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{{anchor|Toc526237389}} '''Aps '''<span style="color:#00000a;">Negli ultimi anni ho avuto modo di parlare di politica con molti ragazzi e ragazze. Ci sono giovani che pensano che il mondo della politica, buona o cattiva, sia una prerogativa dello Stato nazionale e solo di questo: Matteo la pensa così. Altri aspirano a dedicare una parte della loro attività presente e futura al bene del prossimo, e ritengono che ciò sia possibile attraverso il volontariato, non con gli strumenti della politica: è il caso di Luisa. Altri considerano l’idea di un’Europa politicamente unita un’utopia, che mai vedrà la luce: Luca la pensa così. Ci sono giovani che disprezzano la politica e pensano che ciò che conta nella vita sia il successo personale, ottenuto come che sia: Roberto la pensa così. Altri ancora sostengono che solo una rivoluzione culturale, volta a sostituire il modello consumistico-capitalistico, possa salvarci dall'anarchia della globalizzazione finanziaria, e nutrono sfiducia nelle istituzioni, nazionali o internazionali che siano: è la posizione di Elena. Altri infine hanno una visione globale del mondo di oggi, sono cosmopoliti, sensibili alle esigenze del Terzo mondo, favorevoli a iniziative quali </span><span style="color:#00000a;">“Amnesty International” o “Medici senza frontiere”, sono pacifisti, mondialisti e pertanto ritengono riduttivo, ormai superato dalla storia l’obbiettivo dell’unione politica europea: Mario la pensa così. Ecco, io vorrei parlare, a ciascuno di loro, a Matteo, a Luisa, a Luca, a Roberto, a Elena e a Mario: ad alcuni cercando di convincerli che sono in errore, ad altri mostrando che l’ideale europeo non è in contrasto, ma invece complementare, integrativo e addirittura funzionale rispetto a ciò in cui essi giustamente credono. Ma vorrei parlare soprattutto a Marco, che ancora non ha un’idea chiara della politica, e che, al contempo, si pone molte domande.</span>
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== Per cominciare ==
 
== Per cominciare ==

Versione delle 15:44, 13 ott 2018

Prefazione[modifica]

I dibattiti televisivi, la stampa, i messaggi trasmessi via Internet offrono un’immagine quasi sempre deformata di cosa sia e di cosa possa rappresentare oggi l’Unione europea. I volumi, spesso molto pregevoli e informati, che escono ogni anno sull’Europa si rivolgono a un pubblico di lettori certo qualificato ma abbastanza ristretto. È questa la ragione che ha indotto l’autore di questo Dialogo a cimentarsi nel tentativo di rappresentare i tanti e multiformi aspetti del progetto di integrazione europea in una forma diversa da quella di un saggio, attraverso un fitto scambio di domande e risposte con un giovane elettore che per la prima volta andrà a votare nel 2019 per il Parlamento europeo.

Il dialogo è nato da un disegno accarezzato da tempo. Di Europa ho parlato e discusso in questi anni con molti giovani e meno giovani, con studenti e colleghi, con amiche e amici ai quali tutti sono profondamente grato; del dialogo ho discusso in particolare con Marco Aliano, oggi studente di filosofia a Venezia (di qui il nome dell’interlocutore dell’anziano Aps, che sarei io).

Il testo verrà presentato anche in forma di e-book. Troverà inoltre spazio nei siti che vorranno includerlo nei loro links ed in particolare in un sito internet al quale sta lavorando Andrea Guadagni, che ha seguito passo per passo la genesi di queste pagine e che ringrazio con grande affetto per il suo apporto fattivo al progetto.

Ringrazio vivamente anche l’editore Nicola Cavalli di Ledizioni, il quale ha compreso e condiviso l’intento sotteso a questo Dialogo e lo ha assecondato con liberalità e lungimiranza, in una fase tanto difficile della storia di quella grande cattedrale incompiuta che oggi rappresenta l’Europa.

Antonio Padoa-Schioppa

Milano, ottobre 2018

I. Introduzione[modifica]

Aps Negli ultimi anni ho avuto modo di parlare di politica con molti ragazzi e ragazze. Ci sono giovani che pensano che il mondo della politica, buona o cattiva, sia una prerogativa dello Stato nazionale e solo di questo: Matteo la pensa così. Altri aspirano a dedicare una parte della loro attività presente e futura al bene del prossimo, e ritengono che ciò sia possibile attraverso il volontariato, non con gli strumenti della politica: è il caso di Luisa. Altri considerano l’idea di un’Europa politicamente unita un’utopia, che mai vedrà la luce: Luca la pensa così. Ci sono giovani che disprezzano la politica e pensano che ciò che conta nella vita sia il successo personale, ottenuto come che sia: Roberto la pensa così. Altri ancora sostengono che solo una rivoluzione culturale, volta a sostituire il modello consumistico-capitalistico, possa salvarci dall'anarchia della globalizzazione finanziaria, e nutrono sfiducia nelle istituzioni, nazionali o internazionali che siano: è la posizione di Elena. Altri infine hanno una visione globale del mondo di oggi, sono cosmopoliti, sensibili alle esigenze del Terzo mondo, favorevoli a iniziative quali “Amnesty International” o “Medici senza frontiere”, sono pacifisti, mondialisti e pertanto ritengono riduttivo, ormai superato dalla storia l’obbiettivo dell’unione politica europea: Mario la pensa così. Ecco, io vorrei parlare, a ciascuno di loro, a Matteo, a Luisa, a Luca, a Roberto, a Elena e a Mario: ad alcuni cercando di convincerli che sono in errore, ad altri mostrando che l’ideale europeo non è in contrasto, ma invece complementare, integrativo e addirittura funzionale rispetto a ciò in cui essi giustamente credono. Ma vorrei parlare soprattutto a Marco, che ancora non ha un’idea chiara della politica, e che, al contempo, si pone molte domande.

Per cominciare[modifica]

Marco Caro Antonio l’anno prossimo per la prima volta sarò chiamato a votare. Ci saranno le elezioni europee. Mentre sulla politica nazionale qualcosa ho cercato di capire, sul voto europeo davvero mi trovo impreparato: non so perché si vota, non so quali siano le scelte, Sento che molti, anche sui giornali o in televisione, parlano male dell’Europa, l’accusano di aggravare i nostri problemi anziché cercare di risolverli, addirittura di esserne la causa.

Aps È vero, dai giornali e dalla televisione si capisce poco di Europa. E quel poco non è quasi mai utile per capire l’essenziale, spesso non corrisponde neppure alla realtà dei fatti. Ma va detto che capire davvero cosa sia e cosa possa diventare l’Unione europea non è facile: perché si tratta di una realtà complessa, dalle molte facce, risultato di una storia antica e recentissima, ricca di luci e di ombre, di tragedie e di successi. Senza qualche punto di orientamento, ci si perde. Si rischia di enunciare o condividere giudizi sommari, sbrigativi: quasi sempre sbagliati.

