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[http://www.euwiki.it/images/e/ed/Perche_lEuropa.pdf Qui si può scaricare il testo del libro '''Perché l'Europa''' in formato dispensa.]
 
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[[Media:Perche_lEuropa.pdf|Perchè l'Europa]]
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<div style="text-align:center;">Antonio Padoa-Schioppa</div>
  
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<div style="text-align:center;">'''Perché l’Europa'''</div>
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[http://www.euwiki.it/images/e/ed/Perche_lEuropa.pdf Qui si può scaricare il testo del libro '''Perché l'Europa''' in formato dispensa.]
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<div style="text-align:center;">'''Dialogo con un giovane elettore'''</div>
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<div style="color:#231f20;">© 2018 Ledizioni LediPublishing</div>
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<span style="color:#231f20;">Via Alamanni, 11 – 20141 Milano – Italy </span>[http://www.ledizioni.it/ www.ledizioni.it]
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[mailto:info@ledizioni.it info@ledizioni.it]
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<span style="color:#231f20;">Antonio Padoa-Schioppa, </span><span style="color:#231f20;">''Perché l’Europa. Dialogo con un giovane elettore.''</span>
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<div style="color:#231f20;">Prima edizione: dicembre 2018</div>
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<div style="color:#231f20;">ISBN cartaceo 9788867058624</div>
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<div style="color:#231f20;">ISBN eBook 9788867058631</div>
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<div style="color:#231f20;">Copertina e progetto grafico: ufficio grafico Ledizioni</div>
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<span style="color:#231f20;">Informazioni sul catalogo e sulle ristampe dell’editore: </span>[http://www.ledizioni.it/ www.ledizioni.it]
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<div style="text-align:center;">'''Indice'''</div>[[#RefHeadingToc532647236|Prefazione5]]
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[[#RefHeadingToc532647237|I. Rischi e opportunità7]]
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[[#RefHeadingToc532647238|Per cominciare7]]
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[[#RefHeadingToc532647239|Alcune obiezioni ricorrenti9]]
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[[#RefHeadingToc532647240|No all’Europa, all’euro, ai migranti? Sì alla Nazione?10]]
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[[#RefHeadingToc532647241|Cosa ci ha dato l’Unione13]]
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[[#RefHeadingToc532647242|Rischi per l’Italia, rischi per l’Europa15]]
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[[#RefHeadingToc532647243|Il Parlamento europeo, 2019 scadenza decisiva22]]
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[[#RefHeadingToc532647244|II. La grande crisi europea25]]
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[[#RefHeadingToc532647245|Crisi economica ed Europa25]]
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[[#RefHeadingToc532647246|Crisi migratorie ed Europa30]]
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[[#RefHeadingToc532647247|Difesa e sicurezza34]]
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[[#RefHeadingToc532647248|III. Strutture, politiche, storia dell’Unione37]]
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[[#RefHeadingToc532647249|Istituzioni, leggi, decisioni, pareri e procedure dell’Unione37]]
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[[#RefHeadingToc532647250|Le politiche dell’Unione44]]
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[[#RefHeadingToc532647251|Breve storia dell’Unione, 1948-201749]]
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[[#RefHeadingToc532647252|IV. Prospettive dell’Unione55]]
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[[#RefHeadingToc532647253|Un’Europa a cerchi concentrici?55]]
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[[#RefHeadingToc532647254|Livello delle sfide e livelli di governo57]]
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[[#RefHeadingToc532647255|La cattedrale incompiuta60]]
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[[#RefHeadingToc532647256|V. Luci ed ombre d’Europa63]]
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[[#RefHeadingToc532647257|Carta dei diritti, sovranità, democrazia, sussidiarietà63]]
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[[#RefHeadingToc532647258|Nazioni, Regioni, Europa: identità plurime e identità europea65]]
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[[#RefHeadingToc532647259|Il pluralismo religioso ed etnico68]]
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[[#RefHeadingToc532647260|Tesori della civiltà europea69]]
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[[#RefHeadingToc532647261|Responsabilità, errori ed orrori della storia d’Europa71]]
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[[#RefHeadingToc532647262|Caratteri originali della civiltà europea74]]
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[[#RefHeadingToc532647263|VI. Il mondo di domani76]]
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[[#RefHeadingToc532647264|Europa federale: un progetto planetario76]]
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[[#RefHeadingToc532647265|La politica, i giovani, la scuola80]]
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[[#RefHeadingToc532647266|Conclusione85]]
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[[#RefHeadingToc532647267|Nota bibliografica86]]
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[[#RefHeadingToc532647268|Siti Web sull’Unione europea88]]
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= {{anchor|RefHeadingToc532647236}} Prefazione =
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<div style="color:#231f20;">I dibattiti televisivi, la stampa, i messaggi trasmessi via Internet offrono un’immagine quasi sempre deformata di cosa sia e di cosa possa rappresentare oggi l’Unione europea. I tanti volumi, spesso assai pregevoli e informati, che escono ogni anno sull’Europa si rivolgono a un pubblico di lettori qualificato ma abbastanza ristretto. Nel complesso non sono frequenti, non solo in Italia, i testi destinati a lettori non specialisti e soprattutto a giovani, dai quali emergano con sufficiente chiarezza i profili di quella che può ormai considerarsi una grandiosa cattedrale, anche se tuttora in costruzione e perciò a rischio. È questa la ragione che ha indotto l’autore di questo Dialogo a cimentarsi nel tentativo di rappresentare i multiformi aspetti del progetto di integrazione europea in una forma diversa da quella di un saggio, attraverso un fitto scambio di domande e risposte con un giovane elettore che per la prima volta andrà a votare nel 2019 per il Parlamento europeo. Il peso determinante che questa elezione avrà per il futuro dell’Unione è ormai chiaro a tutti.</div>
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<span style="color:#231f20;">Queste pagine sono concepite come un libro da leggere – di seguito o per singoli capitoli – non come un testo di consultazione. Può stimolare approfondimenti didattici. La selettiva bibliografia e il rinvio ad alcuni Siti web possono essere utili a chi desideri approfondire le proprie conoscenze sulla vastissima tematica interdisciplinare del progetto europeo, che include l’economia, il diritto, la scienza politica e la storia. L’interconnessione tra i molteplici versanti dell’Unione europea ha imposto di richiamare in più punti l’attenzione sui medesimi nodi economici e istituzionali. Aggiungo che il maggiore spazio dedicato ad alcuni argomenti a scapito di altri – ciascuno dei quali sarebbe meritevole di approfondimenti – si deve all’intento di fornire risposte, naturalmente opinabili, a temi di particolare attualità, oggetto di vivaci polemiche, spesso non fondate sui fatti.</span>
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<div style="color:#231f20;">I problemi e le sfide attuali, che trovano nell’Italia di oggi un focolaio pericoloso; i grandi traguardi raggiunti dall’Unione europea; le strutture che li hanno resi possibili; i passi ancora da compiere; i rischi e le prospettive più ampie, che trascendono l’Europa: questi i versanti considerati. La consapevolezza di quanto l’Europa ha costruito in tre quarti di secolo, di quanto ancora manchi al completamento del grande progetto di unione e di quanto concreti siano oggi i rischi di involuzione, questi tre elementi ritengo debbano essere compresenti in ogni tentativo di sintesi.</div>
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<div style="color:#231f20;">Il Dialogo è nato da un disegno che chi scrive aveva concepito da tempo. Di Europa ho parlato e discusso da molti anni con giovani e meno giovani, con studenti e colleghi, oltre che con amiche e amici ai quali tutti sono grato. Del dialogo ho discusso con Marco Aliano, oggi studente di filosofia a Venezia (di qui il nome dell’interlocutore dell’anziano Aps, che sarei io), il quale ha cooperato con domande e con osservazioni sue proprie. Marco Bosonato, Marco Buti, Franco Bruni, Massimo Condinanzi, Massimo Gaudina, Alfondo Iozzo, Lucio Levi, Antonio Longo, Alberto Majocchi, Guido Montani, Domenico Moro, Stefano Micossi, Roberto Palea, Riccardo Perissich, Michele Salvati, Doris Valenti hanno gentilmente letto alcune parti del Dialogo, fornendo utili suggerimenti e rilievi. Un grazie particolare lo devo ad Anna Tempia, sin dall’inizio sostenitrice del progetto e attenta lettrice critica di queste pagine. Delle manchevolezze e degli errori residui è responsabile solo l’autore.</div>
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<span style="color:#231f20;">Ho inserito nel dialogo molti spunti, molti giudizi naturalmente opinabili, ma pur meritevoli di discussione maturati nel corso degli anni riflettendo sulla storia d’Europa, sul percorso della sua integrazione e sui nodi politici e istituzionali dell’Unione nella prospettiva del federalismo. Ognuno di essi meriterebbe approfondimenti e sviluppi che lo spazio qui disponibile non consentiva, ai quali almeno in parte rinvia la Nota bibliografica. Il testo viene presentato anche in forma di e-book. Troverà inoltre spazio nei siti che </span><span style="color:#231f20;">vorranno includerlo nei loro links ed in particolare in un sito internet (</span>http://www.euwiki. it/<span style="color:#231f20;">) al quale sta lavorando Andrea Guadagni, che ringrazio sentitamente per il suo fondamentale apporto al progetto.</span>
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<span style="color:#231f20;">Un’ulteriore avvertenza è necessaria. Il momento (novembre 2018) nel quale il volume viene licenziato per la stampa coincide in Italia con una fase di discontinuità politica molto accentuata. Non è ancora chiaro se e in quale misura gli impegni economici e di bilancio pattuiti dal nostro Paese con l’Unione europea verranno rispettati; o se saranno invece trasgrediti, con conseguenze che potrebbero essere molto gravi non solo per l’Italia. Il testo riflette la situazione di oggi, che potrebbe essere diversa da quella di domani. Ho ritenuto che non fosse ammissibile, discutendo di Europa, tacere i rischi ai quali oggi si espone il nostro Paese. Con la viva speranza che tra qualche mese questi timori risultino ormai scongiurati. Fondamentale sarà l’elezione del Parlamento europeo del maggio 2019, che ha fornito l’occasione per la genesi del Dialogo.</span>
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<div style="color:#231f20;">Ringrazio vivamente l’editore Nicola Cavalli di Ledizioni, il quale ha condiviso il disegno che sta all’origine questo Dialogo e lo ha assecondato con liberalità e lungimiranza, in una fase tanto difficile della storia di quella grande cattedrale incompiuta che oggi rappresenta l’Unione europea.</div>
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''Antonio Padoa-Schioppa''
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Milano, 19 novembre 2018
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= {{anchor|RefHeadingToc532647237}} I. Rischi e opportunità =
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== {{anchor|RefHeadingToc532647238}} Per cominciare ==
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<span style="color:#231f20;">'''Marco '''</span><span style="color:#0000ff;">Se noi giovani capissimo che il nostro futuro e quello del nostro Paese dipendono davvero dalle scelte che verranno fatte sull’Europa, la tentazione di non andare a votare nel maggio 2019, che ho raccolto da più parti, sarebbe molto minore. Saremmo più motivati a recarci al seggio elettorale e a votare sulla base di scelte ragionate.</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>Le ragioni per le quali non solo tanti giovani, ma tanti elettori non più giovani oggi non vanno a votare sono molte. Forse più di tutto pesa una sfiducia generale verso la politica, verso l’intera classe politica, giudicata non solo distante e non di rado corrotta, ma soprattutto incapace di risolvere in modo adeguato i problemi che il cittadino affronta ogni giorno con il fisco, con le amministrazioni pubbliche di ogni livello nonché, specie per i giovani, quando si cerca un lavoro e si viene respinti.
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Di queste difficoltà, di questa vera e propria crisi del sistema democratico spero che parleremo più avanti, a conclusione del nostro colloquio. Ora io vorrei invece cercare di spiegare perché è importante andare a votare per le elezioni europee.
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<span style="color:#231f20;">'''Marco '''</span><span style="color:#0000ff;">E allora mi piacerebbe cominciare col chiederLe un brevissimo giudizio di sintesi sulle ragioni per le quali vale la pena non solo di andare a votare ma di votare per l‘Europa e non contro l’Europa: perché si dovrebbe puntare sull’Unione europea per affrontare il futuro di questa e delle prossime generazioni?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>Ci provo. La ragione fondamentale può forse essere espressa così. La qualità della vita di ognuno di noi dipende da tutta una serie di fattori: salute, famiglia d’origine e di scelta, risposta ai bisogni primari a partire da alimentazione e casa d’abitazione; e gli affetti, le amicizie, la qualità e sicurezza del lavoro, la vita di relazione, gli svaghi ed altro ancora. Alcuni di questi beni dipendono da noi, dalle nostre scelte individuali e dal nostro comportamento, altri li troviamo già determinati alla nascita (positivi o negativi che siano) e non possiamo cambiarli, altri ancora sono il risultato della fortuna o della sfortuna, mentre ci sono beni e obbiettivi che possono essere più o meno soddisfacenti a seconda della qualità e dell’efficacia delle istituzioni sociali, economiche e politiche.
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Quest’ultimo è il terreno in cui interviene l’organizzazione della vita collettiva, dunque la politica. Ebbene, si può mostrare con chiarezza che per raggiungere un assetto soddisfacente in alcuni campi fondamentali della nostra vita individuale e collettiva lo Stato nazionale non è in grado di provvedere in modo adeguato. Quale che sia la qualità delle sue politiche e dei suoi politici.
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<span style="color:#231f20;">'''Marco '''</span><span style="color:#0000ff;">Quali sarebbero questi campi fondamentali?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>Elenco i più importanti: la pace entro l’Europa; la difesa dai rischi delle guerre nei confronti degli Stati esterni all’Europa; un regolamento razionale delle migrazioni dai Paesi vicini e soprattutto dall’Africa; l’occupazione anzitutto giovanile; una crescita economica sostenibile (cioè, non distruttiva del pianeta); la tutela dei livelli occupazionali in un mondo ormai globalizzato; lo sviluppo e la disponibilità di fonti energetiche rinnovabili che non minaccino il clima; il governo del nuovo mondo digitale. Solo l’Europa unita può essere in grado, già oggi e ancor più domani, di assicurare ai cittadini dei nostri Paesi il raggiungimento stabile di questi obbiettivi e dei diritti che sono essenziali per il benessere e per la sicurezza individuale e collettiva.
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">Perché Lei dice “solo l’Europa”?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>Lo vedremo meglio, ma anticipo questo dato. Nel mondo di domani molte grandi scelte saranno compiute da un piccolo numero di grandi Stati, dagli Usa alla Cina, all’India al Brasile alla Russia. Nessuno Stato europeo sarà tra questi, perché sono tutti troppo piccoli. Già oggi la percentuale della popolazione europea a livello mondiale è di meno del 7%, meno di 500 milioni su 7 miliardi di uomini e donne, quanti ne conta il pianeta. Tra pochi decenni la quota degli europei scenderà al 4%. Ma oggi l’euro è la seconda moneta mondiale. Il mercato europeo è al primo posto nel mondo. E la qualità della vita e del modello sociale europei sono al vertice. Su queste basi l’Europa potrà svolgere un grande ruolo nel futuro. Ma solo se politicamente unita.
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">L’elenco dei settori in cui l’Europa dovrebbe agire unitariamente è senz’altro impressionante. Ma le cose stanno davvero così? Ciascuno di questi obbiettivi è davvero raggiungibile solo con l’Europa unita? E se fosse, allora i nostri Stati nazionali, compresa l’Italia, perderebbero ogni funzione?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>È proprio così; si può dimostrarlo punto per punto, come spero di fare. Ma sia chiaro, gli Stati nazionali non scomparirebbero affatto con l’unione politica dell’Europa: molte funzioni importanti resterebbero di loro competenza, ed è giusto che sia così. L’identità storica e attuale di ogni nazione e di ogni regione non verrebbe meno, guai se così fosse. Al livello europeo vanno affrontate solo le sfide alle quali la dimensione nazionale non è in grado di rispondere. È qui il principio di base di un’unione federale.
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">Noi giovani apparteniamo – per carattere oltre che per appartenenze famigliari, sociali e culturali – a tanti mondi distinti, ci formiamo e diventiamo adulti in condizioni di vita e con ideali anche molto distanti tra loro. Lei a chi intende rivolgersi nel corso del nostro dialogo?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>Ha ragione nel chiedermi questo. Pensandoci, direi che la mia aspirazione sarebbe di parlare a più categorie di giovani, molto diverse per il loro approccio alla politica e all’Europa. Ci sono giovani come Lei, Marco i quali sono in linea di principio favorevoli all’Europa (i sondaggi e le statistiche dicono che in Europa e anche in Italia siete in maggioranza!) ma vorrebbero capire meglio cosa sia davvero l’Unione, come sia organizzata, come operi e come sia possibile rispondere alle critiche ampiamente diffuse sui media e nei giornali, specie in tempi recenti. Ci sono giovani che disprezzano la politica e pensano che ciò che conta nella vita sia soprattutto raggiungere con le proprie forze il successo personale: Roberto la pensa così. Altri giovani ritengono che la sfera della politica e la stessa democrazia siano una prerogativa dello Stato nazionale e solo di questo: Matteo la pensa così. Altri aspirano a dedicare una parte della loro attività al bene del prossimo attraverso il volontariato, non con gli strumenti della politica: Luisa la pensa così. Altri considerano l’idea di un’Europa unita un’utopia, che mai vedrà la luce: Luca la pensa così. Altri ancora sostengono che solo una rivoluzione culturale, volta a sostituire il modello consumistico-capitalistico, possa salvarci dall’anarchia della globalizzazione finanziaria, e nutrono sfiducia non solo nel sistema economico e finanziario del capitalismo ma anche nelle attuali istituzioni pubbliche, nazionali o internazionali che siano: Elena la pensa così. Altri infine hanno una visione globale del mondo di oggi, sono sensibili alle esigenze del Terzo mondo, sono per così dire cosmopoliti, favorevoli a iniziative quali “Amnesty International” o “Medici senza frontiere”, sono pacifisti, mondialisti e pertanto ritengono ormai superato dalla storia l’obbiettivo dell’unione politica europea: Mario la pensa così. Ecco, io vorrei parlare, oltre che a te, a ciascuno di loro, a Roberto, a Matteo, a Luisa, a Luca, ad Elena e a Mario: ai primi cercando di convincerli che sono in errore, agli altri mostrando che l’ideale europeo non è in contrasto, ma invece complementare, integrativo e addirittura funzionale rispetto a ciò in cui essi giustamente credono.
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== {{anchor|RefHeadingToc532647239}} Alcune obiezioni ricorrenti ==
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<span style="color:#231f20;">'''Marco '''</span><span style="color:#0000ff;">Vorrei allora citare subito alcune obiezioni, alcuni pungenti rilievi che ho sentito ripetere da amici e compagni quando il discorso cade sull’Europa: giudizi negativi dei quali penso si debba tenere conto e sui quali desidererei che Lei si pronunciasse.</span>
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<div style="color:#0000ff;">Se Lei è d’accordo, ne riporto alcuni.</div>
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<div style="color:#0000ff;">“I parlamentari europei sono distanti dai cittadini.” “L’Europa impone diktat dall’alto senza alcun riguardo</div>
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<div style="color:#0000ff;">per i cittadini dei vari Stati.”</div>
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<div style="color:#0000ff;">“A scuola ci insegnano l’Unione Europea e i suoi valori con tante belle parole, mi sembra una bella favola che nella realtà non funziona.”</div>
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<div style="color:#0000ff;">“L’Europa fa gli interessi delle banche e della grande finanza.”</div>
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<div style="color:#0000ff;">“Le regole europee sono una messa in scena dei poteri forti.”</div>
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<div style="color:#0000ff;">“Non basta che l’Europa garantisca la pace. Questa è stata una funzione del passato. Ora bisogna guardare al futuro. A me sembra incapace di rispondere ai nuovi problemi.”</div>
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<div style="color:#0000ff;">“L’accoglienza dei flussi migratori deve venire in secondo piano rispetto ai problemi dei cittadini italiani.”</div>
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<div style="color:#0000ff;">“Con l’euro ci hanno preso in giro.”</div>
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<div style="color:#0000ff;">“Mi sembra che le istituzioni europee siano uno spreco di soldi.”</div>
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<div style="color:#0000ff;">“I parlamentari sia italiani, che europei, fanno solo i propri interessi. A loro non interessano davvero i problemi dei cittadini. Io non mi sento rappresentato dal mio Stato, tantomeno dall’Europa.”</div>
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<div style="color:#0000ff;">“I vari Stati europei sono troppo diversi: storie, economie, culture e politiche estere differenti. Se ci sono Paesi che stanno meglio da soli non mi sembra giusto costringerli ad unirsi, magari sobbarcandosi i problemi degli Stati più deboli. Un’Europa davvero unita non potrà mai esserci.”</div>
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<div style="color:#0000ff;">“Non ho scelto di nascere in questo Paese e nel mondo di cui fa parte. Sinceramente mi fanno schifo tutte queste ingiustizie. Non mi sento parte di un mondo che arricchisce i più ricchi e fa morire nella miseria migliaia di persone, un mondo sempre più intriso di guerre e sofferenze.”</div>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>Ho ascoltato. È una batteria impressionante di critiche e di obiezioni. Ciascuna di queste merita attenzione. Alcune sono frutto di pregiudizi, o di informazioni non corrispondenti al vero. Altre hanno un fondamento reale. Tenterò di rispondere a tutte. Ma desidero intanto sottolineare in via generale che respingere l’idea di Europa e rifiutarsi di prendere parte al voto sono due atteggiamenti contraddittori. Tagliarsi fuori dal voto vuol dire lasciar decidere agli altri al posto nostro cose che riguardano la nostra vita. Sul primo aspetto, prima di respingere l’Unione bisogna capire bene le conseguenze di un ritorno alle barriere nazionali, al nazionalismo e al protezionismo, che l’Europa ha sperimentato per secoli, con esiti funesti. Se in alcune circostanze proteggere inizialmente le proprie industrie e produzioni può essere opportuno o addirittura necessario, l’esperienza ha dimostrato che l’isolamento e la chiusura portano all’impoverimento e alla dequalificazione, a danno dei consumatori. Si può criticare un’istituzione (come lo è l’Unione europea) per gli errori che può aver commesso e che ancora sta commettendo, ma volerne fare a meno, volerla abolire è tutta un’altra cosa, sarebbe un errore fatale: si può dimostrare che la sicurezza e la condizione economica e sociale dei cittadini europei peggiorerebbe anziché migliorare se l’Unione venisse meno.
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== {{anchor|RefHeadingToc532647240}} No all’Europa, all’euro, ai migranti? Sì alla Nazione? ==
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">Mi permette di proporle – a nome di uno degli interlocutori virtuali da Lei citati all’inizio – una serie di battute lampo che i populisti/nazionalisti ripetono continuamente, chiedendoLe risposte altrettanto immediate? Immagino che poi potremo riprendere ciascuno di questi punti in modo più argomentato.</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>Proviamo…
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">Prima gli interessi degli italiani, poi tutto il resto, direbbe Matteo. Sì alla nazione, questa è la cosa fondamentale che i passati governi hanno rinnegato. Ora finalmente il vento è cambiato!</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>Il punto è proprio questo: cosa è nell’interesse degli italiani? Il sovranismo, cioè la pretesa che non vi sia alcuna autorità superiore rispetto alla sovranità nazionale, mette in primo piano obbiettivi che apparentemente soddisfano interessi popolari e rispondono a insicurezze e reazioni dell’opinione pubblica – anzitutto sulla disoccupazione e sulla crisi migratoria – erroneamente sottovalutate sin qui. Ma solo apparentemente la chiusura delle frontiere e il ritorno all’autarchia rispondono all’interesse dei nostri cittadini. A medio e lungo termine l’interesse degli italiani (come pure l’interesse degli altri popoli europei) è di individuare un giusto equilibrio tra autonomia, libertà degli scambi e condivisione delle politiche in sede europea.
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">Basta acquiescenza alle regole europee. Ritorniamo sovrani in casa nostra, lo dicono in tanti.</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>Se ogni Paese dell’Unione adottasse questo principio, non risolverebbe le sfide che superano le dimensioni nazionali. E per più si ricreerebbe l’ideologia per la quale il vicino è potenzialmente nostro nemico. La ricetta del sovranismo va contro l’interesse dei nostri popoli.
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">Vogliamo riconquistare una sovranità perduta, la sovranità italiana.</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>La risposta è questa: nessun Paese europeo è ormai più sovrano, né potrà esserlo più, in un mondo globalizzato e multipolare in cui esistono Stati di dimensioni continentali. L’Unione europea è la sola via per recuperare una sovranità perduta. E nulla toglie alle identità e alle sovranità nazionali, per tutto ciò in cui queste possono e debbono mantenersi.
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">Eppure c’è chi dice che l’Italia di oggi sarebbe all’avanguardia in questo processo di riconquista della propria sovranità.</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>Ho letto anch’io una recente intervista di colui che è considerato l’ideologo di tali posizioni, molto ascoltato da chi oggi ci governa, l’ex consigliere di Trump, ora attivo in Europa proprio su questo fronte, Steve Bannon. Richiesto di esplicitare in cosa consista questa nuova dottrina, della quale l’Italia della maggioranza attuale sarebbe l’antesignana, Bannon ha risposto: “Francia e Germania vogliono gli Stati Uniti d’Europa [fosse vero, soggiungo io…], mentre l’Italia di oggi vuole un’Europa di Stati nazionali sovrani ma coordinati tra loro” (Fubini, Corriere della Sera, 22 ottobre 2018). Tutto qui? Ma questa non è una nuova dottrina, questa sarebbe l’Europa di ieri, l’Europa della Grande Alleanza del 1815, l’Europa che porta alla guerra quando l’accordo tra gli Stati si incrina. Questa è la vecchia Europa!
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<span style="color:#231f20;">'''Marco '''</span><span style="color:#0000ff;">Basta immigrazioni, direbbe Matteo. Gli immigrati tolgono il lavoro agli italiani, creano solo problemi. Vanno respinti!</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>I migranti ci servono, eccome: badanti, operai, lavoratori agricoli, edili, senza gli immigrati andiamo a fondo. Senza nuovi immigrazioni in 40 anni l’Italia perderebbe la metà del Prodotto interno lordo (lo ha documentato la Banca d’Italia).
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">Ma non sono comunque troppi? Uno ogni quattro italiani.</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>Questo è un dato falso; è quanto un campione di cittadini ritiene che sia la percentuale degli immigrati. È il tasso di immigrazione percepito, non quello reale. La realtà è completamente diversa: la nostra quota di immigrati è oggi il l’8,5 % della popolazione italiana. Ed è inferiore a quella della Francia, della Germania, del Belgio e di altri Paesi dell’Unione.
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">Non è ora di bloccare altri ingressi?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>Gli ingressi in Italia da un anno sono diminuiti dell’80%, grazie alle iniziative del precedente governo. Ma questo dato non viene fatto circolare dai media.
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">Gli immigrati ci costano. Utilizzano le nostre strutture sanitarie. Frequentano gratuitamente le nostre scuole.</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>Ma teniamo presente che le imposte versate dagli immigrati al fisco italiano ogni anno ammontano a 9 miliardi di euro.
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">L’Italia si trova esposta per ragioni geografiche a flussi molto più elevati rispetto agli altri Paesi europei. Questo non è giusto.</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>È vero, non è giusto. Ci vuole un controllo europeo e una responsabilità condivisa sulle immigrazioni: questo dobbiamo chiedere e ottenere, non le chiusure nazionali che vorrebbero i Paesi dell’Est europeo. I migranti regolari vanno istruiti e immessi nel mercato del lavoro.
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">Il Paese è pieno di immigrati irregolari.</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span><span style="color:#231f20;">G</span>li irregolari sono meno dell’1% della popolazione. Sono comunque troppi, i migranti irregolari vanno respinti pur nel rispetto di procedure corrette. Ma su base europea, non su base nazionale. Ci vuole una frontiera esterna ai confini dell’Unione, debitamente organizzata e finanziata dall’Unione. E gli accessi vanno limitati intervenendo efficacemente nei Paesi di origine dei migranti: anche questo, su scala europea e non nazionale.
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">L’Italia regala all’Europa 20 miliardi all’anno: lo ha detto il Governo.</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>Falso! Ne versa 14 e ne riceve quasi 12, che spesso non riesce a spendere per eccesso di burocrazia nazionale e per incapacità.
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">Se serve agli italiani, dice Matteo, anche le regole europee possono anzi debbono essere trasgredite.</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>Anzitutto le regole europee le abbiamo approvate anche noi. Possono essere cambiate, seguendo le procedure concordate, ma non violate unilateralmente da uno Stato membro dell’Unione europea<span style="color:#008000;">. </span>E poi, attenzione: se mettiamo in crisi la libera circolazione di merci e capitali, entra in crisi l’intera economia nazionale. Senza le regole europee sul mercato unico, da noi sottoscritte e presenti in Costituzione, l’Italia non potrebbe realizzare un volume di esportazione di centinaia di miliardi all’anno! È questo che si vuole? Il collasso della nostra economia?
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">Io sento dire che per abbassare il debito bisogna che l’economia cresca e per crescere bisogna investire, anche a costo di far salire il debito.</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>Quasi tutti gli economisti – e così pure le istituzioni internazionali indipendenti e le istituzioni europee – sono d’accordo sui primi due punti. Ma contestano recisamente la terza affermazione: non è aumentando il debito che l’economia cresce. Per crescere davvero, l’economia ha bisogno di due cose: investimenti pubblici con risorse vere e non con aumento del debito, e più investimenti privati nazionali e stranieri, che ci saranno soltanto se ci sarà fiducia nel nostro Paese. La fiducia invece sta venendo meno. E questo è inaccettabile, se si pensa a quante energie sane ci sono in Italia.
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">Non sono dunque i vincoli al bilancio che ci impediscono di crescere?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>Controllare i nostri conti – il debito e il deficit – è indispensabile per noi, o meglio per i nostri figli, per la loro sopravvivenza dignitosa, per non costringerli un giorno a sacrificare gran parte del loro stipendio per far sopravvivere i loro genitori e i loro nonni. Non perché ce lo chiede l’Europa. Se il debito è alto, occorre aumentare le tasse per pagare gli interessi necessari per farvi fronte. E diminuiscono le risorse per gli investimenti, per i servizi pubblici, per le future pensioni.
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">Possibile che per pochi decimali di differenza sul deficit si incrini la fiducia nell’Italia?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>Sì. Perché quei pochi decimali costituiscono lo spartiacque tra un debito che comincia a scendere e un debito che continua a salire.
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<span style="color:#231f20;">'''Marco '''</span><span style="color:#0000ff;">Cosa sono tutti questi attacchi al Governo? Hanno appena cominciato, vogliono il cambiamento, lasciamoli governare poi giudicheremo: questo lo dicono in tanti.</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>È vero, lo sento ripetere anch’io. Ma a parte il fatto che la critica (la critica, non l’insulto…) è un valore del le democrazie, c’è soprattutto un altro elemento da tenere presente: quando tu vedi un’auto sfrecciare a poca distanza da un burrone apertosi dopo la curva, non cerchi di segnalare il pericolo? Noi siamo in questa situazione, purtroppo. Limitarsi a dire “giudicheremo più avanti”, in questo caso è sbagliato. Oggi l’Italia per la prima volta da oltre mezzo secolo è isolata in Europa. E questo è niente in confronto a quanto potrebbe capitarci a breve…. Non è giusto allora segnalare in tempo il pericolo? Prima che sia troppo tardi?
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">Finalmente abbiamo un Governo che parla chiaro all’Europa, secondo molti. È vero questo?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>Senza che si sia ancora deciso nulla (ottobre 2018), sulla sola base di dichiarazioni del Governo, il tasso di interesse sui nostri titoli è salito di molto rispetto a quello degli altri Paesi europei e ci costerà, se non scende, 900 milioni in più nel già nel 2018 e ben 5 miliardi in più nel 2019! E potrebbe esplodere: i mercati non si fidano più a investire nei nostri buoni del tesoro e perciò alzano il prezzo.
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">Per ottenere qualcosa bisogna gridare, bisogna battere il pugno sul tavolo, anche questo lo dicono in tanti!</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>Nell’Unione europea questo metodo ha sempre fatto fiasco. Per ottenere qualcosa bisogna chiedere le cose giuste e farlo nel modo giusto. Soprattutto, bisogna essere credibili. E poi, troppo spesso i governi italiani – e l’ultimo non fa certo eccezione – hanno chiesto all’Europa di risolvere problemi che nascono in Italia e che sono risolubili solo in Italia. A cominciare dallo sbilancio dei nostri conti pubblici.
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">Perché risolubili solo in Italia?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>Ma è evidente. Se l’evasione fiscale supera i 100 miliardi all’anno e di conseguenza le tasse sono troppo elevate, tutte a carico dei cittadini onesti; se la burocrazia rallenta ogni decisione; se la giustizia è la più lenta d’Europa e ci vogliono dieci anni per concludere un processo; se le mafie intossicano intere regioni del Paese, anche al nord; se tutto questo toglie risorse all’economia sana, fa salire il debito pubblico e disincentiva gli stranieri dall’investire in Italia, di chi è la responsabilità? Dell’Europa forse? No di certo.
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">E di chi allora?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>Lo vogliamo dire? La responsabilità è dei cittadini che non si ribellano a questi mali e dei governi che non li combattono con decisione, per paura dell’impopolarità. Preferiscono accusare l’Europa di colpe non sue. Preferiscono le battute insultanti sull’Europa. Questo è molto più facile. E procura consensi a buon mercato da parte dei cittadini ignari: i sondaggi purtroppo lo confermano.
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== {{anchor|RefHeadingToc532647241}} Cosa ci ha dato l’Unione ==
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<span style="color:#231f20;">'''Marco '''</span><span style="color:#0000ff;">La stampa, i media e i social network lanciano continuamente messaggi negativi, critici sull’Europa e sull’Unione europea. Anche chi si oppone ai sovranisti aggiunge subito che “questa Europa” non va bene. Vorrei sentire da Lei se è possibile formulare in breve un messaggio di segno opposto, che mostri quali siano – se ci sono – i risultati ottenuti dall’Europa da quando è nato il progetto di integrazione.</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span><span style="color:#231f20;">Sì, credo che sia possibile ed anzi necessario. Nel corso di questo dialogo spero che approfondiremo sia gli aspetti positivi sia i nodi non ancora sciolti dell’Unione. Io ricorro all’immagine della cattedrale incompiuta proprio per mettere in luce il fatto che un edificio imponente già esiste. Esso deve essere conosciuto e apprezzato come merita, molto di più di quanto oggi non accada. Le navate principali di questo edificio sono tre, secondo me, ma ci sono anche molte cappelle laterali, come nelle grandi chiese romaniche e gotiche. E c’è una base, un fondamento comune di regole e di diritti. Inoltre, la prospettiva di entrare a far parte dell’Unione europea ha costituito un fattore determinante nella transizione alla democrazia in Paesi europei governati ancora dopo la seconda guerra da regimi autoritari, dalla Grecia dei colonnelli alla Spagna franchista e al Portogallo di Salazar. Le navate sono, rispettivamente, la pace; il benessere; la solidarietà.</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Marco '''</span><span style="color:#0000ff;">La pace in Europa ormai mi sembra scontata.</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span><span style="color:#231f20;">La prospettiva di un guerra tra Paesi europei oggi è remota, sembra scomparsa per sempre. Abbiamo alle spalle settant’anni di pace, una condizione che in Europa non si era mai avuta dalla fine dell’Impero romano, da oltre quindici secoli. È un successo straordinario, del quale si rende pienamente conto chi ha visto da vicino e vissuto l’orrore della guerra: non la vostra generazione, per fortuna. Non c’è dubbio che il processo di integrazione europea è sta to un elemento determinante di questo risultato. Non solo: l’Unione europea è stata ed è promotrice di pace anche fuori dai propri confini, basti pensare alle tante missioni di pace alle quali prende parte attiva nel mondo. Tuttavia solo la realizzazione di una vera difesa comune potrà ad un tempo rendere impossibile una guerra intra-europea e assicurare all’Unione le condizioni per la propria difesa, per la propria sicurezza e per la propria autonomia rispetto alle grandi potenze di oggi e di domani. Soprattutto in un mondo dove le risorse saranno sempre meno e si avranno condizioni climatiche mai viste prima.</span>
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<div style="color:#231f20;">In un mondo che cambia velocemente se non si completa l’integrazione e addirittura si torna indietro, la guerra tra gli Stati europei potrebbe tornare, la libertà e l’autonomia potrebbero sparire, considerando che gli Stati nazionali diventerebbero facile preda delle potenze mondiali. E solo un’Europa unita potrebbe promuovere una crescita sostenibile.</div>
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<span style="color:#231f20;">'''Marco '''</span><span style="color:#0000ff;">Davvero l’Unione europea ha creato benessere? Le critiche non mancano, mi pare.</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span><span style="color:#231f20;">I fatti parlano da soli. Con la creazione del mercato comune, a partire dal 1957, il livello della ricchezza nei Paesi della Comunità economica europea (CEE) e poi dell’Unione europea è cresciuto negli anni in misura impressionante. Per l’Italia, ad esempio, il reddito pro capite si è quintuplicato nel corso dei decenni, </span><span style="color:#231f20;">dagli anni Cinquanta al 2010: da Paese povero, dal quale ancora dopo la seconda guerra si emigrava nelle Americhe e in Australia, siamo diventati uno dei Paesi più floridi del pianeta. La libera circolazione delle merci e dei capitali ha permesso di promuovere una concorrenza non più ostacolata dalle frontiere e dai dazi, così che i prodotti migliori per qualità e prezzo sono arrivati nei negozi e nei supermarket di tutta Europa e le imprese più valide hanno potuto esportare liberamente a vantaggio dei consumatori: lo sperimentiamo ogni giorno. Non è certo un caso se la Comunità economica europea, inizialmente limitata ai sei Stati fondatori (Francia, Germania, Italia, Belgio, Olanda e Lussemburgo) si è progressivamente estesa dal 1972 al 2013 prima a nove, poi a dodici, a quindici, a venticinque e a ventotto Stati europei (ora ventisette, dopo l’uscita della Gran Bretagna).</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Marco '''</span><span style="color:#0000ff;">I Paesi dell’Est europeo hanno anch’essi raggiunto la prosperità?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span><span style="color:#231f20;">Nei Paesi dell’Est europeo, usciti da mezzo secolo di subordinazione all’Urss, la concorrenza e la libera circolazione di persone e capitali, insieme con gli interventi di supporto dell’Unione europea, hanno avuto un peso determinante nel far crescere il livello di benessere. Ad esempio, nel breve periodo dal 2006 al 2008, subito dopo l’ingresso nell’Unione europea, il Prodotto interno lordo per abitante (Pil) è salito in Ungheria del 27,4%, in Polonia del 26.3%, in Romania addirittura del 73,9%1</span><span style="color:#231f20;"><ref name="ftn1">[http://data.un.org/Data.aspx?d=SNAAMA&amp;f=grID%3A103%3BcurrI- http://data.un.org/Data.aspx?d=SNAAMA&f=grID:103;currI-] D:USD;pcFlag:1</ref></span><span style="color:#231f20;">. Ed ha continuato a salire, subito prima della crisi, anche negli altri Paesi. Non vi è dubbio che la crescita dell’Europa e il benessere che ne è derivato nell’arco di ormai quasi settant’anni sono stati incentivati in misura molto elevata proprio in virtù dell’integrazione economica.</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Marco '''</span><span style="color:#0000ff;">Il benessere di cui Lei parla ha anche altre dimensioni?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span><span style="color:#231f20;">Sì. Chi non ha vissuto il dramma di un’inflazione galoppante – la più ingiusta delle imposte, diceva Luigi Einaudi – forse non può capire l’importanza della stabilità monetaria, che protegge il risparmio, che permette al cittadino di programmare il proprio futuro e che è stata assicurata dalla moneta unica, l’euro. Nel commercio internazionale il fatto che l’Europa nello stipulare accordi commerciali e trattati agisca come un unico soggetto dà molto più peso anche alle richieste dei singoli Paesi di fronte ai colossi del mondo di oggi, dagli Usa alla Cina all’India alla Russia: a tutela dei propri prodotti, contro le forme di concorrenza sleale o non corretta da parte dei Paesi terzi. E ancora: benessere è anche la possibilità di circolare liberamente, come a casa propria, in ogni paese dell’Unione, come ben sanno i giovani e che hanno usufruito di un programma Erasmus, ma non solo loro. Investimenti per il benessere futuro, nostro e altrui, per i Paesi dell’Unione e per il mondo, sono anche le politiche di avanguardia che l’Europa persegue a livello internazionale sulle energie rinnovabili e sulla difesa dell’ambiente dai rischi climatici.</span>
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<div style="color:#231f20;">Dunque, un insieme imponente di risultati resi possibili solo dalla progressiva integrazione europea, là dove l’Europa parla e agisce con una voce sola. Che poi esistano difficoltà, fasi critiche e insufficienze è verissimo. Ne parleremo in seguito. Ma in nessun caso è stato dimostrato che esse sarebbero risolte in modo migliore tornando indietro, alle sovranità nazionali del passato.</div>
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<span style="color:#231f20;">'''Marco '''</span><span style="color:#0000ff;">La terza navata, la solidarietà, mi sembra però in netta crisi. O sbaglio?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span><span style="color:#231f20;">Purtroppo questo oggi è vero. Ascoltiamo ogni giorno rivendicazioni dei governi che puntano al proprio interesse nazionale (a quello che essi credono essere l’interesse nazionale…) in una logica di dare e avere che non è quella sulla quale si è costruita l’integrazione europea. È una deriva che può svuotare di significato l’Unione. Tuttavia il principio di solidarietà non solo è chiaramente sancito nei trattati, ma è ancora pienamente attivo nelle politiche dell’Unione. Vedremo tra poco alcuni dati, ma possiamo anticipare che alla politica di coesione a sostegno delle regioni meno ricche d’Europa il bilancio dell’Unione ha destinato per il settennio dal 2014 al 2020 un volume complessivo di risorse di bilancio pari a 352 miliardi di euro. Le politiche di coesione non sono altro che una declinazione del principio di solidarietà sul terreno </span><span style="color:#231f20;">dell’economia. E poi ci sono gli interventi per le emergenze e per le calamità naturali. Si potrebbe e si dovrebbe fare di più, se il bilancio dell’Unione lo consentisse. Ma quello che l’Unione fa è già molto, anche se è scarsamente pubblicizzato.</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Marco '''</span><span style="color:#0000ff;">Vorrei capire meglio sino a che punto queste tre direttrici, che Lei ha metaforicamente chiamato le navate dell’Unione, sono fondate su pilastri saldi.</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span><span style="color:#231f20;">Vedo che le metafore le usa anche Lei. Ebbene, è sufficiente leggere i primi dieci articoli del Trattato per l’Unione europea di Lisbona del 2009 per ritrovare sanciti con estrema chiarezza gli obbiettivi della pace, della prosperità e della solidarietà accanto ai diritti fondamentali di libertà e di democrazia.</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Marco '''</span><span style="color:#0000ff;">Lei ha parlato anche di un fondamento comune di regole e di diritti nell’Unione.</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span><span style="color:#231f20;">Si tratta appunto dei diritti fondamentali enunciati nei Trattati europei e nella Carta dei diritti dell’Unione approvata nel 2000: i diritti di libertà, di cittadinanza, di giustizia, di democrazia, il principio di distinzione e di equilibrio tra i poteri. Questi diritti, che sono i pilastri in ogni moderna costituzione, valgono sia al livello dell’Unione sia entro ciascuno degli Stati membri.</span>
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<div style="color:#231f20;">Questi fondamenti positivi – la pace, il benessere, la solidarietà, i diritti fondamentali – non debbono venire dimenticati né sottovalutati.</div>
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== {{anchor|RefHeadingToc532647242}} Rischi per l’Italia, rischi per l’Europa ==
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<span style="color:#231f20;">'''Marco '''</span><span style="color:#0000ff;">Proprio perché l’elezione europea del 2019 sarà importante, mi può dire qualcosa di più sulle posizioni attuali dell’Italia riguardo all’Europa?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>Sì, ma desidero dire sùbito, a scanso dì equivoci, che la mia è una posizione non ''super partes ''ma di parte. Questo dovrebbe già essere chiaro, ma qui lo ribadisco espressamente. Posizione di parte non nel senso di riferimenti a un partito o a singoli personaggi politici, bensì nel senso che la mia tesi si riassume nell’affermazione dell’importanza decisiva di una piena adesione del nostro Paese alle finalità di una unione politica come traguardo dell’integrazione eu-
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ropea. A mio giudizio, tutto ciò che mette a rischio questo processo è distruttivo per il nostro Paese e per il suo futuro, cioè per il futuro delle generazioni a venire. Ma c’è di più: il venir meno di una politica pro-europea dell’Italia può mettere a rischio l’intero edificio dell’Unione.
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">Quali sono allora a Suo giudizio i rischi che il Governo attuale fa correre all’Italia?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span><span style="color:#231f20;">Con un deficit più ampio di quello concordato con l’Unione il rischio principale è che il mancato contenimento strutturale (cioè graduale ma costante) del nostro debito pubblico, superiore al 130% del nostro prodotto interno lordo un debito pubblico che è il più elevato in Europa dopo quello della Grecia, determini una reazione di sfiducia dei potenziali sottoscrittori dei buoni del tesoro: banche, fondi di investimento italiani e stranieri, privati. Essi esigerebbero, a fronte del rischio, interessi molto più elevati, insostenibili per la finanza pubblica: altrimenti i titoli resterebbero inoptati. Ma in Italia la spesa pubblica ha la necessità di emettere ogni anno titoli per circa 400 miliardi di euro per rinnovare i titoli in scadenza e coprire gli impegni assunti in bilancio, i quali includono naturalmente le risorse per i servizi pubblici, per gli stipendi delle forze dell’ordine e degli impiegati pubblici, per la sanità, per le scuole e per altri beni pubblici essenziali. Se gli interessi crescono fuori misura rispetto a quelli degli altri Paesi europei – è questo lo spread di cui tanto si parla – non solo sale corrispondentemente anche il costo dei prestiti delle banche ai privati e dei mutui, non solo l’imposizione fiscale salirebbe sino a livelli insostenibili per i contribuenti, ma lo Stato può rapidamente divenire inadempiente. Lo Stato potrebbe andare in default. A questo scenario si deve aggiungere il grave rischio che corre il sistema bancario italiano e dunque l’intera economia.</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Marco '''</span><span style="color:#0000ff;">Lei sa che ci sono economisti che hanno scritto interi volumi contro l’euro. E posso dire che ci sono giovani che questi libri li hanno letti. Forse in questo gli anti-euro e gli anti-Europa sono stati più efficaci dei loro avversari?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>Io non sono un economista, né pretendo di esserlo. Ho letto anch’io testi di economisti anti-euro come pure testi pro-euro. E questi ultimi mi hanno persuaso decisamente di più dei primi. Provo a riassumere in poche affermazioni le ragioni del mio convincimento:# <div style="margin-left:0cm;margin-right:0cm;"><span style="color:#231f20;">L’euro era ed è necessario al corretto funzionamento del mercato unico.</span></div>
