazione di diversi anni, come l’esperienza dimostra. Anche il varo di uno o più nuovi trattati tra alcuni membri dell’Unione richiede tempi non brevi, perché appare verosimile che essa venga intrapresa soltanto quando si sia rilevato che la modifica dei trattati sulla base dell’art. 48 TUE non sarebbe comunque condivisa da tutti i Paesi membri.

Un elemento ulteriore deve essere inoltre messo in rilievo in limine. Le riforme costituzionali dell’Unione che qui si prospettano si fondano sul presupposto che alcune posizioni ideologiche tuttora largamente diffuse sulla sovranità concepita come attributo esclusivo dello Stato nazionale vengano riconosciute come semplicemente errate in linea di principio, oltre che già smentite dalla realtà politica a livello nazionale ed europeo. Gli Stati membri dell’Unione non sono già più sovrani in una serie di funzioni e di competenze importanti. Le linee di riforma mirano dunque a completare al livello dell’Unione una tendenza già in atto, imposta dalla realtà ineludibile della globalizzazione del pianeta, in pari tempo salvaguardando nella misura più ampia possibile – sulla base del principio di sussidiarietà presente nei trattati – le identità nazionali e locali nonché l’autonomia degli Stati nazionali.

Due livelli normativi dell’ordinamento dell’Unione[modifica]

La riforma dei trattati dell’Unione europea dovrebbe mirare al conseguimento di un doppio obbiettivo sinora mancato: quello di assicurare all’UE una costituzione stabile, in pari tempo rendendo possibili futuri interventi minori di adeguamento normativo con procedure sufficientemente snelle.

Sembra necessario ipotizzare a questo fine un assetto giuridico e istituzionale dell’UE che si fondi sulla geometria a due livelli già adottata dalla Convenzione del 2003 ed in parte presente anche nell’attuale binomio tra il Trattato dell’Unione europea (TUE) e il Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE).

Il livello superiore, di natura costituzionale (TCE), dovrebbe contenere: a) i principî sui quali si fonda l’UE, i profili fondamentali delle sue istituzioni, le regole per le future riforme istituzionali; b) la Carta dei diritti dell’UE. Il livello inferiore, che regola il funzionamento dell’Unione, dovrebbe includere l’attuale TFUE con le riforme che l’UE richiede in questa fase e richiederà nelle fasi ulteriori.

Per entrambi i livelli, il nuovo Trattato dovrebbe, per le future modifiche: a) attribuire il ruolo di proposta sia al Consiglio Europeo (CE), sia alla Commissione, sia al Parlamento europeo (PE); b) assegnare il ruolo di codecisione al CE e al PE.

Le eventuali modifiche future del Trattato superiore (TCE) dovrebbero avvenire con procedure più complesse e con maggioranze qualificate più alte rispetto alle future modifiche del Trattato del secondo livello (TFUE).

Si può ipotizzare che le modifiche del TCE entrino in vigore dopo la ratifica di una maggioranza superqualificata di Stati membri, calcolata con il doppio parametro del numero degli Stati e della popolazione complessiva (ad esempio i 2/3 o i 3/4 dell’una e dell’altra). Le modifiche del TFUE (purchè non in contrasto con quanto stabito dal TCE) potrebbero invece entrare in vigore senza bisogno di ratifiche nazionali, al raggiungimento di una maggioranza qualificata entro il CE che rappresenti un’analoga maggioranza della popolazione dell’UE (ad esempio la maggioranza assoluta o i 2/3 del CE e della popolazione).

Nel nuovo Trattato il recesso di uno o più Stati membri (art. 50 TUE) non dovrebbe essere consentito.

Per gli Stati membri dell’UE eventualmente non aderenti a nuovo Trattato, per i Paesi dell’Europa orientale e per Paesi del Mediterraneo dovrebbero essere previste geometrie istituzionali di adesione, ben differenziate quanto al livello di coordinamento e di integrazione rispetto alla nuova Unione europea.

Forme di coordinamento inclusive di particolari procedure di decisione e di attuazione delle decisioni potrebbero venir stabilite per le Regioni transfrontaliere con caratteristiche gegrafiche ed economiche comuni (regioni alpine, coste marine).