Marco Infatti, come molti dei miei amici, non sono particolarmente motivato ad andare a votare alle europee… Anzi, le dirò, ho poca fiducia nei confronti della politica.

Aps Le ragioni per le quali non solo tanti giovani, ma tanti elettori non vanno a votare sono molte. Forse più di tutto pesa proprio questa sfiducia generale verso l’intera classe politica, giudicata non solo distante e spesso corrotta, ma soprattutto incapace di risolvere in modo adeguato i problemi che il cittadino affronta ogni giorno con il fisco, con le amministrazioni pubbliche di ogni livello e, per i giovani, quando si cerca un lavoro e si viene respinti. Forse i giovani sarebbero più motivati se capissero che il loro futuro, come quello di tutti, dipende davvero dalle scelte che verranno fatte sull’Europa.

Marco Ma perché puntare sull’Unione europea per affrontare il futuro, piuttosto che sull’Italia?

Aps Provo a risponderle in modo sintetico. La ragione fondamentale può forse essere espressa così. La qualità della vita di ognuno di noi dipende da tutta una serie di fattori: salute, famiglia d’origine e di scelta, bisogni elementari a partire da alimentazione e casa, affetti, amicizie, sicurezza e qualità del lavoro, vita di relazione, svaghi ed altro ancora. Alcuni di questi beni dipendono da noi, dalle nostre scelte individuali e dal nostro comportamento, altri li troviamo già determinati alla nascita (positivi o negativi che siano) e non possiamo cambiarli, altri ancora sono il risultato della fortuna o della sfortuna, mentre ci sono beni e obbiettivi che possono essere più o meno soddisfacenti a seconda della qualità e dell’efficacia delle istituzioni sociali, economiche e politiche.

Quest’ultimo è il terreno in cui interviene l’organizzazione della vita collettiva, dunque la politica. Ebbene, si può mostrare con chiarezza che per raggiungere un assetto soddisfacente in alcuni campi fondamentali della nostra vita individuale e collettiva lo Stato nazionale non è in grado di provvedere in modo adeguato. Quale che sia la qualità delle sue politiche e dei suoi politici.

Marco Quali sarebbero questi campi fondamentali?

Aps Elenco i più importanti: la pace entro l’Europa; la difesa dai rischi delle guerre nei confronti degli Stati esterni all’Europa; un regolamento razionale delle migrazioni dai Paesi vicini e soprattutto dall’Africa; l’occupazione anzitutto giovanile; una crescita economica sostenibile (cioè, non distruttiva del pianeta); la tutela dei livelli occupazionali in un mondo ormai globalizzato; lo sviluppo e la disponibilità di fonti energetiche rinnovabili che non minaccino il clima; il governo autonomo del nuovo mondo digitale. Solo l’Europa unita può essere in grado, già oggi e ancor più domani, di assicurare ai cittadini dei nostri Paesi il raggiungimento stabile di questi obbiettivi, che sono essenziali per il benessere e per la sicurezza individuale e collettiva.

Marco Perché dice “solo l’Europa unita”?

Aps Lo vedremo meglio, ma anticipo questo dato. Nel mondo di oggi e ancor più nel mondo di domani molte grandi scelte saranno compiute da un piccolo numero di grandi Stati, dagli Usa alla Cina, all’India al Brasile alla Russia. Nessuno stato europeo sarà tra questi, perché sono tutti troppo piccoli. Già oggi la percentuale della popolazione europea a livello mondiale è di meno del 7%, meno di 500 milioni su 7 miliardi di uomini e donne, quanti ne conta il pianeta. Tra pochi decenni la quota degli europei scenderà al 4%. Ma oggi l’euro è la seconda moneta mondiale. Il mercato unico europeo è al primo posto nel mondo. E la qualità della vita e del modello sociale sono al vertice. Su queste basi l’Europa potrà svolgere un grande ruolo nel futuro. Ma solo se politicamente unita.

Marco Beh, questo dato fa davvero pensare. E l’elenco dei settori in cui l’Europa dovrebbe agire unitariamente è senz’altro impressionante. Ma le cose stanno davvero così? Ciascuno di questi obbiettivi è davvero raggiungibile solo con l’Europa unita?

Aps È proprio così; si può dimostrarlo punto per punto, come spero di fare.

Marco E poi, che fine farebbero gli stati nazionali? Non rischierebbero di scomparire?

Aps Gli Stati nazionali non scomparirebbero affatto con l’unione politica dell’Europa: molte funzioni importanti resterebbero di loro competenza, ed è giusto che sia così. L’identità storica e attuale di ogni nazione e di ogni regione non scomparirebbe affatto, guai se così fosse. Al livello europeo vanno affrontate solo le sfide alle quali la dimensione nazionale non è in grado di rispondere. È qui il principio di base di un’unione federale.

Inoltre, prima di respingere l’Unione bisogna capire bene le conseguenze di un ritorno alle barriere nazionali, al nazionalismo e al protezionismo, che l’Europa ha sperimentato per secoli, con esiti funesti. Se in alcune circostanze proteggere inizialmente le proprie industrie e produzioni può essere opportuno o addirittura necessario, l’esperienza ha dimostrato che l’autarchia porta all’impoverimento e alla dequalificazione, a danno dei consumatori. Si può criticare un’istituzione (come lo è l’Unione europea) per gli errori che a nostro avviso ha commesso e continua a commettere, ma volerne fare a meno, volerla abolire è tutta un’altra cosa, se si può dimostrare che in tal modo la situazione peggiorerebbe anziché migliorare.

Alcune obiezioni ricorrenti[modifica]

Marco Mi piacerebbe sapere qual è la sua posizione rispetto ad alcune obiezioni anti-europeiste che ho sentito spesso ripetere negli ultimi tempi. Le faccio qualche esempio:

“I parlamentari europei sono distanti dai cittadini.”
“L'Europa impone diktat dall'alto senza alcun riguardo per i cittadini dei vari Stati.”
“A scuola ci insegnano l'Unione Europea e i suoi valori con tante belle parole, mi sembra una favola che nella realtà non funziona.”
“L'Europa fa gli interessi delle banche e della grande finanza.”
“Non basta che l'Europa garantisca la pace. Questa è stata una funzione del passato. Ora bisogna guardare al presente e al futuro. A me sembra incapace di rispondere ai nuovi problemi.”
“Il problema dei flussi migratori viene in secondo piano rispetto ai problemi dei cittadini italiani.”
“Ci sono troppe differenze tra i paesi europei perché si mettano tutti d'accordo, l'Europa non funziona e non può funzionare.”
“Con l'euro ci hanno preso in giro.”
“Mi sembra che le istituzioni europee siano uno spreco di soldi.”
“Io non penso di andare a votare alle elezioni europee. Non mi riconosco nella politica italiana, figuriamoci in quella europea.
“I parlamentari, sia italiani che europei, fanno solo i propri interessi. A loro non interessano davvero i problemi dei cittadini. Io non mi sento rappresentato dal mio Stato, tantomeno dall'Europa.”
“Per quanto riguarda l'Unione Europea: i vari Stati sono troppo diversi: storie, economie, culture e politiche estere differenti. Se ci sono Paesi che stanno meglio da soli non mi sembra giusto costringerli a unirsi, magari sobbarcandosi i problemi degli stati più deboli. Un'Europa davvero unita non potrà mai esserci.”
“Non ho scelto di nascere in questo Paese e nel mondo di cui fa parte. Sinceramente mi fanno schifo tutte queste ingiustizie. Non voglio sentirmi parte di un mondo che arricchisce i più ricchi e fa morire nella miseria migliaia di persone, un mondo sempre più intriso di guerre e sofferenze.”