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# <div style="margin-left:0cm;margin-right:0cm;"><span style="color:#231f20;">Che esso fosse uno strumento necessario ma non sufficiente ai fini dell’integrazione economica e politica è stato sostenuto sin dal 1992, proprio da chi ha programmato la moneta unica: era chiaro già allora che occorreva dotare l’Unione anche di un potere di politica economica e fiscale, cioè di un governo dell’economia dotato delle necessarie risorse, che ad oggi ancora essa non possiede; questo non è stato possibile allora per l’opposizione di alcuni governi, anzitutto quello francese.</span></div>
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# <div style="margin-left:0cm;margin-right:0cm;"><span style="color:#231f20;">Pertanto la creazione dell’euro è stata una tappa di un percorso ancora incompiuto, che tuttavia un grande politico come Helmut Kohl ha voluto – affrontando l’impopolarità nella sua Germania, che oggi invece si giova largamente dell’euro, mentre allora i tedeschi erano contrarissimi ad abbandonare il marco – avendo ben chiaro l’obbiettivo dell’unione economica e politica di un’Europa federale.</span></div>
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# <div style="margin-left:0cm;margin-right:0cm;"><span style="color:#231f20;">L’euro ha comunque garantito in questi anni il risultato importantissimo della stabilità della moneta e dunque anche della tutela del risparmio, obbiettivi particolarmente importanti in anni di crisi dell’economia come sono stati quelli del decennio 2008-2017.</span></div>
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# <div style="margin-left:0cm;margin-right:0cm;"><span style="color:#231f20;">L’euro è ormai la seconda moneta mondiale ed è la principale fonte di autorità dell’Europa nel contesto dei rapporti non solo economici internazionali.</span></div>
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<div style="margin-left:0cm;margin-right:0cm;"><span style="color:#231f20;">Dunque occorre completare l’unione economica e monetaria europea, non rischiare di distruggerla uscendo dall’euro. Va aggiunto che anche alcuni illustri studiosi e osservatori qualificati e anche critici dell’euro, come oggi si presenta entro l’Unione, concordano nel ritenere che i rischi in caso di crisi sarebbero affrontabili e superabili se e solo se gli strumenti fiscali e di governo dell’economia a livello europeo venissero adeguatamente potenziati entro un percorso chiaramente tracciato verso l’unione politica: così Paul Krugman, così Joseph Stiglitz, così Paul De Grauwe.</span></div>
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<span style="color:#231f20;">'''Marco '''</span><span style="color:#0000ff;">Chi condivide questa linea è naturalmente preoccupato in questo momento, perché ritiene che l’uscita dall’euro sarebbe disastrosa per l’Italia. Ma tale rischio secondo Lei è davvero reale? Potremmo essere costretti ad uscire dall’euro?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span><span style="color:#231f20;">Premetto che non dobbiamo accontentarci delle dichiarazioni dei partiti di governo e del governo stesso, volte a rassicurare che l’Italia vuole rimanere nell’Unione e vuole mantenere l’euro. Sono i comportamenti effettivi del governo e i voti del Parlamento che devono esser valutati per la loro coerenza con queste dichiarazioni. Se i comportamenti e le decisioni risultassero tali da mettere a rischio la finanza pubblica e la tenuta del sistema bancario, potremmo trovarci davvero tra breve “a un passo dall’uscita dall’euro” (Guido Tabellini, “Il Foglio”, 3 ottobre 2018). C’è chi questa uscita la vorrebbe, asserendo che il Paese anzi se ne avvantaggerebbe. Io condivido la tesi della maggior parte degli economisti: le conseguenze sarebbero disastrose. Uscire dall’euro non è previsto dai trattati e comporterebbe l’uscita dall’Unione europea; né è ipotizzabile rifiutare l’unione e restare nell’euro, come una parte dell’opinione pubblica sembra desiderare: questo è semplicemente impossibile. Come ha scritto recentemente Lorenzo Bini Smaghi (</span><span style="color:#231f20;">''La tentazione di andarsene''</span><span style="color:#231f20;">, p. 184), con l’uscita dall’euro e con il ritorno ad una moneta nazionale i depositanti correrebbero a ritirare i loro fondi presso le banche, il governo dovrebbe vietare depositi all’estero, i tassi di interesse sui titoli schizzerebbero su livelli elevatissimi, il sistema bancario e molte </span><span style="color:#231f20;">imprese indebitate in valuta estera rischierebbero il collasso, la rapida svalutazione della nuova lira rispetto all’euro farebbe anche salire drasticamente l’onere di ripagare il debito contratto dalla Banca d’Italia con le altre Banche centrali; ed altro ancora. L’economia entrerebbe in crisi distruggendo massicciamente posti di lavoro. L’uscita dall’euro, se si dovesse verificare, avrebbe dunque conseguenze gravissime per il Paese: per il livello di benessere, per i nostri risparmi, per la crescita, insomma per il nostro futuro.</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Marco '''</span><span style="color:#0000ff;">Secondo Lei gli Italiani vorrebbero lasciare l’Unione europea?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>Io sono convinto che gli Italiani questo non lo vogliano. Tra l’altro, nessun partito lo ha messo nel programma elettorale, neppure i partiti oggi al governo. Potremmo essere fuori dall’euro senza averlo voluto! Ma quando la crisi si verificasse, la deriva sarebbe rapida. E probabilmente irreversibile.
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<span style="color:#231f20;">'''Marco '''</span><span style="color:#0000ff;">Per quale ragione l’Italia sta correndo, proprio ora, questo enorme rischio?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span><span style="color:#231f20;">I governi dell’ultimo decennio, pur senza affrontare con decisione l’esigenza di ridurre il debito pubblico in rapporto al Pil, avevano impostato una politica di graduali riforme che promettevano di migliorare la crescita avviando la decrescita del debito e del deficit: un’impostazione registrata e apprezzata dall’Unione e dai mercati. L’attuazione del “contratto” di governo Lega e Cinque stelle varato nel 2018 comporterebbe – in base alle stime disponibili ad oggi, ottobre 2018 – un onere a regime per le finanze pubbliche di oltre 100 miliardi di euro: 50 miliardi per la Flat Tax, 20-30 per il reddito di cittadinanza, decine di miliardi per la revisione della legge Fornero sulle pensioni. Quel che sappiamo adesso è che della maggior spesa di circa 37-38 miliardi per il 2019, 22 sarebbero in disavanzo, mentre 15-16 sarebbero coperti con entrate di incerta affidabilità. (Bordignon, “La Voce”, 9 ottobre 2018). Se non si vuole aumentare la pressione fiscale, se non si riesce a diminuire sufficientemente sin d’ora la spesa pubblica, se il recupero dell’evasione non basta e richiede comunque un impegno pluriennale, se la crescita della nostra economia è lenta e insufficiente per cause non facilmente contrastabili in tempi brevi (burocrazia, confusione normativa, giustizia lenta, mafie, privilegi), se tutto questo è vero, allora la conclusione è una sola: noi queste risorse previste nel contratto di governo non le abbiamo, se non a condizione di smentire gli impegni già assunti e squilibrare ulteriormente i nostri conti.</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Marco '''</span><span style="color:#0000ff;">Sono dunque troppi i soldi che il governo ha dichiarato di voler spendere?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>Sì, sono troppi. E sarebbero anche male impiegati. Sono troppi perché le risorse necessarie non ci sono: non resterebbe se non aumentare ancora di più l’enorme debito pubblico nostro. Già oggi paghiamo, con le tasse, 65 miliardi all’anno solo per gli interessi sul debito. Inoltre, l’aumento dei tassi già minaccia di spingere l’economia verso la recessione. Ecco perché il programma di governo, così come è stato annunciato (ottobre 2018), non risulta sostenibile.
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">E perché questi soldi sarebbero comunque male impiegati?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span><span style="color:#231f20;">Esprimo, naturalmente, un’opinione personale. La flat tax al 15% e al 20% vorrebbe dire privilegiare i ricchi a spese dei meno abbienti, in quanto si ridurrebbe ai minimi termini la progressività della tassazione, che tra l’altro è un principio e obbligo fondamentale sancito dalla Costituzione. La revisione della legge Fornero con l’anticipazione dell’età pensionabile creerebbe un peso maggiore per chi oggi lavora. Per concedere qualche anno di meno di lavoro ai pensionabili di oggi si mette un peso aggiuntivo sulle spalle dei pensionati di domani, che sono i giovani di oggi: è un atto grave di iniquità, di ingiustizia nel rapporto tra le generazioni. Quanto al reddito di cittadinanza, esso può avere un senso, ma solo se è un rimedio temporaneo che porti poi a un impiego. I nostri centri per l’impiego sono strutture fragili; a loro si chiederebbe di garantire tre offerte di lavoro in un’area limitata a 50-80 chilometri dalla residenza del disoccupato. Ma se i posti di lavori in quella zona non ci sono, non sarà il centro per l’impiego a crearli; il Paese infatti manca di una organizzazione diffusa su tutto il territorio e sufficientemente strutturata per far incontrare la domanda e l’offerta già esigua di lavoro. La promessa di un reddito indipendentemente dal </span><span style="color:#231f20;">lavoro spingerebbe decine di migliaia di persone nell’area del lavoro nero. Dunque, un programma non realizzabile, che sarebbe comunque socialmente iniquo.</span>
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">Ho letto però che il Governo sostiene che l’aumento del deficit rispetto alle precedenti intese servirebbe ad aumentare la crescita, dalla quale dipende anche il calo del debito pubblico. E ciò compenserebbe gli scarti.</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>Secondo gli osservatori indipendenti (Fondo monetario internazionale, Banca d’Italia, Commissione europea e altri) che si sono pronunciati ad oggi, ottobre 2018) sta proprio qui il difetto principale della manovra: la crescita della spesa non viene destinata ad investimenti bensì a una redistribuzione di risorse, sostanzialmente ininfluente (se non addirittura negativa<ref name="ftn2">[https://piie.com/publications/policy-briefs/impact-italys-draft-budget-growth-and-fiscal-solvency https://piie.com/publications/policy-briefs/impact-italys-draft-budget-growth-and-fiscal-solvency]</ref>) rispetto rispetto all’obbiettivo della crescita. È questo l’ostacolo che determina il giudizio negativo degli osservatori. E se non ci sarà crescita, anche lo squilibrio dei conti risulterà ulteriormente accentuato, con le conseguenze che abbiamo già visto.
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">Perché Lei ha detto che anche il sistema bancario sarebbe a rischio?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span><span style="color:#231f20;">Perché l’aumento ulteriore del debito pubblico con i rischi dei quali abbiamo parlato comporta, con la salita dello spread, un deprezzamento dei titoli pubblici che le banche italiane posseggono, per un valore complessivo, già oggi, di alcune centinaia di miliardi di euro. Dunque il loro capitale e la loro solidità finanziaria diminuirebbero. E parallelamente si assottiglierebbe la quota di risorse destinate ai fidi e ai crediti alle imprese e ai privati: una fonte essenziale per l’economia di un Paese. Crisi della finanza pubblica e crisi bancaria: una prospettiva che potrebbe portarci fuori dall’euro.</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Marco '''</span><span style="color:#0000ff;">Le argomentazioni che Lei ha espresso mi sono sembrate persuasive. Ma quando giorni fa ho ascoltato in televisione un’intervista al ministro Salvini, il suo modo di rivolgersi agli ascoltatori mi ha molto colpito: era il tono quasi spavaldo di chi appare più che sicuro di fare l’interesse degli italiani. Secondo lui, il governo attuale vuole un’Europa più efficace, più vicina ai cittadini, con più poteri al Parlamento europeo e meno poteri di intervento dei “burocrati” sull’economia degli Stati. Secondo lui il rimpatrio di centinaia di migliaia immigrati irregolari è possibile. Secondo lui l’età del pensionamento deve scendere ancora, non si può avere la schiena spezzata (come se i lavori usuranti non fossero già esentati..). Dunque, la manovra del governo italiano andrà avanti, non arretrerà “di un millimetro”. Chi lo ascoltava era portato a concludere: forse questi hanno ragione, diamo loro credito, fidiamoci e vediamo…</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span><span style="color:#231f20;">Ho visto anch’io la trasmissione. L’oratoria era senza dubbio molto efficace. Finalmente qualcuno che sa quello che vuole e sa farsi ascoltare, veniva fatto di pensare. Ma poi ci si accorge che nessuna obiezione, nessuna critica gli era stata rivolta dalla conduttrice né dagli altri partecipanti. Perché le istituzioni indipendenti nazionali e internazionali sono unanimi nel ritenere che la manovra del governo non incrementerà la crescita? Possibile che si sbaglino tutti? Perché non rilevare che l’aumento dello spread ha già determinato perdite cospicue ai risparmiatori e che nel 2019 andrà peggio? Perché non chiedere cosa succederebbe se gli interessi sui nuovi buoni del tesoro raddoppiassero o triplicassero in quanto altrimenti non verrebbero acquistati? Perché non obiettare che il pensionamento anticipato avrà conseguenze sui giovani di oggi che saranno pensionati domani, come asseriscono tutti gli esperti? Perché non citare l’allungamento in corso della speranza di vita, che fa sì che si resti poi pensionati per venti o trent’anni con danno evidente per chi lavora e dovrà mantenere, direttamente e indirettamente attraverso le tasse, chi non lavora in quanto pensionato? Perché dichiarare di volere un’Europa più forte e contemporaneamente tuonare ogni giorno contro le sue istituzioni alleandosi con chi le vuole indebolire? Perché isolare anche nella politica internazionale l’Italia dall’Europa, proprio quando la protezione americana sta venendo meno? A questi ed altri interrogativi non c’è stata risposta perché non ci sono state domande. Ed è qui un altro </span><span style="color:#231f20;">elemento inquietante. Comunque l’oratoria è indubbiamente efficace. Se non fosse così, i sondaggi non darebbero al governo il consenso del quale gode attualmente.</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Marco '''</span><span style="color:#0000ff;">Mi ha colpito di sentire che anche gli esponenti del sovranismo affermano tutti di volere l’Europa, ma un’Europa diversa. E mi sono detto: ma allora se si va all’elezione del 2019 e tutti dicono di volere l’Europa, come fa l’elettore a scegliere?</span>
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'''Aps '''Anzitutto colpisce che chi si batte per un ritorno alle nazioni sovrane affermi subito dopo che la battaglia si farà alle elezioni europee, e con ciò riconosca in pieno il ruolo
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di queste. Quanto alle dichiarazioni, Altiero Spinelli diceva che c’è un criterio sicuro per capire chi è davvero in favore dell’unione politica federale e chi è contro, pur dichiarandosi pro-europeo: da parte dei primi le proposte vanno nel senso di attribuire alle istituzioni sovranazionali dell’Unione – Commissione, Parlamento europeo, Corte di Giustizia – i poteri propri di una federazione, da parte dei secondi si auspica un coordinamento tra governi che lasci però agli Stati l’ultima parola. Meglio forse un avversario palese che un falso amico dell’Unione.
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<span style="color:#231f20;">'''Marco '''</span><span style="color:#0000ff;">Ci sono anche avversari esterni dell’Unione?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>Sì, e ci sono sempre stati. Il progetto europeo è di tale portata che non può non suscitare resistenze politiche, economiche e culturali, sia all’interno che all’esterno dell’Europa. Un fallimento dell’Unione lo vorrebbero in tanti. Contro l’Unione militano potenti interessi politici, finanziari ed economici. I rischi di crisi si devono anche a queste forze avverse.
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">Questo scenario è davvero drammatico. Ma L’Unione europea non potrebbe fare nulla per intervenire in caso di crisi della nostra finanza pubblica?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>Gli strumenti oggi esistono. Nel 2012 è stato creato – con l’accordo e la sottoscrizione di tutti i 19 Paesi dell’Eurozona – un nuovo importante strumento, denominato Meccanismo europeo di stabilizzazione (European Stability Mechanism, ESM), più noto come Fondo Salvastati, dotato di un capitale iniziale di 700 miliardi di euro, il quale è abilitato a intervenire a sostegno di uno Stato dell’Eurozona in difficoltà. difficoltà garantisce una gestione rigorosa della finanza pubblica accompagnato dall’impegno ad attuare riforme strutturali, con sanzioni pesanti e automatiche qualora l’impegno non venga rispettato, sulla base di valutazioni operate fondamentalmente dagli altri governi, dunque con un metodo intergovernativo. Inoltre, un altro strumento recente, denominato OMT (Outright Monetary Transaction), consente alla Banca centrale europea di acquistare in caso di necessità anche titoli del debito pubblico di un Paese in difficoltà, ma solo se la valutazione dei mercati e della agenzie di rating sull’affidabilità finanziaria del Paese sarà positiva e, in ogni caso, anche qui solo dopo che il Paese abbia concordato con gli altri governi dell’Eurogruppo un programma di risanamento, debitamente garantito e monitorato.
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">Se queste garanzie ci fossero, i rischi verrebbero condivisi a livello europeo?</span>
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'''Aps '''<span style="color:#231f20;">Sì, questa condivisione è di importanza fondamentale non solo nell’interesse dei Paesi deboli ma anche in quello dei Paesi europei più forti. Solo così l’unione economica e finanziaria e la stessa moneta unica potranno reggere le sfide di domani. Ma questo richiederà il completamento dell’unione bancaria ed anche la modifica delle regole dell’ESM.</span>
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">Se l’uscita dall’euro comporta l’uscita dall’Unione europea, cosa dovremmo aspettarci?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span><span style="color:#231f20;">Per l’Italia questa sarebbe una catastrofe. Torneremmo indietro di mezzo secolo. Tra l’altro ci taglieremmo fuori da una rete di vitali rapporti economici e commerciali conclusi anche per il nostro Paese dall’Unione europea attraverso centinaia di accordi commerciali che andrebbero rinegoziati dall’Italia in posizione di debolezza.</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Marco '''</span><span style="color:#0000ff;">L’Europa può permettersi un’uscita dell’Italia?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>È una domanda giustificata. In effetti il nostro Paese è per dimensioni economiche il terzo entro l’Unione, dopo l’uscita della Gran Bretagna, la quale però non era nell’euro. Il caso italiano sarebbe ben più grave anche rispetto al caso della Grecia. E metterebbe in crisi anche il sistema bancario dei Paesi dell’Eurozona: tutti possiedono titoli nostri, che pure essi stanno prudenzialmente riducendo in via precauzionale (70 miliardi in meno solo negli ultimi mesi, ottobre 2018). Tuttavia di fronte al rischio che il default italiano faccia affondare l’euro, gli altri Paesi dell’Eurozona e l’Unione nel suo complesso reagirebbero comunque per salvarlo, e con esso il mercato unico e dunque la stessa Unione europea.
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">E l’Italia?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>L’Italia potrebbe restare fuori da questi interventi di salvataggio. Perché se la sua affidabilità sarà valutata al di sotto degli standard internazionali, la Banca centrale europea non potrà intervenire ad acquistare i nostri buoni del tesoro con l’OMT né potrà attivarsi l’ESM se prima non verrà sottoscritto un impegno vincolante di risanamento e di adozione di riforme strutturali. Un impegno ben più pesante, anche perché a questo punto imposto dall’esterno, rispetto alle politiche che l’Italia potrebbe mettere in atto, d’intesa con l’Europa, per avviare una graduale ma strutturale discesa del proprio esorbitante debito pubblico.
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">L’uscita dell’Italia segnerebbe la fine dell’Unione come oggi la conosciamo?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>In un certo senso sì, perché l’Italia è stata per due terzi di secolo, e sin dall’inizio, un Paese fondatore che nel progetto europeo ha sempre creduto e al quale ha dato un contributo molto profondo, anche se questo non viene ricordato quasi mai. Abolire il mercato unico, la libera circolazione di merci persone capitali e servizi dall’Italia e verso l’Italia sarebbe molto grave anche per gli altri Paesi dell’Unione. Questo loro lo sanno benissimo. Ma alla crisi si può arrivare, se l’Italia abbandona le regole europee che pure ha sottoscritto. Sia chiaro, però: meglio, infinitamente meglio che il processo di unione non si arresti, persino se l’Italia dovesse restare ai margini (e dico questo con grande tristezza, sperando di venire smentito dai fatti). Il progetto europeo è di rilevanza planetaria, tutto è preferibile rispetto alla prospettiva di vederlo tramontare.
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">È un esito solo possibile o anche probabile il naufragio dell’Unione europea?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>È impossibile dirlo oggi. La storia non è mai prevedibile. Alcuni segnali negativi che percorrono l’intera Europa ci sono. E sono gravi, anche a prescindere dalle responsabilità dell’Italia. L’unione bancaria non è stata ancora completata. Il fenomeno migratorio è affrontato in ordine sparso, con forti divergenze tra i Paesi dell’Unione. Sono stati fatti progressi per condividere i dati di ''intelligence ''su terrorismo e mafie tra i Paesi dell’Unione ma molto resta ancora da fare. I nazionalismi stanno rinascendo quasi ovunque, Germania compresa, e alimentano atteggiamenti emotivi e irrazionali. Sull’Africa non c’è unità di intenti tra i governi dei Pae si europei per lo sviluppo di questo grande continente, che dovrebbe essere un terreno privilegiato per investimenti europei, anche per controllare il fenomeno migratorio. È vero, c’è ancora la convinzione diffusa che l’unione politica è la giusta prospettiva per il futuro degli Stati europei e dell’Europa nel suo complesso. Ma non trova supporti sufficienti nella classe politica e nei governi. E neppure, spesso, nei funzionari dei singoli Stati che preparano le decisioni intergovernative: anche in loro spesso prevale l’ottica del (supposto) interesse nazionale, la logica della negoziazione. È un approccio profondamente diverso dalla strategia di chi affronta un problema comune con l’intento di dar vita a un progetto comune. Troppo spesso nelle decisioni dell’Unione di oggi prevalgono scelte che sacrificano il futuro.
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">Chi ha sbagliato, allora, se siamo a questo punto?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>Hanno sbagliato i governi e i partiti pro-europei a non capire che bisognava tener conto delle pulsioni e delle paure dell’opinione pubblica: bisognava recepirle e collegarle con una politica efficace. Ha sbagliato l’Unione – anzitutto il Consiglio europeo, dunque ancora i governi – a non dare risposte coraggiose, adottando una politica comune su questo fronte e dotandosi in tempo di un governo comune dell’economia, di una fiscalità europea e di una comune politica sui migranti. Hanno sbagliato i media a privilegiare gli allarmi e gli slogan rispetto ai dati di fatto, spesso molto meno allarmanti di quanto percepito. Ed ora sta sbagliando il nostro governo quando sembra inconsapevole del rischio al quale sta esponendo il Paese.
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">Quindi è un errore imputare la crisi italiana all’Europa, come sembrano credere molti italiani?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>Sì, è un errore. L’Unione non è stata pienamente all’altezza dei suoi compiti, ma ormai gli altri Paesi europei sono usciti dalla crisi grazie anche agli interventi che l’Europa ha messo in atto. Solo l’Italia non ne è uscita: perché sebbene i governi che si sono succeduti dal 2011 in poi abbiano cercato di imprimere una inversione alla tendenza all’aumento del debito, la produttività è aumentata poco rispetto agli altri paesi. L’Italia è frenata anche da schiaccianti pesi strutturali, che risalgono indietro nel tempo e che le impediscono la crescita: l’evasione fiscale abnorme, le mafie, la burocrazia paralizzante, la giustizia infinita, l’incertezza normativa. Il governo Lega – Cinque stelle in pochi mesi ha esposto l’Italia a gravi rischi con il Def votato dal Parlamento italiano nell’ottobre 2018. E questo è accaduto a poche settimane di distanza da quando il presidente del Consiglio italiano e il ministro dell’Economia si erano impegnati con il Consiglio europeo e con la Commissione a rispettare parametri compatibili con un sia pur lento ridimensionamento strutturale del debito. Aver trasgredito questi impegni ha minato gravemente la fiducia nell’Italia. E i mercati stanno reagendo come sappiamo, con le conseguenze che possiamo oggi temere.
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<span style="color:#231f20;">'''Marco '''</span><span style="color:#0000ff;">Eppure sentiamo ripetere continuamente che la nostra crisi, la nostra mancata crescita dipendono dall’Europa; e che dobbiamo smettere di sottometterci alla burocrazia di Bruxelles.</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>Accollare all’Europa le nostre criticità è un’operazione politico-mediatica straordinariamente efficace. Ma è il contrario del vero. Anzitutto delle decisioni dell’Unione noi siamo corresponsabili, le abbiamo condivise nei Consigli europei, le abbiamo votate nel nostro Parlamento. Ma soprattutto, la tenuta dei nostri conti è un’esigenza vera nell’interesse nostro, come abbiamo già detto; e non è vero che sia l’Europa a ordinarci di fare tagli sui nostri servizi essenziali. L’impegno è di ridurre gradualmente il debito pubblico e il deficit. Ma siamo noi che dobbiamo decidere come farlo: se risparmiare sugli sprechi, se aumentare la produttività con le opportune riforme, o se invece, come è più facile, smentire gli impegni assunti e poi accollarne la responsabilità all’Europa. La vicenda di Brexit, con i gravi inconvenienti che solo ora gli inglesi cominciano a percepire, dovrebbe pure insegnarci qualcosa!
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">Se le scelte dei sovranisti sono così rischiose per l’Italia, non verrà il momento in cui gli elettori, i cittadini se ne accorgeranno?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>Se le promesse fatte dai partiti al governo non verranno modificate, quel momento senza dubbio verrà. Ma forse sarà troppo tardi.
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">In conclusione, per l’Europa la prognosi è infausta?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>Nonostante i tanti segnali negativi, che abbiamo richiamati sopra, ai quali altri se potrebbero aggiungere, nonostante i gravi rischi che l’Italia e l’Europa stanno correndo, la partita non è chiusa. È stato arduo costruire un edificio come l’Unione, le istituzioni sono difficili da creare; ma sono anche difficili da distruggere. Inoltre, come ho accennato, alla base i cittadini sanno bene che per il mondo di domani (ma in realtà già oggi) non ci sarà un ruolo adeguato per i piccoli Stati nazionali, per nessuno degli Stati europei, Germania inclusa. Un Progetto ambizioso di evoluzione dell’Unione è stato enunciato dai presidenti delle più importanti istituzioni dell’Unione. La più grave crisi economica dagli Anni Trenta è stata affrontata con decisione. Alcuni passi avanti importanti ci sono stati in questi anni, dal ruolo accresciuto del Parlamento europeo al ruolo decisivo svolto dalla Banca centrale europea, dalle recenti iniziative per una difesa comune all’introduzione di una vigilanza sovranazionale sulle banche. ''Last not least'', una fascia alta e qualificata di intellettuali europei sta esprimendo in questi mesi, anche pubblicamente, la propria fede nell’ideale europeo. Molto bello è, ad esempio, l’appello recente di uno dei maggiori filosofi viventi, Jürgen Habermas, insieme con alcuni dei più influenti uomini politici tedeschi, in sostegno di un’Europa unita in grado di difendersi e di agire efficacemente per lo sviluppo, contro le disparità sociali e la disoccupazione (''We are deeply concerned about the future of Europe and Germany'', “Handelsblatt”, 25 ottobre 2018). È significativo che ci sia in Germania chi ha compreso e dichiara apertamente che dal futuro dell’unione europea dipende anche il futuro della Germania. Gli appelli pro-europei si stanno moltiplicando. Per l’Unione l’elezione europea del 2019 sarà decisiva.
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== {{anchor|RefHeadingToc532647243}} Il Parlamento europeo, 2019 scadenza decisiva ==
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<span style="color:#231f20;">'''Marco '''</span><span style="color:#0000ff;">Vorrei allora capire meglio perché è importante andare a votare alle elezioni europee, come saremo chiamati a fare nel mese di maggio del 2019.</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>Le elezioni europee che si tengono ogni cinque anni sono sempre importanti. Ma l’elezione del 2019 sarà la più importante di tutte quelle svolte sinora. E questo per diverse ragioni. L’Europa si trova in una difficile condizione di crisi, una crisi di sicurezza e una crisi economica, entrambe non ancora superate: basti pensare al livello di disoccupazione soprattutto giovanile e al fenomeno impressionante delle migrazioni dal Mediterraneo e dall’Africa. Inoltre, alcune elezioni nazionali – anzitutto in Francia, con la nomina di Emmanuel Macron alla presidenza della Repubblica – hanno creato una situazione nuova, di rilancio dell’idea europea, che sta trovando un riscontro anche al livello delle istituzioni dall’Unione, a cominciare dal Parlamento europeo. Nel maggio dell’anno venturo l’esito del voto segnerà, forse irreversibilmente, il futuro dell’Unione europea. Si fronteggeranno, in tutti i Paesi dell’Unione due visioni molto diverse, se non addirittura opposte: quella di chi vuole smantellare l’Unione restituendo ai governi nazionali le funzioni che con l’integrazione sono passate all’Unione e quella di coloro che al contrario intendono portare l’Unione e dunque l’Europa e ciascuno dei suoi Paesi membri a un livello superiore e soddisfacente di funzionalità e di democrazia, seguendo la lettera e lo spirito dei trattati, che parlano di “un’unione sempre più stretta”.
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<span style="color:#231f20;">'''Marco '''</span><span style="color:#0000ff;">Ad oggi, chi rappresenta in modo chiaro ciascuna di queste due posizioni?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>Una risposta è semplice: anzitutto Macron da una parte, Salvini, Le Pen e Orban dall’altra. Ma alla posizione pro-europea aderiscono con sfumature diverse, insieme alla Francia, anche la Germania di Angela Merkel, la Spagna, il Portogallo, il Benelux, l’Irlanda e altri.
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">E l’Italia?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>L’Italia, che è stata sempre, in sessant’anni, promotrice attiva dell’integrazione europea, e come tale riconosciuta ovunque, oggi è su posizioni scettiche e negative. Ovviamente mi auguro che questa involuzione del nostro Paese costituisca solo una parentesi.
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<span style="color:#231f20;">'''Marco '''</span><span style="color:#0000ff;">Tra queste visioni diverse se opposte, come Lei ha detto, non ci sono davvero possibili punti in comune?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>La domanda è assolutamente giustificata. Se è vero che la lotta politica si svolge, specie in vista delle scadenze elettorali, sulla base di programmi distinti e contrapposti, è altrettanto vero che sia al livello parlamentare che nel governo occorre quasi sempre raggiungere intese che in qualche misura sfumano i contrasti. L’importante è che la qualità delle intese non ne risenta, perché ci sono i compromessi al rialzo e quelli al ribasso. Ad esempio, la Commissione europea ha sviluppato una grande capacità di individuare, in molti casi, un punto di incontro tra posizioni inizialmente distanti espresse dai singoli governi nazionali oppure nella procedura di codecisione tra Parlamento europeo e Consiglio dei ministri, della quale parleremo. E lo stesso avviene, in altre forme, all’interno del Parlamento europeo.
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<span style="color:#231f20;">'''Marco '''</span><span style="color:#0000ff;">Perché l’elezione del 2019 presenta questi aspetti di novità rispetto alle elezioni precedenti?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>L’elezione del 2019 sarà in certo senso la prima vera elezione europea, e non, come spesso è avvenuto in passato, anzitutto una proiezione delle politiche nazionali. È stato Mario Albertini ad affermare, quarant’anni fa, che l’Unione europea avrebbe messo radici il giorno in cui il suo governo fosse diventato oggetto di lotta politica, come è proprio delle democrazie. Questo processo, avviato già nell’elezione europea del 2014, oggi sta compiendo un passo avanti molto deciso.
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<span style="color:#231f20;">'''Marco '''</span><span style="color:#0000ff;">Torniamo allora alle elezioni del 2019. Come si formeranno i gruppi politici e le maggioranze nel nuovo Parlamento europeo?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>Saranno determinanti i programmi dei partiti e le alleanze elettorali concordate prima del voto: bisognerà vedere quali partiti nei singoli Paesi – e dunque anche in Italia – si collegheranno tra loro alleandosi con l’uno o con l’altro schieramento, allo scopo di formare una maggioranza nel nuovo Parlamento europeo eletto, dal quale usciranno il Presidente della Commissione, i Commissari e soprattutto le scelte legislative e di bilancio dell’Unione nel successivo quinquennio 2019-2024. Il ruolo dei parlamentari europei eletti in Italia potrà risultare determinante.
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">A me però pare che il Parlamento europeo conti ancora poco.</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>Certo non conta ancora abbastanza, ad oggi. Ma che conti poco non è vero. Per due ragioni: perché senza la sua presenza attiva l’Unione europea non sarebbe una struttura democratica; e perché nel corso dei decenni, da quando i cittadini hanno cominciato nel 1979 a votarlo ogni cinque anni, dunque ormai da quarant’anni, il suo peso è costantemente cresciuto. Sul primo punto, la questione è chiara: nei regimi democratici moderni le leggi debbono essere votate da un organo eletto dai cittadini, che sono i soli sovrani; e le scelte politiche di fondo debbono essere assunte da un governo che abbia la fiducia del parlamento eletto, là dove non ci sia, come negli Usa, una costituzione presidenziale, che prevede l’elezione diretta del presidente.
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">Dunque il voto europeo è essenziale per un funzionamento democratico dell’Unione?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>Sì. L’Unione europea non è uno Stato, non è neppure sino ad oggi una vera federazione di Stati, ma ha competenze economiche, sociali e politiche di tale importanza da non poter funzionare in modo democratico senza una base di legittimazione popolare: l’elezione ha questo scopo. Il peso del Parlamento europeo come abbiamo già detto è cresciuto. Le leggi nazionali sull’economia, vigenti nei diversi Paesi dell’Unione, sono in gran parte la derivazione di leggi europee, come tali votate dal Parlamento europeo, con una procedura di doppia decisione (codecisione) con il Consiglio dei ministri europeo, in coerenza con un modello di tipo federale. Questo fatto l’opinione pubblica lo ignora, la stampa e la televisione (ma anche Internet) lo trascurano. A loro volta, le forze politiche nazionali tendono ad esaltare il proprio ruolo e a svalutare il ruolo dell’Unione europea, salvo attribuirle spesso e volentieri decisioni impopolari o comunque contestabili che i governi stessi hanno sollecitato in sede europea.
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">Tuttavia il recente doppio voto del Parlamento europeo del 12 settembre 2018 sull’Ungheria di Orban e sui diritti di copyright ha avuto ampia risonanza.</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>Giustissima osservazione. Io considero questa data come davvero storica, perché è la prima volta dal lontano 1979 in cui le decisioni del Parlamento europeo sono state messe in risalto sulle pagine di tutti i giornali d’Europa e in tutti telegiornali. Forse la stampa e la televisione stanno finalmente prendendo atto del ruolo politico e democratico del Parlamento europeo. Il voto sull’Ungheria ha mostrato che quando si tratta dei principi di democrazia, di equilibrio tra i poteri e di libertà di pensiero i rappresentanti dei cittadini europei sono fermi nel difendere i diritti fondamentali: l’iniziativa di sanzionare le violazioni del governo di Orban ha ottenuto oltre i due terzi dei voti. Anche il voto del Parlamento sul copyright ha segnato una svolta, a tutela dei diritti d’autore, contrastando i privilegi anche fiscali dei grandi circuiti mondiali, da Google a Facebook.
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">Ora mi è più chiaro che il Parlamento europeo è un vero parlamento e non un semplice foro di discussione, come molti ancora ritengono.</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span><span style="color:#231f20;">Sì, nelle materie in cui i trattati hanno stabilito la sua competenza è proprio così. Anche se ci sono ancora fondamentali lacune sulle competenze da attribuire al Parlamento, per esempio in materia fiscale e di bilancio. Aggiungo un punto che mi sembra importante: oggi vediamo che spessissimo i parlamenti nazionali funzionano male, sono teatro di risse e di contrapposizioni rigide e aprioristiche, dettate dai partiti e imposte ai parlamentari. Invece le discussioni e le decisioni del Parlamento europea avvengono in un clima molto diverso, certo anche acceso come è naturale per le scelte di un’assemblea politica, ma sereno e privo di schieramenti rigidi, immobili. È così che deve funzionare un vero parlamento.</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Marco '''</span><span style="color:#0000ff;">Andremo dunque a votare per il Parlamento europeo nel maggio 2019: può chiarire quale è la procedura elettorale?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>Una legge elettorale comune è prevista dai trattati ma ancora non esiste in Europa, anche se il criterio di base in atto è quello della proporzionalità: nel doppio senso di un numero di eletti sostanzialmente proporzionale rispetto alla popolazione di ciascuno Stato dell’Unione (con una certa sovra-rappresentazione in favore degli Stati più piccoli) e di un numero di eletti proporzionale rispetto ai voti ottenuti da ciascuna delle liste nazionali.
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">Come si svolge il voto?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>Gli elettori italiani (come quelli degli altri Paesi membri, naturalmente) votano scegliendo tra le liste dei diversi partiti e potendo in molti casi esprimere preferenze sui nomi dei candidati. I partiti sono quelli tradizionali nel nostro Paese, ma i più importanti sono collegati al livello europeo con i partiti affini. I tre gruppi politici più consistenti al livello europeo sono quelli dei Partito popolare europeo (la destra moderata), dei Socialisti europei (incluso il nostro PD) e dei Liberali. Poi ci sono i gruppi della Sinistra europea e i partiti antieuropei, tra i quali da noi la Lega, in Francia i seguaci di Marine Le Pen. Questi collegamenti al livello europeo sono importantissimi perché ciascun gruppo in vista delle elezioni del nuovo Parlamento prefigura un programma europeo comune. Come scegliere? Naturalmente sulla base dei programmi e dei candidati annunciati prima del voto.
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= {{anchor|RefHeadingToc532647244}} II. La grande crisi europea =
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<div style="text-align:center;">[[Image:|top]]</div>
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== {{anchor|RefHeadingToc532647245}} Crisi economica ed Europa ==
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<span style="color:#231f20;">'''Marco '''</span><span style="color:#0000ff;">Da dieci anni ormai l’Italia è in crisi, i giovani non trovano lavoro, l’economia non cresce, il debito pubblico continua a salire. Come possiamo spiegare le cause di questa situazione?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span><span style="color:#231f20;">Non solo l’Italia ma tutta l’Unione europea ha attraversato la crisi economica più grave che il mondo abbia conosciuto dagli anni Trenta del Novecento. È una crisi che l’Europa ha importato dagli Stati Uniti, dove tra il 2007 e il 2008 dapprima una gigantesca bolla immobiliare (i mutui per l’acquisto di case venivano concessi anche ad acquirenti privi di garanzie e tuttavia il valore degli immobili saliva inarrestabilmente, sino al momento in cui la bolla scoppiò) poi il fallimento della grande Banca d’affari Lehmann Brothers hanno gettato la finanza e l’economia statunitense nella crisi: si ebbe un calo vistoso dell’occupazione e una brusca discesa del Prodotto interno lordo (il Pil). La crisi si è trasmessa rapidamente in Europa, dati gli intrecci strettissimi tra le economie e la finanza delle due parti dell’Atlantico.</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Marco '''</span><span style="color:#0000ff;">Come hanno reagito gli Stati Uniti?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span><span style="color:#231f20;">Gli Stati Uniti hanno reagito con decisione e immediatezza, attraverso investimenti massicci del governo federale nell’economia, dell’ordine di 800 miliardi di dollari. Sono anche intervenuti a risanare e ricapitalizzare i bilanci delle banche. E nell’arco di un paio d’anni hanno invertito la tendenza, riprendendo la crescita e contrastando la disoccupazione. L’Unione non ha potuto operare entro l’Eurozona in modo analogo agli Usa, perché non disponeva di un vero governo dell’economia, né di un adeguato bilancio comune, né delle necessarie risorse. Il riconoscimento di questi handicap ha spinto le istituzioni dell’UE a introdurre molteplici riforme dell’unione moneraria negli ultimi anni.</span>
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<div style="color:#231f20;">Non è certo un caso che negli Usa la produzione sia presto tornata a crescere a più del 3% del PIL mentre in Europa è rimasta a lungo sotto la metà di questo valore; e la disoccupazione, che negli Usa è presto tornata ad un tasso quasi fisiologico del 4%, in Europa è tuttora in media del 10%, con punte molto più elevate ancora per la disoccupazione giovanile. Questo va detto, senza però dimenticare che l’Unione è stata tutt’altro che passiva di fronte alla crisi.</div>
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<span style="color:#231f20;">'''Marco '''</span><span style="color:#0000ff;">Come ha agito l’Unione europea?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span><span style="color:#231f20;">L’Unione ha reagito alla crisi con una serie impressionante di misure adottate soprattutto negli anni dal 2010 al 2013. Esse hanno essenzialmente lo scopo di disciplinare quei bilanci nazionali che sono devianti rispetto ai parametri fissati dal trattato di Maastricht, e questo per evitare che la crisi finanziaria o bancaria di un Paese dell’Unione, in particolare entro l’Eurozona, possa mettere a rischio l’economia, la finanza, il sistema bancario e la moneta dell’Unione nel suo complesso. Ma tali misure hanno hanno purtroppo determinato in molti casi politiche fiscali pro-cicliche anziché incentivare la crescita e l’occupazione che la crisi aveva bloccato. La recente crisi in Europa è stata molto difficile da gestire anche perché – nata come crisi finanziaria importata dagli USA – è diventata crisi bancaria, economica e sociale. L’Unione è intervenuta in sostegno dei paesi in difficoltà creando l’European Financial Stability Facility (EFSF, maggio 2010), presto sostituito dal Fondo European Stability Mechanism (ESM, gennaio 2012), tuttora in vigore, come abbiamo già ricordato. Parallelamente l’Unione ha fortemente potenziato le misure finalizzate a coordinare le politiche di bilancio dei Paesi membri verso il rispetto dei parametri di Maastricht, con l’obiettivo di portare i Paesi con elevato debito pubblico, più esposti agli attacchi speculativi, a intraprendere politiche di graduale riduzione del debito (“Six pack”, dicembre 2011, Fiscal Compact (ottobre 2012), e “Two pack”, maggio 2013). Tutte queste iniziative dell’Unione hanno coinvolto la Commissione, il Consiglio europeo, l’Ecofin che comprende i ministri delle finanze dell’Unione e l’Eurogruppo che oggi include i 19 Paesi che hanno adottato l’Euro.</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Marco '''</span><span style="color:#0000ff;">Cos’è il Fiscal Compact?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span><span style="color:#231f20;">La procedura di rafforzamento del controllo dei bilanci degli Stati membri è culminata nel Trattato sulla stabilità, coordinamento e governance (in vigore dal 3 ottobre 2012), noto come Fiscal Compact, votato da tutti gli Stati membri ad eccezione della Gran Bretagna e della Repubblica Ceca (quest’ultima ha però in seguito aderito). Si è tra l’altro deciso di inserire nelle rispettive legislazioni nazionali il principio del pareggio del bilancio; anche l’Italia lo ha fatto, rafforzando con un voto a larghissima maggioranza del nostro Parlamento un obbligo che già figurava nella nostra Costituzione all’art. 81. Va detto che il Fiscal Compact ha la natura di un accordo tra governi, con i limiti di legittimazione democratica che questo fatto comporta.</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Marco '''</span><span style="color:#0000ff;">Perché sono state necessarie regole così stringenti sui bilanci nazionali, sul deficit e sul debito pubblico?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span><span style="color:#231f20;">. Quando a Maastricht nel 1992 si è decisa la creazione della moneta unica, questa scelta implicava ovviamente il passaggio della sovranità monetaria dagli Stati all’Unione attraverso la Banca centrale europea (Bce). Sino alla nascita dell’euro gli Stati, pur attraverso complesse procedure concordate, potevano far fronte a crisi economiche e finanziarie attraverso lo strumento del cambio delle rispettive monete, anzitutto con le svalutazioni competitive. Si trattava di misure di breve periodo, a danno della perdita di valore della moneta nazionale per i cittadini del paese. L’Italia lo aveva fatto ripetutamente. Con la moneta unica questo non è più stato possibile con riferimento ad un singolo Stato membro dell’Unione: la Banca centrale è la sola titolare della politica monetaria dei Paesi dell’euro e deve tener conto dell’intera Eurozona della quale è garante quanto alla stabilità monetaria. Il Trattato di Maastricht ha disposto tassativamente che la creazione di nuova moneta da parte della Banca centrale europea non possa essere utilizzata per ripianare il debito eccessivo di uno Stato membro dell’Unione, tale da renderlo insolvente, perché questo comporterebbe alla fine di mettere a carico dei contribuenti degli altri Stati membri il peso di una politica economica non sana praticata dallo Stato in questione. Infatti poteva accadere (e può tuttora accadere) che uno Stato con una finanza pubblica fuori controllo si trovi nell’impossibilità di farvi fronte se l’onere per gli </span><span style="color:#231f20;">interessi sale eccessivamente, sino a rendere insostenibile l’impegno conseguente; in tal caso può entrare in crisi non solo la finanza pubblica dello Stato insolvente ma anche l’intero suo sistema bancario, e non solo quello del Paese indebitato. Occorre allora ricondurre lo Stato deviante ad una gestione corretta del proprio bilancio, che accompagni gli interventi di sostegno per uscire dalla crisi. È questo il motivo per il quale la crisi iniziata nel 2008 ha indotto l’Unione ad adottare le misure delle quali abbiamo appena parlato, nell’intento di rendere cogenti le regole introdotte a Maastricht.</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Marco '''</span><span style="color:#0000ff;">Ma la Banca centrale europea non potrebbe stampare moneta per intervenire a sostegno di uno Stato insolvente?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span><span style="color:#231f20;">È ciò che alcuni critici dell’euro e della moneta unica vorrebbero e ciò che chiedono con insistenza. Senonché questa richiesta è priva di fondamento. Nessuna Banca centrale – neppure la Federal Reserve americana – è prestatore di ultima istanza di uno Stato che si indebita in misura tale da mettere a rischio la propria solvibilità. Lo faceva l’Italia sino al 1981, generando un’inflazione crescente e altamente dannosa. Dopo di allora si è introdotto anche in Italia il principio dell’indipendenza della Banca centrale. È il cardine adottato anche dalla Banca centrale europea in base al trattato di Maastricht, proprio per impedirle di svolgere la funzione di prestatore di ultima istanza di uno Stato, perché ciò “eliminerebbe qualsiasi incentivo per i governi a tenere sotto controllo le finanze pubbliche” (Bini Smaghi, 2014, p. 93), con le conseguenze che sappiamo.</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Marco '''</span><span style="color:#0000ff;">Quale è stato il ruolo della Banca Centrale Europea nella gestione della crisi?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span><span style="color:#231f20;">Il ruolo della Bce è stato fondamentale per garantire la stabilità della moneta e stabilizzare le condizioni sui mercati monetari e finanziari. All’apice delle turbolenze dell’estate 2012, un discorso di Draghi ha calmato i mercati, attestando l’autorevolezza e la credibilità della Bce. La frase famosa pronunciata allora suonava semplicemente così: “within our mandate, the European Central Bank is ready to do whatever it takes to preserve the euro; and believe me, it will be enough”. Gli interventi della Banca centrale sono stati incisivi e molteplici; essi hanno incluso un piano di rifinanziamento a lungo termine mediante prestiti alle banche (Ltro, 2011-2012), l’acquisto sul mercato secondario di titoli di Stato (Smp, 2012) nonché il possibile acquisto diretto da parte della Bce di titoli di stato a breve termine emessi da Paesi in difficoltà macroeconomica grave e conclamata, a condizione che i conti pubblici dello Stato siano sotto controllo: è questo l’Outright Monetary Transaction (OMT, settembre 2012) che la Corte di giustizia europea, alla quale la Corte costituzionale tedesca aveva fatto ricorso, ha dichiarato legittimo nel 2014. A due riprese, nel 2014 e nel 2016, sono stati attivati per gli enti creditizi finanziamenti sino a quattro anni e condizioni particolarmente favorevoli (Tltro). Il rischio molto grave di una deflazione ha nel frattempo indotto la Bce ad intraprendere il Quantitative Easing (QE) allo scopo di rendere più conveniente e più fluido il credito: la Banca centrale europea ha immesso per alcuni anni nel circuito del credito un volume di liquidità enorme, 60 miliardi di euro al mese ed anche oltre, con lo scopo di consentire alle banche di operare senza restrizioni e di evitare la deflazione che si stava preparando, anche allo scopo di riportare l’inflazione verso il valore indicato dai trattati, vicino al 2%. Iniziato nel marzo 2015, il QE sembra ormai in fase di chiusura. L’OMT permane fra gli strumenti attivabili dalla Bce, alle condizioni però che abbiamo ricordato, cioè solo a fronte di una politica di risanamento (verificabile e monitorata) da parte dello Stato o degli Stati membri che intendono usufruirne.</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Marco '''</span><span style="color:#0000ff;">Tutte queste misure sono bastate per superare la crisi economica e finanziaria?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span><span style="color:#231f20;">Esse hanno bensì gradualmente riportato l’ordine nei bilanci nazionali di alcuni Paesi (in particolare Spagna, Portogallo, Irlanda), talora al costo di disagi estremamente pesanti, come è accaduto in Grecia. La crisi ora è sostanzialmente superata. Ma la ripresa è stata lenta e faticosa, anche a causa di un contesto </span><span style="color:#231f20;">internazionale sfavorevole. Si è andati vicino ad una vera recessione dell’economia che avrebbe avuto conseguenze devastanti sull’occupazione.</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Marco '''</span><span style="color:#0000ff;">L’euro dunque ha superato la crisi?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span><span style="color:#231f20;">Sì, questa crisi è stata superata. Decisivo è stato il ruolo della Banca centrale europea, attraverso le misure che abbiamo appena ricordato. Particolare importanza assumono gli interventi adottati per stabilizzare il sistema bancario, rafforzandone il capitale e centralizzando la vigilanza delle banche di maggiori dimensioni presso la Bce. È questo il progetto, ancora incompleto, dell’unione bancaria.</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Marco '''</span><span style="color:#0000ff;">Possiamo allora stare tranquilli per il futuro?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span><span style="color:#231f20;">Purtroppo no. Per diverse ragioni. Perché non tutti gli Stati hanno messo i propri conti in ordine, a cominciare proprio dall’Italia, che oggi costituisce il fronte più esposto dell’intera Eurozona. Perché il sistema finanziario e i mercati non sono prevedibili e possono sempre precipitare in nuove crisi. E perché l’unione bancaria non è stata ancora completata.</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Marco '''</span><span style="color:#0000ff;">In Europa ci vuole dunque anche una riforma del sistema bancario?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span><span style="color:#231f20;">Certamente, per l’interconnessione stretta tra le economie e la finanza dei diversi Paesi dell’Unione, senza la quale il mercato unico non potrebbe funzionare. L’Unione, sotto la spinta della crisi, si è posta un obbiettivo fondamentale, quello di dar vita ad una effettiva unione bancaria. La decisione è scaturita dal Consiglio europeo di fine giugno 2012 che ha recepito il cosiddetto Documento dei quattro Presidenti, una sorta di Roadmap per il futuro dell’Unione, nel quale si prospettavano le quattro unioni da realizzare progressivamente: bancaria, fiscale, economica e politica. L’unione bancaria, che già da tempo si era rivelata necessaria, è così finalmente decollata a livello europeo. Il progetto dell’unione bancaria comprende tre principali obbiettivi: l’istituzione di un potere di vigilanza sovranazionale, perché le grandi banche sono attive contemporaneamente in più Paesi; un meccanismo condiviso per intervenire in caso di default di una o più banche; una garanzia comune sui depositi bancari. Ad oggi, la vigilanza sovranazionale è stata completata e il meccanismo di risoluzione delle crisi bancarie è partito, seppure incompleto, mentre sul meccanismo europeo dei depositi manca ancora l’accordo. Questo ritardo lascia i sistemi bancari nazionali ancora esposti al rischio di instabilità e può produrre conseguenze negative per le banche, per i risparmiatori e per lo sviluppo dell’economia e del mercato unico.</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Marco '''</span><span style="color:#0000ff;">Si sente spesso ripetere che responsabile dell’alto tasso di disoccupazione e della mancata crescita è proprio l’Europa. Sono giustificate queste accuse contro l’Unione europea?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>Non si deve pensare né che l’Europa non abbia fatto nulla per superare la crisi né che essa possa fare tutto. Delle misure adottate dall’Unione abbiamo appena parlato. La difesa della moneta europea è stata un successo e le misure per indurre i Paesi con alto debito e con alto deficit ad adottare politiche di rientro nella normalità sono obbiettivi importanti: non perché lo prescrive un Trattato ma perché un Paese che si indebita fuori misura mette a rischio il proprio futuro e carica sulle spalle dei giovani un peso troppo alto; e perché i debiti vanno pagati e – pur dovendosi tenere ben presente il principio di solidarietà, sul quale torneremo – non è giusto che siano i contribuenti di Paesi con i conti in ordine a dover sanare costantemente le carenze di Paesi troppo indebitati. Tuttavia, se per riavviare la crescita e combattere la disoccupazione occorrono investimenti pubblici massici, proprio i Paesi fortemente indebitati hanno le mani legate perché gli spazi di manovra per incrementi di spesa pubblica su questi fronti sono ridottissimi.