Principî[modifica]

Le riforme istituzionali qui delineate sono coerenti con i principî fondamentali contenuti nella Carta dei diritti e nel TUE: dignità, libertà, uguaglianza, solidarietà, cittadinanza, giustizia, cui andrebbe aggiunto il diritto alla pace. Le riforme si basano su tre pilastri fondamentali dell’ordine giuridico dell’Unione, tutti ormai sanciti nei Trattati:

  • sussidiarietà (come mezzo per attuare congiuntamente gli obbiettivi del minimo governo, del livello di governo adeguato al problema da risolvere, del governo più prossimo al cittadino);
  • efficienza (possibile se le regole sono tali da assicurare la concreta possibilità di decidere, dunque adottando in via generale il principio maggioritario, che l’esperienza dei secoli ha mostrato essere il solo in grado di permettere ad un collegio di assumere decisioni nell’àmbito delle proprie competenze quando i suoi componenti sostengano posizioni divergenti);
  • democrazia fondata sulla sovranità popolare (che al livello europeo è possibile solo attribuendo al Parlamento europeo eleto a suffragio universale pieni poteri di codecisione legislativa, di bilancio e di controllo sul governo dell’Unione). I canali di democrazia diretta istituita con l’art. 11 TUE debbono restare aperti.

Le istituzioni dell’UE[modifica]

Parlamento europeo[modifica]

Al Parlamento europeo dovrebbero essere attribuiti, accanto alle funzioni previste dai trattati attuali:

a) il potere di codecisione per tutte le decisioni di natura legislativa dell’UE, incluse le proposte di riforma della costituzione europea e del trattato TFUE;

b) il potere di introdurre imposte al livello europeo, in codecisione con il Consiglio europeo;

c) il potere di deliberare una quota di debito (borrowing capacity) entro limiti prestabiliti dai trattati e con destinazione ad investimenti su beni comuni europei sulla base del pprincipio di sussidiarietà;

d) il potere di bilancio relativo all’ammontare e alla destinazione delle risorse proprie dell’UE, in codecisione con il Consiglio e (per la programmazione pluriennale relativa alle risorse trasferite dai bilanci nazionali) con la cooperazione dei parlamenti nazionali;

e) il potere di iniziativa legislativa nei casi nei quali l’invito rivolto alla Commissione perché predisponga un progetto di legge non sia stata raccolto;

f) la delineazione degli indirizzi di politica estera e di sicurezza comune e lo stanziamento delle correlative risorse finanziarie;

g) la designazione del presidente della Commissione e il voto di fiducia alla Commissione in codecisione con il Consiglio europeo.

La procedura di decisione che impone la maggioranza assoluta dei componenti del PE per la codecisione legislativa e per le nomine dovrebbe essere limitata a poche materie di particolar rilievo costituzionale.

Le procedure parlamentari, le forme e i limiti dei poteri normativi delle singole Commissioni del PE sono da stabilire con regolamento dello stesso PE, approvato a maggioranza qualificata.

Un termine perentorio dovrebbe essere stabilito per il varo della normativa sulla legge elettorale uniforme (art. 223 TFUE), anch’essa da deliberare in codecisione tra PE e Consiglio a maggioranza qualificata.

Il nuovo trattato potrà rivedere la distribuzione dei seggi del PE tra gli stati membri, attenuando (ma non necessariamente eliminando del tutto) la sovra-rappresentazione degli Stati più piccoli rispetto ai maggiori, che peraltro si riscontra spesso anche a livello nazionale.

Nelle decisioni relative all’Eurozona e nel quadro della cooperazione rafforzata adottata per un gruppo di Paesi più largo o più ristretto rispetto all’Eurozona il Parlamento europeo deve essere coinvolto in sede normativa (il che già è possibile: cf. art. 333 TUE). In tal caso la discussione potrebbe svolgersi in composizione plenaria, sia nelle Commissioni che in Aula, ma il potere di voto dovrebbe essere limitato ai parlamentari eletti nei Paesi che partecipano all’iniziativa adottata solo da essi e non dall’intera Unione[1].