Aps Ho ascoltato. È una batteria impressionante di critiche e di obiezioni. Ciascuna di queste merita attenzione. Alcune sono frutto di pregiudizi, o di informazioni non corrispondenti al vero. Altre hanno un fondamento reale. Tenterò di rispondere a tutte. Ma desidero intanto sottolineare in via generale che respingere l’idea di Europa e rifiutarsi di prendere parte al voto sono due atteggiamenti contraddittori.

Marco in che senso?

Vedi, tagliarsi fuori dal voto vuol dire lasciar decidere agli altri al posto nostro su cose che riguardano la nostra vita.anche chi non crede nell’Unione europea e nelle sue potenzialità positive dovrebbe votare, perché nel Parlamento europeo vi è una parte significativa di parlamentari che sostengono proprio questa visione negativa.

Template:Anchor No all’Europa, all’euro, ai migranti? Sì alla Nazione? Uno scambio di battute[modifica]

Marco Sulla questione della sovranità nazionale vorrei fare intervenire Matteo e vorrei che lei rispondesse direttamente alle sue obiezioni.

Aps Proviamo…

Matteo Prima gli interessi degli italiani, poi tutto il resto. Sì alla nazione, questa è la cosa fondamentale che i passati governi hanno rinnegato. Ora finalmente il vento è cambiato!

Aps Attenzione. Il punto fondamentale è proprio questo: cosa è nell’interesse degli italiani? Il sovranismo, che è un altro termine per indicare il nazionalismo, mette in primo piano obbiettivi che apparentemente soddisfano interessi popolari e rispondono a insicurezze e reazioni dell’opinione pubblica – anzitutto sulla disoccupazione e sulla crisi migratoria - erroneamente sottovalutate sin qui. Ma solo apparentemente la chiusura delle frontiere e il ritorno all’autarchia rispondono all’interesse dei nostri cittadini. A medio e lungo termine l’interesse degli italiani (come pure l’interesse degli altri popoli europei) è di individuare un giusto equilibrio tra autonomia, libertà degli scambi e condivisione delle politiche in sede europea. Da soli noi, come pure gli altri Stati dell’Unione, non riusciremo mai a vincere le sfide del nostro tempo e del futuro: nell’economia, nella criminalità, nella difesa dell’ambiente, nelle trasformazioni tecnologiche. La risposta al nazionalismo è: no, la ricetta del sovranismo va contro l’interesse del nostro popolo. E può addirittura riportarci alle guerre.

Matteo Però, per esempio, non mi sembra giusto che i cittadini italiani perdano il lavoro perché i cinesi producono e esportano gli stessi nostri manufatti sottocosto.

Aps Questo è un problema reale, è giustissimo sollevarlo. Non intendo aggirarlo, ma voglio sottolineare che l’Italia da sola non può difendersi da una concorrenza spesso sleale proveniente da altri Paesiolo l’Unione europea può farlo. Ad esempio imponendo requisiti (quanto alle ore di lavoro, quanto al lavoro minorile, quanto alla qualità dei prodotti ed altro) senza i quali le importazioni non possono avvenire o vengono ammesse solo con dazi all’ingresso. L’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO) ha anche questi scopi.Certo, promuove gli scambi a livello mondiale, ma mira a creare le condizioni di una concorrenza leale e trasparente. E lo stesso fa l’Unione europea nell’interesse di tutti gli Stati membri: per il commercio internazionale l’Unione ha una competenza esclusiva e l’ha sempre esercitata con efficacia ben maggiore di quanto potrebbe farlo ogni singolo Stato membro nei confronti dei grandi Stati esterni all’Europa. La chiusura unilaterale dell’Italia alle importazioni troverebbe subito una risposta simmetrica dall’altra parte, che metterebbe dazi pesanti alle nostre esportazioni. I rimedi contro la riduzione dei lavori tradizionali sono altri, riguardano l’Europa intera. Ne riparleremo.

Matteo Sia pure l’apertura del mercato, però dovremmo dire basta all’immigrazione. Gli immigrati tolgono il lavoro agli italiani, creano solo problemi. Vanno respinti!

Aps Non è vero, anzi, i migranti, dal punto di vista del mercato del lavoro sono addirittura necessari: badanti, operai, lavoratori agricoli, edili, senza gli immigrati andremmo a fondo. Senza nuove immigrazioni in 40 anni l’Italia perderebbe la metà del Prodotto interno lordo (lo ha documentato la Banca d’Italia).

Matteo Ma sono comunque troppi! Uno ogni quattro italiani.

Aps Questo è un dato falso. È il tasso di immigrazione percepito, non quello reale. Alcuni credono che sia questa la percentuale degli immigrati, ma la realtà è diversa: la nostra quota di immigrati è oggi il 9% della popolazione italiana. Ed è inferiore a quella della Francia e della Germania. Gli irregolari sono meno dell’1%

Matteo Comunque è ora di bloccare altri ingressi. Gli immigrati ci costano. Utilizzano le nostre strutture sanitarie. Frequentano gratuitamente le nostre scuole.

Aps Gli ingressi in Italia da un anno sono diminuiti dell’80%, grazie alle iniziative dell’ex ministro Minniti, dunque del precedente governo. Ma questo dato non viene fatto circolare dai media.

E teniamo presente che le imposte versate dagli immigrati al fisco italiano ogni anno ammontano a 9 miliardi di euro.

Matteo Sarà d’accordo con me, però, sul fatto che l’Italia si trovi esposta per ragioni geografiche a flussi molto più elevati degli altri Paesi europei. Non è giusto che la responsabilità di gestirli ricada solo sul nostro paese.

Aps È vero, non è giusto. Ci vuole un controllo europeo e una responsabilità condivisa sulle immigrazioni: questo dobbiamo chiedere e ottenere, non le chiusure nazionali che vorrebbero i Paesi dell’Est europeo. I migranti regolari vanno istruiti e messi nella condizione di poter lavorare regolarmente, non lasciati vagare per le strade; in Germania, ad esempio, questo non accade.

Matteo Ma il Paese è pieno di immigrati irregolari

Aps I numeri, come ho detto, sono relativamente bassi: meno dell’1% della popolazione. Comunque, sono d’accordo che i migranti irregolari vadano respinti. Ma su base europea, non su base nazionale. Ci vuole una frontiera esterna ai confini dell’Unione, debitamente organizzata e finanziata dall’Unione stessa. E gli accessi vanno limitati intervenendo efficacemente nei Paesi di origine dei migranti: anche questo, su scala europea e non nazionale.