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<span style="color:#231f20;">'''Marco '''</span><span style="color:#0000ff;">È qui che l’Europa dovrebbe intervenire?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>Sì. E non lo ha fatto in misura adeguata. Nel 2010 Tommaso Padoa-Schioppa aveva espresso in modo breve e pregnante una strategia per contrastare la crisi con efficacia: “il risanamento spetta agli Stati, l’Europa intervenga per la crescita”. Su questo fronte l’Unione è stata caren te. Solo con la Commissione uscita dalle elezioni europee del 2014 è stato promosso, per iniziativa del Presidente Juncker, un piano che ha portato alla creazione del Fon do europeo per gli investimenti strategici (Feis) – per il triennio 2015-2018 sono previsti 315 miliardi di euro, che arriveranno a 500 miliardi entro il 2020 – ed ha permesso di raccogliere capitali per investimenti già attivati per 335 miliardi di euro (Juncker, ''Discorso sullo stato dell’UE'', 12 settembre 2018). Per l’Italia sono stanziati dal Piano 8 miliardi, che con l’apporto degli investitori incentivati dalle garanzie europee potrebbero arrivare a ben 50 miliardi. Con questi soldi si sta facendo molto, ma questo ancora non basta. Ed agire sarebbe possibile, in quanto l’Unione non soltanto potrebbe avvalersi di nuove risorse proprie ma non avendo sin qui neppure un euro di debito potrebbe inoltre, mantenendo il bilancio in condizioni di sicurezza, emettere quote di bonds destinate ad investimenti. Ma non si tratta solo di spendere più soldi per la crescita. Il grande punto di forza economico dell’Unione europea, che è il mercato unico, andrebbe completato nei servizi, soprattutto i servizi a rete, e nella creazione di un autentico mercato unico per i servizi digitali. Così si potrebbero mobilita re ingenti investimenti privati e creare posti di lavoro nei campi delle nuove tecnologie.
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<span style="color:#231f20;">'''Marco '''</span><span style="color:#0000ff;">Come si spiega questa carenza di visione, questa miopia dell’Unione europea che ha impedito di uscire prima – e meglio – dalla crisi dell’ultimo decennio?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>Come spesso accade nelle cose umane, si è trattato di un deficit prima di tutto culturale. È prevalsa in questi anni una dottrina dell’economia che ha le sue radici nella Germania di Weimar e che tuttora domina la condotta dei governi tedeschi. È la dottrina della “casa in ordine”, per la quale la condizione necessaria e sufficiente perché vi sia uno stabile ordine internazionale, tale da evitare crisi di sistema anche sul terreno della finanza, è che ogni Stato assicuri l’equilibrio del proprio bilancio. È un’illusione parallela a quella che nell’Ottocento aveva indotto a ritenere che la guerra sarebbe stata scongiurata in Europa il giorno in cui vi fosse stata la coincidenza di Stato e Nazione. In pari tempo, si è accreditata con enorme successo la tesi per la quale la politica migliore è di lasciare la mano libera al mercato perché è il mercato che conosce meglio le condizioni dell’economia e che è in grado, da solo, di autocorreggersi; l’intervento pubblico non sarebbe dunque né necessario né opportuno. Questa impostazione da circa un quarantennio, dagli anni di Ronald Reagan e di Margaret Thatcher, è la dottrina dominante, teorizzata da intellettuali autorevoli, quali l’influente scuola di Chicago già dominata da Milton Friedman. In realtà, proprio la crisi recente ha dimostrato che per contrastare le crisi più gravi, che sempre possono tornare a verificarsi, occorrono strumenti diversi. Il mercato non sempre si autocorregge, anche perché è la vittima di ondate speculative da esso stesso prodotte.
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<span style="color:#231f20;">'''Marco '''</span><span style="color:#0000ff;">E allora quali sono i rimedi contro questi fallimenti dei mercati?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>Bisogna considerare due elementi: se è vero che il mercato può funzionare solo entro un perimetro di regole perché non è una condizione di natura ma una creazione dell’economia e in definitiva della politica, occorre però in pari tempo lasciare alla politica – al livello al quale sia necessario od opportuno inervenire, dunque per l’Unione al livello sovranazionale – un effettivo potere di governo, un potere fiscale ed anche uno spazio di discrezionalità e di intervento che il mercato, pur se disciplinato da regole, non è in grado di assicurare, soprattutto quando si deve fronteggiare una crisi. Del resto, la grande crisi degli anni Trenta è stata vinta da Roosevelt anche con una politica lungimirante di investimenti pubblici. L’Unione europea questo non lo ha fatto, comunque non in misura sufficiente, non al livello giusto. E i risultati sono stati negativi. È la conseguenza di quella carenza di un governo federale dell’economia della quale già abbiamo parlato.
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== {{anchor|RefHeadingToc532647246}} Crisi migratorie ed Europa ==
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<span style="color:#231f20;">'''Marco '''</span><span style="color:#0000ff;">Io avverto, ancor prima della preoccupazione per l’economia, un forte senso di insicurezza, anzi spesso addirittura di paura e di ostilità per la presenza di una minoranza di immigrati extraed intracomunitari nel nostro Paese. Ed anche di questa situazione si sente spesso imputare la responsabilità all’Europa: che non ci difende, non ci aiuta, non interviene. È esatto questo?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span><span style="color:#231f20;">Il tema delle immigrazioni è diventato in questi ultimi anni cruciale in tutti i Paesi dell’Unione. In Italia ancor più che altrove. Vorrei anzitutto delineare in sintesi qualche elemento di informazione, desunto dalle statistiche dell’Istat. Gli stranieri presenti in Italia nel 2018 ammontano a 5.144.440, pari all’8,5% della popolazione italiana. Di essi, il 51% proviene dall’Europa, in massima pare dai Paesi dell’Unione. Dall’Africa proviene il 21%, dall’Asia il 20,5%, dalle Americhe il 7%. Gli uomini immigrati sono meno delle donne e i musulmani sono meno di un terzo del totale. Chi proviene da un altro Stato dell’Unione ha, in virtù dei trattati europei, libero diritto di circolazione; per i restanti immigrati, si distinguono tre categorie: coloro che hanno un regolare permesso di soggiorno; coloro che sono entrati chiedendo il diritto d’asilo e lo status di rifugiato, previsto dai trattati per chi viene perseguitato nel paese d’origine (Convenzione di Ginevra del 1951); e infine gli immigrati irregolari, cioè coloro che sono entrati illecitamente senza dichiararsi rifugiati, coloro per i quali è scaduto il permesso di soggiorno, ma soprattutto coloro che hanno vista respinta la domanda di asilo in quanto non provenienti da Paesi considerati persecutori.</span>
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<div style="color:#231f20;">Questa categoria dei migranti irregolari conta attualmente in Italia circa 500.000 individui; nel 2003 erano 250.000 in più rispetto ad oggi. Per loro è prevista l’espulsione, ma questa misura è di difficilissima esecuzione ed anche molto costosa: è stato calcolato che ammonta a circa 4.000 euro a persona, anche perché gli individui da espellere dovrebbero nel frattempo venire reperiti entro il territorio. Invece i richiedenti asilo vengono allocati in apposite strutture, in attesa degli accertamenti sull’identità e sulla provenienza, con procedure che richiedono mesi e spesso anni, con elevati costi di mantenimento. Questi dati sull’identità e sulla provenienza spessissimo sono mancanti o fittizi, perché anche i migranti per motivi economici tendono a dichiararsi perseguitati politici per ottenere il diritto d’asilo, pur provenendo in realtà da Paesi non persecutori. Tutto ciò dà un’idea delle difficoltà e dei costi legati a queste situazioni.</div>
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<span style="color:#231f20;">'''Marco '''</span><span style="color:#0000ff;">La tesi dei partiti “populisti” è che bisogna chiudere le frontiere e respingere ogni ulteriore ingresso di migranti in Italia. Sarebbe pensabile ipotizzare una chiusura rigida alle immigrazioni?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>Occorre avere ben chiaro un punto fondamentale. Non solo l’Italia, ma l’intera Europa hanno un vitale bisogno di immigrati (da alcuni calcoli risulta che ne occorrerebbe alme-
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no un milione all’anno in Europa e probabilmente anche di più) per contrastare la crisi demografica: stiamo diventando una popolazione di anziani, con pochi giovani e con una quota insufficiente di persone in età di lavoro; questo potrà avere conseguenze insostenibili, sia per i lavoratori attivi che per i pensionati di domani. Una quota adeguata e ben regolata di immigrati – i quali tra l’altro hanno un tasso di nascite più alto del nostro – è indispensabile già oggi e lo sarà anche in futuro per la nostra economia e per il nostro benessere.
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">Riguardo al tasso di natalità, quanto gioca il fenomeno migratorio?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>Conta molto. Gli immigrati, per ragioni di cultura ed anche per il sollievo di essere sfuggiti a situazioni spesso tragiche di persecuzione e di miseria, hanno generalmente una tendenza assai più accentuata a mettere al mondo dei figli.
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">Tuttavia il flusso di immigrati in Italia continua a destare preoccupazione, allarme, reazioni.</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>Anche su questo bisogna anzitutto conoscere i dati reali. Vi è stato nel 2015 un picco nelle immigrazioni in Europa e anche in Italia, causato in larga misura dalla guerra in Siria. L’accordo dell’Unione europea con la Turchia, lautamente ricompensata per questo, ha quasi arrestato questo flusso nel Mediterraneo orientale. Gli sbarchi in Italia, prevalentemente dalla Libia che funge da ponte per le regioni a sud del Sahel, sono scesi da 181.000 nel 2016 a 119.000 nel 2017 e a 17.000 nei primi sei mesi del 2018, con un calo dell’ordine dell’80%. Diciamo la verità: oggi questa attenzione ossessiva per poche centinaia di migranti in attesa di ingresso nei nostri porti è solo un pretesto. È un fenomeno mediatico deplorevole, utilizzato da alcuni politici a fini demagogici, purtroppo con successo. Il vero problema non è attualmente quello degli ingressi bensì quello della gestione degli immigrati già presenti in Italia. Dal momento che l’espulsione di centinaia di migliaia di migranti è inattuabile, occorre mettere in atto politiche di integrazione attiva più efficaci.
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">All’inizio io parlavo di insicurezza e di ostilità verso gli immigrati: come fare fronte a queste paure, che hanno una radice profonda?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>Queste paure vanno capite e vanno affrontate, non certo eluse né disprezzate. Occorre farlo procedendo su più fronti: il fronte dei flussi di immigrati; il fronte della loro distribuzione sul territorio europeo; il fronte della loro integrazione nel mercato del lavoro; il fronte della loro formazione civica; e va aggiunto anche il fronte di un’adeguata formazione dei cittadini italiani ed europei, perché circolano non solo notizie inesatte sui numeri, ma virus ideologici molto pericolosi, che condannano in blocco alcune minoranze straniere, a cominciare dai musulmani; una deriva che può sboccare nel razzismo. Su questi diversi fronti, accanto a politiche adeguate dei singoli Paesi europei, è indispensabile una serie di politiche comuni dell’Unione, che sinora è mancata quasi totalmente. Occorre anche disporre di un circuito informativo corretto, perché i sondaggi confermano che il tasso di immigrazione percepito è ben tre volte quello dell’immigrazione reale, gli italiani credono che gli immigrati costituiscano il 25% della popolazione, non l’8,5% che è il dato reale.
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">La fonte di molte paure non è forse la lontananza culturale, l’estraneità di lingua e di modi e stili di vita familiare degli immigrati rispetto alla popolazione locale?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>La lontananza culturale c’è, è innegabile. Ma diven ta pericolosa solo quando crea conflitti con la popolazione locale. Ed è inaccettabile solo quando si concreta in comportamenti – anche interni alle famiglie immigrate – che contrastano con i principi del nostro diritto e della nostra Costituzione: chi viene in Europa deve accettare le nostre Carte dei diritti, le nostre Costituzioni nazionali, che oggi trovano la sintesi nella Carta europea. Su questo non si può e non si deve transigere.
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">Sono anche gli atti di violenza a suscitare reazioni. E ancor più la minaccia del terrorismo.</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>Sì, i media mettono in evidenza i reati commessi da stranieri, ingenerando anche qui percezioni non sempre corrispondenti alla realtà; il che nulla toglie naturalmente alla gravità di tali comportamenti. Quanto al terrorismo islamico, terrificante nelle sue manifestazioni sanguinose contro innocenti, due sono le vie per contrastarlo, complementari tra loro: da un lato gli immigrati musulmani vanno integrati socialmente e culturalmente e non confinati in ghetti come purtroppo fuori d’Italia è accaduto spesso; d’altro lato è indispensabile una condivisione a livello europeo dei dati di ''intelligence'', perché il terrorismo è internazionale; ed anche questo sinora non è avvenuto, comunque non in misura sufficiente, perché ogni polizia tende ad essere gelosa delle proprie banche dati. Inoltre va consideato il fatto che nella maggior parte dei casi le terribili stragi terroristiche sono state opera di individui di cittadinana europea – in Inghilterra, in Belgio, in Francia – spesso immigrati di seconda generazione, già allievi delle scuole del loro Paese di appartenenza. Questo fa capire come sia difficile combattere il rischio.
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">Molti sono convinti che la malavita sia in gran parte opera di immigrati.</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>Quanto alla malavita, certo essa va combattuta senza quartiere. Ma non dimentichiamo che quella di gran lunga più diffusa e più pericolosa nel nostro Paese è la malavita delle nostre quattro mafie. Le meritorie denunce di associazioni come Libera e l’azione di magistrati coraggiosi quali Gratteri ed altri, ampiamente note, sono inequivocabili. Decine di magistrati hanno pagato negli scorsi decenni con la vita il loro impegno contro la criminalità mafiosa. Eppure ancor oggi l’Italia è inquinata capillarmente, anche al Nord, dalle mafie per così dire domestiche, anzitutto dalla mafia calabra della Ndrangheta. È un virus mortale per la società civile e per l’economia.
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">Qualche giorno fa dovevo recarmi in un ambulatorio del Servizio sanitario regionale e sono rimasto colpito per il fatto che la grande maggioranza dei pazienti in attesa era costituita da migranti. Avvertivo negli italiani presenti una forte reazione, anche se muta…</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>Le percentuali di immigrati in Italia le abbiamo viste sopra. Se ci sono situazioni come quella che Lei ha descritta, questo si deve al modo non regolato di gestire i migranti sul territorio italiano. Una distribuzione diversa e più equilibrata, anche con riferimento all’istruzione scolastica e alla sanità, è possibile ed anzi necessaria. In altri Paesi dell’Unione questo già avviene. Accogliere gli immigrati non significa privarsi di ogni forma di regolamento, ovviamente senza discriminazioni sui diritti fondamentali. Se questo non avviene, la responsabilità è nostra e non dell’Europa, come invece si tende a far credere.
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">L’Italia però si è anche dimostrata accogliente con i migranti; o sbaglio?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>l’Italia negli anni scorsi si è mossa con generosità, sia nel soccorso ai migranti in fuga dall’Africa, in particolare attraverso la Libia, sia nell’accoglienza sul territorio; e questi meriti, per una volta, ci sono stati riconosciuti: “l’Italia ha salvato l’onore dell’Europa”, ha dichiarato più volte il presidente della Commissione europea Juncker.
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">Come si connette il fenomeno migratorio con la globalizzazione dell’economia a livello planetario?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>Alcuni grandi Paesi in via di sviluppo o di sviluppo recente – la Cina, l’India, il Sud est asiatico – producono molti beni tradizionali a costi talmente inferiori da rendere insostenibile la concorrenza, facendo perdere all’Europa milioni di posti di lavoro. Qui è intervenuta con efficacia e potrà ancora operare l’Organizzazione internazionale del commercio (WTO) – nella quel l’Unione europea ha un peso determinante – per ottenere condizioni tali, ad esempio sugli orari di lavoro e sul lavoro minorile, da ristabilire un livello adeguato di concorrenza, penalizzando chi non li rispetti, anche con misure di protezione doganale alle frontiere. L’Europa comunque dovrà e potrà riconvertirsi, anche a seguito della rivoluzione informatica, così da sviluppare non solo le tecnologie d’avanguardia del mondo di domani, ma anche per intervenire nel processo di crescita dei Paesi in via di sviluppo, il che comporta la creazione e/o la trasformazione di posti di lavoro. Nel corso non breve di questo processo, investire in Africa (come già sta facendo la Cina in misura impressionante) consentirà all’Europa, con la messa a punto di un grande Piano per lo sviluppo, di proseguire anche su fronti produttivi tradizionali, in pari tempo favorendo lo sviluppo economico di questo grande Continente e inducendo gli Africani a vivere nelle loro terre.
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">Tuttavia ho letto che le previsioni prospettano numeri altissimi, più di un miliardo di nuovi nati in Nigeria nei prossimi decenni. L’Europa non potrà mai farvi fronte.</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>Attenzione però. Già oggi la grande maggioranza dei migranti africani si sta spostando entro l’Africa stessa. Si stima che su 69 milioni di persone che vogliono migrare a livello planetario, quelli che puntano all’Europa sono meno di un decimo (Forum Villa Vigoni 2018). E potranno rimanere entro limiti ragionevoli se l’Europa attuerà in Africa le opportune politiche di investimento: vantaggiose per entrambi i continenti. È d’altra parte ben noto che quando un Paese sottosviluppato raggiunge un adeguato livello di benessere, il tasso di natalità decresce fortemente.
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">L’Europa è già intervenuta di fronte al fenomeno migratorio?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span><span style="color:#231f20;">Anche qui dobbiamo sfatare alcune false percezioni. Non è vero che l’Unione non ha fatto nulla. L’accordo di Schengen del 1990, in seguito entrato nei Trattati europei a partire dal 1997, oggi prevede un Codice frontiere che disciplina l’ingresso dei cittadini dei Paesi terzi, esterni rispetto all’Unione, stabilendo alcune condizioni e alcuni controlli disposti sulla base di regole uniformi. Inoltre, stabilisce l’impegno ad instaurare progressivamente un sistema integrato di gestione delle frontiere esterne, tramite l’istituzione, dapprima, di un’Agenzia comune (Frontex), quindi di una nuova Agenzia europea della guardia costiera e di frontiera (2016), peraltro ad oggi non ancora dotata delle necessarie risorse. Quanto al diritto d’asilo, una più recente riformulazione dell’Accordo di Dublino (Dublino III, 2013) ha confermato il criterio che assegna allo Stato di prima accoglienza il compito di esaminare la domanda di protezione, una procedura lunga e problematica come già abbiamo visto. Nel 2015 è stato adottato un piano temporaneo di emergenza, in coincidenza con il picco immigratorio che sappiamo. L’attuazione del piano è stata però affidata agli Stati dell’Unione solo su base volontaria ed è stata largamente inattuata, nonostante il fatto che la Corte di Giustizia europea abbia respinto nel febbraio 2017 un ricorso dei Paesi di Visegrad contro le decisioni del 2015. Ma il principio della distribuzione solo volontaria e non cogente dei migranti tra i Paesi dell’Unione è stato purtroppo ribadito nel vertice europeo del 27 giugno 2018.</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Marco '''</span><span style="color:#0000ff;">E allora come dovrebbe intervenire l’Europa in modo più efficace?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>Ciò che dovrebbe essere disciplinato al livello europeo è anzitutto il flusso delle immigrazioni. Occorre istituire una frontiera esterna all’Unione, regolata da una normativa comune non semplicemente volontaria ma obbligatoria. Occorrono regole comuni sui criteri di accoglienza. Secondo molti osservatori dovrebbe essere superata anche la distinzione tra il diritto d’asilo (per chi è discriminato o perseguitato nel proprio Paese d’origine) e chi fugge per ragioni di guerra o per ragioni di sussistenza, per carestia, per fame e per sete, rimodulando così la Convenzione di Ginevra del 1951. Occorrono valutazioni e regole uniformi sui nume ri accettabili, in termini di possibilità di occupazione, sulla base di dati obbiettivi forniti dai singoli Paesi. Occorrono interventi comuni per stabilire i criteri per l’accoglienza e per l’inserimento, da effettuare nei Paesi d’origine ma anche in quelli di transito, oltre che naturalmente nei Paesi europei di primo ingresso. E ci vogliono le risorse per farlo. Alla Commissione europea vanno conferiti i poteri esecutivi necessari. Infine, dopo un certo periodo di residenza stabile e al termine di un adeguato processo di integrazione e di formazione civica si dovrebbe accordare agli immigrati il diritto di cittadinanza.
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<span style="color:#231f20;">'''Marco '''</span><span style="color:#0000ff;">I Paesi di accoglienza dei migranti quali compiti avrebbero?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span><span style="color:#231f20;">Ogni Paese dell’Unione dovrebbe programmare quanti immigrati possa ospitare, quanti posti di lavoro, e di che tipo, abbia la possibilità ed anzi la necessità di mettere sul mercato, destinandoli sia a lavoratori di altri Stati dell’Unione sia a immigrati extracomunitari. Naturalmente, occorre impedire che la domanda di immigrati sia dovuta al minor costo di una mano d’opera sfruttata, sottopagata, assunta con lavoro nero, perché questo determina un’ingiusta discriminazione a danno di chi offre un lavoro regolare e di chi non è disposto al lavoro nero. Questo non è un rischio, teorico è una drammatica realtà, specie in Italia. Va detto inoltre – questo viene spesso taciuto anche se tutti lo sanno – che ci sono lavori per i quali in Italia (e non solo…) una mano d’opera disponibile non c’è, o è insufficiente, perché non sono lavori graditi. Si pensi alle badanti, a certi lavori agricoli, ai servizi di pulizia o di ristorazione. Guai se non avessimo gli immigrati!</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Marco '''</span><span style="color:#0000ff;">Per gli immigrati regolari, però, come si fa a permettere che ciascuno vada dove vuole, se le esigenze dei diversi Paesi dell’Unione sono diverse?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>Infatti questo non dovrebbe essere possibile, almeno nella prima collocazione dei migranti entro l’Unione. E in parte lo è già: i migranti regolari ammessi in un Paese dell’Unione non possono per cinque anni spostarsi in un altro Paese dell’Unione. Come fare? Si potrebbe anche operare con incentivi e disincentivi: se tu sei stato ammesso nell’Unione in un certo Paese, sulla base della programmazione di quel Paese, non potrai usufruire della copertura sanitaria se non all’interno dei quel Paese. Solo in seguito potrai spostarti rispondendo a un’offerta di lavoro di un altro Paese. Ovviamente la situazione è diversa per gli intracomunitari, a condizione che non ci siano abusi, come pure è avvenuto.
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">Mi sembra importante modificare la regola che impone al primo Stato dell’Unione nel quale sono arrivati i migranti richiedenti l’asilo di provvedere alla loro accoglienza. Questo penalizza evidentemente l’Italia, data la nostra posizione geografica.</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>Certamente. Occorre modificare il regolamento di Dublino del 1990 che ha sancito questa regola, ormai inaccettabile: bisogna riconoscere che chi entra in un qualsiasi Paese dell’Unione entra in Europa, ogni frontiera nazionale di ingressi di extracomunitari deve essere considerata come frontiera europea<span style="color:#231f20;">. Il Parlamento Europeo ha già votato un progetto di riforma del Regolamento di Dublino, allo scopo di stabilire un’equa ripartizione europea dei migranti. Ma anche questa misura trova l’ostacolo del Consiglio degli Stati membri, che non decide, anche perché paralizzato dal potere di veto.</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Marco '''</span><span style="color:#0000ff;">Questi impegni non saranno esorbitanti rispetto alle risorse disponibili? Dove si possono reperire le risorse?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>Bisogna che il bilancio dell’Unione cresca, come diremo parlando della politica economica dell’Unione, attraverso la messa a punto di un vasto programma di sviluppo sostenibile che avvantaggi contestualmente sia l’Europa che l’Africa. Va aggiunto che occorrerà anche mettere a punto tecnologie nuove, ad esempio per lo stoccaggio e il trasporto di energia solare dall’Africa. I costi di elettrificazione e di estrazione di acqua per l’intera Africa sono stati calcolati e risultano affrontabili in un arco non ampio di anni, con costi sicuramente alla portata dell’Unione europea. Come vedremo meglio, il bilancio dell’Unione dovrà necessariamente essere potenziato. Progetti ed opere di questa portata, tecnicamente molto avanzate ma anche vulnerabili, andrebbero difese e garantite, ai fini della sicurezza, con apparati anche militari adeguati, che potrebbero venire gestiti dall’Unione africana – l’embrione di una futura unione del Continente, sul modello dell’Unione europea – ed anche dall’Onu, con il supporto finanziario e operativo dell’Unione europea.
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">Oggi questo non avviene?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>No, tutto questo oggi non avviene. Non si è capito, da parte dei governi – o meglio, non si è voluto capire – che coordinare non significa governare. Per di più, neppure questo coordinamento è avvenuto in misura adeguata, perché il metodo intergovernativo si fonda sull’unanimità, si blocca se c’è un veto e taglia fuori il Parlamento europeo. Al livello europeo il fenomeno migratorio va gestito con regole comuni e va governato, non semplicemente coordinato. La crisi attuale, non ancora risolta, è anche il frutto di questo errore.
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== {{anchor|RefHeadingToc532647247}} Difesa e sicurezza ==
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<span style="color:#231f20;">'''Marco '''</span><span style="color:#0000ff;">Nel Mediterraneo meridionale c’è la guerra e anche dove non c’è, la pace è ad alto rischio: dalla Siria all’Iran all’Egitto alla Libia, per non parlare della crisi apparentemente senza vie d’uscita nei rapporti tra Israele e il popolo palestinese. E poi c’è la crisi dell’Ucraina. Tutto questo ci riguarda, avviene ai nostri confini, eppure non sembra che l’Europa abbia voce in capitolo. La fonte della nostra insicurezza non è anche qui?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>Certamente, è così. Per la prima volta dopo decenni, oggi anche in Europa la pace è a rischio. Non nel senso che vi sia la minaccia di una guerra interna tra i Paesi dell’Unione, come è avvenuto costantemente in passato e due volte con conseguenze terribili nel corso del Novecento; ma perché quando ai confini ci sono guerre o minacce di guerra, il contagio può avvenire anche senza aver voluto la guerra. L’anomalia che si è verificata per decenni e che non è stata sanata è questa: la sicurezza dell’Europa, la sua difesa militare dalle possibili minacce esterne sono affidate a una potenza, amica e alleata, che ci ha consentito la salvezza dal nazismo: gli Stati Uniti, naturalmente. Questa protezione era necessaria al termine della seconda guerra mondiale, anche per difendere l’Europa dalla minaccia dell’Unione sovietica. Tuttavia se l’alleanza con la grande potenza amica d’oltre Atlantico è tuttora naturale per l’Europa, la dipendenza dagli USA ai fini della nostra sicurezza alla lunga non è più ammissibile come condizione permanente. Ogni comunità politica deve provvedere alla propria sicurezza senza dipendere da altri, anche se le alleanze sono possibili ed auspicabili. La struttura in grado di provvedere alla propria difesa oggi per i nostri popoli non può essere se non l’Unione europea, nella forma di una vera unione federale. I singoli stati nazionali non hanno la dimensione necessaria per farlo. Vorrei dire di più: un popolo che non è in grado di provvedere alla propria sicurezza, prima o poi rischia di perdere anche la propria libertà. La storia è piena di esempi del genere, da millenni.
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<span style="color:#231f20;">'''Marco '''</span><span style="color:#0000ff;">Dovremmo spendere di più per costruire una vera difesa europea?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>È stato dimostrato, cifre alla mano, che se si gestis se in comune la spesa odierna per la difesa dei 27 Paesi dell’Unione (esclusa la Gran Bretagna), l’efficacia militare sarebbe di gran lunga maggiore (''The Cost of non Europe in Security and Defense'', Parlamento europeo 2017). Naturalmente, una difesa autonoma richiederebbe investimenti ulteriori, che tuttavia (come dimostra l’esempio degli USA) avrebbero ricadute importantissime anche sulle tecnologie non militari e sulla stessa ricerca scientifica.
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<span style="color:#231f20;">'''Marco '''</span><span style="color:#0000ff;">Non mi è chiaro se difesa europea vorrebbe dire smantellamento degli eserciti nazionali, che sarebbero sostituiti da un esercito europeo.</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>La creazione di una difesa europea, necessaria per le ragioni che abbiamo detto, verrebbe realizzata progressivamente e non comporterebbe, quanto meno per un periodo non breve, l’abolizione delle forze militari nazionali. Queste rimarrebbero, ma da una parte la standardizzazione degli armamenti le renderà molto meno costose, d’altra parte e soprattutto vi saranno corpi militari gestiti al livello europeo, sia per difesa sia per missioni di pace: ''peace enforcing'', ''peace keepin''g, rispettivamente per costringere alla pace tra belligeranti o per mantenere la pace stipulata in territori già in guerra. Un tale doppio livello – nazionale ed europeo – può sembrare contraddittorio; ma sembra l’unico possibile. L’esempio che si può richiamare è quello degli Stati Uniti, dove i due livelli militari – quello degli Stati e quello della Federazione – sono rimasti in vita per buona parte dell’Ottocento (Domenico Moro, 2018).
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<div style="color:#231f20;">Per l’Unione europea potrà applicarsi il principio di sussidiarietà, del quale parleremo: si ricorrerà al livello europeo solo quando necessario. Inoltre, si dovrà prevedere che il livello federale possa in caso di necessità, con le dovute garanzie di legittimazione democratica, utilizzare anche le forze militari nazionali, per scongiurare minacce esterne o atti di guerra di un singolo Stato membro verso altri: anche qui va considerato il modello americano. D’altra parte, è chiaro che non può esistere in un regime di democrazia un esercito non sottoposto all’autorità politica, e ciò vuol dire che lo stato maggiore per la difesa e l’esercito europeo agiranno sotto il controllo del Consiglio europeo e del Parlamento europeo.</div>
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">Il giudizio che si deve dare sulla passata politica dell’Unione riguardo alla difesa comune e alla sicurezza mi sembra dunque sostanzialmente negativo.</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>Sì, perché questo aspetto cruciale della sicurezza dei cittadini europei avrebbe dovuto venire affrontato da anni, anzi da decenni, e non rimanere bloccato dopo la bocciatura della Comunità europea di difesa (Ced) nel remoto 1954. Tuttavia l’orizzonte ha mostrato proprio in questi ultimi due anni segni di schiarita molto promettenti. Qualcosa si è mosso. La politica di Trump, critica verso l’Unione europea, ha contribuito in misura sostanziale a questa svolta. Si è finalmente manifestata la volontà politica di dotarsi di strumenti comuni per le missioni di pace e per la standardizzazione degli armamenti. Sia in Germania sia in Francia si è espressamente auspicata la creazione di un esercito europeo. Le dichiarazioni recentissime di Emmanuel Macron e di Angela Merkel (novembre 2018) sono molto esplicite, entrambi hanno parlato della necessita di creare un “esercito europeo”, non nell’intento di contrapporsi agli Stati Uniti ma col proposito di acquistare autonomia nella gestione della propria sicurezza e difesa. Questo non era mai più accaduto da sessant’anni. L’11 dicembre 2017 il Consiglio europeo ha deciso di attivare una Cooperazione strutturata permanente (Pesco) per promuovere la difesa e la sicurezza comune. A sua volta, il Parlamento europeo ha approvato il 3 luglio 2018 un Programma europeo di sviluppo del settore industriale della difesa (Edidp). Oggi l’insieme delle risorse, di diversa origine, destinate dall’Unione a questi scopi è vicina ai 10 miliardi di euro (Domenico Moro, 2018). Ancora troppo poco, certamente, ma la via sembra finalmente riaperta. I sistemi satellitari europei Galileo e Copernico renderebbero autonoma l’Unione su questo fronte cruciale per la sicurezza.
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<span style="color:#231f20;">'''Marco '''</span><span style="color:#0000ff;">A queste funzioni militari dovranno prendere parte tutti gli Stati dell’Unione?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>Non necessariamente. Il Trattato di Lisbona prevede una formula (detta cooperazione strutturata) che permette a un gruppo anche ristretto di Paesi di organizzare tra loro forme di integrazione sul terreno della difesa. Le forze europee saranno formate da militari di quei Paesi dell’Unione che lo vorranno; proprio negli ultimi mesi si sono compiuti importanti passi avanti in questa direzione: i governi di Germania, Francia, Italia, Spagna ed altri Paesi dell’Unione hanno espresso l’impegno di avanzare su questo terreno, sul quale l’Europa potrà svolgere un ruolo importantissimo anche a livello internazionale e mondiale. Desidero aggiungere che sarebbe grave se l’Italia si tirasse indietro su questo fronte, magari cedendo alle pressioni di chi oggi sembra voler indebolire e dividere l’Unione europea: mi riferisco agli Usa, alla Russia e alla stessa Cina. L’Italia potrebbe essere l’anello debole, per chi avesse questi propositi.
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">Lei ha parlato di una funzione internazionale di una futura forza di difesa europea. Ma la pace mondiale non dovrebbe essere garantita dalle Nazioni Unite?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>Certo, le Nazioni Unite (Onu) sono il tentativo più ambizioso, mai prima intrapreso nella storia a questo livello, di creare una struttura globale in grado di garantire la pace. L’Onu ha al suo attivo successi innegabili, sia sul piano dei diritti umani che attraverso le tante missioni di pace. Ma è tuttora carente di poteri adeguati. L’Unione europea ha invece lo scopo di unire con un vincolo federale gli stati del nostro continente, garantendo in modo permanente la pace interna all’Europa. Costituisce un modello per gli altri Continenti e, se unita politicamente, potrà dare all’Onu un supporto fondamentale. La forza militare dell’Unione potrebbe diventare uno strumento operativo di ordine e di pace proprio nella cornice dell’Onu. Perché l’idea di un’Europa politica ha sin dall’origine una chiara vocazione cosmopolitica.
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= {{anchor|RefHeadingToc532647248}} III. Strutture, politiche, storia dell’Unione =
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<div style="text-align:center;">[[Image:|top]]</div>
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== {{anchor|RefHeadingToc532647249}} Istituzioni, leggi, decisioni, pareri e procedure dell’Unione ==
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<span style="color:#231f20;">'''Marco '''</span><span style="color:#0000ff;">A questo punto io vorrei capire meglio come è strutturata e come funziona questa Unione, con i suoi successi e i suoi fallimenti. Chi detta le regole, chi governa, chi giudica?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span><span style="color:#231f20;">Mi ha posto tre domande cruciali, Marco, si direbbe che Lei abbia letto Montesquieu (e forse è così, o sbaglio?). Proviamo a descrivere in breve le istituzioni fondamentali dell’Unione europea. Esse sono cinque: i due Consigli (il Consiglio europeo e il Consiglio dei Ministri), il Parlamento europeo, la Commissione, la Corte di Giustizia. Si aggiungono – con competenze più settoriali – la Banca Centrale Europea e la Corte dei Conti. Ma prima di parlarne, è necessario richiamare la fonte di tutte le istituzioni e di tutte le normative di base dell’Unione europea: questa fonte è costituita dai Trattati fondativi dell’Unione, messi a punto alla unanimità dai Governi e ratificati da tutti gli Stati membri. Essi rappresentano, insieme alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, la “Costituzione” dell’Unione europea. Oggi fonte primaria del diritto dell’Unione sono i due trattati sottoscritti a Lisbona nel 2007 e in vigore dal gennaio del 2009: il Trattato sull’Unione europea (Tue) e il Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (Tfue). Parleremo più avanti della storia che ha preceduto questa normativa, dal 1951 al 2007.</span>
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">Cosa sono e cosa fanno i due Consigli?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>Il Consiglio europeo (CE) riunisce periodicamente, più volte all’anno, sotto la guida di un Presidente elettivo, i Capi di Stato o di Governo (a seconda delle rispettive strutture costituzionali, ad es. per la Francia partecipa il presidente della Repubblica) dei Paesi dell’Unione e il Presidente della Commissione. È l’organo dal quale sono venute le principali iniziative politiche dell’Unione negli scorsi anni e decenni: così ad esempio nel 2011 il Fiscal Compact e le altre misure per fare fronte alla crisi, così l’iniziativa per l’unione bancaria, tuttora in corso. Si deve considerare attualmente l’organo di governo strategico più importante e più autorevole dell’Unione europea. Il CE delibera normalmente “per consenso”, cioè all’unanimità, che si presume se nessuno rifiuta la sintesi del presidente del CE. Il suo Presidente dal 2009 viene eletto dai suoi membri per due anni e mezzo, rinnovabile per una sola volta, tra personalità europee, in particolare ex primi ministri. I primi due presidenti del CE dopo Lisbona sono stati il belga van Rompuy e il polacco Tusk, tuttora in carica.
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">E il Consiglio dei ministri?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>Il Consiglio dei ministri (rinominato semplicemente Consiglio) è composto dai ministri competenti dei Paesi dell’Unione – anzitutto i ministri dell’economia, i ministri degli esteri, i ministri dell’Interno, i ministri dell’agricoltura e così via, a seconda delle materie trattate. La presidenza si rinnova con frequenza semestrale a rotazione tra tutti i Paesi dell’Unione. Il Consiglio esercita non solo poteri di decisione ma anche e soprattutto poteri legislativi nelle questioni di competenza dell’Unione. Il Consiglio delibera a maggioranza, semplice o qualificata, in co-decisione con il Parlamento europeo. Ma per una serie di materie di particolare importanza, precisate nei trattati – ad esempio in tema di fiscalità, di polizia, di disavanzi eccessivi dei bilanci nazionali, in certi profili della politica sociale e in numerose altre materie – è richiesta l’unanimità dei voti del Consiglio; e quasi sempre su queste materie il Parlamento europeo (PE) non esercita un potere legislativo ma soltanto una funzione consultiva. Inoltre i ministri dell’economia e delle finanze dell’Unione formano l’Ecofin e quelli tra loro appartenenti ai Paesi che hanno adottato l’euro formano l’Eurogruppo dotato di un presidente eletto tra i ministri per la durata di due anni e mezzo.
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<span style="color:#231f20;">'''Marco '''</span><span style="color:#0000ff;">Non sono troppi tutti questi presidenti?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span><span style="color:#231f20;">Quanto ai ministri finanziari, è giusto che i Paesi dell’euro abbiano un presidente del gruppo Euro perché gli aspetti specifici sono importanti. E’ anche senz’altro spiegabile che i trattati abbiano distinto il Presidente del Consiglio europeo dal Presidente della Commissione. Tuttavia i trattati non escludono che le due cariche possano venir attribuite alla medesima persona. E diversi osservatori preferirebbero questa unificazione in quanto il Presidente sarebbe l’esponente di punta dell’Unione europea anche a livello internazionale, in un’epoca come è la nostra nella quale la personalizzazione della politica al vertice è divenuta la regola in quasi tutti i Paesi.</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Marco '''</span><span style="color:#0000ff;">Non è strana l’esclusione del Parlamento europeo da materie importanti per l’Unione?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>Il principio della codecisione tra PE e Consiglio dei ministri è giusto, perché in una prospettiva di federazione tra Stati accanto ad una Camera del popolo (il PE) deve esistere una Camera degli Stati, la quale nel caso dell’Unione è rappresentata, con funzioni distinte come abbiamo visto, dai due Consigli. I Parlamenti sono stati creati nella storia d’Europa, anzitutto in Inghilterra, proprio per governare il processo legislativo e per deliberare in materia fiscale (“no taxation without representation”). Sono i trattati stessi ad avere sancito che l’Unione europea si fonda sulla democrazia rappresentativa. Ed è perciò contraddittorio che per alcune tra le materie più importanti per le quali i trattati hanno stabilito la competenza dell’Unione il Parlamento europeo, che rappresenta i cittadini europei, sia escluso dal potere legislativo. Altrettanto ingiustificata è l’assenza di un potere fiscale a livello europeo, del quale il Parlamento europeo dovrebbe essere co-titolare insieme con il Consiglio che rappresenta gli Stati. Dobbiamo aggiungere peraltro che nel corso di oltre trentacinque anni, da quando il PE viene eletto a suffragio universale, i suoi poteri si sono costantemente accresciuti, nel senso che ognuno dei trattati ha aumentato le materie in cui opera la codecisione. Ma le eccezioni ci sono ancora e sono rilevantissime.
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">Quali altri poteri ha il Parlamento europeo?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>Oltre al potere di codecisione legislativa, là dove esso è previsto dai trattati, il PE ha un ruolo fondamentale nella nomina del Presidente della Commissione e dei singoli Commissari. Può anche votare la censura costringendo l’intera Commissione a decadere dalla carica. Ha inoltre il compito di discutere e approvare il bilancio annuale e il bilancio pluriennale dell’Unione, sul primo dei quali può bloccare il processo sino al raggiungimento di un’intesa con il Consiglio. Ha il potere di proporre emendamenti ai trattati e di assumere risoluzioni non vincolanti su tutte le materie di competenza dell’Unione. Le mozioni e le risoluzioni del PE – preparate in modo ammirevole per completezza e approfondimento all’interno delle Commissioni nelle quali sono presenti parlamentari di tutti i partiti e quindi votate in adunanza plenaria – hanno aperto la via a molte innovazioni e riforme sui diritti, sull’ambiente, sul lavoro, sui rapporti sociali.
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">Della Commissione anche la stampa e la televisione si occupano continuamente. I principali commissari sono ormai considerati come dei super-ministri, ai quali i governi nazionali debbono rendere conto. Perché accade questo?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span><span style="color:#231f20;">Va premesso che i governi nazionali concorrono in modo determinante alla nomina del Presidente della Commissione e dei commissari, quindi non si tratta di “soggetti” alieni dal circuito del consenso politico che coinvolge, innanzitutto, gli Stati membri. In ogni caso, poi, sia il mercato unico e l’unione monetaria sia le altre funzioni dell’Unione rendono necessario non solo un coordinamento tra gli Stati membri in tema di economia ma anche il rispetto di vincoli che, sottoscritti dai singoli governi, debbono venire monitorati per non mettere a rischio l’economia e la finanza dell’Unione, come già abbiamo visto. Per questo il Trattato di Lisbona prevede che la Commissione “vigili” sull’applicazione del diritto dell’Unione europea da parte degli Stati membri.</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Marco '''</span><span style="color:#0000ff;">Da chi viene nominata la Commissione?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>La Commissione è nominata dal Consiglio europeo e dal Consiglio e votata dal Parlamento europeo. Il Presidente è proposto dal Consiglio europeo a maggioranza qualificata, tenendo conto dell’esito del voto popolare per il PE. Il Consiglio, in accordo con il Presidente eletto, propone le altre personalità che devono comporre la Commissione. Tale disciplina è il frutto di un’evoluzione che per la nomina del presidente e dei commissari ha determinato, dal Trattato di Maastricht in poi, un aumento del potere del Parlamento europeo e il superamento del requisito della unanimità da parte del Consiglio europeo. Questa evoluzione è molto importante perché segna un progressivo avvicinamento dell’Unione al modello costituzionale di una democrazia rappresentativa, nel quale sia il potere legislativo sia il potere esecutivo hanno la loro fonte prima nella sovranità popolare. Trattandosi però di un modello di stampo federale, entrambi i poteri vengono esercitati in connessione con una “Camera degli Stati”, cioè con i due Consigli: per la nomina della Commissione e del suo presidente vi è il ruolo determinante del Consiglio europeo, per il potere legislativo il Consiglio legifera in codecisione con il PE quando non addirittura da solo ove i Trattati lo prevedano; e il potere di governo è in realtà esercitato in misura eminente, quanto agli indirizzi di fondo, dallo stesso Consiglio europeo, come anche si è detto.
