Differenze tra le versioni di "Libro Ricolfi Il sacco del Nord"

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Copertina
Luca Ricolfi
Il sacco del nord. Saggio sulla giustizia territoriale
Guerini e Associati - ISBN 9788862501705 - Milano, 2010 - 271 pagine - Libro 8,50€
https://guerini.it/index.php/il-sacco-del-nord-1.html

Luca Ricolfi, sociologo, è professore ordinario di Psicometria presso la Facoltà di Psicologia dell'Università di Torino, responsabile scientifico dell'"Osservatorio del Nord Ovest", è stato direttore della rivista di analisi elettorale Polena (chiusa nel 2012) e membro dell'EAS (European Academy of Sociology). È inoltre editorialista di La Stampa e cura una rubrica su Panorama. Ha scritto testi universitari di statistica e numerose opere di saggistica riguardanti l'analisi della scena politica italiana.

Il volume è il risultato di una vasta ricerca che mette in luce aspetti della società italiana non indagati dalle statistiche ufficiali. Dal piano dell'opera: "La prima parte spiega perché la contabilita nazionale ufficiale non basta e come possiamo passare a uno schema alternativo, di contabilità nazionale «liberale». I nuclei logici fondamentali della contabilità liberale sono quattro: il concetto di parassitismo netto, che permette di misurare il grado di dipendenza di un territorio dalla spesa pubblica corrente; il concetto di reddito comandato, che permette di valutare il grado di esosità del fisco; il concetto di spreco, che permette di valutare la dissipazione di risorse pubbliche, e quindi l'output effettivo della Pubblica amministrazione; e infine il concetto di potere di acquisto locale, che permette di confrontare i consumi effettivi di territori caratterizzati da differenti livelli dei prezzi."

Queste ricerche permettono di avere una visione più esatta della situazione economica delle Regioni italiane per poter poi programmare le eventuali riforme in modo più efficace. In particolare viene messo in evidenza il rapporto fra il Sud e il Nord Italia.

Estratto

(pag. 133) Da un’analisi diretta della diseguaglianza, ad esempio mediante il classico coefficiente di concentrazione di Gini, si vede che la concentrazione dei redditi è massima nelle tre regioni di mafia (Sicilia, Calabria, Campania) e nel Lazio, ed è minima nelle tre regioni a statuto speciale del Nord, nel Veneto, in Emilia-Romagna e in Toscana. Nonostante la Lombardia, diversamente dalle altre regioni del Nord, abbia un tasso di diseguaglianza relativamente alto (che innalza il grado di diseguaglianza medio del Nord), la diseguaglianza dei redditi aumenta passando dal Nord al Centro, e aumenta ancora passando dal Centro al Sud, fino a raggiungere il suo massimo in Campania. In concreto questo significa che il numero relativamente elevato di famiglie del Sud in difficoltà potrebbe non dipendere dall’insufficienza del reddito disponibile, bensì dal fatto che tale reddito è distribuito in modo più ineguale che al Nord. A parità di reddito medio pro capite, infatti, l’incidenza della povertà dipende in modo cruciale dalla diseguaglianza, che ingrossa sia gli strati superiori sia quelli inferiori, e proprio per quest’ultima via innalza l’incidenza della povertà. Nello stesso tempo è possibile che l’altro fattore di debolezza del Sud, ossia la scarsa quantità e qualità dei servizi pubblici, contribuisca anch’esso a spiegare le difficoltà delle famiglie ad «arrivare alla fine del mese». Una delle funzioni cruciali dei servizi pubblici gratuiti, infatti, è proprio quella di aiutare i soggetti più deboli, ed è quindi del tutto logico che cattivi servizi possano aumentare la quota di famiglie in difficoltà.