Matteo A me non sembra che le decisioni prese a livello europeo siano inefficaci. Credo che, se serve agli italiani, anche le regole europee possano, anzi debbano essere trasgredite.

Aps Anzitutto le regole europee le abbiamo approvate anche noi. Possono essere cambiate, seguendo le procedure concordate, ma non violate unilateralmente. Ad esempio, se mettiamo in crisi la libera circolazione di merci e capitali, entra in crisi l’intera economia nazionale. Senza le regole europee, da noi sottoscritte e in Costituzione, l’Italia non potrebbe realizzare un volume di esportazione di 225 miliardi all’anno! È questo si vuole? Il collasso della nostra economia?

Matteo Allora, d’accordo, torniamo a parlare di questioni economiche: l’Italia regala all’Europa 20 miliardi all’anno: lo ha detto il Governo.

Aps Falso! Ne versa 14 e ne riceve quasi 12, che spesso non riesce a spendere per eccesso di burocrazia nazionale e per incapacità. Grazie agli annunci del governo, senza che si sia ancora deciso nulla, lo spread sui nostri titoli ci costerà, se non scende, 900 milioni in più già nel 2018 e ben 5 miliardi in più nel 2019! E potrebbe esplodere: i mercati non si fidano più a investire nei nostri buoni del tesoro e perciò alzano il prezzo. Noi dell’Europa abbiamo assoluto bisogno. Ma un requisito è indispensabile: dobbiamo essere credibili: Il credito si basa sulla fiducia, lo sanno tutti, da secoli.

Matteo Ma i vincoli al bilancio che ci impediscono di crescere!?

Aps Controllare i nostri conti - il debito e il deficit - è indispensabile per noi, o meglio per i nostri figli, per la loro sopravvivenza dignitosa, per non costringerli un giorno a sacrificare gran parte del loro stipendio per far sopravvivere dignitosamente i loro genitori e i loro nonni. Non perché ce lo chiede l’Europa.

Marco Ma come è possibile che per pochi decimali di differenza sul deficit si incrini la fiducia dei mercati nell’Italia?

Aps Certo. Perché quei pochi decimali costituiscono lo spartiacque tra un debito che comincia a scendere e un debito che continua a salire.

Matteo Nei confronti dell’Italia la fiducia manca?

Aps Ora purtroppo è così. Aver stabilito in Costituzione, aver garantito solennemente di mettere a posto i conti pubblici riducendo gradualmente il nostro debito e poi rifiutarsi di farlo è un comportamento inaccettabile. In Europa non verrà mai capito. Ci scredita, nel senso letterale. Ci può portare rapidamente alla rovina.

Matteo Io invece credo che per ottenere qualcosa bisogna gridare, bisogna battere il pugno sul tavolo! Finalmente abbiamo un Governo che si fa sentire in Europa!

Aps No. Nell’Unione europea questo metodo ha sempre fatto fiasco. Per ottenere qualcosa bisogna chiedere le cose giuste e farlo nel modo giusto. Soprattutto, bisogna essere credibili: senza la fiducia non si ottiene nulla. E poi, troppo spesso i governi italiani – e l’ultimo non fa certo eccezione – hanno chiesto all’Europa di risolvere problemi che nascono in Italia e che sono risolubili solo in Italia. A cominciare dallo sbilancio dei nostri conti pubblici.

Matteo Perché risolubili solo in Italia?

Aps Se l’evasione fiscale supera i 100 miliardi all’anno e di conseguenza le tasse sono troppo elevate, tutte a carico dei cittadini onesti; se la burocrazia rallenta ogni decisione; se la giustizia è la più lenta d’Europa e ci vogliono 10 anni per concludere un processo; se le mafie intossicano intere regioni del Paese, anche al nord; se tutto questo toglie risorse all’economia sana, fa salire il debito pubblico e disincentiva gli stranieri dall’investire in Italia, di chi è la responsabilità? Dell’Europa forse? No di certo.

Marco E di chi allora?

Aps Lo vogliamo dire? La responsabilità è dei cittadini che non si ribellano a questi mali e dei governi che non li combattono con decisione, per paura dell’impopolarità. Preferiscono accusare l’Europa di colpe non sue. Preferiscono gesti clamorosi come vietare lo sbarco di poche decine di migranti. Preferiscono le battute insultanti sull’Europa. Questo è molto più facilee procura consensi a buon mercato da parte dei cittadini ignari: i sondaggi purtroppo lo confermano. Ma tutto ciò non ci porterà fortuna. Mette a rischio sia l’Italia che l’Europa.

Matteo Io sento dire che per abbassare il debito bisogna che l’economia cresca e per crescere bisogna investire, anche a costo di far salire momentaneamente il debito.

Aps Quasi tutti gli economisti - e così pure le istituzioni internazionali indipendenti e le istituzioni europee - sono d’accordo sui primi due punti. Ma contestano recisamente la terza affermazione: non è aumentando il debito che l’economia cresce. Per crescere davvero, l’economia ha bisogno di due cose: investimenti pubblici con risorse vere e non con aumento del debito, e più investimenti privati nazionali e stranieri che ci saranno soltanto se ci sarà fiducia nei confronti del nostro Paese. Questa fiducia invece sta venendo meno. Ed è una cosa terribile, se si pensa a quante energie sane ci sono in Italia.

Matteo Lei sa che ci sono economisti di livello universitario che hanno scritto interi volumi contro l’euro. E posso dire che non pochi giovani hanno letto questi libri e sono preparati a difendere tali posizioni. Anche in questo gli anti-euro e gli anti-Europa sono stati più efficaci dei loro avversari.

Aps Io non sono un economista, né pretendo di esserlo. Ho letto anch’io testi di economisti anti-euro (ad esempio quello di Alberto Bagnai, portavoce della Lega su questi temi), come pure testi pro-euro (ad esempio quello di Lorenzo Bini Smaghi). E questi ultimi mi hanno persuaso decisamente di più dei primi. Provo a riassumere in poche affermazioni le ragioni del mio convincimento.

a) l’euro era ed è necessario al corretto funzionamento del mercato unico;
b) che esso fosse una tappa necessaria ma non sufficiente dell’integrazione economica era chiaro sin dall’inizio ed è stato detto e scritto sin dal 1992;
c) era chiaro già allora che occorreva dotare l’Unione, accanto all’unione monetaria, anche di un potere di intervento di politica economica (un governo dell’economia) che ancora essa non possiede;
d) pertanto la creazione dell’euro è stata una tappa di un percorso ancora incompiuto, che tuttavia un grande politico come Helmut Kohl ha voluto - rischiando l’impopolarità in Germania, che oggi invece si giova moltissimo dell’euro, mentre allora i tedeschi erano contrarissimi ad abbandonare il marco - come tappa essenziale verso l’unione economica e politica dell’Europa;
e) l’euro ha comunque garantito in questi anni il risultato importantissimo della stabilità della moneta e dunque anche della tutela del risparmio, obbiettivi particolarmente importanti in anni di crisi dell’economia come sono stati quelli del decennio 2008-2017;
f) uscire dall’euro comporterebbe ricreare un’inflazione altissima; vorrebbe dire distruggere il risparmio degli Italiani: un massacro, come una guerra perduta.
g) l’euro è ormai da anni la seconda moneta mondiale ed è la principale fonte di autorità dell’Europa nel contesto dei rapporti internazionali, non solo economici;
h) dunque, occorre completare l’edificio dell’unione economica e monetaria europea, non distruggerlo.