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">Quali sono i compiti della Commissione?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>La Commissione europea, che include un commissario per ciascun Paese dell’Unione, esercita fondamentalmente le funzioni di governo dell’Unione, attraverso l’opera del presidente, dei singoli commissari e del collegio nel suo complesso. Dalla Commissione e dai singoli commissari dipende la struttura amministrativa dell’Unione, che si articola in una ventina di direzioni generali, ognuna delle quali opera per un settore di competenza dell’Unione, dal bilancio all’economia e finanza, dalla concorrenza all’agricoltura, dal commercio alla politica sociale e così via. La Commissione non ha però tutti i poteri di un governo, trovando dei bilanciamenti nel ruolo di impulso e di definizione degli orientamenti generali che è proprio del Consiglio europeo e perché anche il Consiglio ha importanti prerogative “gestorie” in certe materie (ad es. la procedura per disavanzi eccessivi). È importante sottolineare che la Commissione ha conservato in base ai trattati l’esclusiva dell’iniziativa legislativa entro l’Unione. Inoltre la Commissione assolve a un’altra funzione molto importante, distinta da quella tipica di un governo: è “custode dei trattati”, nel senso che verifica, controlla e se necessario sanziona quei comportamenti degli Stati membri e di altri soggetti pubblici e privati, i quali deroghino rispetto alle normative comunitarie.
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">Chi è competente per la politica estera?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>Anzitutto il Consiglio europeo come collegio, il suo presidente e il presidente della Commissione. Ma il Trattato di Lisbona ha creato anche la carica di Alto rappresentante dell’Unione nei rapporti internazionali. Costui (anzi, costei: l’attuale titolare è l’italiana Federica Mogherini) è designato dal Consiglio europeo ed è in pari tempo anche vicepresidente della Commissione. Inoltre presiede il Consiglio quando questo si riunisce nella composizione relativa agli affari esteri, alla presenza dei ministri degli esteri dei Paesi dell’Unione.
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<span style="color:#231f20;">'''Marco '''</span><span style="color:#0000ff;">Rimane da vedere quali sono le funzioni della Corte di giustizia.</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>La Corte di giustizia, che ha sede in Lussemburgo, è composta da giudici e avvocati generali. Ognuno dei giudici proviene da uno dei Paesi dell’Unione. Dal 1988 esiste anche, subordinata ad essa, una Corte di primo grado (c.d. Tribunale dell’Unione europea). Il compito fondamentale della Corte è di decidere, su istanza dei governi, dei privati o anche di un’istituzione europea, se un provvedimento legislativo o di governo dell’Unione sia o meno conforme alle norme dei trattati europei. Su istanza della Commissione, la Corte accerta le violazioni degli Stati membri e li condanna al pagamento di sanzioni pecuniarie. Inoltre può decidere, su richiesta di un giudice nazionale e quindi in via “pregiudiziale” sull’interpretazione del diritto dell’Unione; nel far ciò la Corte si pronuncia spesso sulla compatibilità di una misura nazionale con il diritto dell’Unione che è chiamata a interpretare e così qualsiasi giudice nazionale (e quindi qualsiasi parte che controverta dinanzi ad esso) ha il potere di ottenere il controllo sugli atti degli Stati che violano il diritto dell’Unione. <span style="color:#231f20;">Sono funzioni di grandissimo rilievo: alcuni principi fondamentali del diritto europeo sono stati introdotti sulla base di decisioni della Corte di giustizia, ad esempio il principio della diretta applicabilità del diritto dell’Unione all’interno di uno Stato membro o quello della prevalenza del diritto dell’Unione rispetto alle leggi nazionali, nelle materie di competenza dell’Unione stessa. Ma i casi e i temi che hanno generato sentenze di importanza storica pronunciate dalla Corte di Giustizia sono molto numerosi.</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Marco '''</span><span style="color:#0000ff;">Può farmi alcuni esempi?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span><span style="color:#231f20;">Mi limito a citare due casi celebri. Nella causa Van Gend & Loos del 1963 la Corte di giustizia europea ha stabilito che le disposizioni dei Trattati europei hanno un effetto diretto a vantaggio dei cittadini degli Stati membri, anche se in contrasto con norme di legge nazionali (il Belgio aveva introdotto un dazio in deroga rispetto ai trattati); allora si trattava del Trattato CEE (Comunità economica europea) del 1957, ma il principio sancito dalla Corte vale ancora oggi con la disciplina in vigore. Nel 1964, nella sentenza relativa alla causa Costa/Enel tale principio venne ribadito con la motivazione che gli Stati membri, avendo approvato il Trattato del 1957, hanno rinunciato in via definitiva ad una parte della loro sovranità relativa alle materie disciplinate dal trattato europeo. Potrei ricordare molte altre decisioni della Corte, ugualmente importanti.</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Marco '''</span><span style="color:#0000ff;">Che rapporto c’è tra la Corte di Giustizia e la Corte sui diritti umani?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>Quest’ultima, che risiede Strasburgo, non è un organo dell’Unione europea ma del Consiglio d’Europa, un’istituzione nata nel 1948 che comprende oltre 40 Paesi non solo dell’Unione europea. Il compito della Corte europea per la salvaguardia dei diritti umani è di pronunciarsi sul rispetto dei diritti umani, su ricorso di singoli o di enti pubblici e privati, diritti che sono elencati nella Convenzione europea per la salvaguarda dei diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali (Cedu) del 1950 e nei suoi numerosi protocolli. Vi è una parziale sovrapposizione con la Corte di Giustizia dell’Unione e con le Corti costituzionali nazionali perché la prima (la Corte di Lussemburgo) svolge ormai un ruolo, dopo il trattato di Lisbona, anche con riferimento all’interpretazione della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione le cui disposizioni in molti casi si ispirano alle norme e alla giurisprudenza della Cedu.
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">Vi sono altre istituzioni dell’Unione europea?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span><span style="color:#231f20;">Sì, l’Unione include la Corte dei Conti e la Banca Centrale Europea. Inoltre vi sono due organi consultivi importanti, il Comitato economico e sociale e il Comitato per le Regioni.</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Marco '''</span><span style="color:#0000ff;">Vorrei capire a questo punto cosa sono le leggi dell’Unione europea.</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span><span style="color:#231f20;">Le due fonti fondamentali della legislazione dell’Unione sono i regolamenti e le direttive. Esse possono formarsi solo entro i limiti delle competenze e delle funzioni che i trattati attribuiscono all’Unione. Poiché tali competenze, esclusive e concorrenti, sono ormai molteplici, anche il raggio della legislazione europea è assai ampio. Mentre i regolamenti sono oltre che obbligatori anche direttamente applicabili entro l’Unione, le direttive sono strutturate in forma di principi, che dovranno venire tradotti in leggi nazionali tenute ad accoglierli, anche in forma non identica nei diversi Paesi. Questa formula è molto importante perché lascia aperta la via a soluzioni nazionali differenziate, purché non contrastanti con le regole di base adottate al livello europeo. Regolamenti e direttive possono essere adottati, quando il Tfue lo prevede, secondo la c.d. procedura legislativa ordinaria, che prevede appunto la codecisione tra Consiglio e Parlamento europeo. Per questo possono essere definiti atti legislativi dell’Unione europea.</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Marco '''</span><span style="color:#0000ff;">Come nascono questi due modelli legislativi, come si forma una legge europea?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span><span style="color:#231f20;">La procedura legislativa dell’Unione ha due forme diverse. La prima è la “procedura legislativa ordinaria”, con la quale un progetto di legge predisposto dalla Commissione viene discusso sia dal Parlamento europeo che dal Consiglio; per acquistare forza di legge il testo votato dal Parlamento e dal Consiglio deve alla fine essere identico, un risultato al quale si arriva spesso soltanto al termine di una serie di contatti tra i tre organi; si può anche attivare, a questo fine, un gruppo di lavoro composto da un egual numero di delegati delle tre istituzioni, il cd. Trilogo, per facilitare il raggiungimento di un accordo. La seconda procedura è invece detta “procedura legislativa speciale”; in una serie di materie previste specificamente dai Trattati, la messa a punto di un regolamento, di una direttiva o di una decisione è, di norma, prerogativa del solo Consiglio, il quale dopo averla approvata all’unanimità la sottopone al Parlamento europeo a titolo di consultazione non vincolante nella maggior parte dei casi, mentre solo in alcuni altri casi il parere del Parlamento è richiesto per l’approvazione dell’atto, e quindi il Parlamento potrà dire si o no, senza potere intervenire sulla formulazione del testo.</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Marco '''</span><span style="color:#0000ff;">Non deve essere facile arrivare a un testo condiviso quando vi debbono lavorare tante istituzioni diverse.</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span><span style="color:#231f20;">Infatti, il cammino non è semplice, sia entro ciascuna delle quattro istituzioni (la Commissione, i due Consigli, il Parlamento), sia nell’interazione tra di esse. Del Trilogo abbiamo appena parlato. Ma vorrei sottolineare un altro aspetto: occorre che nel Consiglio dei ministri si trovi un’intesa tra i Governi, un’intesa unanime quando i trattati lo esigono nella procedura legislativa speciale e un’intesa maggioritaria nella procedura legislativa ordinaria. Per arrivare a questo – come pure in generale per predisporre le delibere dei due Consigli – è fondamentale l’attività del Comitato di rappresentanti permanenti dei governi (Coreper), in genere composto di diplomatici, che prepara le bozze di delibere che poi i Consigli saranno chiamati ad approvare. È un lavoro di negoziazione spesso molto arduo – perché in questa sede ogni rappresentante tende a sostenere le posizioni che ritiene più vantaggiose per il proprio governo e per il proprio Stato – ma essenziale per poter giungere a una posizione comune. La Commissione istruisce le sue proposte al proprio interno e il Parlamento europeo matura le sue posizioni attraverso il lavoro delle commissioni parlamentari.</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Marco '''</span><span style="color:#0000ff;">Vi sono anche altri atti giuridici dell’Unione, diversi da regolamenti e direttive?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span><span style="color:#231f20;">Naturalmente sì. Il trattato di Lisbona prevede, accanto ai regolamenti e alle direttive, anche le decisioni, le raccomandazioni e i pareri (art. 288 Tfue). Le decisioni possono essere di due tipi: obbligatorie </span><span style="color:#231f20;">per il destinatario o i destinatari, oppure prive di un destinatario specifico, ma comunque obbligatorie per la generalità dei consociati (decisioni in materia istituzionale). In quest’ultimo caso, possono venire deliberate con la procedura legislativa ordinaria. Le raccomandazioni e i pareri esprimono, d’ufficio o su richiesta, opinioni non vincolanti delle istituzioni europee su questa o su quella materia. Ci sono però anche numerosi atti non legislativi (Atti autonomi) i quali sono deliberati da una singola istituzione, la Commissione o il Consiglio, sulla base delle rispettive competenze e funzioni, senza la necessità di un intervento delle altre istituzioni dell’Unione. Ma non è tutto: l’Unione agisce anche attraverso numerosi altri canali. Essi hanno in comune il fatto di non essere provvedimenti vincolanti, ma solo atti di indirizzo e di proposta (ad es. le comunicazioni). Eppure sono stati spesso e sono tuttora di grandissimo rilievo.</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Marco '''</span><span style="color:#0000ff;">Non si stupirà se Le chiedo di dirmi al riguardo qualcosa di più….</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span><span style="color:#231f20;">La terminologia è varia, come è varia la natura di questo atti. Vi sono le risoluzioni, con le quali un’istituzione dell’Unione esprime propositi di azione futura manifestando una volontà politica comune. Vi sono le dichiarazioni che prefigurano sviluppi ulteriori dell’Unione ovvero danno l’interpretazione di decisioni assunte in precedenza. E poi anche comunicazioni, spesso di grande valore interpretativo e quindi fonte importante per l’orientamento degli operatori. E ancora: vi sono i </span><span style="color:#231f20;">''Libri Bianchi''</span><span style="color:#231f20;">, con i quali la Commissione pubblica un dossier, frutto di laboriose indagini preliminari, su un capitolo importante del futuro sviluppo dell’Unione: così il Libro bianco del 1985 sul mercato interno, quello del 2004 sui servizi di interesse generale, quello del 2006 sulla comunicazione, infine il Libro bianco del 2017 sul futuro dell’Europa. E molti altri.</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Marco '''</span><span style="color:#0000ff;">Non è eccessiva tutta questa proliferazione di documenti? Per di più non vincolanti?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span><span style="color:#231f20;">A differenza di quanto avviene negli Stati nazionali, l’Unione europea, forse perché è un organismo ancora in divenire, ha generalmente proceduto nelle sue politiche con una visione di medio e lungo periodo. Non è vittima della miopia della quale soffrono molti spesso le politiche nazionali, con lo sguardo fisso ai sondaggi quotidiani e alle elezioni del giorno dopo. Eppure l’Unione non trascura di consultare l’opinione pubblica: i sondaggi periodici di Eurobarometro su cosa i cittadini pensano dell’Europa sono ben noti. Questi atti “non vincolanti” servono anche a preparare il terreno per future evoluzioni della legislazione vincolante.</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Marco '''</span><span style="color:#0000ff;">Questa prospettiva di lungo periodo, non appiattita sull’oggi mi convince molto. Tuttavia mi chiedo se gli strumenti non vincolanti abbiano un ruolo effettivo nelle politiche dell’Unione europea.</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span><span style="color:#231f20;">Certo la loro efficacia è indiretta. I giuristi parlano di </span><span style="color:#231f20;">''soft law''</span><span style="color:#231f20;">, per indicare questo tipo di atti non vincolanti. Bisogna però considerare un aspetto importante: il processo di integrazione europea è un’impresa senza precedenti, anche perché mira a raggiungere un livello alto di integrazione senza sacrificare la sovranità degli Stati membri, ogni qualvolta questo non sia indispensabile. Dunque si cerca, d’intesa con i governi, di promuovere una cooperazione tra le istituzioni dell’Unione (i due Consigli e la Commissione) e i governi nazionali. La procedura chiamata “coordinamento aperto” ha questa finalità: la Commissione organizza riunioni alle quali partecipano i governi nazionali interessati allo scopo di confrontare le rispettive esperienze ed elaborare le pratiche migliori (</span><span style="color:#231f20;">''best practices''</span><span style="color:#231f20;">) per la messa a punto di progetti. In particolare sul terreno della cultura e della valorizzazione del patrimonio culturale, anche il carattere non vincolante di questi strumenti si è rivelato utile per accedere ai finanziamenti europei.</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Marco '''</span><span style="color:#0000ff;">Nelle materie di competenza concorrente come si combina il livello legislativo europeo con il livello nazionale?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span><span style="color:#231f20;">Per il raggiungimento degli scopi del mercato unico, quando una competenza è concorrente, cioè spetta sia agli Stati che all’Unione, l’Unione europea interverrà con le proprie regole quando l’obiettivo sarà meglio raggiungibile con una normativa a livello europeo, piuttosto che con tante normative nazionali e, </span><span style="color:#231f20;">ovviamente, in tal caso la direttiva o il regolamento europeo prevarrà sulle leggi nazionali. Nel tempo c’è stata un’evoluzione, promossa anzitutto da alcune sentenze della Corte di giustizia sulle caratteristiche dei prodotti posti in commercio. Si è affermato da un lato il principio del </span><span style="color:#231f20;">''mutuo riconoscimento''</span><span style="color:#231f20;">, da parte di uno Stato, dei requisiti richiesti dalle leggi di un altro Stato, dall’altro lato l’obbligo per gli Stati membri di non discostarsi dai criteri minimi relativi alla salute e alla sicurezza stabiliti a livello europeo, senza tuttavia impedire che una legge nazionale possa imporre per i propri prodotti (e solo per questi, non per i beni importati) requisiti più restrittivi rispetto alla normativa europea.</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Marco '''</span><span style="color:#0000ff;">Capisco allora perché molti contestino all’Unione europea la complessità delle procedure.</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span><span style="color:#231f20;">Sì, queste critiche risuonano spesso. Tuttavia è giusto tenere presente che la trasparenza delle procedure europee è notevolmente superiore rispetto a quella propria di molte procedure nazionali; e che la stretta cooperazione con gli Stati è un valore positivo, perché non solo evita di creare una enorme burocrazia europea, ma anche perché coinvolge gli Stati membri nell’attuazione di politiche condivise.</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Marco '''</span><span style="color:#0000ff;">Se si volessero modificare i Trattati, come si dovrebbe procedere?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span><span style="color:#231f20;">La procedura per riformare i trattati è disciplinata dall’art. 48 del Tue (come modificato da Trattato di Lisbona). Ogni governo dell’Unione o il Parlamento europeo o la Commissione possono proporre progetti di modifica dei Trattati. Il Consiglio europeo (CE), sentito il PE, decide a maggioranza semplice se convocare una Convenzione composta da parlamentari nazionali, parlamentari europei, rappresentanti dei Governi e rappresentanti della Commissione. La Convenzione esamina i progetti e adotta per consenso di proporre una Conferenza intergovernativa. In tal caso una Conferenza dei rappresentanti degli Stati membri decide di comune accordo le modifiche ai trattati. Queste entrano in vigore solo dopo essere state ratificate da tutti gli Stati membri dell’Unione.</span>
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<div style="color:#231f20;">È una procedura certamente complessa e di difficile attuazione, soprattutto perché occorre l’unanimità sia per la delibera finale della Conferenza intergovernativa sia per le ratifiche degli Stati. Esiste anche una procedura semplificata per modifiche di una parte del Trattato sul funzionamento dell’UE, che si può esperire senza la convocazione della Convenzione e senza la partecipazione del PE, con delibera unanime del Consiglio europeo. Ma occorre anche qui la ratifica di tutti gli Stati membri dell’Unione. È chiaro che queste procedure sono tali da rendere ardui i tentativi di modifica. Ma per sbloccare questi ostacoli occorrerebbe anzitutto modificare proprio l’art. 48, e per farlo occorre precisamente seguire la procedura che ho appena descritta! È un nodo stretto, molto difficile da sciogliere. Anche per questa ragione il Trattato di Lisbona ha previsto che un gruppo di Stati possa comunque avanzare nell’integrazione attraverso procedure particolari, le cooperazioni rafforzate e le cooperazioni strutturate.</div>
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<span style="color:#231f20;">'''Marco '''</span><span style="color:#0000ff;">Spesso si sente accusare l’Unione europea di non essere democratica. E la si contrappone alle “vere” democrazie, che sarebbero quelle nazionali. È giustificata questa accusa?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span><span style="color:#231f20;">È giustificata solo per le decisioni in cui in base ai trattati il Parlamento europeo non ha voce in capitolo. Per le leggi europee che si formano con la procedura legislativa ordinaria (e quindi di codecisione) tra Parlamento e Consiglio su proposta della Commissione questa critica è infondata perché l’Unione risponde pienamente ai requisiti costituzionali di una democrazia parlamentare di taglio federale. Quanto alle decisioni di governo dell’Unione, tutto ciò che viene deciso dalla Commissione ha il medesimo fondamento di legittimazione democratica: la Commissione in base ai trattati è infatti nominata dal Parlamento europeo sulla base dei risultati del voto popolare e può essere fatta decadere con un voto dello stesso Parlamento. Chi imputa alla Commissione di non essere eletta ignora un principio elementare: nelle democrazie parlamentari è il Parlamento che legittima il governo, non l’elezione diretta. Inoltre, sia il Presidente designato che i candidati Commissari vengono interrogati dal Parlamento europeo prima della nomina per </span><span style="color:#231f20;">accertarne l’idoneità all’incarico, con una procedura addirittura spesso piu stringente di quella operante per i ministri nazionali entro il loro Stato.</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Marco '''</span><span style="color:#0000ff;">Questa costruzione mi sembra semplice e complessa al tempo stesso. Ma perché Lei si chiedeva se ho letto Montesquieu?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span><span style="color:#231f20;">Perché quando ho cercato di rispondere alle sue domande – “Chi regola? Chi governa? Chi giudica?” – avrà notato che le istituzioni europee si inquadrano bene nella struttura dei tre poteri (legislativo, esecutivo, giudiziario) teorizzata appunto da Montesquieu. Con due precisazioni importanti, però: in primo luogo il potere legislativo europeo è esercitato, su iniziativa della Commissione, in codecisione dal Parlamento europeo e dal Consiglio dei ministri nella logica di uno stato federale, ma in materie di grande sensibilità politica il Parlamento ne è escluso, come si è detto, e il Consiglio decide all’unanimità; in secondo luogo il potere di governo è ripartito tra il Consiglio europeo e la Commissione, nella forma che abbiamo precisato. Si tratta di due anomalie rispetto alla teoria della separazione dei poteri. Più che di separazione dei poteri, nel sistema istituzionale dell’Unione si deve perciò parlare di equilibrio dei poteri.</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Marco '''</span><span style="color:#0000ff;">Quelle che Lei ha chiamato anomalie andrebbero corrette?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>L’esclusione del Parlamento europeo da una parte importante della funzione legislativa è ingiustificabile in un ordinamento democratico; e così pure il potere di veto nel Consiglio. In duemila e cinquecento anni non si è individuato un altro sistema per decidere in comune delle faccende umane, accanto al sorteggio, se non il contare i consensi. La Chiesa stessa, che di istituzioni è maestra, dal 1179 ha stabilito che il papa viene eletto se ottiene almeno i due terzi dei voti dei cardinali. Quanto alla seconda anomalia, essa a mio giudizio è accettabile: in quasi tutti gli ordinamenti, talune funzioni di governo sono esercitate da altri organi, ad esempio dal presidente della Repubblica ovvero dalla Seconda Camera, come nel caso del Senato americano. Che il Consiglio europeo conservi le facoltà di impulso politico che sta esercitando va bene; purché non ne pretenda l’esclusiva e purché non crei una seconda burocrazia dipendente dal Consiglio europeo e dal Consiglio accanto a quella che dipende dalla Commissione.
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== {{anchor|RefHeadingToc532647250}} Le politiche dell’Unione ==
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<span style="color:#231f20;">'''Marco '''</span><span style="color:#0000ff;">Le crisi che oggi ci preoccupano – anzitutto disoccupazione giovanile, mancata crescita, immigrati – non si risolvono negando l’Europa, ma rafforzandola, Lei lo ha sostenuto prima. Ma mi chiedo se si possa avere fiducia nell’Unione europea come promotrice di politiche sane; se ci siano davvero elementi per darle credito.</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>Una risposta può venire da uno sguardo a ciò che l’Unione ha fatto in questi anni e decenni. La serie delle politiche messe in opera dall’Europa è impressionante. Mi limito a poco più di un elenco, neppure completo. Con il mercato unico l’Europa ha realizzato in un trentennio, attraverso un procedimento straordinariamente articolato, l’obbiettivo della libera circolazione di persone, merci, servizi e capitali entro l’Unione. Per conseguire questo obbiettivo è stato necessario adottare una legislazione comune e una moneta unica, in modo da garantire la concorrenza e la stabilità monetaria. Con la politica di promozione attiva della libera concorrenza l’Unione ha assicurato ai consumatori prodotti migliori a prezzi competitivi ed ha in pari tempo favorito la crescita dell’economia degli Stati membri incentivando e tutelando l’iniziativa imprenditoriale. A questo proposito, l’Unione vieta alle imprese di concordare i prezzi o di ripartirsi i mercati; di abusare della propria posizione dominante in un determinato mercato per escludere concorrenti meno influenti. Anche il controllo delle concentrazioni tra imprese è effettuato dalla Commissione per evitare che una concentrazione finisca per impedire o pregiudicare il mercato concorrenziale; dove invece un’impresa ha già una posizione dominante sul mercato, le è fatto divieto di abusarne.
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<div style="color:#231f20;">L’Atto unico del 1986, ma soprattutto il trattato di Maastricht del 1992 hanno esteso le competenze dell’Unione alla dimensione sociale e alla solidarietà, destinando importanti risorse allo sviluppo rurale, alla formazione del capitale umano, agli affari marittimi e alla pesca, all’innovazione e all’istruzione e soprattutto alle politiche di coesione, le quali hanno lo scopo di ridurre le disparità economiche e sociali tra le diverse regioni d’Europa. Non solo: da Maastricht in poi l’Unione persegue politiche di tutela dell’ambiente e del territorio, politiche di formazione per i giovani e per i lavoratori, politiche di investimento nella ricerca, politiche di protezione dei consumatori, interventi a favore del patrimonio culturale europeo, razionalizzazione del sistema dei trasporti, promozione di una comune politica dell’energia, linee comuni sulla sanità pubblica ed altro ancora.</div>
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">Non è eccessivamente ampio questo ventaglio di competenze?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>No, perché in questi campi la competenza dell’Unione non deriva da una competenza esclusiva e nemmeno da una competenza concorrente, ma è il frutto di interventi di sostegno alle politiche nazionali, e questo in virtù del fondamentale principio di sussidiarietà, sul quale torneremo. L’Unione, in base al Trattato di Lisbona (art. 3 Tfue), ha competenza esclusiva solo in poche fondamentali materie, per le quali una disciplina unica e centralizzata è indispensabile per il corretto funzionamento del mercato unico: l’unione doganale, le regole sulla concorrenza, la politica monetaria dei Paesi che adottano l’euro, la conservazione delle risorse biologiche del mare e la politica commerciale comune.
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">Ma allora nelle materie in cui l’Unione ha una competenza esclusiva si fa tutto a Bruxelles e ci vengono calati degli ordini dall’alto? Gli Stati in queste materie sono tagliati fuori ?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span><span style="color:#231f20;">Innanzitutto bisogna dire che si tratta di materie individuate dai trattati istitutivi, con i quali sono gli Stati a conferire all’Unione le competenze esclusive in questi campi. Ma l’Unione esercita queste competenze anche con la collaborazione degli Stati. Facciamo alcuni esempi. L’unione monetaria, con cui è nato l’euro, ha istituito la Banca Centrale europea la quale è governata da un Consiglio al quale spettano le decisioni più importanti sulla politica monetaria; nel Consiglio sono presenti, con diritto di voto, i governatori delle Banche centrali degli Stati membri che adottano l’euro. Anche la politica della concorrenza in alcune materie è stata parzialmente decentrata, nella sua attuazione, alle autorità nazionali.</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Marco '''</span><span style="color:#0000ff;">Ci sono profili comuni alla base delle diverse politiche dell’Unione europea?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span><span style="color:#231f20;">La trama che tiene insieme le politiche è stata costruita intorno ai tre macro obiettivi di cui si parlava prima: crescita, coesione e stabilità della moneta. Essa si è strutturata, dopo il trattato di Maastricht, in vasti piani di intervento che hanno preso il nome di “strategie”, per indicare una modalità decisionale e di implementazione. Tra queste si possono ricordare la Strategia europea per l’occupazione (Seo, dal 1997), e la Strategia Lisbona 2010 ora confluita nella Strategia Europa 2020. Quest’ultima indica le priorità della crescita e riguarda l’occupazione, la ricerca scientifica e lo sviluppo tecnologico, i cambiamenti climatici e l’energia, l’istruzione e la lotta contro la povertà e l’esclusione sociale; e si deve realizzare in partenariato con gli Stati membri.</span>
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<span style="color:#231f20;">Si tratta per lo più di programmi che individuano alcuni fondamentali obiettivi tematici alla cui realizzazione devono essere indirizzati i fondi del bilancio europeo. È importante rilevare che essi riguardano anche, in larga misura, alcuni ”beni pubblici europei” (difesa, ambiente, energia), i cui vantaggi ricadono anche sull’Italia. Altre strategie sono più specifiche. Ad esempio nel dicembre 2008 è stato approvato dai governi dell’Unione lo Small Business Act per la politica di sostegno alle piccole e medie imprese (Pmi) a livello europeo, permettendo così di destinare quote importanti dei fondi europei e consentendo inoltre, dal 2013, di equiparare i professionisti europei alle Pmi per l’accesso ai fondi. Anche per lo sviluppo del digitale sono in corso finanziamenti di rilievo, come su numerosi altri fronti (Fondi europei per le imprese, 2018). Per contrastare la disoccupazione giovanile è stato predisposto (su raccomandazione del Consiglio europeo </span><span style="color:#231f20;">dell’aprile 2013) il programma “Garanzia giovani”, che prevede finanziamenti agli Stati e iniziative per l’occupazione giovanile.</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Marco '''</span><span style="color:#0000ff;">Come si realizzano tutte queste politiche?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>La realizzazione delle politiche avviene in parte con ''finanziamenti diretti'', erogati direttamente dalla Commissione, in parte con ''finanziamenti indiretti ''erogati agli Stati membri e alle regioni, che provvedono ad allocarli sul territorio. Tra i finanziamenti diretti uno dei più importanti è il Programma Horizon 2020 per la ricerca, l’innovazione lo sviluppo tecnologico, dotato di un finanziamento complessivo di 80 miliardi per il periodo 2014-2020. Tra i finanziamenti indiretti sono fondamentali il Fondo sociale europeo per l’inclusione sociale e l’istruzione, nato sin dal 1957, il quale ha stanziato 90 miliardi per il periodo 2014-2020; il Fondo di coesione, nato con l’Atto unico del 1986 e con il Trattato di Maastricht del 1992, che promuove lo sviluppo delle regioni svantaggiate e dispone per il periodo dal 20142020 di 63,4 miliardi, i quali sommati a quelli del Fondo regionale e sociale raggiunono i 352 miliardi; il Fondo europeo per lo sviluppo regionale; e il Fondo agricolo di garanzia, che incoraggia la produzione di alimenti sicuri e di qualità nel rispetto dell’ambiente, che è dotato per il periodo 2014-2020 di 100 miliardi.
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">Sono fondate le accuse ricorrenti alla “burocrazia” di Bruxelles?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>Queste accuse sono infondate, per diverse ragioni. Anzitutto si deve tenere presente che per regolare un mercato così vasto la struttura amministrativa della Commissione di Bruxelles conta in valore assoluto meno funzionari e impiegati di quelli attivi in una grande città come Milano o Rotterdam. Questo è possibile in quanto l’Unione europea non è costruita come una struttura capillarmente presente sul territorio, perché affida alle amministrazioni nazionali ed anche locali il compito di adeguarsi, dove è necessario, alle direttive comuni. Inoltre, quando si imputa all’Europa, talvolta a ragione, un eccesso di regolamentazione minuta, non si dice che quasi sempre sono i governi nazionali ad imporre in sede europea queste regole con la prescrizione di caratteristiche individuate, a ragione o a torto, allo scopo di renderle esclusive, ad esempio per tutelare i prodotti tipici del proprio Paese. Poi questi stessi governi a casa propria si lamentano degli effetti di quanto loro stessi hanno preteso a Bruxelles.
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">Come avviene l’assegnazione delle risorse europee?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>Il bilancio viene programmato con due diverse procedure. Ogni sette anni l’Unione stabilisce l’ammontare complessivo delle sue risorse (Quadro pluriennale di sviluppo) su proposta della Commissione, con l’accordo di tutti gli Stati membri e con il voto del Parlamento europeo. Entro questa cornice pluriennale, l’Unione vara il proprio bilancio annuale.
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">In cosa consiste il Quadro pluriennale di sviluppo?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>L’Unione programma il proprio sviluppo in termini di obbiettivi e di risorse. Dal momento che queste sinora provengono per la massima parte dagli Stati membri, la programmazione settennale avviene con la partecipazione attiva dei governi. La Commissione europea elabora una proposta, che viene discussa, votata dal Consiglio dei ministri all’unanimità e poi approvata se vi è il parere conforme del Parlamento europeo.
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">Si sa già come sarà composto il prossimo Quadro pluriennale?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>Il prossimo Quadro pluriennale riguarderà gli anni dal 2021 al 2027 e sarà decisivo per lo sviluppo futuro dell’Unione. Il Parlamento europeo se ne è occupato in via preliminare ed ha enunciato un parere articolato, votato il 18 marzo 2018;<ref name="ftn3">[http://www.europarl.europa.eu/sides/getDoc.do?pubRef=-//EP//TEXT+TA+P8-TA-2018-0075+0+DOC+XML+V0//IT http://www.europarl.europa.eu/sides/getDoc.do?pubRef=-//EP//TEXT+TA+P8-TA-2018-0075+0+DOC+XML+V0//IT]</ref> esso propone un aumento complessivo delle risorse, dall’attuale 1,04 all’1,3 del Prodotto interno lordo dei 27 Paesi dell’Unione; e soprattutto si individuano obbiettivi in linea con le esigenze di fondo dell’Europa, dalla tutela dell’ambiente alle migrazioni, dalle nuove tecnologie all’energia. La Commissione a sua volta ha presentato una proposta articolata il 2 maggio 2018.<ref name="ftn4">Vedi: [http://europa.eu/rapid/press-release_IP-18-3570_it.htm http://europa.eu/rapid/press-release_IP-18-3570_it.htm]</ref>
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">Vorrei capire meglio quali sono gli obbiettivi principali del quadro pluriennale dell’Unione.</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>Per i sette anni dal 2014 al 2020 il programma di bilancio in corso<ref name="ftn5">Vedi: [https://ec.europa.eu/commission/sites/beta-political/files/where-does-the-money-go_en.pdf https://ec.europa.eu/commission/sites/beta-political/files/where-does-the-money-go_en.pdf]<span style="color:#231f20;"> </span></ref> comprende 371.4 miliardi per la coesione economica, sociale e territoriale (ricerca e innovazione, ambiente, risorse naturali, impiego, inclusione sociale, piccole e medie imprese ed altro), 420 miliardi per l’agricoltura, la pesca, lo sviluppo rurale e l’ambiente, 142.1 miliardi per la crescita e l’occupazione (ricerca, educazione, energia, piccole e medie imprese, reti telematiche, trasporti), 66.3 miliardi per le politiche di cooperazioni internazionale e per le spese umanitarie, 17.7 miliardi per la politiche di sicurezza, di cittadinanza, salute giustizia, 69.6 miliardi per le spese amministrative.
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">Sono molti o sono pochi?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>Sono molti se si guarda alla molteplicità degli interventi, tutti rigorosamente scelti e monitorati. Sono pochi, troppo pochi se solo si pensa a quanto resti da fare per la crescita sostenibile, per l’occupazione soprattutto giovanile, per l’energia, per le nuove tecnologie, per la difesa comune: tutti obbiettivi che richiedono politiche europee e non solo nazionali. Al bilancio europeo attualmente è dedicato appena l’1% del Prodotto nazionale lordo complessivo dell’Unione, mentre il bilancio federale degli Stati Uniti supera il 20% del Pil. Il bilancio annuale dell’Unione, che si indirizza ad oltre 400 milioni di cittadini attraverso le politiche che ho ricordato, è oggi dell’ordine di 140 miliardi, inferiore a quello di alcune tra le maggiori imprese bancarie o industriali europee!
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">Da dove derivano le entrate dell’Unione?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span><span style="color:#231f20;">Sono risorse proprie le entrate dell’Unione che le vengono conferite sulla base di una decisione normativa unanime dei governi, ad esempio una quota dell’IVA, ovvero il provento di dazi alle frontiere d’Europa. Sono risorse proprie anche quelle derivanti dal trasferimento di una quota del Prodotto nazionale lordo che ogni Stato membro conferisce annualmente all’Unione; attualmente quest’ultimo cespite copre circa i tre quarti del bilancio dell’Unione; esso è evidentemente differenziato sulla base delle dimensioni e del livello di ricchezza dei singoli Stati; si tratta comunque di una somma inferiore all’1% del Pil nazionale.</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Marco '''</span><span style="color:#0000ff;">Come si potrebbe aumentare il bilancio dell’Unione?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span><span style="color:#231f20;">Ciò si può fare con il ricorso a nuove risorse proprie, derivanti da imposizioni non nazionali ma europee: ad esempio quelle sulle emissioni di carbonio (</span><span style="color:#231f20;">''carbon tax''</span><span style="color:#231f20;">) o sulle transazioni finanziarie o sul Web, che in futuro potranno risultare fondamentali per disporre delle risorse necessarie per sviluppare le politiche dell’Unione. La sola </span><span style="color:#231f20;">''carbon tax ''</span><span style="color:#231f20;">– che disincentiva le fonti di energia produttive di carbonio e incentiva le energie pulite </span><span style="color:#231f20;">''– ''</span><span style="color:#231f20;">potrebbe offrire un gettito di 75-90 miliardi annui, che potrebbero salire a 150 miliardi (Alberto Majocchi, 2018) con uno strumento che per di più favorirebbe la tutela dell’ambiente dal rischio climatico. È stato calcolato che non sarebbe difficile aumentare il bilancio annuale dell’Unione dall’1% attuale al 2,5% del Pil europeo, includendo anche le spese per la difesa.</span>
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">Posso avere un’idea di come è composto un bilancio annuale dell’Unione?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span><span style="color:#231f20;">Prendiamo il bilancio relativo all’anno 2017, che ammonta complessivamente a 157,8 miliardi di euro.</span><span style="color:#231f20;"><ref name="ftn6">Vedi: [https://www.consilium.europa.eu/it/policies/eu-annual-budget/2017 https://www.consilium.europa.eu/it/policies/eu-annual-budget/2017]
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</ref></span><span style="color:#231f20;"> Le poste principali di spesa sono le seguenti: 74,8 miliardi per la crescita intelligente e inclusiva (dei quali 53,5 miliardi per la coesione economica, sociale e territoriale, per l’ambiente, per le piccole e medie </span><span style="color:#231f20;">imprese e altro; 21,3 miliardi per la crescita e l’occupazione); 58,5 miliardi per la crescita sostenibile, l’agricoltura e la tutela del territorio; 4,2, miliardi per la sicurezza e la cittadinanza; 10,1 miliardi per l’Europa globale, la cooperazione internazionale e le spese umanitarie; 9,3 miliardi per le spese amministrative.</span>
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">Si può avere un’idea di quanto ha dato e di quanto ha ricevuto l’Italia in un anno recente?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span><span style="color:#231f20;">Certamente, anche questi dati sono agevolmente reperibili nel portale europa.eu già citato. Ad esempio, nel 2016 l’Italia ha versato all’Unione 14 miliardi di euro e ha ricevuto 11,5 miliardi, dei quali il 44% è andato all’agricoltura, il 39% alle politiche regionali, l’11% a ricerca e sviluppo, il 2% a cittadinanza sicurezza e giustizia.</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Marco '''</span><span style="color:#0000ff;">Perché l’Italia riceve meno di quanto versa all’Unione?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>Perché nonostante i fattori di crisi, l’Italia è ancora uno dei Paesi più ricchi in Europa. In base al principio di solidarietà, fondamentale per l’Unione, una quota delle risorse del bilancio europeo va a sostenere lo sviluppo dei Paesi meno ricchi, tra i quali i Paesi dell’Europa orientale. E non è solo una questione di solidarietà ma anche un calcolo economico: crescendo, questi paesi incentiveranno i propri consumi, a vantaggio anche dei Paesi produttori più prosperi.
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">In alcune Regioni e in alcuni Paesi i fondi europei assegnati non vengono utilizzati se non in parte, e tra questi Paesi c’è il nostro, a quanto scrivono i giornali.</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span><span style="color:#231f20;">È una mancanza gravissima, che spesso si deve alla politica di approssimazione dei beneficiari pubblici e privati del nostro Paese: occorre la presenza di assetti organizzativi stabili e competenti i quali da un lato individuino le esigenze e le procedure corrette, dall’altro consentano di utilizzare efficacemente i finanziamenti assegnati. La stabilità dei governi e la continuità delle politiche contano molto nel creare le cornici favorevoli all’impiego di queste risorse.</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Marco '''</span><span style="color:#0000ff;">Quanto contano le lobbies, gli interessi delle grandi imprese nelle politiche dell’Unione europea?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span><span style="color:#231f20;">È ben vero che gli </span>interessi particolari sono oggi spesso più “forti” che non l’interesse generale al quale dovrebbero rispondere sia i parlamenti che i governi. Le ''lobbies ''d’altra parte non vanno necessariamente demonizzate, in alcuni casi contribuiscono all’elaborazione di normative migliori di quanto i politici o i funzionari potrebbero fare da soli; è necessario però che vi sia trasparenza, e per questo si è introdotto il registro europeo delle ''lobbies''. Quando funziona correttamente il circuito Commissione-Consiglio-Parlamento europeo, l’Unione è forte ed efficace. Ad esempio si è imposta e si sta imponendo persino alle potentissime multinazionali statunitensi, Google, Apple, Amazon. Là dove ha i poteri necessari, l’Unione europea è già una potenza. Una potenza pacifica, naturalmente.
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<span style="color:#231f20;">'''Marco '''</span><span style="color:#0000ff;">Lei ha appena descritto molte politiche positive dell’Unione europea, che abbiamo visto intrecciarsi con le criticità nate dalla crisi. Ma io vorrei dirLe che ci sono alcune cose sulle quali noi giovani siamo tutti d’accordo: una è l’abolizione delle frontiere, un’altra è l’opportunità di svolgere in un altro Paese dell’Unione una parte degli studi universitari, il Programma Erasmus. Nessuno dei miei amici, neanche gli anti-europei, si dichiara contrario.</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span><span style="color:#231f20;">È vero. Le posso dire, anzi confessare, che quando è partito il programma Erasmus io, che insegnavo all’Università, ero perplesso. Ebbene, avevo torto. La possibilità di studiare per un anno in un altro Paese d’Europa si è rivelata una carta vincente, uno dei maggiori successi dell’Unione. Credo che una delle ragioni per le quali oggi in tutta Europa – lo mostrano i sondaggi anche recenti – i giovani sono molto più favorevoli all’Unione europea rispetto alle altre fasce d’età stia proprio qui. Inoltre ora è possibile anche fare esperienze di lavoro in Europa o confrontarsi con altri giovani quando si programmano delle nuove iniziative imprenditoriali. L’Europa è diventata un po’ casa propria per tanti, e questo è bellissimo.</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Marco '''</span><span style="color:#0000ff;">Mi pare di capire che la politica economica dell’Unione, nonostante i limiti che Lei ha denunciato, sia orientata su diversi obbiettivi, non soltanto sulla stabilità della moneta e sulla sostenibilità dei bilanci nazionali; è così?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>Sì. Possiamo vederlo con chiarezza se ricorriamo ad uno schema classico della politica economica. Gli obbiettivi sono tre: ''la stabilità'', che mantiene fermo il valore della moneta evitando le conseguenze disastrose di un’alta inflazione distruttiva dei risparmi nonché il grave rischio della deflazione; ''la crescita sostenibile ''– compatibile con la tutela ambientale e con le condizioni di sviluppo delle comunità – che è il frutto di una disciplina rigorosa della libera concorrenza, e della messa in opera del mercato unico; ''la coesione'', che opera una redistribuzione, affidata agli Stati, di una quota delle risorse a vantaggio degli Stati e delle Regioni più povere; ''il principio di solidarietà ''è ben presente nelle politiche europee.
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<span style="color:#231f20;">L’Unione, pur nei limiti delle risorse di cui dispone, persegue tutti e tre questi obbiettivi, ognuno dei quali è sancito nei Trattati europei. Moneta unica, concorrenza, sviluppo e coesione hanno queste finalità. Aggiungo una considerazione: se guardiamo bene, questi tre obbiettivi, fondamentali per l’integrazione economica e sociale, sono in corrispondenza con quelle che abbiamo denominato le tre navate principali dell’Unione: la pace è un fattore basilare di stabilità, il benessere è legato alla crescita, la solidarietà si realizza sul fondamento dell’equità sociale. Vi è una coerenza di fondo nel disegno della cattedrale.</span>
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== {{anchor|RefHeadingToc532647251}} Breve storia dell’Unione, 1948-2017 ==
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<span style="color:#231f20;">'''Marco '''</span><span style="color:#0000ff;">Come è nata l’idea dell’Unione europea?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>Se dovessimo farne la storia, anche per sommi capi, ci vorrebbe lo spazio di un libro. Basti dire che spiriti sommi avevano immaginato da secoli un’unione politica dell’Europa, talora dell’intera cristianità o addirittura dell’intero genere umano. In modi e contesti diversissimi, Dante Alighieri e Immanuel Kant hanno scritto pagine imperiture in proposito. Dante ha scritto che solo un impero in grado di dirimere con la forza del diritto una controversia tra i regni e tra le cit tà avrebbe portato alla pace (circa 1312, ''Monarchia'', 1. 10). Kant ha tracciato il disegno di una federazione planetaria tra Stati quale strumento per la pace perpetua (1784 e 1795). Su un piano ben differente, sovrani di tempi diversi, da Carlo Magno a Federico II, da Carlo V a Napoleone hanno tentato di unificare l’Europa, ma hanno operato nella prospettiva di una conquista militare, di uno Stato unico sotto un solo sovrano; e sono stati fermati da altri Stati, da altri sovrani, dalla Francia, dall’Inghilterra, dagli Asburgo, dalla Prussia. L’ultimo a muoversi su questa linea è stato Hitler: voleva un continente ridotto in servitù sotto il dominio germanico.
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<div style="color:#231f20;">L’idea di una vera unione politica è però maturata più tardi, proprio nel pieno della guerra terribile contro il nazismo, che in quel momento sembrava inarrestabile. Dal confino in cui lo aveva recluso il fascismo dopo avergli inflitto dieci anni di carcere, Altiero Spinelli scrisse nel 1941, con Ernesto Rossi e con Eugenio Colorni, il Manifesto di Ventotene, nel quale per la prima volta l’idea di Europa veniva sostenuta, con argomentazioni in gran parte ancora attuali, nei termini di una vera unione politica federale, che avrebbe reso finalmente impossibili le guerre intra-europee. Poteva sembrare un sogno irreale, in un momento nel quale l’Europa era ormai quasi interamente caduta sotto il dominio nazista.</div>
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">L’integrazione europea è nata solo dopo la vittoria sul nazismo e sul fascismo?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>La sua genesi e il suo sviluppo sono affascinanti. Nel maggio 1948 un grande Congresso organizzato all’Aja ha per la prima volta riunito le forze favorevoli alla prospettiva di un’unione politica dell’Europa con l’intervento di esponenti politici e culturali dei Paesi dell’Europa occidentale. Un primo importante traguardo lo troviamo nel trattato del 1951 sulla Comunità del carbone e dell’acciaio (la Ceca). Ne fu ideatore il francese Jean Monnet. Egli propose con successo ai governi di Francia e Germania, appena uscite dalla seconda guerra mondiale, di sottrarre alle sovranità nazionali la gestione di quelli che erano da un secolo i due pilastri dell’economia industriale, il carbone e l’acciaio, la cui produzione era concentrata nella Ruhr, contesa anche per questo dai due Paesi in ben tre guerre tra il 1870 e il 1939. Monnet propose di affidarne la gestione ad una Alta autorità indipendente dai governi; questi sarebbero stati presenti in un Consiglio; un’Assemblea parlamentare avrebbe votato le regole insieme al Consiglio; e le controversie le avrebbe decise una Corte di giustizia. È facile vedere che qui abbiamo già, in embrione, le istituzioni di base dell’Unione europea attuale. Esse presentano molti dei caratteri che sono propri della statualità federale e democratica. <span style="color:#231f20;">Monnet questo lo aveva chiarissimo: voleva porre le premesse, partendo dal carbone e dall’acciaio, per una unione più ampia. Il suo obbiettivo finale era espresso dall’associazione da lui fondata, che si intitolava in modo inequivocabile: “Associazione per gli Stati Uniti d’Europa”.</span>
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">Dunque la finalità vera era politica, non economica.</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>È proprio così. Oggi spesso, anzi quasi sempre si dimentica che l’integrazione europea è nata con uno scopo di natura politica: quello di portare all’unificazione politica del nostro continente, un’unificazione federale. Lo scopo era di impedire così, in via definitiva, il rischio di nuove guerre europee, che avevano devastato i nostri Paesi e il mondo intero per responsabilità dell’Europa ben due volte in pochi decenni.