Consiglio europeo[modifica]

Il Consiglio europeo deve mantenere il ruolo di massimo organo di propulsione politica dell’UE, una sorta di presidenza collegiale dell’Unione. Esso deve continuare ad esercitare anche una diretta funzione di governo, specie in politica estera e di sicurezza, in sinergia con la Commissione e senza creare un secondo apparato burocratico in seno all’Unione.

Per tutte le decisioni del Consiglio europeo – proposte e decisioni relative a nuove leggi, azioni, nomine, riforme future dei trattati – deve valere il principio delle decisioni a maggioranza, con il doppio computo del numero degli Stati e della popolazione: maggioranza semplice, qualificata, superqualificata a seconda delle materie.

A presidente del CE potrebbe venire nominato, a maggioranza qualificata, lo stesso presidente della Commissione, come d’altromde già è possibile in base all’attuale TUE. Tale soluzione avrebbe il doppio vantaggio di assicurare congiuntamente sia quell’unità di guida e quella personalizzazione del potere di comando che sono proprie delle democrazie attuali, sia il mantenimento di un regime in cui il capo dell’esecutivo viene scelto con elezione di secondo grado dalle due Camere degli Stati e dei cittadini, in coerenza con l’esito delle elezioni del PE, come già stabiliscono i trattati[2].

Consiglio dei ministri[modifica]

Per tutte le decisioni del Consiglio dei ministri deve valere il principio maggioritario, con maggioranza semplice o qualificata a seconda delle materie.

Sulla procedura da adttre per il Consiglio dei ministri in sede leglslativa si può ipotizzare, in alternativa, che le sedute siano pubbliche, o che i verbali siano resi pubblici entro un termine stabiito, o che invece si mantenga l’assetto attuale. La seconda delle tre soluzioni prospettate potrebbe essere preferibile per garantre ad un tempo maggior trasparenza ma anche libertà di discussione, al riparo da rischi di dformazioni e forzature ad uso politico interno.

È possibile inoltre ipotizzare una futura riforma che accentui la configurazione del Consiglio dei ministri quale seconda Camera dell’Unione integrando i ministri dei singoli Stati membri con un esponente del relativo Parlamento nazionale, scelto da questo e appartenente all’opposizione o comunque a una diversa famiglia politica rispetto al ministro.

Commissione[modifica]

La Commissione deve divenire il vero governo dell’UE, in sinergia come si è detto con il Consiglio europeo che manterrebbe il ruolo di massimo propulsore politico dell’Unione: una sinergia che sarebbe fortemente potenziata ove le due presidenze venissero conferite alla medesima persona.

Le funzioni di controllo e di “guardiano dei trattati” che pure sono proprie della Commissione potrebbero venire in parte affidate ad Agenzie speciali, responsaibili di fronte alla stessa Commissione. La quale, a differenza di quanto spesso si sostiene esercita da sempre anche una funzione propriamente politica, in quanto le spetta l’esclusiva del potere di iniziativa legislativa, che è funzione politica per eccellenza.

Tale fuzione di iniziativa legislativa potrebbe venire mantenuta per la Commissione, affidando tuttavia sia al Parlamento europeo che ai due Consigli il potere di presentare a loro volta progetti legislativi ove il loro invito in tal senso alla Commissione sia rimasto senza séguito.

Il principio sancito dai trattati, per il quale il presidente della Commissione deve ottenere il voto positivo sia del Consiglio europeo che del Parlamento europeo, deve essere mantenuto. La necessità di tale doppio consenso si fonda sulla doppia legittimazione dell’Unione, quella dei popoli e quella degli stati nazionali.

La procedura attuale privilegia tuttavia, nella designazione del presidente, il ruolo del Consiglio europeo rispetto al Parlamento europeo, anche se è vero che il trattato di Lisbona prescrive che si debba tener conto del risultato delle elezioni europee. In prospettiva, sembra invece necessario istituire un equilibrio migliore tra i due organi. Si potrebbe ipotizzare che il Consiglio possa scegliere entro una rosa di nomi indicata dal PE, ovvero che il Parlamento europeo scelga il presidente della Comissione entro una rosa di nomi indicati dal Consiglio, ovviamente a maggioranza, anche tenendo conto del risultato delle elezioni. Questa seconda opzione sembrerebbe preferibile, specie se si adottasse il criterio, sopra suggerito, di eleggere alla presidenza del Consiglio europeo lo stesso presidente della Commissione.