Per capire meglio come stanno le cose, abbiamo provato a stimare - con un semplice modello di regressione - in che misura le difficoltà economiche delle famiglie meridionali siano attribuibili all’impatto di tre differenti fattori: a) un minore reddito, misurato con il reddito disponibile effettivo, ossia corretto per la struttura famigliare e il livello dei prezzi; b) una maggiore diseguaglianza, misurata con il coefficiente di concentrazione dei redditi di Gini; c) un minore output dei servizi pubblici. I risultati sono piuttosto netti. L’effetto del reddito disponibile non è statisticamente significativo, mentre sia la diseguaglianza sia l’output dei servizi pubblici spiegano, da soli, il 78% della variabilità delle difficoltà famigliari, che vanno dal minimo della Valle d’Aosta (9% di famiglie in difficoltà) al massimo della Calabria (24% di famiglie in difficoltà). In buona sostanza, questo significa che per colmare il gap che ancora separa i bilanci famigliari del Sud da quelli del Nord basterebbe che il Sud usasse in modo efficiente la spesa pubblica, con conseguente aumento dei servizi pubblici effettivamente resi, e riducesse le sue diseguaglianze interne, ad esempio combattendo il lavoro nero, l’evasione fiscale e gli extra-profitti delle organizzazioni criminali, che tutto fa supporre siano fra i maggiori fattori di diseguaglianza interna della società meridionale. Attualmente le famiglie in difficoltà sono il 14,6% al Nord e il 22,4% al Sud: il nostro esercizio di simulazio ne mostra che quel gap di 7,8 famiglie in difficoltà su 100 si ridurrebbe di 2,7 punti se la diseguaglianza si portasse al livello del Nord, e di 5,1 punti se l’efficienza dei servizi pubblici - a parità di spesa - venisse anch’essa portata al livello del Nord. In tutto fa 7,8 punti (2,7 + 5,1 = 7,8), esattamente l’intero divario da colmare, che dunque si potrebbe annullare semplicemente «normalizzando» i servizi pubblici e riducendo le diseguaglianze interne al Mezzogiorno.

La conclusione, a questo punto, non è che il divario non esista, o che non vi sia molto lavoro da fare per ridurlo. Il prodotto pro capite del Sud è poco più della metà di quello del Nord, e i cittadini meridionali effettivamente ricevono servizi pubblici decisamente inferiori a quelli dei cittadini delle regioni settentrionali. Fin qui la retorica del divario regge. Dove la retorica diventa appunto retorica è quando dà a intendere che il tenore di vita dei cittadini del Sud sia sensibilmente peggiore di quello dei loro concittadini del Nord. Ciò è vero solo per i servizi pubblici, mentre non lo è affatto per i consumi privati, che sono di poco al di sotto di quelli del Nord, e di pochissimo inferiori a quelli medi nazionali.

Altrettanto infondata è la credenza che la povertà sia nel Sud cinque volte più diffusa che al Nord: sia i dati ISTAT sulla povertà assoluta, sia i dati ISAE sulle famiglie in difficoltà mostrano un divario molto più contenuto (1,5 volte, anziché 5). E se proprio vogliamo cercare le origini di tale divario, l’analisi dei dati rivela che esse non stanno certo nell’insufficienza del reddito disponibile, bensì nella sua distribuzione ineguale e nelle inefficienze dei servizi pubblici: due fenomeni, questi, che non originano dall’esterno ma hanno radici profonde dentro la società meridionale e i suoi meccanismi di riproduzione.

Vengono alla mente le parole accorate con cui, in Leghisti e sudisti, Isaia Sales descriveva il circolo vizioso del Sud:

A volte si ha l’impressione che la società meridionale abbia trovato nell’accesso ai consumi l’unica forma possibile di libertà in una realtà oppressa dalla politica e dalla criminalità. Anzi, l’oppressione della politica è tollerata proprio perché consente di accedere, per vie contorte, alla società dei consumi (Sales, 1993).

Da allora sono passati più di vent’anni, ma nessuno sembra aver trovato il modo di rompere quel circolo vizioso.