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">E le tappe successive?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>Nei primi anni Cinquanta del Novecento si giunse a un passo dalla federazione, con il trattato per la Comuni tà europea di difesa (Ced, 1952), che però non venne ratificato nel 1954 dall’Assemblea francese. Allora lo stesso Monnet avviò, con altri, il progetto del Mercato comune, il cui trattato venne firmato dai governi di Francia, Germania, Italia e Belgio, Olanda e Lussemburgo nel 1957: la Comunità economica europea (Cee), originariamente a sei. Ma col tempo, in ragione del successo straordinario conseguito in pochi anni dall’economia dei sei paesi del mercato comune, la Cee si ampliò dapprima a nove Paesi, poi dodici, poi a quindici Paesi dal 1973 al 1995, infine a ventotto Paesi dal 2004 al 2013. Contemporaneamente nel 1957 nasceva anche l’Euratom, un trattato per la gestione comune dell’energia nucleare, purtroppo rimasto lettera morta dopo che la Francia di De Gaulle si dotò di un proprio armamento nucleare. Eurarom però è tuttora è in vigore e potrebbe ritornare di attualità per le energie rinnovabili.
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">Lei come spiegherebbe questo successo del Mercato comune e della Comunità economica europea (Cee)?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>Una ragione di fondo della riuscita del grande progetto ideato da Jean Monnet sta nell’intuizione geniale che fosse possibile concentrare su un medesimo obbiettivo due dimensioni del vivere e del progettare che molto spesso sono divergenti, quando non addirittura contrastanti: gli ''interessi ''e i ''valori''. L’integrazione europea costituiva e costituisce un valore largamente condiviso, perché prospetta la pace durevole tra i nostri Stati e i nostri popoli che per secoli si sono combattuti; sul terreno economico, migliorare la qualità dell’offerta e contenere i prezzi dei prodotti è anch’esso un valore; ma rappresenta allo stesso tempo anche un interesse, sia per la ragione appena espressa, sia perché le imprese più dinamiche e più sane dei diversi Paesi europei hanno interesse all’abolizione dei dazi alle frontiere e all’instaurazione di regole che garantiscano la libera concorrenza. Il compito non era semplice: per la messa a punto del mercato unico ci sono volute negli anni successivi al 1986 ben trecento direttive europee. Convergenza di valori e di interessi: ecco forse il segreto del successo del mercato comune, poi diventato mercato unico.
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">Le istituzioni europee si sono trasformate in questi sessanta anni?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>Le tappe fondamentali di questa evoluzione le riassumerei così. Nel 1976 per iniziativa del presidente francese Giscard d’Estaing quella che era sino a quel momento un’Assemblea parlamentare composta di deputati nazionali si è tramutata nel Parlamento europeo eletto a suffragio universale ogni cinque anni dai cittadini europei, come è avvenuto a partire dal 1979. È stata una svolta di importanza cruciale, perché solo un Parlamento eletto direttamente possiede la legittimazione politica e istituzionale necessaria per rappresentare al livello dell’Unione i cittadini europei, che al livello nazionale sono rappresentati dai parlamentari nazionali. Frattanto si era introdotta la prassi, poi formalizzata, di riunioni periodiche dei capi di Stato e di governo dando vita al Consiglio europeo, via via diventato organo fondamentale per gli indirizzi politici dell’Unione, come abbiamo visto. Nel 1986, anche sulla base del Libro Bianco messo a punto da Jacques Delors nel 1985, fu varato l’Atto unico, il trattato che ha stabilito il traguardo ambizioso del mercato unico e l’ha accompagnato con la previsione di una politica di sostegno economico da parte dell’Europa alle regioni meno ricche del Continente, che prederà il nome di politica di coesione. È stata la risposta al progetto di unificazione politica varato dal Parlamento europeo al termine della sua prima legislatura, nel 1984, noto come “Progetto Spinelli” perché promosso dal grande federalista del Manifesto di Ventotene.
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">E poi si arriva al Trattato di Maastricht, se non sbaglio.</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>Certo, questo è avvenuto nel 1992. Il Trattato di Maastricht ha fissato due obbiettivi centrali: ha dettato le regole per la moneta unica, l’euro, realizzata a partire dal 1999, che si era resa necessaria per garantire un corretto sviluppo del mercato unico e della concorrenza, prima alterata da svalutazioni monetarie competitive; ed ha esteso la competenza di quella che da allora ha preso il nome di Unione europea alla politica estera e di sicurezza e alla politica interna e di giustizia, due gruppi di competenze denominati allora il secondo e il terzo pilastro dell’Unione, accanto a quello dell’unione economica e monetaria (primo pilastro), tutti e tre essenziali nella prospettiva di una futura unione politica federale. Non solo: il Trattato del 1992 ha introdotto il principio fondamentale della cittadinanza europea, che ogni cittadino di uno Stato membro dell’Unione possiede accanto alla propria cittadinanza nazionale; ha disciplinato la politica di coesione, cioè di solidarietà, già ricordata; ha enunciato il principio della sussidiarietà, un vero pilastro dell’Unione, sul quale torneremo tra poco; ha previsto l’avvio di una politica sociale dell’Unione; ed ha incluso tra le competenze dell’Unione tutta una serie di materie, dai trasporti alla ricerca, dall’occupazione alle politiche giovanili all’energia, come già abbiamo visto in merito alle politiche dell’Unione. Un complesso di riforme imponente, il più importante sino ad oggi dopo i Trattati fondatori del 1950 e del 1957.
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">Quali sono stati i passi ulteriori?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>I due successivi trattati di Amsterdam (1997) e di Nizza (2000) hanno introdotto modifiche significative estendendo
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i casi di decisione a maggioranza nel Consiglio dei ministri e rendendo più funzionale la procedura di codecisione tra il Parlamento europeo e il Consiglio dei ministri. A Nizza è stata anche approvata la ''Carta dei diritti dell’Unione'', che dal 2009 è parte integrante dei trattati, un passo in avanti importantissimo. Va sottolineato il fatto che una Carta dei diritti costituisce un elemento essenziale di tutte le moderne costituzioni.
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">E le innovazioni di questi primi anni del terzo millennio?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>Nel 2004 si è conclusa la Convenzione europea composta da rappresentanti del Parlamento europeo, dei Parlamenti nazionali, dei Governi e della Commissione. Ha predisposto una Costituzione (denominata Trattato costituzionale) che introduceva elementi nuovi nella disciplina dei trattati e sistemava l’intera normativa europea in modo molto più razionale. Ma il Progetto è caduto perché due referendum del 2005 sulla ratifica, in Francia e in Olanda, hanno avuto esito negativo. Una nuova Conferenza intergovernativa lo ha però ripreso quasi integralmente nel 2007, anche se in forma meno organica e senza più impiegare il termine di costituzione. E così è nato il ''Trattato di Lisbona ''entrato in vigore nel 2009, che tuttora rappresenta la costituzione dell’Unione europea. Esso consta di due trattati disinti ma collegati, il ''Trattato sull’Unione europea ''(Tue) che delinea i profili fondamentali dell’Unione, e il ''Trattato sul funzionamento dell’Unione europea ''(Tfue), che specifica analiticamente gli obbiettivi e le procedure dell’Unione.
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">Perché parlare di costituzione, se tale non è?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>È vero, quello di Lisbona è un trattato, non una costituzione. Ma nella realtà, l’Unione ha già una costituzione: le istituzioni che abbiamo ricordato, le regole di decisione, le competenze stabilite, la Carta dei diritti ormai parte integrante del diritto dell’Unione, tutto questo presenta i caratteri che sono propri di un assetto costituzionale. È corretto perciò ritenere che l’Unione europea una costituzione la ha già, anche se imperfetta, incompiuta.
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">Quali sono le innovazioni del Trattato di Lisbona?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>Oltre all’inclusione della Carta dei diritti, il Trattato sviluppando quanto già avviato a Nizza nel 2000 ha introdotto il principio per il quale quando il Consiglio dei ministri può decidere a maggioranza qualificata, questa richiede un voto che raccolga la maggioranza di almeno il 55% dei governi, tale da rappresentare almeno il 65% della popolazione dell’Unione. Il Trattato ha reso esplicito il principio per il quale l’Unione si regge sulla democrazia rappresentativa. Inoltre, il trattato di Lisbona ha disciplinato in modo nuovo due procedure che permettono di avviare politiche di difesa e di innovazione entro l’Unione anche se non tutti i governi le condividono: sono le procedure di cooperazione strutturata e di cooperazione rafforzata, sin qui ancora scarsamente utilizzate ma potenzialmente molto promettenti, perché permettono di superare il requisito paralizzante della unanimità.
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">C’è chi pensa che in una costituzione europea dovrebbero essere menzionate le radici cristiane dell’Europa. Lei è d’accordo?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>Non lo ritengo necessario. E spiego perché. Anzitutto negare queste radici sarebbe impossibile per la ragione che esse sono già ben presenti nel diritto dell’Unione, come è stabilito nei trattati: infatti, cosa sono la coesione e il principio di solidarietà se non declinazioni istituzionali del precetto della carità? Cosa rappresenta il principio della dignità scritto nella Carta dei diritti europea se non l’espressione giuridica del precetto della pari dignità di ogni essere umano presente nei Vangeli? Questi principi sommi sono divenuti patrimonio della civiltà europea (anche quando e quanto spesso violati…), hanno una radice religiosa ma sono condivisi – e sono costituzionalmente
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vincolanti – anche da chi e per chi non sia credente o appartenga a un’altra religione. Menzionare le radici cristiane dunque da una parte è inutile perché esse sono già ben presenti nel diritto dell’Unione, d’altra parte potrebbe allontanare dall’adesione alla Costituzione europea chi non sia un cristiano praticante mentre è giusto che ogni cittadino di ogni Stato membro dell’Unione si senta anche cittadino europeo.
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">Dopo il Trattato di Lisbona ci sono state altre modifiche importanti della struttura istituzionale dell’Unione?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>Le innovazioni più importanti sono avvenute negli anni 2011-2012, per fare fronte alla grave crisi esplosa nel 2008. Questa ha messo seriamente a rischio la tenuta dell’euro e con essa l’intera unione economica e monetaria europea, come abbiamo visto. La Banca centrale europea ha attuato con successo in questi anni politiche incisive per salvare l’euro. I Governi a loro volta hanno deliberato un insieme di misure per mettere sotto controllo quei bilanci nazionali – a cominciare dalla Grecia e in secondo luogo dall’Italia – per i quali l’indebitamento pubblico rischiava di portare al fallimento il sistema bancario, l’economia del Paese e la stessa unione economica europea. L’Europe an Stability Mechanism (ESM), il Fiscal Compact e altre complesse misure sono servite a questo. E così pure gli altri strumenti che abbiamo menzionato a proposito dei rischi che può correre l’Unione. La politica di austerità, patrocinata in primo luogo dalla Germania, ha avuto meriti e demeriti. Oggi la crisi è in via di superamento – con la sola eccezione dell’Italia, purtroppo – e si sono avviate politiche di sviluppo, peraltro ancora non sufficienti, come abbiamo già visto. Il quadro istituzionale è rimasto, sino ad oggi, quello di Lisbona del 2009.
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">Dopo quanto ho ascoltato comincio a rendermi conto della complessità della costruzione europea ma soprattutto di quanto alta sia l’ambizione del disegno originario che</span>
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<div style="color:#0000ff;">la ha vista nascere. Chi possiamo considerare i veri padri del progetto di unione?</div>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span><span style="color:#231f20;">Le radici affondano in un passato lontano, che dal cosmopolitismo antico si estenda al medioevo di Dante e poi all’età moderna con Kant. Ma se vogliamo limitarci all’Unione europea quale oggi esiste, due nomi sono davvero fondamentali e possono considerarsi i “padri” dell’Europa. Li abbiamo già menzionati: Altiero Spinelli e Jean Monnet. Rispondo alla Sua domanda tracciando un brevissimo profilo di entrambi. Altiero Spinelli, nato nel 1907, si impegnò sin da adolescente nella lotta al fascismo all’interno del neonato Partito comunista. All’età di appena 21 anni venne condannato dal Tribunale speciale e passò dieci anni in carcere (1928-1937). Nel corso di questi anni si dedicò con passione allo studio. Anche per influenza di Ernesto Rossi (come lui incarcerato dal fascismo), di Luigi Einaudi e dei federalisti inglesi (Strachey, Robbins, Lord Lothian) giunse così alla convinzione che la via del futuro non fosse il comunismo sovietico bensì la costruzione di una federazione europea. Fu per questo duramente ostracizzato dai suoi stessi compagni di carcere di fede comunista. In seguito scrisse nel confino di Ventotene con Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni il celebre Manifesto del 1941, già ricordato.</span>
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<span style="color:#231f20;">Nel 1943 fondò il Movimento Federalista Europeo. Nel 1953-54 ebbe un ruolo fondamentale nel disegnare il trattato della Comunità europea di difesa (Ced) che avrebbe condotto direttamente alla federazione. Fallito questo, dopo alcuni anni riprese la sua battaglia; fu dapprima commissario europeo, quindi venne eletto nella prima legislatura del Parlamento europeo e nel 1984 riuscì ad aggregare una maggioranza su un Progetto (Progetto Spinelli) che delineava una profonda riforma dei trattati. Il Progetto non venne recepito dai Governi, ma generò indirettamente prima l’Atto unico del 1986 e poi il Trattato di Maastricht del 1992. Spinelli scrisse saggi fondamentali sull’Europa politica ed anche una bellissima autobiografia (</span><span style="color:#231f20;">''Come ho tentato di diventare saggio''</span><span style="color:#231f20;">, 1984). Morì nel 1986.</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Marco '''</span><span style="color:#0000ff;">E Jean Monnet?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span><span style="color:#231f20;">L’Unione europea – come è nata nel 1951, come si è sviluppata dal 1957 in poi e come esiste oggi – è nei suoi fondamenti istituzionali e operativi il frutto del pensiero e dell’azione di Jean Monnet. Quest’uomo singolare, discendente da una famiglia di produttori di Cognac, sviluppò sin da giovane una vocazione per così dire cosmopolitica che lo condusse al segretariato della Società delle Nazioni tra le due guerre, e poi ad avviare con successo una stretta integrazione tra Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia nella lotta contro il nazismo, dal 1940 alla fine della seconda guerra. Fu l’ideatore della Comunità europea del Carbone dell’Acciaio (Ceca) del 1951 e ne fu il primo presidente. Fallita la Ced, intuì che la battaglia per l’unione politica europea potesse riprendere a partire dall’istituzione di un grande mercato comune europeo: il trattato fondamentale del 1957 come pure quello coevo sull’Euratom furono preparati da lui con la collaborazione di pochi funzionari illuminati, tra i quali i francesi Bernard Clappier e Pierre Uri.</span>
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<span style="color:#231f20;">L’impianto istituzionale dell’Unione di oggi è sostanzialmente ancora quello da lui ideato sin dal 1950, con le quattro istituzioni che abbiamo descritto. Anch’egli scrisse negli ultimi anni una bellissima autobiografia (</span><span style="color:#231f20;">''Mémoires''</span><span style="color:#231f20;">, 1976), che tutti dovrebbero leggere, insieme con quella di Altiero Spinelli. Alla base stavano alcune idee: che gli ideali e gli interessi potessero incontrarsi nel dar vita all’unione europea; che non gli uomini ma solo le istituzioni possono “diventare più sagge”; che le difficoltà e le crisi siano (possano essere…) le matrici dei passi in avanti verso l’unione europea; che “noi non coalizziamo gli Stati, noi uniamo gli uomini”; e che l’Unione europea “non è che una tappa verso le forme di organizzazione del mondo di domani”. Un gigante.</span>
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<div style="color:#231f20;">Naturalmente, l’Unione europea non si deve soltanto a questi due uomini. Molti altri hanno avuto ruoli centrali, dai primi grandi politici del secondo dopoguerra (Schumann, De Gasperi, Adenauer, Spaak) a Giscard d’Estaing promotore dell’elezione diretta del Parlamento europeo nel 1976, da Mario Albertini a Jacques Delors, il più grande presidente della Commissione, in carica dal 1984 al 1995, gli anni dell’Atto Unico e del Trattato di Maastricht). Ed altri ancora…</div>
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= {{anchor|RefHeadingToc532647252}} IV. Prospettive dell’Unione =
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<div style="text-align:center;">[[Image:|top]]</div>
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== {{anchor|RefHeadingToc532647253}} Un’Europa a cerchi concentrici? ==
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<span style="color:#231f20;">'''Marco '''</span><span style="color:#0000ff;">Oggi l’Unione ha 28 Stati membri, che diventeranno 27 con l’uscita del Regno Unito. Sono tutti sullo stesso piano? Sono tutti davvero schierati per un’Unione più avanzata? Quali dovrebbero essere i confini d’Europa?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>La scelta degli Inglesi di uscire dall’Unione è stata una scelta drammatica, in parte emotiva, che a mio avviso si rivelerà dannosa per la Gran Bretagna; ma sarà il futuro a
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mostrare se e quanto questo sia vero. Ciò non toglie né mai deve far dimenticare che la storia dell’Inghilterra è stata una componente fondamentale della storia d’Europa. Le moderne democrazie costituzionali, fondate sulla distinzione dei tre poteri, sono nate sul modello inglese del Seicento. La rivoluzione industriale è partita dall’Inghilterra. E pochi sanno che i primi a teorizzare in modo preciso la teoria del federalismo, applicabile anche all’Europa, sono stati alcuni pensatori inglesi, tra i quali J. R. Seeley nel secondo Ottocento e Lord Lothian negli anni Trenta del Novecento. L’Inghilterra, come la Scozia, resterà sempre parte integrante dell’Europa e della civiltà europea, anche dopo il referendum del 2017.
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">E i Paesi dell’Est europeo?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>L’estensione dell’Unione ai Paesi dell’est europeo era un dovere storico, dopo il crollo del comunismo: essi fanno parte a pieno titolo dell’Europa e della sua storia. Tuttavia oggi le posizioni sul futuro dell’Unione e sulle sue scelte sono molto differenziate tra i diversi Paesi. E in taluni di essi – specie in Polonia e in Ungheria, che con altri Paesi vicini fanno parte del cosiddetto gruppo di Visegrad – si sono manifestate posizioni politiche di chiusura verso una prospettiva di unione politica, verso il rispetto dei principi di democrazia stabiliti dai trattati e dalla Carta dei diritti, approvata da tutti, nonché verso ogni forma di accoglienza di migranti se non su base volontaria. Vedremo dove queste posizioni potranno condurre. È in corso un processo di reviviscenza del nazionalismo, oggi ridenominato “sovranismo”, non solo ad est dell’Europa, come sappiamo…
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">A questo punto mi chiedo: è concepibile un’Unione europea differenziata? Un’Europa per così dire a cerchi concentrici, con un nucleo di Paesi che formino una vera federazione di Stati ed altri Paesi per così dire periferici, ma comunque partecipi del mercato unico?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>Questa è davvero una questione fondamentale. In Europa è in discussione da decenni. Io stesso (mi permetto questa autocitazione) ho scritto su questo tema esattamente trent’anni fa, nel 1988, prima di Maastricht. Ebbene, la risposta è sì, ma solo a certe condizioni. La prima è questa: di un possibile nucleo stretto debbono comunque essere parte sia la Francia che la Germania, perché il cuore dell’unione politica, la sua ispirazione originaria e il suo codice genetico stanno in questo patto nato dalle ceneri delle due guerre mondiali. La risposta è sì anche perché in realtà la storia dell’integrazione europea è stata sin qui proprio la storia di un’integrazione differenziata. L’accordo di Schengen che ha istituito la libera circolazione dei cittadini tra Paesi dell’Unione è partito da un gruppo di Stati membri e ancora oggi non è condiviso da tutti. La politica sociale dell’Unione, stabilita a Maastricht, è stata in un primo tempo respinta dalla Gran Bretagna. E soprattutto, la moneta unica, l’euro, oggi è realtà in 19 Paesi, mentre altri Paesi si preparano e ad entrare ed altri ancora almeno per ora non intendono farlo.
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">Ma come è possibile far convivere più cerchi concentrici?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>In linea di principio, tutti i Paesi che hanno ratificato i trattati europei – e dunque hanno espressamente riconosciuto che le competenze dell’Unione sono quelle stabilite dai trattati – dovrebbero accettare di condividere le scelte approvate, su tutte queste materie, dalla maggioranza dei governi e dal Parlamento europeo, rispettando naturalmente il principio di sussidiarietà. Senonché la storia (come un grande giudice della Corte Suprema americana, Oliver Wendell Holmes, diceva a proposito della genesi del diritto) non è figlia della logica, è figlia dell’esperienza. E l’esperienza dell’integrazione europea mostra che in molte circostanze bisogna accettare un’integrazione differenziata. Certe politiche possono essere condivise da alcuni governi dell’Unione ma non da altri, quanto meno in un primo tempo come risulta dagli esempi che ho citato.
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">Come funzionerebbero in questi casi le istituzioni dell’Unione?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>Qui sta il vero nodo. Se è relativamente semplice una geometria differenziata su singole politiche, le cose si complicano se le differenze riguardano il funzionamento del le istituzioni, che sono di tutti. A partire dal 1997 i Trattati europei, in particolare il Trattato di Lisbona oggi in vigore, hanno previsto che si possano decidere “cooperazioni rafforzate” per politiche innovative, purché condivise da almeno otto Paesi dell’Unione; ed è prevista inoltre una “cooperazione strutturata” anche più ristretta per la difesa. Nel Consiglio voterebbero solo i governi che decidano di procedere, dopo avere comunque proposto a tutti l’iniziativa. Del resto, già oggi esiste l’Eurogruppo che riunisce i rappresentanti dei soli governi dell’Eurozona.
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">E il Parlamento europeo parteciperebbe? E la Commissione?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>La Commissione senz’altro sì, come già oggi avviene. Quanto al Parlamento, i trattati tacciono su questo punto. È vero che il Trattato di Lisbona nel disciplinare le due cooperazioni si riferisce solo ai governi e il Parlamento ne sembra escluso. Ma è anche vero che un articolo del trattato (art. 333 Tfue) prevede che i governi della cooperazione rafforzata possano decidere di adottare la procedura legislativa ordinaria: cioè di decidere anche a maggioranza, in codecisione con il Parlamento europeo. Certo, per questo occorre in partenza un voto unanime dei Paesi che vogliono la cooperazione rafforzata. È un ostacolo, ma forse non insuperabile dopo il distacco della Gran Bretagna che mai avrebbe condiviso quella che viene chiamata la “clausola passerella”. E si può immaginare che in futuro su queste politiche innovative la discussione sia aperta a tutti entro il Parlamento europeo, ma il voto sia limitato ai soli parlamentari eletti dai Paesi che abbiano intrapreso la cooperazione rafforzata o strutturata. La via è dunque percorribile.
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">In questa prospettiva ci sarebbe un’unione economica tra tutti i 27 Paesi e un’unione politica solo per chi lo vuole, purché (come Lei ha detto) condivisa almeno da Francia e Germania?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>Sì, ma le cose non sono mai così semplici come possono sembrare. In realtà il mercato unico non è solo un mercato, lo abbiamo già detto: c’è la coesione a sostegno delle regioni meno ricche, c’è la solidarietà, c’è la politica commerciale comune, c’è la tutela dei diritti fondamentali. Come si fa a non riconoscere che queste sono competenze non solo di natura economica ma di natura politica? Dunque anche la via dei cerchi concentrici è disseminata di ostacoli. Solo il futuro dirà se e come essi potranno venire superati.
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">Ancora pensando al futuro, quali dovrebbero essere secondo Lei i confini di un’Europa unita?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>Tra i Paesi da includere nell’Unione vi sono gli Stati balcanici (Serbia, Montenegro, Albania, Bosnia), per i quali le trattative, lunghe e complesse, differenziate per ciascun Paese, sono in corso e si spera che giungano a conclusione in tempi brevi. Vi sono poi altri Paesi ai confini d’Europa – ad est l’Ucraina, l’Armenia ed altri, inclusa la stessa Russia, nonché i Paesi della sponda meridionale del Mediterraneo – con i quali l’Unione europea potrebbe e dovrebbe stringere accordi di associazione economica ed anche di sicurezza senza che essi facciano parte dell’Unione stessa e delle sue istituzioni. Infine c’è la Turchia, con la quale trattative per un ingresso nell’Unione erano in corso, difficili anche per le dimensioni di questo Paese e per la sua diversità culturale e religiosa rispetto all’Europa. Le opinioni pubbliche in Europa sono prevalentemente contrarie all’ingresso, anche se a mio avviso non può essere la religione a costituire un impedimento, in linea di principio. Ma l’ingresso nell’Unione, che divide gli stessi turchi, è ormai reso impossibile per la deriva autoritaria che la Turchia sta attraversando, incompatibile con i principi dell’Unione europea.
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== {{anchor|RefHeadingToc532647254}} Livello delle sfide e livelli di governo ==
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<span style="color:#231f20;">'''Marco '''</span><span style="color:#0000ff;">Tutti i problemi, tutte le difficoltà e le sfide che emergono da questa nostra conversazione indurrebbero a pensare che il disagio susciti una reazione anche rabbiosa, ma intensa, una pressione sulla politica perché si muova, perché si attivi, perché risolva tali sfide meglio di quanto non stia facendo. Invece la reazione si manifesta nell’astensione dal voto, sempre crescente. Oppure nei consensi accordati ai movimenti populisti quando non addirittura in un voto di rifiuto dell’Unione come è accaduto con il voto inglese (Brexit). Non sono allarmanti queste due forme di reazione da parte dei cittadini?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>Lo sono certamente. Dei rischi gravi che si correrebbero adottando le ricette semplicistiche dei populisti e dei neo-nazionalisti abbiamo già parlato. Però spesso si dimentica quanto l’adesione all’Europa abbia contato in positivo nel corso dei decenni per un Paese come l’Italia. Se dagli anni Cinquanta agli anni Novanta del Novecento il reddito pro-capite in Italia si è quintuplicato, se le esportazioni dei nostri prodotti più validi sono enormemente cresciute, questi risultati (ma non sono i soli) li dobbiamo in larga parte proprio al fatto di aver accettato la sfida europea.
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">Ma perché allora questo alto livello di astensionismo?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>Questo purtroppo è oggi un male diffuso, non solo in Europa. Da decenni, negli USA vota poco più della metà degli elettori. È un aspetto della crisi delle democrazie sul quale si dovrebbe ragionare in profondità, e non possiamo farlo qui; ci sono in proposito molte diagnosi acute, molti rimedi ipotizzati e ipotizzabili. La democrazia, a cominciare proprio dalla democrazia rappresentativa, è un valore che si apprezza soprattutto quando viene a mancare: come l’aria che respiriamo, come la libertà politica, come la salute. Vorrei però richiamare un punto per me essenziale: molte carenze della politica che sono alla base della crescente disaffezione dei cittadini verso la democrazia rappresentativa e verso il voto sono in realtà la conseguenza del fatto che i relativi problemi non sono risolvibili al livello nazionale; non è certo questa l’unica ragione della crisi di fiducia nella politica, ma ne è una componente importante, anche se per lo più sottovalutata.
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">C’è un legame tra l’astensionismo delle elezioni nazionali e quello delle elezioni europee?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>Credo di sì. In un certo senso i due fenomeni derivano da carenze simmetricamente opposte. Per l’Europa molti non vanno a votare perché ritengono che l’Unione risponda in modo insufficiente ai bisogni di sicurezza e di crescita; e questo è in buona parte vero, come abbiamo già visto. Alle elezioni nazionali molti tra gli astensionisti sono mossi dalla stessa disillusione, ma qui va detto che la crisi dello Stato nazionale dipende in larga misura dall’assenza del livello sovranazionale che in settori chiave come la sicurezza e lo sviluppo, gli investimenti e la difesa, le immigrazioni e le nuove tecnologie potrebbe, esso solo, modificare la condizione dei cittadini e assicurare un futuro ai nostri Paesi. Il cittadino avverte il problema, constata che esso non viene affrontato, o lo è solo a parole; e reagisce come si è detto. E allora la vera responsabilità è proprio delle classi politiche nazionali, che rifiutano di affidare all’Europa i poteri e gli strumenti con i quali tali problemi potrebbero invece venire risolti. Per dirlo in poche parole e in termini generali: se un problema non può venire affrontato al livello nazionale perché è di portata più grande rispetto allo Stato nazionale, esso resterà irrisolto a meno di non affidarlo al giusto livello di governo, dunque in molti casi proprio all’Europa.
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">Ma ci sono anche sfide che superano lo stesso livello europeo perché sono planetarie: dal riscaldamento climatico alle guerre, dalla minaccia nucleare alla povertà estrema di oltre un miliardo di individui, dai genocidi alle malattie epidemiche e alla riduzione della biodiversità. E non solo.</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>Queste sono immense sfide globali, risolubili (forse…) solo al livello globale. Ma anche su questo fronte vorrei sottolineare che l’Europa ha un ruolo importante, anzi fondamentale. O meglio, potrebbe averlo, se fosse politicamente unita: perché proprio su questi fronti gli europei hanno una visione cosmopolitica più matura, più avanzata rispetto a tutti o a quasi tutti gli altri Paesi e continenti. La condizione è però sempre la stessa: senza un’unione politica federale, queste posizioni resteranno potenziali, dunque non avranno il necessario impatto sulla politica mondiale, che sarà sempre più egemonizzata dai grandi Stati.
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<span style="color:#231f20;">'''Marco '''</span><span style="color:#0000ff;">Mi pare di aver capito che Lei sostiene questo: le sfide, i problemi che la politica si trova davanti e che non riesce a risolvere sono un fattore determinante della reazione negativa che l’elettorato manifesta con voti populisti e di rigetto per l’assetto esistente, oppure con l’astensione.</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span><span style="color:#231f20;">È così. Vorrei formulare la questione in termini più generali. Ogni problema, ogni obbiettivo, ogni ostacolo da superare sul terreno delle decisioni collettive e dunque sul terreno della politica deve venire impostato, affrontato e se possibile risolto mediante strumenti adeguati, con il supporto di istituzioni in grado di raggiungere lo scopo. Se l’obbiettivo è raggiungibile a livello locale (ad esempio, un giardino pubblico), va affrontato a quel livello; se a livello regionale (ad esempio, la rete dei trasporti locali), lo stesso; se a livello nazionale (dalla sanità all’istruzione, dalla previdenza sociale all’artigianato alla tutela del territorio e così per moltissimi altri problemi), è questo il giusto livello di decisione; se è risolubile a livello continentale, non sarà lo Stato nazionale ma l’Unione europea a poterlo fronteggiare: per esempio per il mercato unico e per la difesa, come abbiamo già visto; se infine il problema si pone a livello globale, servono le istituzioni globali. Questa scelta del giusto livello va naturalmente motivata, nel rispetto del principio di sussidiarietà, cioè privilegiando il livello più basso possibile, il più prossimo ai cittadini; ci ritorneremo. Dunque, occorre commisurare il livello istituzionale alla natura dei problemi da affrontare. Se ci si ostina a sostenere che lo Stato nazionale può fare e deve fare tutto, ci si scontra con la realtà. E si determina la reazione alla politica che stiamo sperimentando. E non solo in Italia, ma ovunque in Europa.</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Marco '''</span><span style="color:#0000ff;">Ma non c’è il caso che i diversi livelli debbano interagire tra loro?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>Certamente, questo accade spessissimo sulle questioni di competenza concorrente, della quale abbiamo già parlato. Ed è giusto che sia così. L’Unione europea mette a punto programmi e finanziamenti in cooperazione con gli Stati. E a ciascun livello, anche nei casi di cooperazione, occorre che siano rispettati i principi di democrazia: esercizio del potere di governo legittimato dalle Camere, equilibrio tra i poteri.
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">Se tutto questo è vero, allora bisogna concludere che la responsabilità principale per non aver proceduto nella direzione giusta è delle classi politiche nazionali. Una responsabilità molto grave!</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>È nella natura delle cose umane che quando un sovrano o un governo ricoprono una posizione di potere, essi non siano disponibili a spogliarsene spontaneamente. I nostri piccoli Stati nazionali in realtà non sono già più sovrani nel mondo globale: i politici europei questo lo sanno bene. Ma non vogliono riconoscerlo e si rifiutano di affidare all’Unione quelle leve che ancora essa non possiede.
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">Perché Lei insiste tanto sulla necessità di adottare il principio delle decisioni a maggioranza?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>Le ragioni sono due. Vi è anzitutto una ragione di efficienza; come abbiamo già ricordato, l’esperienza dei secoli ha insegnato che per decidere insieme tra eguali le questioni di interesse comune, quando non c’è accordo bisogna contarsi, altrimenti non si decide. La seconda ragione è di principio: dal momento che le competenze e gli obbiettivi dell’Unione sono stabiliti dai trattati con l’accordo di tutti gli Stati membri, se una decisione va assunta occorre che in caso di dissenso la minoranza accetti la scelta della maggioranza, purché legittimamente adottata; una unione è tale solo se nelle questioni di interesse comune si è disposti ad accogliere il parere della maggioranza, semplice o qualificata a seconda dei casi. Quando questo non avviene, quando per i trattati vale il criterio dell’unanimità anche se la materia è di competenza dell’Unione, si può ritenere che l’unione semplicemente non esiste. Il che è contraddittorio: il principio di non contraddizione vale non solo per i ragionamenti logici ma anche per le faccende umane.
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">Siamo allora, come dicono i francesi, “ai piedi del muro”, siamo di fronte a un ostacolo non superabile?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>No. Il cammino di unione che sta alle nostre spalle è lungo e denso di grandissimi risultati, riconosciuti ovunque nel mondo. Anche alcune tra le scelte che l’Unione ha compiuto sul terreno istituzionale sono veramente illuminate, innovative. Quello che manca è lo slancio per compiere gli ultimi passi, nel segno della continuità ma con decisione. Il vento del pessimismo e della sfiducia, enfatizzato dalla deriva sovranista, potrebbe cambiare direzione e di questo si colgono alcuni segnali significativi, anzitutto da parte dei giovani. Il grande discorso di Emmanuel Macron alla Sorbona del 26 settembre 2017 ha segnato una vera svolta positiva. Ancora una volta ripeto che darà decisiva l‘elezione europea del 2019. La storia, che è sempre imprevedibile, conosce queste svolte inattese. Guai però a ritenere che la strada sia in discesa…
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<span style="color:#231f20;">'''Marco '''</span><span style="color:#0000ff;">A cosa si riferisce parlando di scelte istituzionali illuminate?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>Mi limito a un solo esempio. Abbiamo già detto che in un modello federale la legittimazione democratica si basa su un doppio versante: una Camera rappresentativa, eletta a suffragio universale su base proporzionale, e una Camera degli Stati. Negli Stati Uniti, la Costituzione del 1787 ha stabilito, per quest’ultima, che nel Senato siano presenti due senatori per ognuno degli Stati della Federazione, indipendentemente dal numero degli abitanti di ciascuno Stato, È questo il “grande compromesso” che ha sbloccato la via alla federazione americana. Ma può accadere (lo abbiamo visto anche di recente) che in tal modo la maggioranza in Senato sia costituita da senatori eletti da una maggioranza di Stati (ad esempio 51 senatori su 100) che globalmente hanno tuttavia ricevuto un numero di voti anche largamente inferiore a quelli dell’altro partito, milioni di voti in meno. Nell’Unione con il regime in vigore si è invece adottato un altro criterio, come abbiamo già ricordato parlando del Trattato di Lisbona: quando una legge o una decisione deve essere assunta dal Consiglio dei ministri a maggioranza qualificata, questa viene raggiunta solo se la delibera riceve il voto del 55% dei ministri che rappresentino almeno il 65% della popolazione dell’Unione. Così i due criteri di rappresentanza si combinano in modo armonico. E questo è molto importante, anche perché implicitamente, tenendo conto della popolazione complessiva dell’Unione, si riconosce che essa costituisce già la struttura istituzionale di un solo popolo.
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">Tuttavia, quanto Lei ha detto, mi pare che “completare la cattedrale” non sia affatto semplice, se l’ostacolo risiede nella resistenza accanita dei governi nazionali.</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>Sì, la resistenza è accanita, talvolta esplicita ma spesso sorda e sottotraccia. Perché l’obbiettivo sia tanto difficile da raggiungere lo ha spiegato lucidamente Nicolò Machiavelli cinque secoli fa: dare vita a “ordini nuovi” è cosa ardua perché chi li promuove è debole in quanto privo ancora dei poteri necessari mentre chi difende l’ordine antico lo fa con ogni mezzo. I media tendono a credere e a far credere che ciò che conta è il potere esistente e che l’ordine nuovo è solo utopia.
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">Mi viene quasi da dire che ci ritroviamo in una situazione da “banalità del male”: non essendoci ancora un “ordine nuovo” capace di governare la globalizzazione, ciascun potere nazionale, con l’alibi dell’impotenza dovuta a questa mancanza, riduce la propria politica a individualismo, carrierismo e privilegi, non accorgendosi di diventare con questa irresponsabilità il motivo dell’impasse. Prendere consapevolezza, come cittadini, di questa irresponsabilità potrebbe essere la chiave giusta?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>È vero. In un certo senso, l’ideale federalista nasce proprio dalla “banalità del male” frutto delle ideologie totalitarie del Novecento.
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">Quali sono gli elementi che potrebbero segnare una svolta decisiva verso un assetto federale dell’Unione?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>A questa realtà si può fare fronte da un lato con la forza della ragione e della passione civile e morale, che non sono da sottovalutare mai; dall’altro con l’apporto di tre fattori determinanti, efficaci soprattutto se operano congiuntamente. Essi sono: ''le crisi ''dell’ordine antico, che costringono a individuare vie nuove; ''la leadership ''di uno o più politici che abbia/abbiano intuito le potenzialità dell’ordine nuovo legando ad esso le loro fortune politiche; infine, ''la “spinta dal basso”'', cioè la pressione di un’opinione pubblica favorevole alla prospettiva di fondo dell’integrazione. L’Unione europea quale oggi esiste si è costruita con l’apporto di tutti e tre questi fattori. Ed è possibile che si completi così, perché i tre fattori sono tuttora essenziali per proseguire il cammino. Oggi in tutti i Paesi europei la vera divisione politica è quella tra chi propone più Europa e chi propone la chiusura, il ritorno al nazionalismo.
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== {{anchor|RefHeadingToc532647255}} La cattedrale incompiuta ==
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<span style="color:#231f20;">'''Marco '''</span><span style="color:#0000ff;">Lei ha detto prima che una costituzione europea esiste già, ha paragonato l’Unione a una grande cattedrale. Vorrei capire meglio il perché di questa immagine.</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>Cerco di sintetizzare in poche frasi la ragione della metafora. Un insieme di Stati e di ordinamenti sovrani, formati nel corso di quindici secoli in un costante rapporto scambievole di culture, di confronti civili ma anche di incessanti conflitti armati, culminati in due guerre mondiali rovinose, ha intrapreso un cammino che aveva come traguardo la costruzione di un’unione politica federale. Nel corso di due terzi di secolo questo progetto ha condotto ad una profonda integrazione economica, realizzata per mezzo di una struttura istituzionale nuova e originale. L’Unione europea di oggi ha ormai molti caratteri propri di una costituzione federale: ha un Parlamento, ha una Camera degli Stati (i due Consigli), ha un’autorità di Governo (la Commissione), ha una Carta dei diritti, ha una Corte di Giustizia, ha una moneta unica, ha una procedura di approvazione delle leggi ispirata ai principi di democrazia, possiede competenze precise, alcune delle quali esclusive, altre concorrenti con le competenze degli Stati. È avvenuto in Europa qualcosa che non ha precedenti paragonabili nella storia.
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">E allora perché definire incompiuta la cattedrale?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>Perché vi sono materie per le quali, pur essendo di competenza dell’Unione, le decisioni legislative e di governo non sono coerenti con la democrazia in quanto il Parlamento ne è escluso e in quanto il veto di un governo può bloccare tutto. Perché i poteri di governo della Commissione sono insufficienti. Inoltre l’Unione con il suo Parlamento in base ai trattati non ha la competenza per esercitare autonomamente un potere fiscale, in coordinamento con i governi. Ora, senza risorse proprie di livello adeguato, gestite democraticamente, le politiche di cui l’Unione ha bisogno sono sovente impossibili. Infine, anche la procedura di modifica dei trattati dovrebbe cambiare, senza più esigere l’unanimità dei governi e delle ratifiche nazionali; la Costituzione più antica e gloriosa, quella degli Stati Uniti, non sarebbe mai nata se non ci fosse stata la clausola per la quale era sufficiente il voto di approvazione di nove Colonie su tredici per farla entrare in vigore. Per questo ricorro alla metafora della cattedrale: l’Unione europea può essere raffigurata come una costruzione grandiosa, accogliente, ma ancora priva della copertura della volta, senza la quale rischia non solo i danni delle intemperie ma il crollo.
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">Da quanto abbiamo detto sin qui, mi pare di poter concludere che il principale errore, la principale carenza dell’Unione, come si è realizzata sin qui, consiste nel non aver saputo adottare le strategie giuste per affrontare temi fondamentali per i cittadini europei, dalle migrazioni allo sviluppo compatibile, dalle nuove tecnologie alla sicurezza e alla difesa. E questo perché su questi temi ha continuato a muoversi in un’ottica nazionale e non al livello europeo: dunque senza un governo europeo efficace e dotato dei mezzi necessari, controllato da un Parlamento europeo espressione dei cittadini. È così?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>È così. E la riprova sta nel fatto che nei campi nei quali queste condizioni ci sono, perché i trattati le hanno istituite – così per il mercato unico, per la concorrenza, per la moneta europea, per il commercio internazionale, per il sostegno alle regioni povere, per l’agricoltura – l’Unione è stata ed è assolutamente efficace. Addirittura, si è imposta come protagonista a livello mondiale. Di questo fondamentale difetto, che mette a rischio la sopravvivenza stessa dell’Unione perché la rende incapace di affrontare le sfide, sono responsabili tutti i governi e i parlamenti nazionali, a cominciare da quelli della Francia, che in più occasioni (nel 1954, nel 1992, nel 2005) hanno bloccato le vie che portavano verso un assetto federale dell’Unione.
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">Ma ci sono responsabilità specifiche dei singoli Paesi dell’Unione?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>Ogni Paese membro dell’Unione ha le sue responsabilità per ciò che l’Unione potrebbe essere e (ancora) non è. Per sintetizzare, in modo necessariamente rapido: la Francia ha mancato di mettere la sua forza militare e il suo ruolo di membro fondatore delle Nazioni Unite al servizio dell’Unione; la Germania ha mancato di controbilanciare i vantaggi che la moneta unica le ha consentito (senza l’euro il marco si sarebbe sopravalutato vistosamente, nuocendo alle sue esportazioni) con una politica economica che abbassi il surplus eccessivo della sua bilancia dei pagamenti, recando così un danno agli altri Paesi membri; e si è opposta sinora all’accrescimento del bilancio dell’Unione; i Paesi di Visegrad dell’Est europeo stanno muovendosi in senso contrario ad alcuni principi cardine della Carta dei diritti dell’Unione, mettendo a rischio i diritti e i poteri delle loro democrazie.
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">E l’Italia?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>L’Italia ha mancato ed è carente, anche verso l’Europa, su più fronti. Il suo debito pubblico esorbitante mette a rischio non solo i nostri conti ma anche la moneta unica: di questo abbiamo parlato all’inizio. L’Italia ha un’amministrazione della giustizia troppo lenta che, al pari degli altri handicap nostri, scoraggia gli investimenti dall’estero, pur essendo dotata di un sistema produttivo molto efficiente quanto alle esportazioni; l’Italia ha un tasso di evasione fiscale inaccettabile, superiore a 100 miliardi euro all’anno; basterebbe recuperarne la metà per risolvere tutti i problemi di investimento e di welfare del Paese; l’Italia ha quattro mafie che paralizzano intere regioni del Paese. E mi fermo qui… È chiaro che tutto questo ci danneggia gravemente sia all’interno del Paese che entro la cornice dell’Unione europea. E questi difetti li possiamo correggere solo noi, non certo l’Europa, come già abbiamo detto.
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">Mi colpisce nelle sue risposte di riscontrare un intreccio di giudizi positivi e ammirativi e di valutazioni critiche sull’unione europea. Non saprei dire da quale parte penda la bilancia…</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>Ha ragione. Un fatto non va dimenticato, soprattutto in momenti di crisi come è quello presente. L’unione europea non è più il disegno sognato nei secoli da pensatori illuminati né il progetto tentato invano più volte da conquistatori e sovrani potenti e ambiziosi. È oggi una realtà politica e non solo economica, pacifica e democratica, che ha consentito ai nostri popoli di raggiungere democraticamente traguardi di pace, di benessere e di solidarietà senza precedenti e che costituisce un modello originale di valore planetario. Per questo vorrei che il nostro dialogo non perdesse di vista la metafora della cattedrale. L’Unione europea è ormai una grandiosa cattedrale. Una cattedrale incompiuta, tuttavia. E dunque a rischio, come avviene per gli edifici, anche grandiosi, ma ancora privi di un tetto che li protegga dalle tempeste. Con ciò intendo dire che l’unione europea è a rischio in quanto le forze politiche attuali da troppo tempo esitano a intervenire su questa grande costruzione con gli interventi di fondo necessari per completarla.
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<span style="color:#231f20;">'''Marco '''</span><span style="color:#0000ff;">Ci sono concrete speranze che questi ostacoli possano venir superati?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span><span style="color:#231f20;">La storia, come ripeto, non è mai prevedibile. Per i Greci la speranza era l’ultima dea, l’ultima a rimanere nel fondo del vaso di Pandora. Ebbene, la speranza c’è. La fiducia reciproca e la solidarietà potrebbero riaccendersi. Voglio ribadire che l’elezione europea del maggio 2019 potrà risultare determinante, se nel Parlamento neo-eletto prevarrà una maggioranza pro-europea. Lo stesso Parlamento europeo ha approvato nel febbraio del 2017 due importantissime mozioni. Da un lato si chiarisce quali iniziative si potrebbero intraprendere già ora avvalendosi del Trattato di Lisbona (ne abbiamo appena parlato a proposito dei cerchi concentrici): è il Progetto Bresso-Brok. Dall’altro lato si dichiara quali riforme dovrebbero venir introdotte quando si mettesse mano a una modifica dei trattati: è il Progetto Verhofstadt.</span><span style="color:#231f20;"><ref name="ftn7">Parlamento europeo Progetto di riforma dei trattati, 15 febbraio 2017. [http://www.europarl.europa.eu/sides/getDoc.do?pubRef=-//EP//TEXT+TA+P8-TA-2017-0049+0+DOC+XML+V0//EN http://www.europarl.europa.eu/sides/getDoc.do?pubRef=-//EP//TEXT+TA+P8-TA-2017-0049+0+DOC+XML+V0//EN] </ref></span><span style="color:#231f20;"> Il nucleo di queste modifiche proposte dal Parlamento sta a mio avviso in alcune riforme istituzionali, tutte nel segno della continuità: rendere generale la codecisione del Parlamento europeo per tutte le decisioni legislative dell’Unione, dotarlo di poteri propri di fiscalità, attribuire alla Commissione i necessari poteri di governo per tutte le competenze dell’Unione, eliminare il diritto di veto nei due Consigli, consentire modifiche nei trattati anche a maggioranza qualificata o superqualificata dei governi e dei parlamenti nazionali. Nulla di meno, nulla di più di questo. Sono gli ultimi passi, ma sono forse i più difficili. È questa la cupola della cattedrale.</span>
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= {{anchor|RefHeadingToc532647256}} V. Luci ed ombre d’Europa =
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<div style="text-align:center;">[[Image:|top]]</div>
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== {{anchor|RefHeadingToc532647257}} Carta dei diritti, sovranità, democrazia, sussidiarietà ==