La Commissione dovrebbe ottenere la fiducia dal Parlamento europeo. I singoli Commissari sono scelti dl presidente designato, la censura con obbligo di dimissioni dovrebbe essere possibile sia nei confronti del presidente (nel qual caso l’intera Commissione si deve dimettere) sia nei confronti di ogni singolo commissario, che sarà in tal caso sostituito ottenendo la conferma da parte del PE.

Il numero dei commissari potrà venire ridotto, con un ragionevole meccanismo di rotazione tra gli Stati membri grandi e piccoli, fermo rimanendo il principio che ogni commissiario agisce come ministro dell’Unione e non come esponente del suo stato nazionale.

I Commissari designati, rispettivamente, a) per l’economia, la fiscalità e il tesoro europeo, b) per la politica estera, c) per la difesa e la sicurezza interna ed esterna dell’Unione dovranno venire designati di comune intesa tra Consiglio europeo e Presidente della Commissione.

Corte di Giustizia[modifica]

La Corte di Giustizia manterrebbe le attuali funzioni nella sua articolazione su due livelli. Le funzioni di Corte costituzionale dell’Unione sarebbero esercitate solo al livello superiore e potrebbero (anzi dovrebbero) includere il potere di abrogare le leggi nazionali in contrasto con il Trattato costituzionale dell’Unione (TUE o TCU) e con il Trattato sul funzionamento dell’Unione (TFUE).

Parlamenti nazionali[modifica]

Sono chiamati a cooperare con il Parlamento europeo nella programmazione pluriennale delle risorse del bilancio dell’UE, per la parte relativa al trasferimento di fondi e di quote d’imposta dal bilancio nazionale al bilancio dell’Unione.

Bilancio, fiscalità dell’Unione, Banca centrale europea[modifica]

In coerenza con quanto detto sopra, un caposaldo delle riforma dovrebbe consistere nell’attribuire le decisioni relative alla risorse proprie dell’Unione (art. 311.3 TFUE) alla codecisione del Parlamento europeo e del Consiglio a maggioranza qualificata o superqualificata.

Il quadro finanziario pluriennale (art. 312.2 TFUE) dovrebbe essere redatto anch’esso attraverso la codecisione di Consiglio e PE, coinvolgendo anche i Parlamenti nazionali o nella forma di una convenzione-assise, o mediante un mandato conferito da ciascun Parlamento al proprio governo, che deciderà in Consiglio attenendosi ad esso.

Il trasferimento dal livello nazionale al livello europeo di determinate quote di imposte (ad esempio IVA) o di determinate quote di bilancio (ad esempio in tema di spese per la difesa) dovrebbe avvenire con la medesima procedura: codecisione di Consiglio e PE, coinvolgimento dei Parlamenti nazionali in una delle due forme citate.

In entrambi i casi, le decisioni verrebbero assunte in sede europea e sarebbero vincolanti per tutti gli Stati membri se la codecisione del Consiglio e del PE – a maggioranze qualificate o superqualificate – saranno raggiunte.

Il bilancio annuale dell’UE (art. 314 TFUE) può mantenere le procedure attuali.

L’Unione deve poter istituire una propria fiscalità (ad esempio: carbon tax, tassa sulle transazioni finanziarie) mediante la procedura di codesione del PE e del Consiglio a maggioranza qualificata o superqualificata. Parimenti, l’Unione deve poter disporre di un prorio Tesoro.

Alla Banca centrale europea deve essere riconosciuto il ruolo di pagatore di ultima istanza (last resort lender), essenziale anche ai fini della stabilità.

Lo stesso criterio di codecisione tra Consiglio e PE deve valere per il necessario coordinamento europeo della fiscalità interna degli Stati membri.