Marco Ma insomma, Lei cosa chiederebbe al Governo?

Aps Il governo - forse - sarebbe ancora in tempo per fare quello che va fatto per correggere i mali dell’Italia, quelli che dipendono da noi. Ma deve essere credibile e mantenere gli impegni sui conti pubblici. Non deve sacrificare il futuro dei giovani di oggi trasferendo sulle loro spalle i pesi derivanti dall’enorme debito pubblico e costringendoli a pagare tra venti o trent’anni una quota delle pensioni a milioni di anziani andati a riposo troppo presto, dato l’aumento dell’aspettativadi vita. Questo sarebbe un vero tradimento verso le nuove generazioni. Quanto all’Europa, il governo deve battersi per una responsabilità comune europea sulle immigrazioni e sugli investimenti in beni pubblici, energia, difesa, ricerca, tutela dell’ambiente. Ha la responsabilità enorme di gestire il nostro Paese, non la sprechi!

Rischi per l’Italia, rischi per l’Europa[modifica]

Marco Proprio perché l’elezione europea del 2019 sarà importante, mi può dire qualcosa di più sulle posizioni attuali dell’Italia riguardo all’Europa?

Aps Sì, ma desidero dire subito, a scanso di equivoci, che la mia è una posizione non super partes, ma di parte. Questo dovrebbe ormai essere chiaro, ma lo ribadisco espressamente. Posizione di parte non nel senso di adesione a un partito o a singoli personaggi politici, bensì nel senso che la mia tesi si riassume nell’affermazione dell’importanza decisiva di una piena adesione del nostro Paese alle finalità di una unione politica come traguardo dell’integrazione europea. A mio giudizio, tutto ciò che mette a rischio questo processo è distruttivo per il nostro Paese e per il suo futuro, cioè per il futuro delle generazioni a venire. Ma c’è di più: il venir meno di una politica pro-europea dell’Italia può mettere a rischio l’intero edificio dell’Unione, perché l’Italia è per dimensioni il terzo Stato membro anche sotto il profilo economico.

Marco Quali sono allora a Suo giudizio i rischi che il Governo attuale fa correre all’Italia e all’Europa?

Aps I rischi si possono riassumere in pochi dati, che non sono contestabili. L’attuazione del “contratto” di governo varato nel 2018 comporterebbe un onere per le finanze pubbliche di circa 75 miliardi di euro: 50 miliardi per la Flat tax, 17 miliardi per il reddito di cittadinanza, 8 miliardi per la revisione della legge Fornero sui pensionamenti. In tutto, non meno di 75 miliardi.

Marco Sono troppi?

Aps Sì, sono troppi e sarebbero male impiegati. Sono troppi perché le risorse necessarie non ci sono, attualmente: occorrerebbe reperirle tagliando pesantemente la spesa pubblica oppure recuperando una quota importante dell’evasione fiscale, cose possibili ma difficilissime e comunque richiedenti un impegno pluriennale. Senza di che, non resterebbe se non aumentare il deficit ed aumentare ancora di più il nostro già enorme debito pubblico. E questo non solo ci metterebbe in condizione di infrazione rispetto ai vincoli europei ed alla nostra Costituzione, ma indurrebbe i mercati a diffidare, esigendo un tasso di interesse molto più elevato per acquistare i nostri buoni del tesoro. Salirebbe lo spread, e con esso la somma necessaria per pagare gli interessi sul debito, ma anche sui mutui dei privati. Già ora lo spread è salito, dopo gli annunci del nuovo governo, e ci costerà, se non ridiscende, ben 5 miliardi in più nel 2019. Una cifra che potrebbe salire ancora di molto (già oggi paghiamo, con le tasse, 65 miliardi all’anno solo per gli interessi sul debito). Teniamo presente che ogni anno l’Italia ha necessità di emettere nuovi buoni del tesoro per ben 400 miliardi di euro, più di un miliardo al giorno, in gran parte per coprire la spesa corrente: per stipendi, sanità, scuola ed altri adempimenti non sopprimibili. Ecco perché il programma di governo, così come è stato annunciato, non è sostenibile.

Marco E perché questi soldi sarebbero comunque male impiegati?

Aps Esprimo, naturalmente, un’opinione personale. La flat tax al 20% vorrebbe dire privilegiare i ricchi a spese dei meno abbienti, in quanto si ridurrebbe ai minimi termini la progressività della tassazione, che tra l’altro è un obbligo sancito dalla Costituzione. La revisione della legge Fornero con l’anticipazione dell’età pensionabile creerebbe un peso maggiore per chi andrà in pensione più avanti: per regalare qualche mese o qualche anno in meno di lavoro ai pensionabili di oggi si mette un peso aggiuntivo sulle spalle dei pensionati di domani, dei giovani di oggi: è un atto grave di iniquità, di ingiustizia nel rapporto tra le generazioni. Quanto al reddito di cittadinanza, esso può avere un senso, ma solo se è un rimedio temporaneo che porti poi a un impiego (e per questo ci vuole la crescita dell’economia, che oggi in Italia è la più bassa d’Europa, l’1% anziché il 2% che è la media dell’Unione). Dunque, un programma irrealizzabile, che sarebbe comunque socialmente iniquo.

Marco Allora c’è davvero il rischio che l’Italia esca dall’Unione?

Aps Purtroppo sì. Questo rischio esiste. L’uscita dall’euro e dall’Unione europea, se si dovesse verificare, avrebbe conseguenze gravissime per il Paese: per il livello di benessere, per i nostri risparmi, per lo stesso fenomeno migratorio, per la crescita, insomma per il nostro futuro. Io sono convinto che gli Italiani questo non lo vogliano. Ma qualora la rottura, la crisi si verificasse, la deriva sarebbe rapida. E probabilmente irreversibile. Tuttavia, anche su questo sarebbe sbagliato enunciare certezze: infatti un acceso dibattito, spesso sotterraneo, è in corso in seno al governo e dentro l’attuale maggioranza politica. A giorni alterni si dichiara l’intenzione di trasgredire le regole europee e, al contrario, il proposito di rispettarle. È presto per dire oggi (settembre 2018) quale tra le due posizioni prevarrà nel bilancio del 2019 in preparazione. Quindi a tutt’oggi una riserva è d’obbligo,. Il rischio c’è, speriamo solo che venga evitato.

Marco Ma l’Europa può permettersi un’uscita dell’Italia?