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<span style="color:#231f20;">'''Marco '''</span><span style="color:#0000ff;">Lei ha parlato di principi che stanno alla base dell’edificio (pardon: della cattedrale) dell’Unione europea. Come si possono enunciare in breve?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>La Carta dei diritti dell’Unione europea del 2000 li ripartisce in sei capitoli, intitolati rispettivamente così: dignità, libertà, uguaglianza, solidarietà, cittadinanza, giustizia. Proclamare la dignità della persona, di ogni persona umana è un portato della profonda tradizione cristiana dell’Europa. I diritti di libertà – la libertà personale dagli atti arbitrari del potere, le libertà di pensiero, di associazione, di religione – sono un portato della moderna cultura dell’Europa; ma vi rientrano anche le quattro libertà che stanno alla base dell’unione economica, cioè la libera circolazione delle persone, delle merci, dei servizi e dei capitali. Il principio dell’uguaglianza dei diritti e delle opportunità è a sua volta il risultato della storia moderna, dalla fine del Settecento al Novecento. E così pure le esigenze di rispetto dei principi di giustizia anche sociale e non solo personale e collettiva. La cittadinanza europea esprime la dimensione dei diritti politici dell’Unione. E la solidarietà a sua volta indica e prescrive l’obbiettivo di raggiungere una dimensione non solo economica dell’Unione stessa, così da creare condizioni progressivamente meno squilibrate tra le regioni d’Europa, come abbiamo visto sopra parlando delle politiche di “coesione”. Sono principi fondamentali che la Carta dei diritti dovrebbe garantire e dei quali oggi il Parlamento europeo sta inserendo l’implementazione.<ref name="ftn8">[http://barbara-spinelli.it/author/redazione/ http://barbara-spinelli.it/author/redazione/] (dicembre 2018)
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">Tra le quattro libertà previste dai trattati dell’Unione figura anche la libera circolazione dei capitali. La nostra interlocutrice virtuale Elena, menzionata all’inizio, obietterebbe che è proprio questa libera </span><span style="color:#0000ff;">circolazione dei capitali a provocare disastri come quelli che abbiamo sperimentato in questi ultimi anni con la crisi della finanza.</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>Anzitutto non si deve dimenticare che la crescita sostenibile dell’economia, essenziale per lo sviluppo, richiede come componente fondamentale l’apporto di investimenti privati anche dall’estero e verso l’estero, che solo la libera circolazione dei capitali può assicurare. Tuttavia è certamente vero che i rischi ci sono stati e ci sono tuttora, i danni gravi li abbiamo sperimentati. E allora deve essere chiaro che la libera circolazione dei capitali non comporta una licenza indiscriminata di fare ciò che si vuole, per chi ha capitali da investire o vuole spostarli. Tanto meno si deve credere che il mercato, anche il mercato dei capitali, sia sempre capace di autocorreggersi, come invece si è creduto e si crede da parte di molti nel mondo dell’economia ed anche nell’accademia: lo abbiamo già detto.
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<div style="color:#231f20;">Anche per la finanza occorre predisporre un perimetro di regole e riuscire a farle rispettare con gli strumenti di governo che includono un margine di potere discrezionale. Il tema è complesso, perché la finanza oggi sposta con facilità anche grandi capitali in tempi strettissimi. Tuttavia le regole ci sono e altre regole andranno indubbiamente messe a punto. Ad esempio occorre un’armonizzazione fiscale tra i Paesi dell’Unione, così che non si possa più alterare, come è invece avvenuto, la concorrenza tra imprese favorendo in modo non corretto un flusso di capitali dall’estero, attira ti da un’imposta sugli utili eccessivamente ridotta. E così pure occorre intervenire sulla trasparenza delle transazioni, sull’abuso di posizioni dominanti come pure sui possibili abusi delle multinazionali. Faccio notare però, una volta di più, che sinora il rispetto delle regole nei confronti delle multinazionali è stato possibile soltanto in quanto l’Unione europea è intervenuta con i poteri necessari di cui dispone. I singoli Stati dell’Unione non hanno la forza sufficiente per farlo. E questo vale, naturalmente, anche nella disciplina dei capitali all’interno dell’Unione.</div>
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">Può allora completare l’elenco dei principi fondamentali dell’Unione?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>Mi limito a richiamarne due, chiaramente espressi nei trattati, oltre che presenti nella stessa Carta dei diritti. Il primo è il principio di democrazia, che naturalmente può concretarsi in forme costituzionali diverse (parlamentari o presidenziali, con leggi elettorali ispirate alla proporzionalità o invece al ballottaggio, con collegi uninominali ovvero con liste nazionali e così via), tutte democraticamente legittime perché fondate sul suffragio universale, cioè sulla sovranità del popolo; inoltre l’Unione prevede anche forme di democrazia diretta.
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<div style="color:#231f20;">Un altro principio fondamentale dell’Unione è il principio di sussidiarietà, che impone di affidare all’Unione soltanto le questioni e le esigenze che, entro la cornice delle competenze dell’Unione stabilite dai trattati, possono venire affrontate e risolte in modo adeguato al livello europeo e non al livello nazionale; quando una questione è risolubile al livello nazionale, questo deve prevalere. La ragione che sta alla base della sussidiarietà è che le decisioni politiche vanno assunte preferibilmente al livello più vicino alla vita concreta del cittadino, dunque al livello inferiore possibile, il più vicino alla fonte stessa della sovranità che è l’individuo. Perciò, a seconda delle materie, dal comune, dalla regione, dallo Stato nazionale, dall’Unione europea, dalle organizzazioni internazionali, anzitutto le Nazioni Unite.</div>
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">Ma come si fa a stabilire quale sia il livello giusto della sussidiarietà, volta per volta?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>Vi sono anzitutto alcune competenze che i Trattati riservano al solo livello europeo. Sono le poche competenze esclusive dell’Unione, di cui abbiamo parlato: in particolare le regole sulla concorrenza, sul commercio internazionale e sull’unione monetaria. Il mercato unico non potrebbe funzionare in presenza di una pluralità di normative nazionali su queste materie. Molte altre competenze dell’Unione, anch’esse previste dai trattati, sono le competenze dette “concorrenti”, in quanto su di esse possono intervenire con leggi e regolamenti sia i singoli Stati membri che l’Unione. Là dove l’Unione adotta regolamenti o direttive proprie, queste prevalgono sulle leggi nazionali. Ma se uno Stato o anche altri soggetti imputano all’Unione di aver ecceduto violando il principio di sussidiarietà, possono opporsi e fare intervenire la stessa Corte di giustizia. La scelta di regolare una certa materia o di affidare una decisione di competenza concorrente all’Unione è naturalmente una scelta politica, affidata agli organi dell’Unione, alla Commissione, ai Consigli e al Parlamento europeo.
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">Oggi è davvero applicato il principio di sussidiarietà?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>Il principio di sussidiarietà – che, lo ripeto, è fondamentale nella prospettiva di una struttura federale – è ben lungi dall’essere applicato coerentemente. Dovrebbe operare in entrambe le direzioni, sia verso il basso che verso l’alto, a seconda dei casi, mentre oggi l’attenzione è rivolta in prevalenza ad evitare un eccesso di regolamentazione europea più che nella direzione inversa. Ci sono scelte che chiaramente imporrebbero di ricorrere al livello superiore mentre questo non avviene, a cominciare dai beni pubblici europei (energie alternative, tecnologie di avanguardia, intelligenza artificiale, politiche ambientali ed altre), dalla sicurezza alla difesa di cui abbiamo già parlato. Molto resta da fare per attuare coerentemente questo principio.
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">Gestire al livello europeo e non più solo al livello nazionale queste politiche vuol dire riconoscere all’Unione una propria sovranità. Ma la sovranità non è una prerogativa dello Stato-nazione?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>L’idea che la sovranità sia un attributo esclusivo dello Stato-nazione è ancora oggi condivisa da molti, anche al livello della teoria politica e giuridica. Ma è un’idea sbagliata per ragioni storiche, teoriche e fattuali. Storicamente, la dottrina dell’identità tra popolo, nazione e stato è recente, risale alla cultura romantica del primo Ottocento ed è in seguito degenerata nel Novecento sino alle due guerre mondiali. Prima d’allora “patria”, ”nazione” e “stato” costituivano entità distinte. In linea di principio, la moderna teoria politica – da Rousseau in poi, ma le radici sono ben più antiche – ha ricondotto la sovranità al popolo, dunque a ciascuno dei suoi componenti, che la esercitano direttamente o più spesso nella forma della rappresentanza politica attraverso il voto. Infine, in linea di fatto già oggi gli Stati nazionali non sono più sovrani, perché su questioni decisive non hanno potere effettivo, in un mondo globale; e l’Unione europea costituisce la risposta a questo stato di fatto, è la condizione per recuperare una sovranità ormai perduta dagli Stati e irrecuperabile da loro in un mondo globale.
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<div style="color:#231f20;">Per queste ragioni bisogna adottare una concezione diversa della sovranità: se sovrano è il popolo, cioè in definitiva l’individuo, questi la può esercitare a più livelli, a seconda delle materie e delle necessità individuali e collettive. Quanto alla dimensione territoriale, i livelli principali sono cinque: il comune (villaggio o città), la regione, lo stato nazionale, il continente (per noi l’Europa), il mondo. Si è cittadini (e sovrani) entro ciascuna di queste comunità. Il concetto monolitico di sovranità nazionale è dunque infondato.</div>
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== {{anchor|RefHeadingToc532647258}} Nazioni, Regioni, Europa: identità plurime e identità europea ==
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<span style="color:#231f20;">'''Marco '''</span><span style="color:#0000ff;">Una delle ragioni di fondo dell’ostilità verso l’Europa mi sembra quella che fa leva su un altro timore, che sento evocare spesso: il timore che con l’unione si sia costretti ad uniformarsi ad un unico modello, sacrificando le identità nazionali, rinunciando ad essere italiani o francesi o spagnoli e così via.</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>Le maggiori opposizioni al progetto di unione federale sono venute proprio da questi timori: sin dall’origine e poi sempre di nuovo. Bisogna allora vedere se essi hanno un vero fondamento. E la risposta è no.
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">Perché no?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>Per una ragione che in breve esprimerei così. Le identità nazionali sono il frutto di una storia culturale e politica di secoli se non addirittura di millenni. In taluni casi lo Stato si è formato prima della nazione, come ad esempio in Francia e in Inghilterra a partire dal medioevo, mentre in altri casi la nazione è nata prima dello Stato, come è avvenuto in Italia e in Germania, dove la “nazione” della cultura e delle consuetudini ha preceduto di secoli l’unificazione politica. Comunque un’identità nazionale esiste oggi, in ogni Stato-nazione d’Europa. È una componente essenziale della nostra identità collettiva. Ma va chiarito che lo scopo dell’Unione europea non è – non è mai stato – di annullare le identità nazionali, bensì di mettere in comune ciò che ci unisce nei nostri valori e ciò che è utile gestire insieme a difesa e a promozione dei nostri interessi. Nulla più di questo e nulla di meno di questo. Di qui è nato il mercato unico, di qui è nata la Carta europea dei diritti, di qui nasce l’idea di una difesa comune.
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">Ma è vero quello che si sente ripetere, che cioè l’unione politica dell’Europa non sarà mai possibile nella forma di uno Stato federale perché mancherebbe un “comune sentire”, la coscienza di una comune appartenenza, l’esistenza stessa di un popolo europeo, di un </span><span style="color:#0000ff;">''demos ''</span><span style="color:#0000ff;">europeo?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>Neppure questa obiezione è fondata. Per tre ragioni. La prima sta nel fatto che per decidere e per agire in comune non occorre pensarla allo stesso modo <span style="color:#231f20;">su tutto; occorre </span>semplicemente avere la convenienza o addirittura la necessità di darsi gli strumenti per risolvere problemi comuni, che non sarebbero altrimenti risolvibili: questo vale per un condominio come per una nazione; e vale anche per l’Europa quanto ai temi e agli obbiettivi, già richiamati sopra, che i singoli Stati europei non sono (o non sono più) in grado di affrontare isolatamente.
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La seconda ragione è che, a differenza di quanto spesso si dice, alcuni importanti valori in comune i diversi Paesi europei li hanno già ora. Esiste un modello europeo di stato sociale – sanità, previdenza, misure di contrasto alla disoccupazione, scuola pubblica, finanziati con risorse pubbliche – diverso nei nostri diversi Paesi ma lontano, ad esempio, dal modello statunitense. Esiste <span style="color:#231f20;">negli europei </span>un’avversione di fondo alla guerra, sia tra i paesi entro l’Unione (portiamo in noi la memoria ben viva delle nostre profonde cicatrici) sia quale strumento utilizzabile per promuovere le democrazie nel mondo, come è risultato chiaro ad esempio al tempo della guerra all’Irak e non solo. Esiste una visione cosmopolitica del mondo di oggi e di domani, che ha radici culturali risalenti alla Grecia, al medioevo e all’età illuministica; anche l’idea dello “stato di diritto”, della ''rule of law ''è all’origine un’idea europea. E potremmo continuare.
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">E la terza ragione?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>La terza ragione è questa. Si è constatato, attraverso ripetuti sondaggi anche molto recenti, che la distanza di opinioni all’interno di ogni singolo Paese dell’Unione europea è maggiore rispetto alla differenza di opinione riscontrabile su un campione rappresentativo della popolazione complessiva dei diversi stati: tra italiani, tedeschi, francesi, spagnoli non siamo così diversi come può sembrare.
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">Altri però riguardo alle identità collettive esprimono una posizione in certo senso opposta rispetto ai sovranisti. Si oppongono non all’idea di Europa ma proprio allo Stato nazionale, rivendicando le identità storiche e attuali delle regioni. Dunque si oppongono anche all’Unione europea di oggi, in quanto fondata in larga misura sui governi e sugli Stati nazionali. Cosa c’è di vero in questa posizione?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>Il punto fondamentale è questo: ognuno di noi porta in sé più appartenenze, più identità, più modelli di vita, di gusti, di tradizioni e di comportamenti. Ciascuno di essi è per lo più compatibile con gli altri. In particolare, se si pensa alla dimensione del territorio, ognuno di noi è ad un tempo cittadino del suo villaggio o della sua città; cittadino della sua regione; cittadino del suo Paese; cittadino europeo; e cittadino del mondo. Sono identità distinte e complementari, ciascuna delle quali si coglie meglio se vista dall’esterno: un abitante di Siena quando è nella sua città si sente anzitutto “contradaiolo”, membro attivo del proprio quartiere; quando è a Firenze si sente senese; quando è a Milano o a Napoli si sente toscano; quando è a Londra si sente italiano; quando è a San Francisco o a Pechino si sente europeo.
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">Ma allora perché questa insistenza di molti sull’identità regionale?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>Una ragione c’è. L’identità regionale è fortissima, perché è il frutto di una storia di secoli. Non solo la lingua, non solo i dialetti, non solo la pronuncia locale della lingua del Paese, ben riconoscibile perché diversa persino tra città vicine della medesima regione; ma addirittura il carattere delle persone è mediamente diverso. Non è certo un caso se quando noi vogliamo descrivere a qualcuno il carattere di una persona che l’interlocutore non conosce, spessissimo ci limitiamo a richiamare la sua appartenenza ad una regione: “sai, lui è siciliano”; “devi capire, è piemontese”; e così via. E l’interlocutore capisce (o crede di capire) qualcosa di più… Lo stesso vale per la Francia (un bretone è ben diverso da un provenzale, non solo nel linguaggio), per la Germania, per la Spagna; e così via. Il che non elimina affatto gli elementi di identità nazionale, difetti inclusi, naturalmente.
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">Dunque, nonostante questa forte realtà storica e attuale delle regioni, l’idea di eliminare gli Stati e sostituirli con le regioni va respinta?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>A mio avviso sì. Per tre motivi. Primo. Gli Stati sono ancora un pilastro fondamentale non solo della vita collettiva e della politica ma anche dei rapporti internazionali, dell’equilibrio (o squilibrio) delle forze in Europa; la stessa Unione europea è nata e vive nella forma di una unione di Stati; la Francia o la Germania (e non solo loro) non accetterebbero mai di dissolversi nelle rispettive regioni storiche. Secondo. Non esistono solo le regioni storiche ma anche le regioni che per la loro collocazione geografica ed economica presentano aspetti di profonda affinità: si pensi alle regioni alpine d’Italia, Francia, Austria; o alle regioni europee con forti estensioni forestali; o alle coste e alle isole che prosperano di risorse marine e di turismo. L’Europa può (e in parte già lo fa) mettere in atto politiche di sostegno specifiche per ciascuna di queste, che sono transnazionali e che non coincidono con le regioni storiche. Terzo. La spinta di alcune macroaree regionali a diventare Stati non solo trascura gli elementi di unità nazionale che la storia di secoli ha creato, ma darebbe vita a micro-stati all’interno dei quali si riprodurrebbero le spinte autonomiste. La formula politica del federalismo permette di far convivere senza conflitti questi diversi livelli.
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">Tuttavia la richiesta di molte regioni europee di ottenere una maggiore autonomia, o addirittura l’indipendenza, resta ben viva. Quale dovrebbe essere su questo fronte il ruolo dell’Europa?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>Sulla pretesa dell’indipendenza politica la risposta non può che essere negativa, per le ragioni già espresse: sarebbe una nuova forma di nazionalismo, con gli inconvenienti e i rischi che conosciamo bene e che la storia conferma. Invece le richieste di autonomia sono senz’altro legittime. Si deve tenere presente che entro l’Unione europea esistono, in conformità delle rispettive costituzioni nazionali, modelli molto diversi sull’ordinamento delle regioni. In Spagna l’autonomia delle regioni storiche è alta, e non solo per la Catalogna. In Germania i Länder hanno vasti poteri, a cominciare dalla Baviera, ed esiste una seconda Camera, il Bundesrat, che li rappresenta a livello nazionale. In Italia le regioni hanno anche un potere legislativo, ulteriormente esteso con la riforma costituzionale del 2001; e ci sono le regioni alle quali la nostra Costituzione ha garantito – sulla base di ragioni storiche peculiari per ciascuna di esse – un regime di statuto speciale (Sicilia, Sardegna, Val d’Aosta, Trentino-Alto Adige e Friuli-Venezia Giulia), che include tra l’altro un regime fiscale più vantaggioso. La Francia invece ha mantenuto un centralismo molto più accentuato, erede del modello napoleonico. Anche il livello di efficienza delle amministrazioni regionali è ben diverso nei diversi paesi.
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">Cosa allora dovrebbe fare l’Unione?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>Il principio di base è che deve spettare ad ogni Stato nazionale di stabilire nella propria Costituzione quale livello di autonomia attribuire alle proprie regioni. Un’Europa federale può funzionare bene senza la necessità che il regime costituzionale interno dei diversi Paesi debba essere uniforme. Questo vale anche per i comuni e le città metropolitane. Il che non toglie nulla all’esigenza a mio parere sana e positiva di attribuire autonomia alle regioni. A due condizioni però: che venga lasciato un margine sufficiente di competenze e di risorse allo Stato, tale da rendere possibile un livello uniforme di prestazioni di base (istruzione, sanità, trasporti, tutela dell’ambiente ed altri beni pubblici) sull’intero territorio nazionale, anche per le regioni meno ricche; e che non si crei una babele di normative discordanti, ad esempio sulla sanità o sul turismo o sulle imprese o sulla formazione scolastica: perché questo rischio (un rischio molto concreto, almeno in Italia…) produce conseguenze negative per la tutela della salute, per l’eguaglianza di trattamento tra i cittadini e per gli investimenti.
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== {{anchor|RefHeadingToc532647259}} Il pluralismo religioso ed etnico ==
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<span style="color:#231f20;">'''Marco '''</span><span style="color:#0000ff;">Accanto alle identità locali e regionali, ci sono però anche le diverse identità religiose; si può farle convivere?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>Certamente. Anzi, anche all’interno di una medesima religione, scopriamo “anime” diverse. Il cristianesimo ne ha conosciute in duemila anni moltissime, tra loro profondamente differenziate pur nella costante condivisione di principio dei valori di fondo enunciati nei Vangeli. Valori e precetti che peraltro la storia religiosa e civile d’Europa ha per tanti secoli contraddetto in misura impressionante: basti richiamare alla memoria le feroci persecuzioni anti-eretiche, le Crociate, l’Inquisizione, le guerre di religione, l’intolleranza per ogni opinione non coincidente con l’ortodossia stabilita dai Concili e dalla Chiesa di Roma.
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">Davvero le diversità religiose sono compatibili?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>Sono, le diversità, un vero tesoro, un valore da apprezzare, sia tra le religioni storiche sia entro la medesima religione: quanto profondamente diversa, ad esempio, la spiritualità di ciascun ordine monastico! E così pure, quante diverse declinazioni culturali, religiose e civili entro la storia dell’Islam! Oggi finalmente abbiamo compreso che tutte possono convivere, entro una cornice di mutua accettazione, nel rispetto dei principi di libertà garantiti dalle Costituzioni. Uno dei più grandi uomini della storia del Novecento, il Mahatma Gandhi, lo ha detto e testimoniato in modo mirabile. Ma ci sono voluti secoli di storia e di grandi sofferenze per giungere a questo riconoscimento, ancora molto parziale e imperfetto.
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<span style="color:#231f20;">'''Marco '''</span><span style="color:#0000ff;">Vi è poi la questione, che mi sembra molto seria, della compatibilità delle diverse etnie entro i singoli Stati ed entro l’Unione europea. I musulmani, i cinesi, gli africani potranno mai integrarsi davvero con i popoli dei Paesi europei nei quali vivono?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span><span style="color:#231f20;">La questione è seria e grave. Va detto che essa riguarda anzitutto i singoli Stati europei, entro ciascuno dei quali da decenni vivono e lavorano milioni di individui provenienti da Paesi di altri Continenti. La tradizione di etnie differenti entro un medesimo ordinamento è molto antica, ha conosciuto assetti differenti nel tempo, in particolare nel medioevo, sui quali non posso soffermarmi. Nel quadro delle moderne costituzioni democratiche, il principio di base mi pare si possa esprimere così: la convivenza pacifica di etnie dotate di tradizioni e di elementi identitari specifici – ad esempio nella lingua quotidiana, nel regime della famiglia, nei rapporti sociali, nella religione – è possibile purché esista e venga rispettato da tutti un insieme di elementi comuni. Essi includono la lingua del Paese, l’educazione civica, l’istruzione di base e i diritti fondamentali dell’individuo e delle associazioni di persone, garantiti dalle Costituzioni nazionali.</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Marco '''</span><span style="color:#0000ff;">E che fare con le etnie che sono presenti in molti Stati europei e che chiedono di essere tutelate?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>Sardi, corsi, catalani, baschi, e non solo… E poi le altre minoranze etniche presenti in molti stati: gli ungheresi in Romania, gli istriani in Croazia, i turchi in Germania, gli algerini in Francia, i cinesi in Italia e altrove; per non parlare dei gallesi e degli scozzesi. Anche su questo fronte, come su quello delle appartenenze religiose e confessionali che spesso si incrociano con queste etnie minoritarie, la via corretta è quella di consentire il massimo di autonomia – anche giuridica – compatibile con i principi e con i diritti stabiliti dalle costituzioni nazionali. Già oggi e da tempo, ad esempio in Spagna, sono ammesse consuetudini differenti nelle diverse regioni in campo familiare, nelle successioni e persino nei contratti. E poi si deve considerare che anche all’interno delle regioni spesso esistono etnie minoritarie che vanno anch’esse tutelate. La soluzione drastica della “pulizia etnica” è una cruda realtà storica, vecchia di secoli, anzi di millenni. Una realtà purtroppo anche recente e recentissima, tanto negli altri Continenti quanto nella stessa Europa: si pensi alle tragiche vicende che sono seguite alla dissoluzione della Jugoslavia. La via dell’unione fondata sul federalismo – che assicura ad un tempo l’unione politica e l’autonomia in un rapporto di coordinamento concordato – è la sola alternativa valida.
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">I seguaci della religione islamica possono convivere pacificamente con i popoli cristiani?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>Ritengo di sì. Lo affermo sulla base di diverse ragioni: perché questo sul terreno religioso è già avvenuto in molte fasi della storia, ad esempio nella Spagna del secolo XI, ma anche altrove; perché questo avviene anche oggi in molti Stati a maggioranza islamica fuori d’Europa (certo non in tutti, lo sappiamo bene); e perché nella stessa Europa – in Germania, in Francia, in Italia e altrove – la stragrande maggioranza dei musulmani immigrati convive con la popolazione locale senza traumi particolari; e là dove essi hanno acquisito la cittadinanza del Paese europeo nei quali si sono insediati, partecipano regolarmente alla vita democratica. Con questo non voglio certo negare che il problema esista: c’è una lunga e risalente tradizione islamica di ostilità verso le altre religioni e in particolare verso il cristianesimo.
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">L’islam ha l’idea che una guerra di religione possa essere non solo legittima ma addirittura doverosa?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>L’idea della Jihad (la guerra santa) sta nel Corano, anche se in forma non così netta e priva di alternative come viene spesso presentata. Questa tradizione è ancora ben viva in molte parti del pianeta. È appena il caso di rammentare che l’Europa stessa non ne è certo stata immune. Le Crociate del medioevo, come pure la distruzione delle civiltà e delle religioni precolombiane sono lì a dimostrarlo. L’intolleranza religiosa verso i non cristiani, a cominciare dagli ebrei, si è tradotta per secoli in persecuzioni sanguinose. Il principio della libertà religiosa l’Europa della cultura illuministica lo ha fatto proprio solo da due secoli e mezzo; e la Chiesa ancora più recentemente, alla metà del Novecento, con il secondo Concilio Vaticano. Ricordo questi precedenti per dire che la libertà religiosa è un principio fondamentale, del quale ogni Stato europeo e l’Unione europea debbono garantire il rispetto, anche da parte dei musulmani. È una conquista ormai irreversibile.
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">Ma i principi di libertà e di democrazia che prospettive hanno nei Paesi islamici autoritari?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>Su entrambi questi versanti in molti Paesi islamici, come anche in altri Paesi di diverse tradizioni e religioni, il cammino da percorrere è ancora lungo e irto di ostacoli. Non potrà venire imposto dall’esterno, tanto meno con le armi. Una spinta fondamentale potrà venire dalla componente femminile di questi Paesi: le donne avranno, ritengo, un ruolo determinante nel rendere possibile la transizione contrastando la violenza, l’autoritarismo e la discriminazione, dunque lottando (pacificamente) per la libertà e per la democrazia.
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== {{anchor|RefHeadingToc532647260}} Tesori della civiltà europea ==
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<span style="color:#231f20;">'''Marco '''</span><span style="color:#0000ff;">Noi europei tendiamo a considerarci come gli eredi della più evoluta civiltà del pianeta. Tendiamo (o almeno così è stato, mi sembra) a ritenere che al confronto della civiltà europea – della quale quella degli Stati Uniti è figlia – le altre civiltà, incluse quelle nobili e antiche della Cina e dell’India, inclusa quella </span><span style="color:#0000ff;">dell’Islam classico, siano comunque inferiori. A me non pare che questo atteggiamento sia giustificato. Lei cosa ne pensa?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>Concordo con Lei, Marco. Ogni civiltà ha il suo valore, i propri “carismi”, e il mondo umano è bello anche per questa grande varietà di esperienze e di culture. Anche le civiltà cosiddette primitive, per quel tanto o quel poco che ancora ne resta, presentano aspetti di sorprendente valore attuale: nell’arte, nel rispetto della natura, nei rapporti tra individui, persino nella sfera religiosa. Gli studi su queste civiltà, fioriti soprattutto nel corso del Novecento e per merito di studiosi in gran parte europei, lo hanno mostrato con chiarezza. Aggiungo che uno dei meriti della cultura europea è anche quello di avere sviluppato i criteri di metodo storico con i quali si sta a poco a poco ricostruendo con rigore, sulla base delle fonti, la storia di ciascuna delle altre civiltà del pianeta, dalla Cina all’India, dalle Americhe all’Islam; incluse, naturalmente, le civiltà antiche dell’Oriente mediterraneo, dalla Mesopotamia all’Egitto, sulle quali oggi sappiamo infinitamente di più rispetto al passato.
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">Se però volessimo richiamare in breve qualche titolo di merito della civiltà europea, come potremmo farlo? E prima ancora: esiste una civiltà europea o ci sono essenzialmente civiltà nazionali?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>Sulla risposta alla seconda domanda non ho dubbi. Ho dedicato la mia vita di studioso alla storia del diritto e posso dire con sicurezza che esiste una civiltà del diritto che è europea, non nel senso della uniformità (perché ogni Stato, ogni nazione, ogni città ha avuto aspetti suoi propri), ma nel senso che ci sono caratteri comuni e una ininterrotta circolazione di modelli, di idee, di esperienze. Le tre radici del pensiero e dell’arte della Grecia antica, del diritto di Roma e del Cristianesimo sono ben vive in tutta la storia d’Europa degli ultimi duemila anni. Ma questo vale anche in molti altri campi: pensiamo allo stile romanico e poi allo stile gotico delle chiese dei secoli dall’XI al XV, dall’Inghilterra alla Sicilia, dalla Penisola iberica alla Germania e all’Europa dell’Est; pensiamo ai generi e agli stili della musica; pensiamo ai modelli letterari e poetici; pensiamo agli sviluppi delle scienze e della medicina, dal Seicento al Novecento. L’interscambio è stato continuo all’interno dell’Europa, anche se ogni paese, spesso ogni regione ha sviluppato e declinato in modo originale modelli comuni, in particolare nelle arti. E i “primati”, le epoche d’oro sono venute in momenti e in secoli diversi nei diversi paesi: dall’Italia medievale e rinascimentale alla Spagna del Cinquecento, dai Paesi Bassi alla Francia del Seicento, dall’Inghilterra moderna alla Germania dell’Ottocento, e così per altri Paesi. Unità e diversità sono due aspetti connessi e inscindibili della civiltà europea.
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<span style="color:#231f20;">'''Marco '''</span><span style="color:#0000ff;">La storia culturale e civile europea può allora essere considerata come la storia di una civiltà comune?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>Sì, questo è vero nelle arti, nella musica, nel diritto, nella filosofia, nelle scienze. Il romanico e il gotico, l’arte
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del Rinascimento, lo stile barocco, il neoclassicismo, il romanticismo, sono correnti artistiche fiorite in regioni e paesi diversi ma diffuse e declinate, in modi diversi, nell’intera Europa. Il feudalesimo, la rivoluzione comunale, la nuova scienza del diritto nata con le università dei secoli XII e XIII; l’umanesimo, l’assolutismo politico, il giusnaturalismo, il moderno costituzionalismo, le codificazioni ottocentesche, il positivismo sono fasi storiche che ritroviamo nell’intera Europa, inclusa l’Inghilterra.
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<span style="color:#231f20;">'''Marco '''</span><span style="color:#0000ff;">Anche se è sbagliato fare paragoni tra civiltà, esistono comunque tesori della cultura europea dei quali possiamo essere fieri, non perché autori di essi ma perché eredi di chi li ha creati?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>I tesori della civiltà europea – una civiltà comune, lo ripeto, pur nelle differenze – sono straordinari: in ogni campo del sapere. Questo è vero per l’età medievale, per l’età moderna e per l’età contemporanea. Non solo i sommi autori della pittura, della scultura, dell’architettura, della musica, ma i grandi della teologia, della filosofia, della matematica, della medicina, delle scienze della natura, della fisica, della chimica, del diritto, dell’economia, della storiografia sono in gran parte autori europei: dal medioevo al Novecento. E la civiltà della Grecia classica, che ha posto le basi del pensiero razionale ma anche dell’arte e della poesia, è un fondamento essenziale della civiltà europea, rivisitata e valorizzata ad ogni generazione, perché costituisce un tesoro “per sempre”, come Tucidide auspicava per la sua Storia.
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<span style="color:#231f20;">Sorprende che opere immortali – si pensi a Dante Alighieri o a Giotto, a Michelangelo o a Molière, a Shakespeare o a Rembrandt, a Bach o a Mozart o a Beethoven, ma i nomi sono centinaia, – sono nate in contesti sociali e politici lontani tra loro e lontanissimi dal nostro presente; eppure sono tesori vivi per il mondo intero, per individui di tempi e di civiltà anche molto lontane dalla nostra; e tali resteranno nel futuro. Questo vale naturalmente sia per le scienze umane che per le scienze fisiche, biologiche, naturali, per la medicina, per la psicologia e per tutte le altre scienze. Vorrei ricordare, ad esempio, che non solo le teorie di Galileo, di Newton e degli altri grandi della scienza moderna dal Seicento all’Ottocento ma anche le due massime scoperte della fisica contemporanea, la teoria della relatività e la teoria dei quanti, sono scoperte europee del primo Novecento. La massima parte dei più grandi matematici, dal Cinquecento al Novecento, è costituita da francesi, inglesi, tedeschi, italiani, scandinavi, svizzeri e di altri Paesi europei. I tesori della cultura europea, oggi patrimonio della cultura dell’intero pianeta, sono davvero incommensurabili. E l’Italia nel corso dei secoli ha contribuito in misura altissima, determinante alla creazione di questo patrimonio.</span>
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== {{anchor|RefHeadingToc532647261}} Responsabilità, errori ed orrori della storia d’Europa ==
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<span style="color:#231f20;">'''Marco '''</span><span style="color:#0000ff;">La storia d’Europa è ricca dei tesori che Lei ha appena evocato, certamente. E so che se glielo chiedessi, Lei su questo terreno resterebbe a lungo. Ma questa storia è anche responsabile di errori, di pesanti ingiustizie, direi anche di veri e propri orrori. Non so se possiamo porci come modello per civiltà diverse e lontane, che spesso gli europei hanno ignorato o addirittura soffocato e spento.</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>Questo è sicuramente vero. Guai a negarlo, guai a dimenticarlo, guai a sottovalutarlo. Guerre intestine quasi senza tregua tra gli Stati europei, feroci persecuzioni religiose ed etniche, lotta senza tregua contro le eresie, intolleranze culturali e civili all’interno d’Europa, in un arco di quasi venti secoli. Guerre di conquista sulla sponda orientale del Mediterraneo con le Crociate; devastazioni anche nell’orbita della Cristianità, ad esempio con il selvaggio assalto dei crociati a Costantinopoli nel 1204, distruttivo di tesori irrecuperabili della cultura antica ancora conservati nella capitale dell’Impero d’Oriente. E poi, soprattutto, il dominio esteso dal Cinquecento al Novecento sull’intero pianeta, attraverso la colonizzazione degli altri Continenti: in Africa, nelle due Americhe, in India, in Indonesia, in Australia. L’intero pianeta è stato per secoli terra di conquista da parte degli Stati europei, oggetto di sfruttamento, di dominio politico, religioso e culturale, senza rispetto per le tradizioni ancora vive di culture nobili e antiche, pur se diversissime rispetto alla nostra civiltà.
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<div style="color:#231f20;">Ci sono volute le due guerre mondiali del Novecento, scatenate dagli Stati europei, c’è voluto l’orrore senza paragoni dell’Olocausto perpetrato dal nazismo, ci sono volute le stragi di milioni di esseri umani operate dal comunismo sovietico – anch’esso un prodotto dell’Europa e della sua cultura – per porre fine, nell’arco di alcuni decenni del secondo Novecento, cioè appena ieri, ai domini coloniali e ai genocidi di matrice europea. Altri genocidi, non imputabili a noi, si sono frattanto ripetuti: in Africa, in Cina, in Indonesia, ma anche nell’ex Jugoslavia. Tutto questo non va mai dimenticato, quando proponiamo nuovi modelli di vita individuale e collettiva.</div>
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">Ho visto recentemente due film che mi hanno profondamente colpito. Il primo è un film tratto dal romanzo di Eric Remarque, </span><span style="color:#0000ff;">''All’Ovest niente di nuovo''</span><span style="color:#0000ff;"><nowiki>; il secondo è un documentario di Ermanno Olmi, </nowiki></span><span style="color:#0000ff;">''I recuperanti''</span><span style="color:#0000ff;">, sui luoghi e sui residui terribili – cannoni, bombe inesplose, granate, grotte scavate nella </span><span style="color:#0000ff;">montagna, centinaia di chilometri di trincee – risalenti agli anni della Prima guerra mondiale e ancora presenti, da un secolo, sulle nostre montagne alpine; mi sono sembrate ferite ancora aperte.</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>Ha ragione. Questi film, insieme con altri documenti sono tristemente illuminanti. Oggi ci appare incomprensibile, assurdo, che i popoli europei si siano massacrati dal 1914 al 1918 in una guerra di trincea nella quale per conquistare pochi metri di un campo o di un territorio si mandavano a
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morte migliaia di uomini in un solo giorno. Povera e umile gente di ogni parte d’Europa, per la quale la guerra era inesplicabile, eppure accettata sino al sacrificio della vita come si accetta un flagello della natura. I morti della prima Guerra superano i 15 milioni di esseri umani! Le ideologie nazionaliste sbandierate allora ci suonano false, tragicamente funeste. Ecco perché il patto originario che sta alla base dell’Unione europea è molto chiaro, molto esplicito: mai più guerre, mai più stragi fratricide. Mai più!
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">Oggi questo rischio in Europa sembra superato, a molti questo richiamo al valore della pace sembra inattuale.</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span><span style="color:#231f20;">È un errore, che può avere esiti funesti. Il rischio sarà veramente superato, entro l’Europa, se e solo se l’Unione raggiungerà la fase della federazione, cioè l’unione politica, non prima. Non dimentichiamo che ancora nel 1913, pochi mesi prima dello scoppio della grande guerra, nessuno in Europa l’aveva prevista. Nessuno pensava che l’assetto di pace che il Continente conosceva da quasi mezzo secolo si sarebbe infranto nel corso di una settimana, scatenato da una singola pallottola sparata a Saraievo. Lo esprime bene il bellissimo libro autobiografico di Stefan Zweig, </span><span style="color:#231f20;">''Il mondo di ieri''</span><span style="color:#231f20;">, scritto nel pieno della seconda guerra mondiale, nel 1942.</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Marco '''</span><span style="color:#0000ff;">Come è possibile che nessuno l’avesse previsto? E chi si oppose alla guerra?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>Una parte non piccola delle élites europee era contraria alla guerra, anche in Italia (se si fossero interrogate le popolazioni, la contrarietà sarebbe stata schiacciante). Ma quando poi la guerra scoppiò, solo pochissimi intellettua li ebbero il coraggio di denunciarne l’orrore. Tra questi, il francese Romain Rolland, che nel 1914 pubblicò un pamphlet intitolato ''Al di sopra della mischia'', venduto a decine di migliaia di copie ma attaccato aspramente dalla stampa come antipatriottico. Anni prima Rolland aveva scritto il grande romanzo ''Jean Christophe'', incentrato sull’ideale di
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una intesa profonda tra Francia e Germania. Nel 1914 egli fu costretto, per un trentennio, a lasciare la Francia. Una sorta di incendio collettivo aveva acceso gli spiriti, un fenomeno diventato inarrestabile. Ecco perché è essenziale che si spieghi e si renda chiaro, soprattutto a voi giovani che non l’avete per vostra fortuna conosciuta, la terribile realtà della guerra. L’unione europea è nata ed è tuttora indissolubilmente legata ad un ideale di pace. Chi ignora questo – e sono tanti, oggi – non ha capito nulla dell’idea di unione europea. Quanto meno, non ha capito l’essenziale.
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">Eppure ancora oggi si commemora la fine della guerra e la vittoria del 1918.</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>Sì, è giusto commemorare i morti in guerra. Ed è giusto ricordare che molti giovani e non giovani hanno sacrificato la vita coscientemente. Per la seconda guerra è chiara la ragione che ha spinto alla resistenza attiva contro la barbarie nazista. Per la prima guerra è più difficile capire (come invece è necessario fare) che vi sono stati individui di alta cultura e moralità che hanno creduto in buona fede che la guerra fosse un modo per superare le ingiustizie e le ipocrisie di un’età borghese non priva di ombre. Ma nessuno di loro aveva previsto il massacro della guerra di trincea. Oggi sappiamo tutti che una futura guerra, magari scatenata per caso, potrebbe portare alla morte – nello spazio di ore o di minuti – miliardi di esseri umani. A parte questo scenario da Apocalisse, non dimentichiamo che ancora negli ultimi anni e decenni milioni di persone sono morte per atti di genocidio e di pulizia etnica. Anche ai confini d’Europa.
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">Le tragedie più recenti ai confini dell’Unione europea si sarebbero potute evitare se l’Europa fosse stata presente e attiva come unione politica già nei decenni scorsi?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>In alcuni casi, quasi certamente sì. Pensiamo alla ex Jugoslavia: gli orrori della “pulizia etnica” che ha sacrificato intere popolazioni, sino a quel momento viventi pacificamente porta a porta, sarebbero stati impediti con la forza da un potere pubblico superiore. Pensiamo anche al Medio Oriente, dove non solo gli interessi ma anche i valori che condividiamo non hanno potuto affermarsi perché l’Europa non ha il peso che solo l’unione politica potrebbe darle. Si parla spesso di “costo della non Europa”: e questa formula vale non soltanto sul terreno dell’economia, per la quale sono stati più volte calcolati gli enormi vantaggi che avremmo a presentarci uniti quando si tratta di energia o di ricerca o di difesa, ma anche sul terreno dei rapporti internazionali. Voglio aggiungere che c’è di peggio: l’Europa (o piuttosto alcuni Stati dell’Unione, tra i quali anche l’Italia) portano una quota di responsabilità per aver contribuito a creare le condizioni per le quali si è determinato il flusso di milioni di migranti in fuga dai rispettivi paesi. Mi riferisco alla Libia, alla Siria, all’Irak, ma non solo. Un’Europa politicamen te unita e attiva avrebbe probabilmente agito in tutt’altro modo, nell’interesse di quei popoli e nel nostro interesse.
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">Ma allora il bilancio storico dei rapporti tra l’Europa e il resto del mondo è solo negativo?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>Non penso questo. È vero, ci sono le responsabilità e le colpe, irrimediabili ormai, di cui abbiamo detto. La storia umana è una storia carica, sin dalla più remota antichità, di violenze terribili. Non è mai esistita un’età dell’oro, evocata in tanti miti europei. I genocidi, le deportazioni, le eliminazioni di popoli interi, la riduzione in schiavitù e servitù dei nemici vinti in guerra sono stati quasi sempre la regola, in ogni parte del pianeta, per millenni. E l’Europa non è stata da meno. Soltanto da pochissimi decenni si è cominciato a ritenere non solo eticamente ma anche politicamente inaccettabili queste pratiche millenarie nei rapporti tra popoli e tra Stati. Una parte non secondaria di merito nell’avvio di questa evoluzione si deve proprio all’Europa.
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">Molti pensano che solo una fede attiva e condivisa di pace e di fraternità possa scongiurare le violenze e le stesse guerre. La nostra interlocutrice virtuale Luisa, che Lei ha nominato all’inizio, la pensa così. Il volontariato è un modo di agire molto rispettato e diffuso anche tra i giovani. Sembra lontano dalla dimensione politica e dunque anche dall’ideale europeo.</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>Quando oggi vediamo tante migliaia di donne e di uomini che dedicano la vita o una parte della loro vita, gratuitamente e volontariamente, all’assistenza sanitaria, all’istruzione, al miglioramento delle condizioni di vita delle popolazioni più povere del pianeta, anzitutto in Africa ma non solo, e quando vediamo quanto sia alta la quota di europei in queste missioni, penso che possiamo dirci orgogliosi della nostra appartenenza al Vecchio mondo. È una dimensione essenziale della vita, la fraternità verso il prossimo, della quale le radici religiose e cristiane sono evidenti. Il che non comporta affatto la conseguenza di ritenere che questa dimensione sia sufficiente a scongiurare le tragedie della guerra. No, la pace può venire garantita solo con un regime di istituzioni che renda la guerra impossibile.
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">Mi torna alla mente un carteggio tra Einstein e Freud avvenuto tra le due guerre (1932) in cui i due si interrogavano sulla guerra: entrambi giungevano alla conclusione che per estirpare la guerra, da una parte sono necessarie istituzioni federali e dall’altra occorre alimentare la pulsione di vita, o come preferiva chiamarla Freud di Eros, per contrastare quella di morte, Thanatos. Ma proprio la consapevolezza che nell’essere umano convivono queste due tensioni li indusse ad ammettere la necessità delle istituzioni e di un continuo sforzo di queste per educare la pulsione di Eros. Da una parte quindi la necessità di pedalare sempre per mantenere in equilibrio questa bicicletta (la civiltà) e dall’altra l’importanza di avere un orizzonte per continuare e non perdersi.</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span><span style="color:#231f20;">È vero, questo carteggio tra due grandi della cultura è ancora molto attuale.</span>
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== {{anchor|RefHeadingToc532647262}} Caratteri originali della civiltà europea ==
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<span style="color:#231f20;">'''Marco '''</span><span style="color:#0000ff;">È possibile riconoscere alla civiltà europea, nell’arco della sua storia passata e sino al presente, alcuni aspetti che la distinguono dalle altre civiltà?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>Ritengo di sì. A qualche aspetto ho già accennato, parlando dell’identità europea. Sul patrimonio immenso dell’arte, della cultura e delle scienze di matrice europea non occorre tornare: un patrimonio ormai aperto all’umanità intera di oggi e del futuro. Ma c’è anche altro. Mi limito a pochi punti. Il primo riguarda la distinzione tra la sfera spirituale e la sfera secolare, che ha la sua fonte nel passo evangelico “date a Cesare <span style="color:#231f20;">quel che è di Cesare, date </span>a Dio quel che è di Dio”. Stato e Chiesa, istituzioni temporali e istituzioni religiose hanno convissuto in Europa per duemila anni con confini variabili, con sconfinamenti continui nelle due direzioni, con contrasti accesi e non di rado violenti. Ma rimane fermo il principio per il quale la sfera secolare dei rapporti temporali e la sfera spirituale della religione hanno ciascuna un proprio autonomo fondamento etico e istituzionale. Questo principio costituisce un pilastro, un carattere distintivo della civiltà europea, in questo diversa da civiltà come quelle (ad esempio) della Mesopotamia, dell’Egitto antico, di Israele, della Cina, dell’India, del Giappone, dell’Islam e della stessa Bisanzio: anche se, naturalmente, ciascuna di queste civiltà ha conosciuto e variamente disegnato, nei rispettivi poteri, la sfera religiosa e la sfera dei rapporti civili.
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">Nell’Europa cristiana ci sono stati “travasi”, scambi tra le due sfere?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>Certamente. Vi è l’influenza che le istituzioni del mondo secolare hanno esercitato sull’organizzazione interna della Chiesa cattolica, a cominciare dalla sua struttura gerarchica (laici, sacerdoti, vescovi, pontefici), che ha chiari agganci con la struttura gerarchica del tardo impero romano, persino nei nomi. E così pure le istituzioni del feudalesimo. E in tempi molto più recenti, l’accettazione del principio della libertà religiosa, nato nella moderna cultura secolare e, nel Novecento, recepito anche dalla Chiesa. La “rivoluzione” illuminista è stato un movimento intellettuale grandioso, le cui radici sono molteplici, sia religiose che laiche. Ha messo radici l’idea che la realtà delle istituzioni umane e delle regole del diritto può essere riformata sulla base di principi razionali, condivisibili e condivisi. Rientra in questa prospettiva anche la dialettica moderna tra posizioni religiose e posizioni laiche in tema di divorzio e aborto, nonché la discussione sui temi oggi vivissimi della bioetica.
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">E nella direzione inversa, la Chiesa ha influito sul terreno delle realtà secolari?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>Nella direzione inversa gli esempi sono innumerevoli. Non solo ha operato la Chiesa come istituzione bensì in primo luogo i valori del cristianesimo, espressi e trasmessi nei Vangeli. Uno di questi esempi consiste nel fenomeno complesso della “secolarizzazione”: il trasferimento di regole e istituzioni dall’àmbito della religione cristiana all’àmbito temporale. Basti menzionare i principi fondamentali della pari dignità di ogni persona umana, della solidarietà attiva, della tutela dei meno fortunati a carico della collettività, del potere come servizio: nati sul terreno religioso, essi sono stati recepiti, in modi e in gradi molto diversi nel tempo e nello spazio, dai poteri secolari e dagli Stati. E vi è anche la trasmissione di modelli del diritto canonico in quasi ogni campo dei diritti secolari, nel processo, nei contratti, nella gerarchia delle funzioni pubbliche, nel diritto penale.