È essenziale che vi siano comparti e poste di bilancio a geometria ristretta (ad esempio in tema di tasse europee, di spese per la difesa con risorse trasferite dai bilanci nazionali, di ESM ed altro), con poteri di decisione e di voto del Consiglio europeo e del Parlamento europeo limitati ai governi e (come si è detto sopra) ai parlamentari dei Paesi che partecipano alle iniziative in questione.

Sia il cd. Fiscal Compact che l’European Stability Mechanism (ESM) debbono venire inseriti nel metodo comunitario con ruoli adeguati per il PE, per la Commissione e per la Corte di Giustizia.

Sarebbe importante stabilire l’obbligo del pareggio del bilancio dell’Unione, depurato dalle oscillazioni del ciclo, assicurando un livello di avanzo primario che consenta di includere, mantenendo il pareggio, anche la spesa per interessi relativi agli investimenti al livello europeo.

Andrebbe valutata l’opportunità di stabilire un tetto massimo del bilancio dell’Unione, ad esempio il 5% del Pil europeo, inclusivo della difesa previo trasferimento delle poste nazionali a ciò attualmente dedicate.

Cooperazioni rafforzate e doppia geometria istituzionale[modifica]

Una questione fondamentale riguarda l’opportunità o meno di mantenere anche nel regime istituzionale di un nuovo Trattato la procedura delle cooperazioni rafforzate e strutturate (CR, CS). Da un lato si può sostenere, con indubbia coerenza, che l’adozione generalizzata della codecisione e del principio maggioritario implica che le decisioni regolarmente assunte entro l’UE impegnino sempre e comunque anche i dissenzienti. D’altro lato si può ritenere che la prassi di procedere ad ulteriori riforme con avanguardie - seguita costantemente sinora dall’UE (si pensi alla politica sociale, a Schengen, all’euro) - meriti di non venire rimossa.

Questa seconda tesi ci sembra preferibile. Ma a tre condizioni: a) che la geometria ristretta avvenga in modo tale che non venga messo a rischio il mercato unico alterando in modo strutturale le regole della concorrenza e del commercio internazionale; b) che oneri e vantaggi derivanti da decisioni assunte solo da alcuni governi nel Consiglio (ad esempio sulle risorse proprie o sulla fiscalità europea) siano a carico o a vantaggio dei soli Stati membri che vi hanno aderito; c) che in questi casi nel Parlamento europeo venga riservato il diritto di voto ai soli parlamentari degli Stati membri partecipanti alla nuova iniziativa, in analogia con quanto previsto per la CR (art. 330 TFUE).

Un specifica dimensione anche istituzionale è già operante per l’Eurozona, con esplicito riconoscimento nei trattati attuali e nei due trattati in corso di approvazione sul Fiscal Compact e sull’ESM . Regole analoghe dovrebbero valere per la difesa comune.

Dal momento che è altamente improbabile (per non dire escluso) che la Gran Bretagna accetti di portare l’Unione al livello di una federazione compiuta accrescendo la sovranazionalità, generalizzando il principio delle decisioni a maggioranza e accettando un ruolo accresciuto del PE, se si vuoe mantenere un quadro istituzionale unico occorre prevedere una doppia geometria di regole, quelle valide per tutti i 28 Stati membri – magari anche accettando per loro un’attenuazione della sovranazionalità, come vorrebbero gli inglesi – e quelle valide per chi abbia accettato le riforme, anzitutto per il Paesi dell’Eurozona e per chi ci starà.

Questo è in parte già possibile adottando le regole di Lisbona sulla cooperazione rafforzata, inclusive dell’art. 333 che consente il passaggio alla procedura legislativa ordinaria e dunque attribuisce un ruolo poteniale accresciuto anche al PE. Ma il nuovo Trattato dovrà andare più in là e imporre in via generale la codecisione legislativa, il principio maggioritario, la capacità fiscale del PE, la difesa comune e le altre innovazioni di cui sopra.

Tali regole (principio maggioritario e doppia legittimazione da parte del PE e da parte dei due Consigli, europeo e dei ministri, in formazione ristretta ai Paesi partecipanti) dovranno valere anche all’interno del gruppo che adotti la cooperazione rafforzata, cioè entro il nucleo federale dell’Unione: al suo interno decideranno i due Consigli in formazione ristretta e il Parlamento europeo con diritto di voto per i soli Paesi partecipanti.