Aps È una domanda giustificata. In effetti il nostro Pese è il terzo entro l’Unione, dopo l’uscita della Gran Bretagna, la quale però non era nell’euro. Il caso italiano sarebbe ben più grave anche rispetto al caso della Grecia. E metterebbe in crisi il sistema bancario dei Paesi dell’Eurozona.Del resto, tutti possiedono titoli nostri, che pure stanno prudenzialmente riducendo in via precauzionale (70 miliardi in meno solo negli ultimi mesi). Se così sarà, presto gli Italiani si ricrederanno, quando saranno messi a rischio i nostri risparmi, la nostra crescita economica, le nostre esportazioni - ben 225 miliardi di euro all’anno come ho già detto, una cifra enorme, frutto del lavoro delle nostre imprese e resa possibile dal mercato unico.

Marco Sarebbe la fine dell’Unione?

Aps In un certo senso sì, anche perché l’Italia è stata per due terzi di secolo, e sin dall’inizio, un Paese fondatore che nel progetto europeo ha profondamente creduto e al quale ha dato un contributo molto profondo, anche se questo non viene detto quasi mai. L’Italia è il terzo mercato dell’Unione. Abolire il mercato unico, la libera circolazione di merci, persone e capitali e servizi dall’Italia e verso l’Italia sarebbe molto grave anche per gli altri Paesi dell’Unione, a cominciare da Germania e Francia. Questo loro lo sanno benissimo. Ma alla crisi si può arrivare, se l’Italia abbandona le regole europee che pure ha sottoscritto. Sia chiaro, però: meglio, infinitamente meglio, che il processo di unione non si arresti, persino se l’Italia dovesse restare ai margini. Il progetto europeo è di rilevanza planetaria, tutto è preferibile rispetto alla prospettiva di vederlo tramontare.

Marco È un esito solo possibile o anche probabile il naufragio dell’Unione europea?

Aps È impossibile dirlo oggi. La storia non è mai prevedibile. Però i segnali negativi ci sono, eccome. E sono gravi, già a prescindere dalle possibili e deprecabili responsabilità dell’Italia. L’unione bancaria non va avanti. Il terrorismo e il cancro delle mafie non sono contrastati condividendo i dati di intelligence tra i Paesi dell’Unione. I nazionalismi stanno rinascendo quasi ovunque, Germania compresa. Sull’Africa non c’è unità di intenti tra i governi dei Paesi europei e la Cina può annunciare il varo di altri 60 miliardi, oltre ai 170 miliardi già impegnati per lo sviluppo di questo grande continente, che dovrebbe essere il terreno naturale per investimenti europei, anche per controllare il fenomeno migratorio. E soprattutto, sembra essersi spenta la convinzione che l’unione politica federale è per l’Europa il futuro. Una convinzione di fondo c’è ancora. Ma non ha voce e non trova supporti sufficienti nella classe politica e nei governi. È venuto meno il respiro animatore di questo grande progetto: sia nell’opinione pubblica, sia nei media sia soprattutto nei governi. Ognuno pensa a sé, con una visione miope che sacrifica il futuro.

Marco Tuttavia, nonostante questo scenario allarmante, che l’Italia potrebbe contribuire a scatenare, se leggo i giornali di questi mesi e guardo la televisione, internet e i social, vedo crescere in misura altissima i consensi per il governo in carica. La Lega avrebbe addirittura quasi raddoppiato i potenziali elettori, dal 17% ottenuti a marzo al 30% di oggi (settembre 2018), stando ai sondaggi. Lei come spiega questa crescita vertiginosa?

Aps Il fatto impressionante è che il consenso si sta determinando quasi interamente su temi che interessano i rapporti del nostro Paese con l’Europa. La Lega è nata antimeridionalista, oggi si è trasformata in un movimento antieuropeo, perché accusa l’Unione di essere alla radice dei due mali avvertiti come i più minacciosi: l’ondata migratoria e la crisi dell’occupazione. Il favore dell’opinione pubblica si deve secondo me a quattro fattori concomitanti: primo, l’aver saputo dar voce, soprattutto da parte della Lega, a preoccupazioni e paure largamente diffuse, ma colpevolmente sottovalutate dai governi precedenti; secondo, il fornire risposte semplici, condensabili in una riga; terzo, il ricorso a un linguaggio di slogan, che provoca un forte impatto emotivo; quarto, il saper usare i media e i social, che privilegiano i messaggi radicali, trasgressivi. E ciò che forse più colpisce è il fatto che una tale deriva, manifesta negli ultimi tre punti ora citati - una deriva della democrazia, oltre che dell’Unione europea - si sta verificando non solo in Italia e non solo nei Paesi dell’Europa orientale (Ungheria, Polonia, Austria, Repubblica Ceca), ma anche in un Paese come la Svezia, che è all’avanguardia sotto tanti aspetti per le sue politiche sociali e dove l’immigrazione è dell’ordine di appena l’1,6 % della popolazione. Ma la percentuale degli stupri compiuti da immigrati là è del 60 %. E fatti come questo hanno creato reazioni fortissime, cavalcate dai nazionalisti. In Ungheria di immigrati quasi non ce ne sono, eppure il nazionalismo soffia con forza anche là.

Marco Chi ha sbagliato, allora, se siamo a questo punto?

Aps Hanno sbagliato i governi e i partiti pro-europei a non capire che bisognava tener conto delle pulsioni e delle paure dell’opinione pubblica: bisognava recepirle e collegarle con una politica efficace. Ha sbagliato l’Unione - anzitutto il Consiglio europeo, dunque ancora i governi - a non dare risposte coraggiose ed efficaci. Hanno sbagliato i media a privilegiare gli allarmi e gli slogan rispetto ai dati di fatto, spesso molto meno allarmanti di quanto percepito.

Marco Ma se questo è vero, perché al voto italiano di marzo 2018 il ministro dell’Interno Minniti, che bene o male è riuscito – non Salvini, ma lui – a bloccare il flusso dei migranti, ha tuttavia perso le elezioni e non è stato eletto nel collegio nel quale era candidato?

Aps Non lo so. Certo va tenuto presente che oggi il linguaggio sbrigativo e volgare di molti politici, condito di luoghi comuni, indifferente alle contraddizioni, spesso ha la meglio su ogni ragionamento. Di nuovo, la responsabilità dei media e dei social è altissima su questo fronte. Ciò detto, resta vero che per contrastare il successo dei sovranisti non bastano i ragionamenti, occorre suscitare anche emozioni e passioni, occorre far capire che le paure devono essere prese in conto da chi governa o vuole governare; e occorre mostrare con efficacia che le ricette facili e solo nazionali sono vuote di contenuto e proporre e attuare scelte efficaci. In questo i precedenti governi e l’Unione europea sinora hanno fallito.

Marco Se le scelte dei sovranisti sono così rischiose per l’Italia, non verrà il momento in cui gli elettori, i cittadini se ne accorgeranno?

Aps Se le promesse sbagliate saranno mantenute, quel momento senza dubbio verrà. Ma forse sarà troppo tardi. E ci vorranno decenni per risalire la china.