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<span style="color:#231f20;">'''Marco '''</span><span style="color:#0000ff;">Può menzionare alcuni altri “caratteri originali” della civiltà europea?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>Ne richiamo alcuni, semplicemente enunciandoli, ma naturalmente questo capitolo meriterebbe ben altro spazio. Possiamo denominarli caratteri originali nel senso che sono nati in Europa, ma molti di essi si sono poi trasmessi ad altre parti del mondo, ad altri paesi e continenti e sono diventati patrimonio comune dell’umanità. Un esempio è costituito dalle Università quali strutture di formazione delle élites politiche ed economiche nelle quali l’insegnamento è impartito da chi abbia dimostrato la capacità di effettuare ricerche originali. Il principio della separazione/distinzione tra i poteri legislativo, esecutivo e giudiziario, cardine del moderno Stato costituzionale, è un modello europeo che dall’Inghilterra del Seicento si è trasmesso all’Europa, agli Stati Uniti e poi a molti altri Stati extraeuropei. La dottrina dei diritti dell’uomo – diritti di libertà, diritti di protezione contro gli abusi del potere – ha anch’essa origini europee che dal medioevo si sviluppano sino alla Dichiarazione del 1789, ai ''Bills of Rights ''e alle moderne Costituzioni; e che dal 1948 figurano nella Carta dei diritti delle Nazioni Unite, con un raggio di diffusione e recepimento (quanto meno potenziale…) esteso così all’intero pianeta. <span style="color:#231f20;">Il principio della sovranità popolare, le istituzioni della democrazia rappresentativa, il suffragio universale sono anche questi modelli europei, accolti in forme diverse nel tempo e nello spazio ben al di là dell’Europa. Le riforme che hanno emancipato dal secondo Ottocento in poi il proletariato dall’oppressione e dalla miseria indotte dalla prima industrializzazione sono state una faticosa conquista dell’Europa, a partire dall’Inghilterra che della rivoluzione industriale era stata la matrice. Gli istituti della previdenza sociale si sono anch’essi affermati non solo in Europa. E così pure la creazione del </span><span style="color:#231f20;">''welfare state''</span><span style="color:#231f20;">, concepito da Lord Beveridge nel corso della seconda guerra mondiale e trasformatosi in seguito nel “modello sociale europeo”. Anche la grande rivoluzione che nel corso del Novecento e in questo secolo ha portato e sta portando progressivamente alla emancipazione femminile ha avuto in Europa la sua fonte prima.</span>
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= {{anchor|RefHeadingToc532647263}} VI. Il mondo di domani =
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<div style="text-align:center;">[[Image:|top]]</div>
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== {{anchor|RefHeadingToc532647264}} Europa federale: un progetto planetario ==
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<span style="color:#231f20;">'''Marco '''</span><span style="color:#0000ff;">Vorrei a questo punto del nostro dialogo rivolgerLe alcune domande che mi sono posto e che corrispondono alle obiezioni di uno dei nostri interlocutori virtuali menzionati all’inizio, Mario. Il mondo di oggi è ormai un mondo globale e lo sarà ancor più quello di domani. L’ambiente e la sua tutela, i consumi energetici e le energie alternative, la rivoluzione informatica e telematica, il lavoro scientifico, le nuove tecnologie lo sviluppo demografico e le migrazioni di milioni di individui, persino le epidemie e i flagelli naturali, tutto questo avviene su scala mondiale. E allora, non Le sembra che la prospettiva dell’Europa e della sua unione politica sia già superata dai fatti e che convenga, per chi riflette sul futuro e vorrebbe lavorare a prepararlo, ragionare in chiave planetaria e non più in chiave solo europea?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>Anch’io mi sono interrogato più volte su questo. Le risposte che mi sono dato hanno un doppio versante. Da una parte occorre capire come l’Europa di oggi si colloca riguardo a questi grandi temi. Dall’altra parte si può immaginare come l’Unione europea, una volta che fosse a regime, potrebbe operare su scala globale. Premetto, per chiarezza, che per globalizzazione intendo sostanzialmente due realtà: da un lato l’interdipendenza sempre più stretta e più intensa tra le economie e i sistemi finanziari dei diversi Paesi dei cinque continenti, un fenomeno che ha oggi assunto dimensioni mai raggiunte prima; dall’altro, la presenza di istituzioni che hanno un raggio d’azione planetario; alcune pubbliche e promosse dagli Stati – dalle Nazioni Unite all’Organizzazione mondiale del commercio e alle Corti di giustizia internazionali, alcune delle quali molto recenti – altre private, nate spesso su base volontaria o promosse da imprese e gruppi di interesse, tra le quali le Organizzazioni non governative (Ong).
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">Ma non sarà proprio per questa realtà di un mondo ormai globale che molti giovani oggi si sentono lontani dalla politica nazionale ed anche dalla politica europea perché si sentono piuttosto cittadini del mondo?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>Sentirsi cittadini del modo è importante, è bellissimo. Ma questa consapevolezza non elimina, non deve sostituire la propria appartenenza alle altre cerchie più limitate, dal comune alla regione, dallo Stato nazionale all’Europa, tutte reali e compatibili come abbiamo già detto. Aggiungo che forse nessuna alternativa quanto quella europea è altrettanto efficace per agire politicamente quale cittadino del mondo.
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Non posso fare a meno, a questo proposito, di citare un’intuizione di Kant, il quale ha scritto che “l’associazione di popoli è progressivamente pervenuta a tal punto che la violazione di un diritto avvenuta in un punto della Terra è avvertita in tutti i punti” (''Per la pace perpetua'', terzo articolo); questo è stato scritto nel 1795, prima che i mezzi di comunicazione moderni e contemporanei venissero ad esistenza, portando il mondo intero sino all’interno delle nostre case.
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<span style="color:#231f20;">'''Marco '''</span><span style="color:#0000ff;">È un pensiero anticipatore straordinario! Tuttavia, se è vero che siamo ormai parte di un mondo globalizzato, ci si può chiedere se sia davvero così importante occuparsi e preoccuparsi dell’Europa e della sua unione politica; Lei ha già ricordato che solo il 7% della popolazione mondiale appartiene all’Europa e questa percentuale decrescerà ancora nei prossimi decenni.</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>Anzitutto va detto che in questo 7% ci siamo noi e ci saranno i nostri e vostri figli e nipoti e pronipoti. Poter avere una voce e un’influenza in un mondo che si sta trasformando in profondità – con prospettive affascinanti ma anche con gravissimi rischi – è una ambizione giusta. Ma c’è di più: su molti fronti i cittadini europei hanno, nella loro maggioranza, convinzioni e tendenze di avanguardia, orientate verso un futuro di convivenza pacifica, di prosperità equilibrata, di tutela dei meno fortunati, di provvidenze sociali e sanitarie, di rispetto dei diritti umani e della democrazia. Perché rinunciare a svolgere un ruolo su questi fronti, a fianco dei grandi Stati di domani? Anche sui poteri dell’Onu l’atteggiamento degli europei è tendenzialmente avanzato, in una prospettiva cosmopolitica. Il primo a coniare questo termine è stato il filosofo Diogene: Alessandro Magno, condotto dagli Ateniesi a conoscere il celebre filosofo, gli chiese di quale città fosse originario; e Diogene rispose così: “io sono cosmopolita” cioè, alla lettera, “io sono cittadino del mondo”.
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">Quale è il ruolo dell’Europa attuale, in questo contesto?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>L’Europa rappresenta già oggi un elemento importante, anzi fondamentale nel processo di globalizzazione in corso. Costituisce il più grande mercato, non per il numero degli abitanti ma per il volume degli scambi. L’euro è la seconda moneta mondiale, dopo il dollaro. Sulla tutela dell’ambiente l’Europa è all’avanguardia, rispetto a tutti gli altri grandi Stati. Anche sulle energie alternative si sta muovendo con decisione. I suoi sistemi di welfare, che pure differiscono da Paese a Paese, sono i più avanzati rispetto a quelli del resto del mondo, dagli Stati Uniti alla Cina, dall’India all’America meridionale. Basti pensare ai sistemi sanitari nazionali, che costano in Europa molto meno rispetto agli Stati Uniti. Il livello medio di benessere e la qualità della vita sono i più alti rispetto a quelli degli altri Continenti.
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<div style="color:#231f20;">Non solo: l’integrazione europea ha assicurato all’Europa tre quarti di secolo di pace interna, un risultato che non si era mai raggiunto in 2000 anni di storia. Attenzione: sto dicendo che questi grandi successi sono tutti, anche se in misura diversa, legati al processo di integrazione, sono successi dell’Unione europea. Questo fatto viene quasi sempre passato sotto silenzio, e non solo dagli avversari dell’unione politica. Come ha scritto Tommaso Padoa-Schioppa nel 2008 “solo l’Unione europea ha saputo elaborare la formula atta a governare il processo di internazionalizzazione […]; perciò l’Unione ha titolo e forza per esigere che questa formula sia applicata alla mondializzazione; ma a condizione che essa completi l’edificio dell’unione con la formazione di un governo capace di decidere e di agire sia all’interno che all’esterno”.</div>
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<span style="color:#231f20;">'''Marco '''</span><span style="color:#0000ff;">Ma allora, se è così, il più è fatto! O no?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>Direi di no, per due ragioni. Perché la costruzione europea è ancora incompiuta e quindi a rischio, come abbiamo
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visto sopra. E perché le sfide che la globalizzazione pone al mondo di domani, ma già alla realtà di oggi, sono tutt’altro che vinte, dai rischi terribili di guerre anche nucleari al degrado dell’ambiente, dall’energia alla povertà alla disoccupazione alla perdita di lavori tradizionali a causa delle innovazioni tecnologiche, dai rischi della finanza globale alla criminalità internazionale, per citarne solo alcune. Queste ed altre sfide non potranno venire affrontate se non a livello globale. Ma l’Unione europea, se saprà completare l’unione politica, sarà (meglio: potrà essere) all’avanguardia nel promuovere misure efficaci. Non solo è in molti campi già più avanti, ma possiede una vocazione cosmopolitica superiore rispetto ad ogni altra parte del mondo.
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">Non mi è chiaro cosa questo significhi.</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>Significa tre cose. Anzitutto la cultura europea, dalla Grecia sino al presente, ha sviluppato, come abbiamo già accennato sopra, un filone di pensiero che concepisce l’unità del genere umano come fine supremo dell’ordine politico, da conseguire nel rispetto della libertà e della democrazia. Inoltre, l’Europa sta portando avanti un modello di unione politica su base federale che, se completato, costituirà un modello (in parte lo è già) per altri continenti, dall’Africa all’America meridionale: ieri l’Europa ha diffuso il modello dello Stato nazionale, del quale gli effetti nefasti si sono visti nel Novecento e si vedono ancor oggi ad esempio in Africa e nel Medio oriente; domani potrebbe suggerire il modello federale.
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">Lei parlava di tre ragioni a proposito del modello cosmopolitico europeo. Ma ne ha citate solo due…</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>La terza è questa, ed è forse la più importante. Il progetto di unione politica federale dell’Europa è stato, sin dall’origine – da Kant ai Padri fondatori dell’Unione, Altiero Spinelli, Jean Monnet, ma non solo loro – un progetto aperto alla prospettiva di un’unione politica planetaria. Le memorie di questi personaggi sono chiarissime al riguardo: “unire l’Europa per unire il mondo” come si espresse Mario Albertini nel 1980. Ma solo un’Europa unita potrà esercitare un ruolo di avanguardia nel promuovere le istituzioni internazionali già esistenti, dalle Corti di Giustizia internazionali all’Organizzazione internazionale del commercio (Wto) ma soprattutto al livello più alto, alle Nazioni Unite, nate per tutelare la pace nel mondo. Questo intendevo dire parlando di vocazione cosmopolitica dell’Europa. L’Europa è la maggiore speranza di chi crede nell’ideale dell’unità politica del genere umano. E chi si batte per l’Unione europea si batte per un obbiettivo che supera l’Europa stessa e riguarda il mondo. Se l’Europa federale non vedrà la luce, questo ideale rischia di rimanere utopia ancora per secoli, forse per sempre.
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">Lei parla continuamente di Europa federale ed ha chiarito già prima quali siano le istituzioni che l’Unione si è data, ispirate ai principi del federalismo. Ma Le chiedo di ritornare su questo punto, perché ho l’impressione che non molti sappiano distinguere tra “unione politica” e “unione federale”.</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>La distinzione è di importanza fondamentale. L’unione europea che già oggi esiste e la cattedrale incompiuta di cui abbiamo parlato sono fondate sul modello politico del federalismo. Questo significa che l’Unione non è e non sarà uno Stato unitario, un Superstato, un Leviatano che assorbe e sostituisce gli Stati nazionali, ma una federazione di Stati che mettono in comune con efficacia e con metodo democratico alcune competenze, per obbiettivi non raggiungibili a livello nazionale, come abbiamo visto. Federazione significa questo. Il discorso sarebbe lungo, anche se affascinante: ma voglio almeno dire che la dottrina politica del federalismo costituisce un punto di arrivo rispetto alle grandi rivoluzioni politiche e istituzionali dell’età moderna, il liberalismo, il socialismo e la democrazia. Le incorpora tutte, con una dimensione sovranazionale che ad esse mancava.
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<span style="color:#231f20;">I confini istituzionali di una federazione sono di due ordini: da una parte i livelli territoriali inferiori mantengono le loro prerogative, a cominciare dagli Stati nazionali; dall’altra parte, la federazione ha le caratteristiche di un ordine costituzionale democratico, in quanto il potere legislativo, il potere di governo e il potere giudiziario sono esercita ti, in via esclusiva o in codecisione, da organi diversi: per l’Europa, i </span><span style="color:#231f20;">Consigli, la Commissione, il Parlamento eletto, la Corte di giustizia. Il federalismo, al quale si ispira la costruzione europea, è un modello esemplare per le istituzioni politiche del futuro: coniuga autonomia e interdipendenza, evita le autocrazie fondate sull’accentramento e sul mancato equilibrio tra i poteri, possiede la doppia legittimazione democratica del voto popolare e della Camera degli Stati. Inoltre, la federazione implica l’accettazione dei livelli territoriali inferiori e di quelli superiori, sino al livello planetario; implica cioè un concetto non esclusivo di sovranità.</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Marco '''</span><span style="color:#0000ff;">Lei ha chiarito la dimensione territoriale del federalismo politico. Ma se oggi il mondo è globale, il territorio come elemento di aggregazione non ha perduto importanza?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span><span style="color:#231f20;">Questo è un punto importantissimo, ha fatto bene a sollevarlo! Dico subito che qui non possiamo approfondire la questione, mi limito a richiamare pochi punti. Quando parliamo della necessità di un perimetro di regole per disciplinare la concorrenza, per diminuire le crescenti disuguaglianze non solo sociali ma anche tra le imprese, per contrastare la formazione di potenti monopoli e oligopoli per taluni settori dell’economia, per arginare le deviazioni dei circuiti mediatici, per intervenire al di là delle frontiere nazionali o continentali in difesa dei diritti, per combattere la criminalità internazionale, per disciplinare il </span><span style="color:#231f20;">''soft law ''</span><span style="color:#231f20;">delle pratiche negoziali transnazionali, tutto questo (e molto altro) implica, in forme diverse, la messa a punto di strategie ed anche di istituzioni nuove, in larga misura ancora da studiare e da realizzare. È un capitolo vasto e difficile della globalizzazione, che oggi viene studiato da molti (Cassese, 2016; </span><span style="color:#231f20;">''Economist''</span><span style="color:#231f20;">, 17 novembre 2018) e per il quale alcune possibili scelte future sono già state delineate. Occorre mettere punto anche forme nuove di legittimazione democratica, diverse rispetto a quelle delle democrazie tradizionali e delle stesse democrazie rappresentative. Tuttavia non per questo la prospettiva del federalismo politico perde di incisività, tutt’altro, perché una serie di interventi dei poteri pubblici sovranazionali sarà comunque necessaria.</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Marco '''</span><span style="color:#0000ff;">Nel contrasto tra sovranisti ed europeisti che, come Lei ha sottolineato all’inizio, sarà il fronte decisivo dell’elezione europea del 2019, io credo di aver notato una differenza di fondo non solo sui programmi ma nel modo di proporli. I sovranisti, i nazionalisti sembrano animati da una tensione emotiva che si manifesta nei toni e che preclude ogni confronto sereno su soluzioni non semplicemente distruttive. Ma questo non rischia di pregiudicare la causa europea?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>Lei ha ragione a sollevare questo problema. I sovranisti fanno appello a emozioni e suscitano pulsioni che vanno al di là (o piuttosto restano al di qua) delle argomentazioni razionali. E questo non solo in Italia: pensiamo alla Baviera, all’Ungheria, all’Austria. Gli europeisti controbattono punto per punto e le loro ragioni non vengono contestate razionalmente. Senonché nel votare, gli elettori sono sempre fortemente influenzati dalle emozioni. E la politica non è certo solo ragione, è passione e dunque emozione. Ciò che ha reso possibile la costruzione europea è stata la rivolta morale contro le guerre del Novecento, è stata una autentica passione civile. Guai a pensare che questo rischio di guerre non esista più; ma ora premono altre pulsioni, soprattutto quelle indotte dall’insicurezza, dalle immigrazioni incontrollate, dalla paura del domani per il mondo del lavoro. E allora chi soffia sul fuoco di questi sentimenti ha grande spazio. Potrebbe vincere la partita. Bisogna assolutamente riuscire a far sentire ai cittadini, agli elettori che la costruzione europea è una potente fonte di sicurezza e di pace per il domani. Bisogna suscitare anche l’emozione per l’ideale europeo; e vorrei invitare tutti all’ascolto di un breve filmato accessibile su internet, che a me è parso bellissimo, realizzato a Norimberga nel 2014.<ref name="ftn9">Vedi: [https://www.youtube.com/watch?v=a23945btJYw https://www.youtube.com/watch?v=a23945btJYw]</ref>
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Bisogna suscitare una nuova passione civile per l’Europa unita. Io vedo anche questo nostro dialogo come un tentativo di far vivere questa passione.
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== {{anchor|RefHeadingToc532647265}} La politica, i giovani, la scuola ==
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<span style="color:#231f20;">'''Marco '''</span><span style="color:#0000ff;">Lei ha parlato di rischi gravissimi per il mondo di domani. A cosa si riferiva?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>Mi riferivo a prospettive ormai evidenti a chiunque voglia osservare la realtà. Sono i progressi della ricerca scientifica, dalla genetica alle tecnologie avanzate, a rendere possibile e prossimo il raggiungimento di traguardi straordinari, sino a ieri impensabili: sulla durata della vita umana, sulla lotta vittoriosa contro le carestie, contro le malattie, contro la fatica fisica e molte sofferenze che per millenni hanno afflitto l’umanità.
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<span style="color:#231f20;">Ma contestualmente, proprio questi progressi mettono a rischio la sopravvivenza della specie umana e della vita stessa sulla Terra: dalla minaccia nucleare allo sfruttamento delle risorse del pianeta, dalla manipolazione genetica sino alla rivoluzione digitale e telematica che potrebbe sviluppare forme di dominio occulto sulla vita individuale e collettiva, forme abnormi di intelligenza artificiale lesiva di ogni libertà. Pericoli immensi, non scontati, non inevitabili, ma contrastabili solo con gli strumenti dell’informazione corretta e della democrazia. Cioè con gli strumenti della politica. Ecco perché la politica resta fondamentale.</span>
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">Oggi il mondo è già globale nella produzione, negli scambi, nella finanza, nella criminalità. In cosa dovrebbe ancora diventare globale?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>Nella politica. Beninteso, non nel senso che debba nascere uno Stato mondiale. Come già Kant aveva acutamente osservato. il rischio di una dittatura a livello planetario sarebbe terrificante. No, quello che dovrebbe svilupparsi – e che in misura ancora embrionale si sta sviluppando attraverso l’Onu e le altre organizzazioni internazionali – è un sistema politico federale costituito da grandi Stati e da federazioni di Stati (come l’Unione europea). Le decisioni più importanti, quelle che debbono rispondere alle sfide della guerra e della pace, dell’ambiente e dell’economia planetaria sarebbero assunte democraticamente entro uno schema istituzionale di federazione politica.
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">Perché Lei ritiene necessario che la globalizzazione si estenda anche al livello politico?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>Perché altrimenti sarebbe impossibile contrastare gli effetti negativi, gli eccessi, le prevaricazioni, le violenze che le società generano inevitabilmente se non esiste un sistema istituzionale entro il quale il bilanciamento tra i diversi poteri sia in grado di contrastare queste patologie, tutt’altro che immaginarie. Ciò è vero anche per il sistema degli scambi, della produzione e della finanza. Oggi i poteri pubblici si sono indeboliti, anche in conseguenza della globalizzazione. E c’è bisogno di un riequilibrio, che a livello mondiale ancora non ha la possibilità di nascere proprio per la debolezza delle istituzioni internazionali, le quali debbono avere anch’esse una legittimazione democratica. Per questo ho parlato di una carenza della politica che andrebbe corretta. Il rafforzamento della Nazioni Unite, ad esempio, che ha al centro una riforma del Consiglio di sicurezza, potrà raggiungersi solo se sarà portato avanti a livello politico dai grandi Stati: tra i quali dovrebbe esserci l’Unione europea…
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">Dunque il raggio della politica va ben al di là del quadro nazionale. E allora Le chiedo in che modo secondo Lei un giovane dovrebbe occuparsi di politica?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>Ci sarà, ci deve essere una piccola minoranza di giovani che per vocazione – sì, parlerei di vocazione, in un senso non poi tanto lontano da quello con il quale si parla di vocazione a fare il medico, l’insegnante, persino il sacerdote – sceglierà la via della politica: la politica nel suo significato alto, come vocazione a conquistare legittimamente il potere al fine di contribuire a “cambiare il mondo” nella direzione dei propri ideali. Pochi sceglieranno invece di dedicare una parte del loro tempo ad una militanza politica ideale, volontaria, ad esempio sul terreno del federalismo. E poi ci sono gli altri giovani, la stragrande maggioranza.
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<div style="color:#231f20;">Ognuno di loro cercherà la sua via nelle diverse direzioni dell’attività umana. Ma ognuno dovrebbe conservare e coltivare in sé anche una scintilla di “anima politica” nel senso nobile e alto del termine: sentire la responsabilità di essere “cittadino” di ciascuna delle cerchie alle quali appartiene, che vanno dalla propria città al mondo. Ogni cittadino deve essere anche politico, insieme custode della sua polis e cosmopolita. La democrazia può vivere solo così.</div>
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<div style="color:#231f20;">In questa dimensione, l’Europa costituisce un tassello fondamentale. Come ho cercato di mostrare in questo nostro dialogo, oggi la via per avanzare verso un mondo più giusto e sano passa proprio per l’Europa. L’unità politica dell’Europa, un’Europa federale e non uno stato soffocatore delle autonomie, è un traguardo non solo per gli europei di oggi e di domani, ma per l’intero pianeta.</div>
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">Ascoltandola, io avverto in Lei una tensione ideale che a me personalmente piace molto, anzi mi entusiasma. E tuttavia anch’io ho incontrato amici e compagni che la pensano come alcuni da Lei evocati all’inizio. Pensano che tutti questi siano solo bei discorsi, sogni di illusi: perché il potere, gli interessi sono da sempre e saranno per sempre la sola realtà che si impone; ciò che conta sarebbe solo la politica reale (la </span><span style="color:#0000ff;">''Realpolitik''</span><span style="color:#0000ff;">, mi sembra che così la chiamino i tedeschi). E allora, chi crede nell’Europa federale sta forse nel mondo dei sogni?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span><span style="color:#231f20;">Vede Marco, io non nego affatto il peso schiaccian te degli interessi costituiti né della </span><span style="color:#231f20;">''Realpolitik''</span><span style="color:#231f20;">. Da storico del diritto, sarei sciocco se lo facessi. La storia è anche un cumulo di tragedie collettive. Molte di esse sono opera dell’uomo: guerre, genocidi, schiavitù e servitù di popoli interi, feroci dittature ed altro ancora. Illudersi che il dolore e le pulsioni aggressive possano scomparire dalla storia umana sarebbe sbagliato, irreale. Ma la storia non è solo questo. Essa include traguardi che a priori sarebbero sembrati (anzi, erano valutati) irraggiungibili, perché in contrasto con forze e con interessi possenti. Sembravano utopie irrealizzabili, ma sono diventate realtà..</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Marco '''</span><span style="color:#0000ff;">Potrebbe farmi qualche esempio?</span>
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Mi limito a rammentarne alcuni tra i molti possibili. La cristianizzazione dell’Impero romano tardo-antico è un fenomeno grandioso e impressionante, se si considera la profondità delle radici religiose e politiche sulle quali era sorto ed era cresciuto l’Impero. Nella seconda metà del Settecento una sovrana asburgica della più alta nobiltà europea e il figlio di lei, rispettivamente Maria Teresa d’Austria e Giuseppe II, riuscirono in appena quarant’anni a smantellare il monopolio dei due più formidabili centri di potere che da secoli dominavano in Europa (e non sempre, sia chiaro, senza risultati importanti e talora eccelsi): il patriziato e la Chiesa. Tra il 1789 e il 1791 l’Assemblea costituente francese introdusse, con votazioni ispirate al principio di democrazia, una serie di centinaia di leggi che avviarono la Francia, e più tardi l’Europa, verso un regime di eguaglianza dei diritti e di libertà economica e civile. E si deve osservare che in entrambi i casi fu determinante l’intervento del patriziato, prima ancora di quello della nascente borghesia. Il principio della progressività delle imposte, fondamentale per diminuire le disuguaglianze, ancora ai primi del Novecento era considerato tabù negli Stati Uniti, mentre due decenni più tardi fu accolto in misura che oggi ci sembra inarrivabile, sino ad oltre il 70% per i redditi maggiori.
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<span style="color:#231f20;">E ancora: l’abolizione della schiavitù e delle servitù personali; la libertà di pensiero, d’espressione, di religione; lo stato di diritto con la distinzione tra i poteri; la sovranità popolare; la tutela di chi lavora e di chi non può pagarsi le cure; la parità tra uomo e donna; le carte dei diritti a livello planetario; </span><span style="color:#231f20;">''last not least''</span><span style="color:#231f20;">, l’integrazione europea. Nessuno, ancora all’inizio del Settecento, ancora nel corso dell’Ottocento e del primo Novecento prevedeva che questi traguardi sarebbero stati possibili.</span>
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<div style="color:#231f20;">Lei pensa che ciascuno di questi storici risultati non abbia conosciuto resistenze, ostacoli, strategie astute e possenti per sabotarli?</div>
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<span style="color:#231f20;">'''Marco '''</span><span style="color:#0000ff;">Ma come, allora, tutto questo è stato possibile?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>Nella storia operano molte forze. Tra queste, anche la forza morale e la forza della ragione. Io sono convinto che in una società umana, in qualsiasi parte della Terra, se non è in atto una pulsione emotiva e aggressiva in fase acuta, la maggioranza delle persone è favorevole non solo alla pace ma a una convivenza civile, rispettosa del prossimo ed anche disponibile ad aiutare chi ne ha bisogno. Certamente, ci sono anche le pulsioni contrarie, come Freud, che Lei ha ricordato, sapeva ed ha espresso così bene. Ma il modello di un ordine internazionale di stampo federale esorcizza la guerra senza la pretesa di cambiare la natura umana, con le sue ineliminabili ascendenze animali. Altro è uccidersi, altro è competere civilmente nell’economia, nella politica ed anche nella cultura, così come nello sport.
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<div style="color:#231f20;">La morale e la ragione possono imporsi anche rispet to alle forze del potere e degli interessi, soprattutto quando vi sia anche una componente degli interessi a spingere in questa direzione. Abbiamo visto che fu Jean Monnet ad intuire che per il progetto di integrazione europea bisognava coniugare gli interessi e i valori: è stata questa la chiave del successo del mercato unico. Fu ancora Monnet ad affermare che l’Europa si è fatta e si costruirà attraverso i modi in cui saprà rispondere alle crisi. Fu Spinelli a constatare che l’ideale europeo sinora è risorto ogni volta, dopo le sconfitte, come un’Araba fenice dalle sue ceneri.</div>
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<span style="color:#231f20;">'''Marco '''</span><span style="color:#0000ff;">Questa risposta induce a sperare. Anche perché le crisi non mancano di certo!</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span><span style="color:#231f20;">L’Europa unita può costituire un’altra di queste utopie realizzabili; anzi, questo traguardo è tanto più alla portata in quanto in larga misura l’utopia dell’unione si è già realizzata! Ho usato non a caso la metafora della cattedrale incompiuta. Ma bisogna volerla completare. Nell’Ottocento, molti giovani furono pronti a morire per veder raggiunto l’ideale dell’unità nazionale. Per l’Europa non si muore, ma l’ideale non è meno nobile.</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Marco '''</span><span style="color:#0000ff;">Ancora sul terreno della politica, mi piacerebbe sapere cosa ne pensa del divario sinistra-destra e come si inserisce all’interno di questo discorso l’europeismo?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>Quanto al contrasto destra-sinistra, secondo me i punti fermi sono tre.
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<div style="margin-left:0cm;margin-right:0cm;">I La contrapposizione tradizionale tra socialismo reale e liberalismo è scomparsa con la caduta del primo modello, rivelatosi fallimentare e perciò imploso.</div>
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<div style="margin-left:0cm;margin-right:0cm;">II La contrapposizione destra-sinistra è tuttora attuale ed anzi fondamentale, nella forma di una dialettica politica tra chi ritiene che le regole della concorrenza e del mercato siano le più adeguate perché sufficienti ad assicurare il massimo benessere possibile ad ogni comunità politica e chi, invece, pur risconoscendo senza ambiguità la funzione essenziale del mercato e della libera concorrenza, ritiene necessaria la presenza attiva di strumenti di politica economica di natura pubblicistica fondati sulla democrazia politica, non solo per disciplinare il mercato che non può vivere senza regole ma anche: a) per quegli interventi di investimento su beni pubblici ai quali i privati non possono provvedere perché privi di ritorni immediati in termini di profitto (istruzione, sanità, tutela del territorio, difesa, sicurezza, ricerca fondamentale); b) per gli interventi di sostegno alle condizioni di povertà, in primo luogo attraverso un sistema fiscale ispirato alla progressività.</div>
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<div style="margin-left:0cm;margin-right:0cm;">III Quanto alla contrapposizione tra un approccio nazionale e un approccio sovranazionale ai temi di politica economica e di sicurezza che sono sul tappeto di ogni Stato contemporaneo, lo spartiacque passa in realtà all’interno di ciascuno dei due schieramenti, quello della destra e quello della sinistra, come aveva lucidamente previsto già il Manifesto di Ventotene. Infatti all’interno di ciascuno dei due schieramenti ci sono coloro i quali ritengono che spetti al solo Stato nazionale adottare le opportune strategie e coloro i quali riconoscono la necessità di affidare un ruolo ad istituzioni sovranazionali (quali l’Unione europea o l’Onu o il Wto per il commercio internazionale) là dove il livello nazionale si mostri inadeguato.</div>
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<span style="color:#231f20;">'''Marco '''</span><span style="color:#0000ff;">Resta però il fatto di cui abbiamo parlato all’inizio: molti giovani non ritengono importante votare, o addirittura dichiarano che la politica non gli interessa. L’astensionismo così elevato, da parte di cittadini di ogni età, suscita tante domande: come si spiega?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>Per approfondire questo tema ci vorrebbe un altro dialogo, e non basterebbe… Mi limito a brevissimi spunti. L’astensionismo colpisce oggi tutte le democrazie, anche le più antiche e avanzate; negli Stati Uniti si avvicina al 50%. Si possono avanzare diverse spiegazioni. Ne elenco alcune in ordine sparso. Vi è la repulsione per troppe carriere politiche compiute senza alcun rispetto per la correttezza, spesso attraverso pratiche corruttive o canali non limpidi, eppure coronate da successo e gratificate con privilegi oggi ritenuti inammissibili. Vi è il disincanto di molti elettori verso la politica e verso i partiti, che promettono molto prima del voto e poi deludono le attese.
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">È un quadro impressionante.</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>La complessità dei problemi e la loro stretta interconnessione rende impossibili soluzioni semplici di problemi complessi, sicché la delusione nei confronti di chi li presentava come agevolmente risolubili si manifesta nel rigetto della politica tout court. Non vi è trasparenza nei modi in cui le scelte vengono fatte, le discussioni parlamentari sono spesso una palestra di asserzioni drastiche e poco persuasive. La selva delle infinite norme dei regolamenti, spesso tra loro contradittori come lo sono le leggi, esaspera il cittadino. Sia la stampa che la televisione, in modi diversi, enfatizzano della politica solo i lati negativi, gli scandali, le polemiche, le questioni personali, e il cittadino crede che non ci sia altro e che tutti i politici siano eguali; il che è falso. I messaggi diffusi su Internet troppo spesso veicolano insulti volgari e opinioni tanto più perentorie quanto più infondate.
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<div style="color:#231f20;">Ma soprattutto, l’errore di quasi tutti i politici è di puntare sul breve termine, ignorando la prospettiva più ampia del rapporto intergenerazionale, deludendo in particolare proprio i giovani. Infine (ma l’elenco potrebbe continuare) i sondaggi quasi quotidiani distolgono il governo e il parlamento dall’azione di medio periodo, l’unica in grado di portare a risultati validi. È l’atteggiamento che Tommaso Padoa-Schioppa definì nel 2009 con un’espressione divenuta corrente, la politica della “veduta corta”.</div>
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<span style="color:#231f20;">'''Marco '''</span><span style="color:#0000ff;">Ma la politica non è costretta ad agire sul breve termine per ragioni elettorali?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>La politica è certamente indotta a questo. Ma non vi è necessariamente costretta. Perché misure impopolari adottate ad esempio all’inizio di una legislatura possono risultare positive all’opinione pubblica addirittura già prima della fine della stessa legislatura, è accaduto più volte. E perché in alcune circostanze e per alcune scelte un politico di alto profilo (sono rari, questo è vero) può persino rischiare consapevolmente l’impopolarità. Quando Helmut Kohl nel 1990 sostenne la creazione dell’euro sapeva perfettamente quale fosse l’attaccamento dei tedeschi al marco, un attaccamento ben giustificabile in base al loro passato. Ma Kohl, dopo essersi assicurato che il Trattato garantisse la piena autonomia della Banca centrale europea, si batté per la moneta europea, perché – così disse allora – l’unione politica della quale l’euro costituiva un pilastro sarebbe stata per i cittadini europei del ventunesimo secolo “una questione di guerra o di pace”. Sono parole che ancor oggi destano una profonda impressione.
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">A me pare che la veduta corta non sia solo dei politici. La televisione insegue anch’essa l’immediato, pare sempre che debba rincorrere il sensazionalismo, le emozioni forti. E per di più mi sembra tutt’altro che neutra.</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>Sulla deformazione comunicativa dei media e di internet, che abbiamo già evocata, purtroppo non ci sono dubbi. E i rimedi non sono semplici, perché bisogna evitare ogni forma di censura, ma in pari tempo predisporre gli strumenti per smontare le false informazioni: un compito arduo ma essenziale per assicurare un futuro alle democrazie rappresentative.
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">Nulla da fare, allora?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>Alcuni rimedi esistono, ampiamente discussi da chi studia la realtà politica. Si sono introdotte istituzioni distinte da quelle politiche in senso stretto, a partire dalle Corti costituzionali, che hanno poteri sostanzialmente legislativi di peso spesso determinante anche sul piano politico. Opera ormai in molti Paesi un folto gruppo di Agenzie indipendenti e non elettive: per la concorrenza, contro la corruzione, per la borsa, per i media, anch’esse indirettamente politiche. Esistono forme di “democrazia partecipativa”, gruppi di lavoro, commissioni di studio, infiniti convegni che elaborano analisi e strategie spesso lungimiranti, anche se per lo più trascurate da chi ha il potere di decidere. Esistono anche forme di democrazia diretta, a partire dai referendum, viziati però in molti casi da finalità estranee, da domande mal poste, da spinte politiche strumentali. Grave è soprattutto l’insufficiente formazione del cittadino, che costituirebbe il vero rimedio efficace. E questo ci conduce al tema della scuola.
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Marco <span style="color:#0000ff;">La politica viene sempre più associata a corruzione, carrierismo, interessi individualisti. I pochi ragazzi che conosco impegnati in politica mi hanno lasciato intendere più volte di ambire anzitutto al successo personale. Altri mi dicono: ”sentiamo più politico, e quindi più incisivo, occuparci del mondo dei social che del Parlamento, percepiamo più vicino a noi un gruppo facebook che la Camera dei deputati”.</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>Ma è davvero così diffuso tra i giovani questo disinteresse?
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">Per rendere meglio l’idea mi permetta di farle un esempio di un episodio che mi è accaduto di recente: io abito al Lido, una piccola isola di Venezia, resa nota dal celebre Festival del cinema. Il Lido è un piccolo gioiello per Venezia non solo per il Festival, ma anche per importanti luoghi storici che vi si possono trovare. Di recente è stata organizzata una manifestazione cittadina in difesa di uno di questi luoghi, lasciato in stato di abbandono e degrado. Mi ha colpito molto vedere quanto senso civico animasse tutti gli anziani dell’isola e come alla manifestazione mancasse totalmente la presenza giovanile. Proposi a una mia compagna di corso fuori sede di andare, ma mi rispose che non abitando al Lido non sentiva sua la causa. Provocatoriamente le chiesi di quale città si sentisse cittadina attiva, ma non seppe rispondermi.</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>L’episodio è davvero significativo. Si capisce quanto sia fondamentale ricevere a scuola una formazione civile, una educazione civica; e questo sin dai primi anni, addirittura sin dall’asilo. L’educazione civica è fondamentale. Gli ideali e la visione del mondo che un individuo porta poi con sé nella vita quasi sempre nascono negli anni giovanili, nell’adolescenza.
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">Lei pensa che lo spazio per farsi ascoltare ci sia, presso i giovani?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>Ci sono comunicatori che questo lo sanno fare: ad esempio giornalisti come Rumiz, cantanti e attori come Bono degli U2 e Benigni. Loro hanno detto e scritto<span style="color:#231f20;">, non a caso proprio in queste settimane, </span>che quando parlano di Europa, i giovani si entusiasmano. E la mia esperienza di molti anni, anzi di decenni, va nello stesso senso: oggi trovo più facile far capire l’importanza dell’ideale europeo di quanto non fosse dieci o quindici anni fa; e non solo presso i giovani. Forse perché gli avversari dell’Unione europea sono diventati tanti e fanno ricorso a toni perentori. E poi c’è un dato importantissimo; i sondaggi recenti confermano che anche in Italia il 60% dei giovani crede nell’Europa; e persino in Gran Bretagna i giovani avevano in maggioranza votato sì all’Europa.
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">A scuola e all’università di Europa si parla poco, sono rari i professori che affrontano i temi di cui abbiamo parlato. Perché, secondo Lei?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>In parte dipende dai programmi, che all’educazione civica dedicano uno spazio insufficiente. Questo è molto grave. La scuola è istruzione ma è (dovrebbe essere..) anche e forse soprattutto educazione: educazione al vivere civile, educazione alla conoscenza dei principi di fondo della Costituzione. Più in generale, compito della scuola è l’educazione al culto (uso non a caso questo termine impegnativo) del vero del buono e del bello. L’impegno all’educazione civica non deve valere solo nei confronti di chi viene in Italia da fuori e nulla sa della nostra storia, ma anche per ogni giovane che deve sentirsi cittadino del proprio Paese ed insieme anche cittadino europeo e cittadino del mondo, come abbiamo detto prima.
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<span style="color:#231f20;">Forse almeno in parte la scarsa propensione degli insegnanti a parlare di questi temi è dovuta al timore di sembrare politicamente schierati e di essere tacciati di parzialità nei confronti di giovani ignari. Il timore è comprensibile ed anche condivisibile. Ma da un lato è vero che l’atteggiamento di fondo di un docente quasi sempre il giovane lo percepisce anche senza dichiarazioni esplicite; dall’altro lato va detto che non si tratta di fare propaganda politica in senso stretto, questo assolutamente no, bensì di aiutare i giovani a ragionare sui fatti della storia di oggi, sul modo in cui questi possono venir comunicati e spesso anche profondamente deformati dal circuito mediatico e dalla stampa. Occorre fornire gli strumenti che permettano di valutare sia ciò che l’Unione europea già ora rappresenta nella realtà, sia ciò che essa può in prospettiva significare per il mondo di domani: nelle ambizioni, nelle scelte, nella cultura, nel contesto di un mondo globalizzato. È giusto e necessario ragionare su questi temi anche a scuola.</span>
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== {{anchor|RefHeadingToc532647266}} Conclusione ==
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<span style="color:#231f20;">'''Marco '''</span><span style="color:#0000ff;">Credo di avere elementi per rispondere a chi dei miei amici mi dice “la politica non mi interessa”; a chi mi aveva detto “non voterò all’elezione europea del 2019”; e a chi</span>
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<div style="color:#0000ff;">mi ha dichiarato che andrà a votare “contro l’Europa”. Mi permetta di chiederLe un’ultima cosa: come condensare in poche parole il perché di un necessario impegno di ognuno, in particolare di ogni giovane, per la politica e per l’Europa?</div>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span><span style="color:#231f20;">Ognuno di noi deve sentirsi non solo quale individuo che cerca di realizzare al meglio il proprio percorso di vita e di lavoro, ma anche quale cittadino del suo Paese, dell’Europa e del mondo, cioè “cosmopolita”, benché la stragrande maggioranza di noi e di voi non abbia scelto né sceglierà di fare della politica la sua professione. L’Europa ha in sé elementi di cultura e di progettualità per un futuro di pace e di benessere che potranno risultare determinanti anche a livello globale, ma solo se ci sarà un’unione politica federale entro il nostro Continente. Mai prima d’ora si era tentato di dar vita pacificamente ad un’unione di Stati-nazione che per secoli si erano combattuti, pur facendo parte di una medesima civiltà. Il punto d’arrivo è ormai prossimo. Persino l’ideale supremo di un’unione politica del genere umano sotto il segno della libertà e della democrazia non è più solo un sogno remoto, che si dissolve al risveglio. Ci sono segnali di un processo costruttivo ormai avviato. L’Europa può essere determinante nel tentare di trasformare l’utopia in realtà concreta.</span>
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'''Marco '''<span style="color:#0000ff;">Dunque, un’utopia realizzabile?</span>
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<span style="color:#231f20;">'''Aps '''</span>Fallire, come è accaduto per tante civiltà anche gloriose del passato, o invece arrivarci, completare la cattedrale – non dimentichiamolo, la cattedrale è già una realtà – questo dipenderà in gran parte da voi giovani, dalla vostra generazione. Per riuscire ci vorrà non solo la pressione degli interessi pro-europei, non solo la forza della ragione, ma la passione di chi crede che un futuro di pace e di benessere per tutti, in Europa e nel mondo, siano ideali raggiungibili, nei quali e per i quali vale la pena di credere e di lavorare.
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= {{anchor|RefHeadingToc532647267}} Nota bibliografica =
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''Per chi volesse approfondire alcuni dei temi dei quali si tratta nel Dialogo, indichiamo qui alcuni volumi scelti tra moltissimi altri, privilegiando i testi in lingua italiana.''
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====== Classici dei Federalismo ======
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Dante Alighieri, ''Monarchia'' (1311), Spoleto 2010
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Immanuel Kant, ''Idea di una storia universale dal punto di vista cosmopolitico'' (1784); Id., ''Per la pace perpetua'' (1795), in Id., ''Scrittti di filosofia politica'', Firenze 1969
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Alexander Hamilton, James Madison, John Jay, ''Il Federalista'' (1778), Bologna 1997
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Altiero Spinelli, Ernesto Rossi, Eugenio Colorni, ''Il Manifesto di Ventotene'', Milano 2006
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Altiero Spinelli, ''Una strategia per gli Stati Uniti d’Europa'', a cura di Sergio Pistone, Bologna 1989
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Mario Albertini, ''Il federalismo'', Bologna 1993
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====== Autobiografie ======
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Jacques Delors, ''Mémoires'', Paris 2004
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Jean Monnet, ''Mémoires'', Paris 1976
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Altiero Spinelli, ''Come ho tentato di diventare saggio'', I-II, Bologna 1984-1987
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====== Trattato di Lisbona (2009), testi, commentari, sintesi ======
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Bengt Beutler e al., ''L’Unione europea'', Bologna 1998
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''Codice dell’Unione europea, […] Tue e Tfue commentati articolo per articolo'', a cura di Carlo Curti Gialdino, Napoli 2012
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Paul Craig, Gráinne de Búrca, ''European Law, Text, Cases and Materials'', Oxford 2011<sup>5</sup>
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 +
Lorenzo Cuocolo (a cura di), ''The state of Europeans'', Milano 2018
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Robert Schūtze, ''European Union Law'', Cambridge 2015
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====== Storia dell’Unione europea ======
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 +
Antonio Padoa-Schioppa, Verso la federazione europea? Tappe svolte di un lungo cammino, Bologna 2014
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Riccardo Perissich, L’Unione europea, Una storia non ufficiale, Milano 2008
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====== Storia del diritto in Europa ======
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 +
Antonio Padoa-Schioppa, Storia del diritto in Europa dal medioevo all’età contemporanea, Bologna 2016<sup>2</sup>
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====== Economia e moneta dell’Unione europea ======
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Lorenzo Bini Smaghi, ''33 false verità sull’Europa''. Bologna 2014
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Paul De Grauwe, ''Economia dell’Unione monetaria'', Bologna 2016<sup>10</sup>
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 +
Guido Montani, ''L’economia politica dell’integrazione europea'', Torino 2008
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Tommaso Padoa-Schioppa, ''L’euro e la sua Banca centrale'', ''L’Unione dopo l’Unione'', Bologna 2004
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Joseph Stiglitz, ''L’euro, Come una moneta comune minaccia il futuro dell’Europa'', Torino 2016
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==== Riforme per l’Unione europea ====
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 +
Sergio Fabbrini, ''Sdoppiamento, una prospettiva nuova per l’Europa'', Roma Bari 2017
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''Institutional reforms in the European Union'', Memorandum for the Convention, Roma 2002
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 +
Ulrike Guérot, ''Warum Europa eine Republik werfen muss, Eine politische Utopie'', München 2017.
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 +
Alberto Majocchi, European Budget and sustainable Growth, The Role of a Carbon Tax, Peter Lang 2018 (in stampa)
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 +
Domenico Moro, Verso la difesa europea, Bologna 2018
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Dario Velo, Quale Europa? Il modello europeo nella storia contemporanea, Bari 2018
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 +
====== Valutazioni sull’Unione europea ======
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 +
Carlo Bastasin, Saving Europe, Anatomy of a Dream, Washington 2012
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 +
Lorenzo Bini Smaghi, La tentazione di andarsene, fuori dall’Europa c’è un futuro per l’Italia?, Bologna 2017
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 +
Alessandro Cavalli, Alberto Martinelli, La società europea, Bologna 2015
 +
 