Difesa comune[modifica]

Il principio della cooperazione strutturata, già presente nei trattati (art. 42.6 TUE), dovrebbe divenire la base della futura difesa comune, ove non vi fosse la disponibilità di tutti gli Stati membri ad istituirla sin dall’inizio per tutti. Gli Stati disponibili dovrebbero essere tenuti a trasferire all’UE una parte maggiore (se non la totalità) delle risorse di bilancio attualmente allocate alla difesa nazionale, eventualmente riducendone l’importo in proporzione con le economie di scala rese possibili dalla molto maggiore efficienza della gestione comune.

L’impiego di tali risorse dovrebbe venire regolato secondo i principî della codecisione tra PE e Consiglio, entrambi deliberanti a geometria ristretta (votano solo i ministri e i parlamentari della cooperazione strutturata) secondo quanto detto per la cooperazione rafforzata.

Un commissario nominato congiuntamente dal Consiglio europeo e dal PE svolgerebbe le funzioni di ministro della difesa.

Direttrici cosmopolitiche planetarie[modifica]

Già oggi, e da tempo, l’Unione europea è all’avanguardia nel privilegiare un’impostazione cosmopolitica e planetaria di materie che (in coerenza con il principio di sussidiarietà) non possono trovare soluzioni adeguate se non in un quadro globale.

Ciò riguarda la tutela della pace, con gli strumenti di peace enforcing e di peace keeping; il commercio internazionale; il controllo degli armamenti, in particolare quello delle armi nucleari; il controllo del clima e le politiche di contrasto del riscaldamento globale del pianeta; gli investimenti nelle energie alternative; la tutela della biodiversità; la reazione contro i genocidii; un sistema monetario mondiale con le relative istituzioni.

Sono obbiettivi conseguibili attraverso istituzioni e agenzie internazionali: dall’Onu al Wto, dal Tribunale penale internazionale al Tribunale del mare, dal Fmi alla Banca mondiale e ad altre Agenzie internazionali.

Il nuovo trattato dell’UE potrebbe includere: a) una clausola generale analoga all’art. 11 della Costituzione italiana, contenente la disponibilità a cedere a istituzioni planetarie, a cominciare dall’Onu, quote di sovranità dell’UE in base al principio di sussidiarità; b) l’obbligo di istituire (entro una data da concordare) una rappresentanza unitaria dell’Unione europea nel Consiglio di sicurezza dell’Onu e nel Consiglio del Fmi; o, in alternativa, l’impegno quanto meno della Francia di portare nel Consiglio di sicurezza le posizioni approvate dal Consiglio europeo a maggioranza qualificata; c) l’indirizzo di una riforma dell’Onu che modifichi il regime dell’Assemblea, che promuova l’attuazione anche a geometria ristretta dell’art. 43 della Carta dell’Onu, che riformi il Consiglio di sicurezza introducendo le rappresentanze a livello continentale e rimuovendo il potere di veto; d) l’enunciazione di misure e di tempi di transizione verso il raggiungimento di tali obbiettivi.

Modifica dei trattati o nuovo Trattato?[modifica]

Due sono le vie ipotizzabili per la realizzazione delle riforme dell’Unione europea secondo le linee qui indicate, per quelle regole che non siano contenute nella normativa attuale e che non possano pertanto venire adottate a legislazione immutata anche mediante il ricorso alla cooperazione rafforzata. Per l’adozione di un nuovo trattato ci si può muovere nel solco della normativa in vigore, ovvero si può dare vita ad un nuovo Trattato.

La prima via è chiaramente delineata all’art. 48 TUE: Progetto presentato dal Parlamento europeo, o dalla Commissione, o da uno o più governi dell’UE; delibera a maggioranza del Consiglio europeo favorevole all’esame delle modifiche proposte e convocazione della Convenzione per l’elaborazione del Progetto; Conferenza intergovernativa (CIG) di approvazione o di modifica o di respingimento del Progetto; ratifica di tutti gli Stati membi dell’Unione secondo le rispettive regole costituzionali. Relativamente agevole nelle prime due fasi, la normativa dell’art. 48 diviene molto rigida nelle fasi ulteriori: la Convenzione deve decidere in base al principio del consenso, che implica l’unanimità; la CIG deve deliberare alla unanimità; la ratifica deve avvenire in tutti gli Stati.