Marco In conclusione, ci stiamo avvicinando alla fine dell’Europa?

Aps Nonostante i tanti segnali negativi, che abbiamo richiamati sopra, ai quali altri si potrebbero aggiungere, nonostante i gravi rischi che l’Italia e l’Europa stanno correndo, la partita non è chiusa. È stato arduo costruire un edificio come l’Unione, le istituzioni sono difficili da creare ma sono anche difficili da distruggere. Inoltre, come ho accennato, alla base i cittadini sanno bene che per il mondo di domani (ma in realtà già oggi) non ci sarà spazio per i piccoli Stati nazionali, per nessuno degli Stati europei, Germania inclusa. E alcuni passi avanti ci sono stati in questi anni, dal ruolo accresciuto del Parlamento europeo alle recenti iniziative per una difesa comune, all’introduzione di una vigilanza sulle banche a livello europeo. Per il futuro dell’Unione l’elezione europea del 2019 sarà decisiva.

Il Parlamento europeo, 2019 scadenza decisiva[modifica]

Marco Vorrei capire allora perché è importante andare a votare alle elezioni europee, come saremo chiamati a fare nel mese di maggio del 2019.

Aps Desidero dire subito una cosa che ritengo fondamentale. Le elezioni europee che si tengono ogni cinque anni sono sempre importanti. Ma l’elezione del 2019 sarà la più importante di tutte quelle svolte sinora. La ragione è questa: nel maggio dell’anno venturo l’esito del voto segnerà, forse irreversibilmente, il futuro dell’Unione europea. Si fronteggeranno, in tutti i Paesi dell’Unione, due visioni opposte: quella di chi vuole smantellarla restituendo ai governi nazionali le funzioni che con l’integrazione sono passate all’Unione e quella di coloro che, al contrario, intendono portare l’Unione, dunque ciascuno dei suoi Paesi membri, a un livello superiore e soddisfacente di funzionalità e di democrazia, seguendo la lettera e lo spirito dei trattati ed anche innovando dove necessario. L’elezione del 2019 sarà in certo senso la prima vera elezione europea, e non, come spesso è avvenuto in passato, una semplice proiezione delle politiche nazionali.

Marco Ad oggi, chi rappresenta in modo chiaro ciascuna di queste due posizioni?

Aps La risposta è semplice: anzitutto Macron da una parte, Salvini e Orban dall’altra. Ma alla posizione pro-europea aderiscono con sfumature diverse, insieme alla Francia, anche la Germania di Angela Merkel, la Spagna, il Portogallo, il Benelux, l’Irlanda e altri.

Marco E l’Italia ?

Aps L’Italia, che è stata sempre, in sessant’anni, promotrice attiva dell’integrazione europea, e come tale riconosciuta ovunque, oggi è su posizioni scettiche e negative, a seguito dell’esito delle elezioni di quest’anno. Ovviamente mi auguro che questa involuzione del nostro Paese sia solo una parentesi. Ma, lo ripeto, molto dipenderà dall’esito delle elezioni europee del 2019.

Marco Torniamo allora alle elezioni del 2019. Si formeranno i gruppi politici e le maggioranze nel nuovo Parlamento europeo?

Aps Per questo saranno determinanti i programmi dei partiti e le alleanze elettorali concordate prima del voto: bisognerà vedere quali partiti nei singoli Paesi - e dunque anche in Italia - si collegheranno alleandosi con l’uno o con l’altro schieramento, allo scopo di formare una maggioranza nel nuovo Parlamento europeo eletto, dal quale usciranno il Presidente della Commissione, i Commissari e soprattutto le scelte legislative e di bilancio dell’Unione nel successivo quinquennio 2019-2024. Il ruolo dei parlamentari europei eletti in Italia potrà risultare determinante.

Marco Se il Parlamento europeo e l’elezione europea sono così importanti, vorrei allora capire meglio quali poteri ha il Parlamento europeo, quanto conta in Europa? Poco, direi, anche perché non ne sento parlare quasi mai.

Aps Che del Parlamento europeo nei media si parli e si scriva poco è vero. Perché non fa notizia, perché non esibisce comportamenti disdicevoli, perché – soprattutto – non ha ancora tutti i poteri legislativi e fiscali che dovrebbero spettargli, come diremo.Il Parlamento europeo, ad oggi, non conta ancora abbastanza,. Ma che conti poco, non è vero. Perché? Per due ragioni: perché senza la sua presenza attiva l’Unione europea non sarebbe una struttura democratica; e perché nel corso dei decenni, da quando i cittadini hanno cominciato nel 1979 a votarlo ogni cinque anni, dunque ormai da quarant’anni, il suo peso è costantemente cresciuto. Sul primo punto, la questione è chiara: nei regimi democratici moderni le leggi debbono essere votate da un organo eletto dai cittadini, che sono i soli sovrani; e le scelte politiche di fondo debbono essere assunte da un governo che abbia la fiducia del parlamento eletto, là dove non ci sia, come negli Usa, l’elezione diretta del presidente. L’Unione europea non è uno stato, non è neppure una federazione di stati in senso pieno, ma ha competenze economiche, sociali e politiche di tale importanza da non poter funzionare in modo democratico senza una base di legittimazione popolare: l’elezione ha questo scopo. Il peso del Parlamento europeo è cresciuto perché ormai una gran parte delle leggi sull’economia, vigenti nei diversi Paesi dell’Unione, sono leggi europee e come tali sono votate dal Parlamento europeo, con una procedura di doppia decisione con il Consiglio dei ministri europeo. Questo fatto, l’opinione pubblica lo ignora e la stampa e la televisione (ma anche Internet) lo trascurano. Come purtroppo spesso accade la stampa si sofferma sugli eventi che ritiene richiamino l’attenzione e trascura aspetti molto più rilevanti; a loro volta, le forze politiche nazionali mirano a mettere se stesse in primo piano.

Marco Il recentissimo doppio voto del Parlamento europeo del 12 settembre 2018 sull’Ungheria di Orban e sui diritti di copyright ha avuto ampia risonanza.

Aps Giustissima osservazione, caro Marco. Io considero questa data come davvero storica, perché è la prima volta dal lontano 1979 in cui le decisioni del Parlamento europeo sono state messe in risalto sulle prime pagine di tutti i giornali d’Europa e in tutti telegiornali. Forse la stampa e la televisione hanno finalmente compreso il ruolo politico e democratico del Parlamento europeo. Il voto sull’Ungheria ha mostrato come sui principi di democrazia, di equilibrio tra i poteri e di libertà di pensiero i rappresentanti dei cittadini europei siano fermi nel difendere i diritti fondamentali (l’iniziativa di sanzionare le violazioni del governo di Orban ha ottenuto oltre i due terzi dei voti) Il voto del Parlamento sul copyright ha segnato un svolta, a tutela dei diritti d’autore, contrastando gli ingiusti privilegi, anche fiscali, dei grandi circuiti mondiali, da Google a Facebook.