Se per la Convenzione il principio del consenso potrebbe forse interpretarsi come consenso di tutte le sue quattro componenti, e non nel senso che entro ciascuna e poi nella deliberazione conclusiva occorra l’unanimità, invece l’unanimità entro la CIG e l’unanimità delle ratifiche appare un vincolo non superabile, nonostante il fatto che la clausola di riserva dell’art. 48.5 stabilisca un rinvio al Consiglio europeo in caso di ratifica da parte di almeno i quattro quinti degli Stati membri dell’Unione.

Dal momento che il percorso dell’art. 48, con la doppia unimità dei governi e dei Parlamenti nazionali, implica la quasi assoluta certezza che quanto meno la Gran Bretagna e forse qualche altro Stato membro non acconsentiranno a sottoscrivere riforme istituzionali di questa portata, le vie possibili per realizzare un vero Trattato di riforma dell’UE a questo punto sembrano essere tre:

a) l’adozione del Trattato con la clausola dell’opting out da parte degli Stati dissenzienti; l’adozione da prte della Gran Bretagna di tale procedura, già seguita per l’euro a Maastricht, potrebbe forse risultare più agevolmente praticabile ove alla stessa Gran Bretagna il nuovo trattato assicurasse il rimpatrio di alcune competenze non ostative rispetto al mercato unico, o quanto meno alcune nuove clausole di opting out;

b) il varo di un trattato entro il trattato sulla base della Convenzione di Vienna sui trattati internazionali, con il ricorso alla clausola “rebus sic stantibus”;

c) il varo di un nuovo trattato deliberato dagli Stati membri consenzienti, che prospetti la denuncia dei precedenti trattati in quanto inadeguati (per le strettoie dell’art. 48) a raggiungere gli scopi stabiliti dagli stessi trattati in vigore per il perfezionamento dell’UE e la loro sostituzione con un nuovo trattato; e questo può farsi prevedendo o il recesso degli Stati favorevoli al nuovo trattato, o il recesso degli Stati dissenzienti (ad esemio in séguito al risultato negativo di un referendum inglese sulla permanenza entro l’UE), in entrambe le ipotesi con la negoziazione dei rapporti a valle dell’approvazione del nuovo trattato al fine del mantenimento del mercato unico.

Il nuovo trattato potrebbe venir sottoposto, dopo le ratifiche nazionali, ad referendum europeo ed entrare in vigore se approvato da una maggioranza qualificata degli Stati e della popolazione europea.

Note[modifica]


  1. Questa soluzione sembra di gran lunga preferibile rispetto ad altre possibili. Infatti si deve osservare che: a) l’affidamento della funzione di codecisione legislativa, in questi casi, ai parlamenti nazionali o ad un’ulteriore Assemblea composta di rappresentanti eletti in primo o secondo grado a livello nazionale (eccetto che per i casi di cui si dirà qui sotto) snaturerebbe il necessario livello europeo di legittimazione rappresentativa popolare che è il prorpium del Parlamento europeo eletto a suffragio universale, delegittimandone in misura molto grave la rappresentatività democratica; b) l’estensione del potere di voto all’intero PE sarebbe ingiustificata per deliberazioni relative a risorse o ad azioni che riguardano solo l’Eurozona o un gruppo maggiore o minore di Paesi membri (per esempio per la Tassa sulle transazioni finanziarie); c) la partecipazione alla discussione dell’intero PE consentirebbe invece di tener conto delle esigenze dell’UE nel suo insieme.
  2. Questa soluzione – coerente con una struttura costituzionale propria di una federazione di Stati nella forma di una repubblica parlamentare – sembra senz’altro preferibile rispetto a quella di un’elezione del Presidente della Commisione a suffragio universale diretto, che presenta diverse criticità, a cominciare dalla barriera linguistica non ancora rimossa né removibile nel prossimo futuro.