Marco Vorrei capire cosa davvero può fare il Parlamento europeo, quali sono in concreto i suoi poteri: perché mi pare che sia anche da questo che può dipendere la scelta di molti, giovani e non giovani, se andare a votare oppure no.

Aps In sintesi, i poteri del Parlamento europeo sono principalmente tre. Il primo è il potere di votare le leggi europee, i tutti i casi nei quali i trattati europei prevedono che un regolamento o una direttiva (sono questi i termini tecnici per le leggi europee) siano approvati congiuntamente, con votazioni distinte, dal Parlamento europeo e dal Consiglio dei ministri dell’Unione deliberante a maggioranza, con una procedura di co-decisione. La massima parte delle competenze dell’Unione in tema di concorrenza, mercato unico, libera circolazione di merci, persone, servizi e capitali viene regolata con regolamenti e direttive votate congiuntamente dal Parlamento e dal Consiglio. Il secondo potere è quello di discutere e varare ogni sette anni il quadro finanziario complessivo dell’Unione e di approvare il bilancio annuale dell’Unione, che è lo strumento essenziale per gestirne le attività. Il terzo potere è quello di votare (ma anche eventualmente revocare) il presidente della Commissione europea e i singoli commissari, che costituiscono – almeno in embrione – il vero governo dell’Unione. Dunque, un potere legislativo, un potere di bilancio e un potere di nomina e di controllo del governo. È un modello che si avvicina molto a quello di una repubblica parlamentare rappresentativa. Il Parlamento rappresenta direttamente i cittadini, mentre il Consiglio europeo e il Consiglio dei ministri rappresentano gli stati membri, come è tipico di uno stato federale: si pensi ad esempio agli Usa o alla Svizzera.

Marco Ma se è così, l’Unione europea costituisce già ora una federazione?

Aps No. Perché questo modello di tipo federale vale ancora solo in parte: infatti per molte materie importanti il Parlamento europeo è tuttora privo di poteri legislativi, finanziari e di controllo del governo. E manca ancora un vero un governo dell’Unione dotato di quei poteri che sono necessari per governare in democrazia. Lo vedremo meglio tra poco, se mi chiederai qualche precisazione al riguardo. Tuttavia le tre competenze che abbiamo ricordato danno già ora al Parlamento europeo poteri reali di grande peso, che sono via via cresciuti nel corso degli anni.

Marco Dunque, ora mi è più chiaro che il Parlamento europeo è un vero parlamento e non un semplice foro di discussione, come molti ritengono.

Aps Sì, nelle materie in cui i trattati hanno stabilito la sua competenza è proprio così; anche se come vedremo ci sono ancora alcune fondamentali lacune, per esempio in materia fiscale e di bilancio, che andranno colmate. Aggiungo un punto che mi sembra importante: oggi vediamo come sovente i Parlamenti nazionali funzionino male, e siano teatro di risse e di contrapposizioni rigide e aprioristiche, dettate dai partiti e imposte ai parlamentari. Invece le discussioni e le decisioni del Parlamento europeo avvengono in un clima molto diverso, certo anche acceso come è naturale per le scelte di fondo di un’assemblea politica, ma sereno e privo di schieramenti rigidi, immobili. È così che deve funzionare un vero parlamento.

Marco Andremo dunque a votare per il Parlamento europeo nel maggio 2019: può chiarire quale sarà la procedura elettorale?

Aps Gli elettori italiani (come quelli degli altri Paesi membri, naturalmente) votano scegliendo tra le liste dei diversi partiti e potendo esprimere preferenze sui nomi dei candidati. I partiti sono quelli tradizionali nel nostro Paese, ma i più importanti sono collegati a livello europeo con i partiti affini. I tre gruppi politici più consistenti a livello europeo sono quelli dei Partito popolare europeo (la destra moderata), dei Socialisti europei (incluso il nostro PD) e dei Liberali. Poi ci sono i partiti antieuropei (tra i quali da noi Lega e Cinque stelle) e la Sinistra europea. Questi collegamenti a livello europeo sono importantissimi perché ciascun gruppo in vista delle elezioni del nuovo Parlamento prefigura un programma europeo comune, sovranazionale. Una legge elettorale comune ancora non esiste in Europa, anche se il criterio di base è quello della proporzionalità: nel doppio senso di un numero di eletti sostanzialmente proporzionale rispetto alla popolazione di ciascuno stato dell’Unione (con una certa sovra-rappresentazione in favore degli stati più piccoli) e di un numero di eletti proporzionale rispetto ai voti ottenuti da ciascuna delle liste nazionali.

Come scegliere? Naturalmente sulla base dei programmi e dei candidati annunciati prima del voto.

Marco Torniamo, invece, sull’importanza di queste elezioni. Può spiegare meglio perché secondo Lei avranno un’importanza e un significato particolari, rispetto alle elezioni precedenti?

Aps Sì. Per due ragioni: perché l’Europa si trova in una difficile condizione di crisi, una crisi di sicurezza e una crisi economica, entrambe non ancora superate: basti pensare al livello di disoccupazione soprattutto giovanile e al fenomeno impressionante delle migrazioni dal Mediterraneo e dall’Africa; e perché alcune elezioni nazionali - anzitutto in Francia, con la nomina di Emmanuel Macron alla presidenza della Repubblica - hanno creato una situazione nuova, di rilancio dell’idea europea. Su entrambi questi versanti, il superamento della crisi e il rilancio dell’Unione, il nuovo Parlamento eletto nel 2019 potrà e dovrà rivestire un ruolo fondamentale.

Marco Ho sentito però molti pareri negativi su Macron, anche dagli stessi europeisti, perché sembrerebbe aver sfruttato l'ideale europeo per i propri interessi e per il proprio Paese. Un nazionalismo mascherato da europeismo. Allo stesso modo la Germania ha sempre concepito un'Europa "tedesca"; in altre parole i due Paesi motori dell'integrazione europea hanno sempre rivelato una "doppia faccia" e sembra che tutt'ora il ritornello non cambi.

Aps Alcuni sospetti potrebbero non essere privi di fondamento. Tuttavia, resta il fatto che Macron ha enunciato nell’ormai celebre discorso tenuto alla Sorbona il 26 settembre 2017 il più lungimirante programma di sviluppo europeo che un Governo centrale dell’Unione abbia enunciato negli ultimi decenni. Ha avuto il coraggio di parlare di sovranità europea, associando all’Unione un concetto, quello di sovranità, che in Francia, e non solo, è stato a lungo bandito come quasi blasfemo se riferito a un soggetto diverso dallo Stato nazionale. Solo il futuro prossimo mostrerà in che direzione porterà la dialettica, in ogni caso inevitabile, tra posizioni e pulsioni nazionali e visione europea, la quale alla fine potrà risultare la più vantaggiosa per i Paesi che la porteranno avanti, superando una logica nazionalista di corto respiro. Ripeto ancora che su questo fronte le elezioni europee del 2019 e la maggioranza politica che risulterà vincente saranno un test decisivo per il futuro dell’Unione.