 +
Europa sfida per l’Italia, a cura di M. Dassù, S. Micossi, R. Perissich, Luiss Univ. Press 2017
 +
 
 +
L’Europe en formation, “Revue d’Etudes sur la construction européenne”, (54), 2013
 +
 
 +
Joshka Fischer, Se l’Europa fallisce?, Milano 2015
 +
 
 +
Alberto Martinelli, Mal di nazione, Contro la deriva populista, Milano 2016
 +
 
 +
Jeremy Rifkin, Il sogno europeo, Milano 2004
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 +
Barbara Spinelli, La sovranità assente, Torino 2014
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Giacomo Vaciago, Un’anima per l’Europa, Bologna 2014
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 +
====== L’Europa e il mondo ======
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 +
Ulrich Beck, ''La crisi dell’Europa'', Bologna 2012
 +
 
 +
Ulrich Beck e Edgar Grande, ''L’Europa cosmopolita'', Roma 2006
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 +
Sabino Cassese, ''Chi governa il mondo? ''Bologna 2013
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Id., ''Territorio e potere, Un nuovo ruolo per gli Stati? ''Bologna 2016
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 +
Anthony Giddens, ''L’Europa nell’età globale'', Roma-Bari 2007
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 +
Jürgen Habermas, ''Questa Europa è in crisi'', Roma-Bari 2011
 +
 
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Mark Leonhard, ''Why Europa will run the 21st Century'', London and New York 2005
 +
 
 +
Lucio Levi, ''Crisi dello Stato e governo del mondo'', Torino 2005
 +
 
 +
''The Next Capitalistic Revolution,'' “The Economist, November 17, 2018, Special report
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 +
Tommaso Padoa-Schioppa, ''Dodici settembre, Il mondo non è al punto zer''o, Milano 2002
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 +
Id., ''La veduta corta'', conversazione con Beda Romano, Bologna 2009
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 +
Tzvetan Todorov, ''Il nuovo disordine mondiale, Riflessioni di un cittadino europeo'', Milano 2003
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Luigi Zanzi, ''Il federalismo e la critica della ragion politica'', Manduria-Bari-Roma 2014
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= {{anchor|RefHeadingToc532647268}} Siti Web sull’Unione europea =
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<div style="color:#000000;">''Un breve elenco di siti che trattano dell’Unione europea (alcuni dei quali già inseriti nel testo del Dialogo)''</div>
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==== Sito ufficiale dell’Unione europea. ====
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Il portale è disponibile in tutte le lingue dell’Unione (qui di séguito quello in lingua italiana), ma molti tra i documenti sono solo in inglese, peraltro accessibili anche partendo dal portale italino:
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[https://europa.eu/european-union/index_it https://europa.eu/european-union/index_it]
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Tra i maggiori comparti interni del sito figurano quelli intitolati rispettivamente a:
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- Informazioni essenziali sull’UE;
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- Diritto dell’Unione europea (trattati, legislazione, giurisprudenza);
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- Documento e pubblicazioni (Documenti ufficiali, statistiche, open data)
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==== Bilancio UE 2017 ====
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[http://ec.europa.eu/budget/annual/index_en.cfm?year=2017 http://ec.europa.eu/budget/annual/index_en.cfm?year=2017]
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 +
==== Bilancio UE Spese ed entrate 2014-2020 ====
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[http://ec.europa.eu/budget/figures/interactive/index_en.cfm http://ec.europa.eu/budget/figures/interactive/index_en.cfm]
 +
 
 +
[https://ec.europa.eu/commission/sites/beta-political/files/where-does-the-money-go_en.pdf https://ec.europa.eu/commission/sites/beta-political/files/where-does-the-money-go_en.pdf]
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 +
==== Piano pluriennale UE 2021-2017, Risoluzione del Parlamento europeo, 14 marzo 2018 ====
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[http://www.europarl.europa.eu/sides/getDoc.do?pubRef=-//EP//TEXT+TA+P8-TA-2018-0075+0+DOC+XML+V0//IT http://www.europarl.europa.eu/sides/getDoc.do?pubRef=-//EP//TEXT+TA+P8-TA-2018-0075+0+DOC+XML+V0//IT]
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==== Piano pluriennale UE 2021-2027, Proposta della Commissione ====
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<span style="background-color:#ffffff;">European Commission 2 may 2018 - European Budget for the Future</span>
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[http://europa.eu/rapid/press-release_IP-18-3570_it.htm http://europa.eu/rapid/press-release_IP-18-3570_it.htm]
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===== Parlamento europeo  =====
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==== Progetto di riforma dei trattati, 15 febbraio 2017  ====
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[http://www.europarl.europa.eu/sides/getDoc.do?pubRef=-//EP//TEXT+TA+P8-TA-2017-0049+0+DOC+XML+V0//EN http://www.europarl.europa.eu/sides/getDoc.do?pubRef=-//EP//TEXT+TA+P8-TA-2017-0049+0+DOC+XML+V0//EN]
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==== Fiscal Compact ====
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[https://www.ilpost.it/2014/04/17/fiscal-compact/ https://www.ilpost.it/2014/04/17/fiscal-compact/]
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==== Fondo Salvastati (ESM) ====
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[http://www.european-council.europa.eu/eurozone-governance/esm-treaty-signature?lang=it http://www.european-council.europa.eu/eurozone-governance/esm-treaty-signature?lang=it]
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 +
==== Prodotto interno lordo per abitante, Dati ONU ====
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[http://data.un.org/Data.aspx?d=SNAAMA&f=grID%3A103%3BcurrID%3AUSD%3BpcFlag%3A1 http://data.un.org/Data.aspx?d=SNAAMA&f=grID%3A103%3BcurrID%3AUSD%3BpcFlag%3A1]
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==== Redditi pro capite in Italia dall’Unità a oggi ====
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[http://www.reforming.it/articoli/pil-capite-dall-unita-oggi http://www.reforming.it/articoli/pil-capite-dall-unita-oggi]
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[http://www.reforming.it/articoli/pil-capite-dall-unita-oggi#.W7zXbRMzZPM http://www.reforming.it/articoli/pil-capite-dall-unita-oggi#.W7zXbRMzZPM]
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===== Fondi europei e strategie =====
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==== Libro Bianco sul futuro dell’Europa (2017): Commissione europea ====
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[https://ec.europa.eu/commission/future-europe/white-paper-future-europe-and-way-forward_it https://ec.europa.eu/commission/future-europe/white-paper-future-europe-and-way-forward_it]
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==== Fondo europeo per gli investimenti (Feis) ====
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[https://ec.europa.eu/commission/priorities/jobs-growth-and-investment/investment-plan-europe-juncker-plan/european-fund-strategic-investments-efsi_it https://ec.europa.eu/commission/priorities/jobs-growth-and-investment/investment-plan-europe-juncker-plan/european-fund-strategic-investments-efsi_it]
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==== Fondi europei per le imprese (2018) ====
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[https://www.ilsole24ore.com/art/impresa-e-territori/2018-10-29/da-giovedi-guida-sole-24-ore-programmi-gestione-diretta-e-pon-e-por-202545.shtml?uuid=AEOhElXG&fromSearch https://www.ilsole24ore.com/art/impresa-e-territori/2018-10-29/da-giovedi-guida-sole-24-ore-programmi-gestione-diretta-e-pon-e-por-202545.shtml?uuid=AEOhElXG&fromSearch]
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==== Strategia Europa 2020 ====
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[https://maurovarottoblog.com/2014/03/24/europa-2020 https://maurovarottoblog.com/2014/03/24/europa-2020]
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==== Fondi europei 2021-2017, Politiche di coesione ====
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[https://www.ilsole24ore.com/ebook/impresa-e-territori/2018/fondi-europei-ue-2021-2027/index.shtml https://www.ilsole24ore.com/ebook/impresa-e-territori/2018/fondi-europei-ue-2021-2027/index.shtml]
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==== Bandi 2019 per la digitalizzazione ====
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[https://www.ilsole24ore.com/fcsvc?cmd=checkcredit&chId=30&docPath=%252 https://www.ilsole24ore.com/fcsvc?cmd=checkcredit&chId=30&docPath=%252]
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==== Piano Juncker per l’Italia ====
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[https://ec.europa.eu/commission/priorities/jobs-growth-and-investment/investment-plan-europe-juncker-plan/investment-plan-results/investment-plan-italy_en https://ec.europa.eu/commission/priorities/jobs-growth-and-investment/investment-plan-europe-juncker-plan/investment-plan-results/investment-plan-italy_en]
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==== Metodo di coordinamento aperto ====
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[https://ec.europa.eu/culture/policy/strategic-framework/european-coop_it https://ec.europa.eu/culture/policy/strategic-framework/european-coop_it]
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==== Pilastro europeo dei diritti sociali - Scheda informativa ====
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[https://ec.europa.eu/commission/sites/beta-political/files/european_pillar_of_social_rights.pdf https://ec.europa.eu/commission/sites/beta-political/files/european_pillar_of_social_rights.pdf]
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==== Pilastro europeo dei diritti sociali - Sito web ====
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[https://ec.europa.eu/commission/priorities/deeper-and-fairer-economic-and-monetary-union/european-pillar-social-rights_en https://ec.europa.eu/commission/priorities/deeper-and-fairer-economic-and-monetary-union/european-pillar-social-rights_en]
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==== Carta dei diritti, Riforme (Parlamento europeo) ====
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[http://barbara-spinelli.it/author/redazione/ http://barbara-spinelli.it/author/redazione/]<span style="background-color:#ffffff;color:#0e7744;"> </span><span style="background-color:#ffffff;">dicembre 2018</span>
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===== Migranti =====
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==== Migranti, Dossier statistico ====
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[http://www.dossierimmigrazione.it/pagina.php?cid=1_9 http://www.dossierimmigrazione.it/pagina.php?cid=1_9]
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==== Migranti, Piano di ricollocamento 2015, Commissione e Consiglio ====
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[https://ec.europa.eu/home-affairs/sites/homeaffairs/files/what-we-do/policies/european-agenda-migration/background-information/docs/20160713/factsheet_relocation_and_resettlement_-_state_of_play_it.pdf https://ec.europa.eu/home-affairs/sites/homeaffairs/files/what-we-do/policies/european-agenda-migration/background-information/docs/20160713/factsheet_relocation_and_resettlement_-_state_of_play_it.pdf]
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==== Migranti, Proposte della Commissione le ricollocazione 2016-2018 ====
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[https://ec.europa.eu/home-affairs/what-we-do/policies/european-agenda-migration/proposal-implementation-package_en https://ec.europa.eu/home-affairs/what-we-do/policies/european-agenda-migration/proposal-implementation-package_en]
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[https://ec.europa.eu/commission/news/eu-budget-future-2018-may-02_en https://ec.europa.eu/commission/news/eu-budget-future-2018-may-02_en]
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==== Migranti, Centri di accoglienza in Italia ====
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[http://www.dirittierisposte.it/Schede/Persone/Immigrazione-e-cittadinanza/immigrazione_clandestina_e_centri_per_l_immigrazione_id1119968_art.aspx#Cosa%20sono%2Migranti0i%20Centri%20di%20accoglienza%20e%20dove%20si%20trovano http://www.dirittierisposte.it/Schede/Persone/Immigrazione-e-cittadinanza/immigrazione_clandestina_e_centri_per_l_immigrazione_id1119968_art.aspx#Cosa%20sono%2Migranti0i%20Centri%20di%20accoglienza%20e%20dove%20si%20trovano]
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==== Stranieri in Italia ====
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[https://www.tuttitalia.it/statistiche/cittadini-stranieri-2018/ https://www.tuttitalia.it/statistiche/cittadini-stranieri-2018/]
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[https://www.lenius.it/quanti-sono-gli-immigrati-in-italia-e-in-europa/ https://www.lenius.it/quanti-sono-gli-immigrati-in-italia-e-in-europa/]
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==== Centri di formazione per migranti in Italia ====
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[http://www.ilgiornale.it/news/politica/migranti-e-centri-formazione-nuovo-business-100-milioni-1513647.html http://www.ilgiornale.it/news/politica/migranti-e-centri-formazione-nuovo-business-100-milioni-1513647.html]
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==== Centri di formazione per migranti in Europa ====
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[http://bancadati.anpalservizi.it/bdds/download?fileName=C_21_Strumento_2426_documenti_itemName_0_documento.pdf&uid=f41483c0-668e-4c03-b5f0-2fdab94f4670 http://bancadati.anpalservizi.it/bdds/download?fileName=C_21_Strumento_2426_documenti_itemName_0_documento.pdf&uid=f41483c0-668e-4c03-b5f0-2fdab94f4670]
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==== Freud Einstein 1932 ====
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[http://www.public.asu.edu/~jmlynch/273/documents/FreudEinstein.pdf http://www.public.asu.edu/~jmlynch/273/documents/FreudEinstein.pdf]
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===== Alcuni siti sull’Europa =====
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==== Movimento federalista europeo ====
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[http://www.mfe.it/site/ http://www.mfe.it/site/]
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==== Euractive ====
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[https://www.euractiv.com/ https://www.euractiv.com/]
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==== Europa in movimento ====
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[http://www.europainmovimento.eu/ http://www.europainmovimento.eu/]
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==== Cosa si fa in Europa per me ====
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[https://www.what-europe-does-for-me.eu/it/portal https://www.what-europe-does-for-me.eu/it/portal]
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 +
==== Centro Studi sul Federalismo, Torino ====
 +
 
 +
[http://www.csfederalismo.it/ http://www.csfederalismo.it/]
 +
 
 +
==== Institut Jacques Delors, Paris  ====
 +
 
 +
[http://institutdelors.eu/ http://institutdelors.eu/]
 +
 
 +
==== Elezioni europee 2019 ====
 +
 
 +
[https://www.stavoltavoto.eu/ https://www.stavoltavoto.eu/]
 +
 
 +
==== Inno all’Europa, Norimberga 2014 ====
 +
 
 +
[https://www.youtube.com/watch?v=a23945btJYw https://www.youtube.com/watch?v=a23945btJYw]
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<references/>

Versione delle 15:32, 15 dic 2018

[[Image:|top]]


Antonio Padoa-Schioppa
Perché l’Europa
Dialogo con un giovane elettore
Ledizioni
© 2018 Ledizioni LediPublishing

Via Alamanni, 11 – 20141 Milano – Italy www.ledizioni.it

info@ledizioni.it

Antonio Padoa-Schioppa, Perché l’Europa. Dialogo con un giovane elettore.

Prima edizione: dicembre 2018
ISBN cartaceo 9788867058624
ISBN eBook 9788867058631
Copertina e progetto grafico: ufficio grafico Ledizioni

Informazioni sul catalogo e sulle ristampe dell’editore: www.ledizioni.it


Indice

Prefazione5

I. Rischi e opportunità7

Per cominciare7

Alcune obiezioni ricorrenti9

No all’Europa, all’euro, ai migranti? Sì alla Nazione?10

Cosa ci ha dato l’Unione13

Rischi per l’Italia, rischi per l’Europa15

Il Parlamento europeo, 2019 scadenza decisiva22

II. La grande crisi europea25

Crisi economica ed Europa25

Crisi migratorie ed Europa30

Difesa e sicurezza34

III. Strutture, politiche, storia dell’Unione37

Istituzioni, leggi, decisioni, pareri e procedure dell’Unione37

Le politiche dell’Unione44

Breve storia dell’Unione, 1948-201749

IV. Prospettive dell’Unione55

Un’Europa a cerchi concentrici?55

Livello delle sfide e livelli di governo57

La cattedrale incompiuta60

V. Luci ed ombre d’Europa63

Carta dei diritti, sovranità, democrazia, sussidiarietà63

Nazioni, Regioni, Europa: identità plurime e identità europea65

Il pluralismo religioso ed etnico68

Tesori della civiltà europea69

Responsabilità, errori ed orrori della storia d’Europa71

Caratteri originali della civiltà europea74

VI. Il mondo di domani76

Europa federale: un progetto planetario76

La politica, i giovani, la scuola80

Conclusione85

Nota bibliografica86

Siti Web sull’Unione europea88


Indice

Template:Anchor Prefazione[modifica]

I dibattiti televisivi, la stampa, i messaggi trasmessi via Internet offrono un’immagine quasi sempre deformata di cosa sia e di cosa possa rappresentare oggi l’Unione europea. I tanti volumi, spesso assai pregevoli e informati, che escono ogni anno sull’Europa si rivolgono a un pubblico di lettori qualificato ma abbastanza ristretto. Nel complesso non sono frequenti, non solo in Italia, i testi destinati a lettori non specialisti e soprattutto a giovani, dai quali emergano con sufficiente chiarezza i profili di quella che può ormai considerarsi una grandiosa cattedrale, anche se tuttora in costruzione e perciò a rischio. È questa la ragione che ha indotto l’autore di questo Dialogo a cimentarsi nel tentativo di rappresentare i multiformi aspetti del progetto di integrazione europea in una forma diversa da quella di un saggio, attraverso un fitto scambio di domande e risposte con un giovane elettore che per la prima volta andrà a votare nel 2019 per il Parlamento europeo. Il peso determinante che questa elezione avrà per il futuro dell’Unione è ormai chiaro a tutti.

Queste pagine sono concepite come un libro da leggere – di seguito o per singoli capitoli – non come un testo di consultazione. Può stimolare approfondimenti didattici. La selettiva bibliografia e il rinvio ad alcuni Siti web possono essere utili a chi desideri approfondire le proprie conoscenze sulla vastissima tematica interdisciplinare del progetto europeo, che include l’economia, il diritto, la scienza politica e la storia. L’interconnessione tra i molteplici versanti dell’Unione europea ha imposto di richiamare in più punti l’attenzione sui medesimi nodi economici e istituzionali. Aggiungo che il maggiore spazio dedicato ad alcuni argomenti a scapito di altri – ciascuno dei quali sarebbe meritevole di approfondimenti – si deve all’intento di fornire risposte, naturalmente opinabili, a temi di particolare attualità, oggetto di vivaci polemiche, spesso non fondate sui fatti.

I problemi e le sfide attuali, che trovano nell’Italia di oggi un focolaio pericoloso; i grandi traguardi raggiunti dall’Unione europea; le strutture che li hanno resi possibili; i passi ancora da compiere; i rischi e le prospettive più ampie, che trascendono l’Europa: questi i versanti considerati. La consapevolezza di quanto l’Europa ha costruito in tre quarti di secolo, di quanto ancora manchi al completamento del grande progetto di unione e di quanto concreti siano oggi i rischi di involuzione, questi tre elementi ritengo debbano essere compresenti in ogni tentativo di sintesi.
Il Dialogo è nato da un disegno che chi scrive aveva concepito da tempo. Di Europa ho parlato e discusso da molti anni con giovani e meno giovani, con studenti e colleghi, oltre che con amiche e amici ai quali tutti sono grato. Del dialogo ho discusso con Marco Aliano, oggi studente di filosofia a Venezia (di qui il nome dell’interlocutore dell’anziano Aps, che sarei io), il quale ha cooperato con domande e con osservazioni sue proprie. Marco Bosonato, Marco Buti, Franco Bruni, Massimo Condinanzi, Massimo Gaudina, Alfondo Iozzo, Lucio Levi, Antonio Longo, Alberto Majocchi, Guido Montani, Domenico Moro, Stefano Micossi, Roberto Palea, Riccardo Perissich, Michele Salvati, Doris Valenti hanno gentilmente letto alcune parti del Dialogo, fornendo utili suggerimenti e rilievi. Un grazie particolare lo devo ad Anna Tempia, sin dall’inizio sostenitrice del progetto e attenta lettrice critica di queste pagine. Delle manchevolezze e degli errori residui è responsabile solo l’autore.

Ho inserito nel dialogo molti spunti, molti giudizi naturalmente opinabili, ma pur meritevoli di discussione maturati nel corso degli anni riflettendo sulla storia d’Europa, sul percorso della sua integrazione e sui nodi politici e istituzionali dell’Unione nella prospettiva del federalismo. Ognuno di essi meriterebbe approfondimenti e sviluppi che lo spazio qui disponibile non consentiva, ai quali almeno in parte rinvia la Nota bibliografica. Il testo viene presentato anche in forma di e-book. Troverà inoltre spazio nei siti che vorranno includerlo nei loro links ed in particolare in un sito internet (http://www.euwiki. it/) al quale sta lavorando Andrea Guadagni, che ringrazio sentitamente per il suo fondamentale apporto al progetto.

Un’ulteriore avvertenza è necessaria. Il momento (novembre 2018) nel quale il volume viene licenziato per la stampa coincide in Italia con una fase di discontinuità politica molto accentuata. Non è ancora chiaro se e in quale misura gli impegni economici e di bilancio pattuiti dal nostro Paese con l’Unione europea verranno rispettati; o se saranno invece trasgrediti, con conseguenze che potrebbero essere molto gravi non solo per l’Italia. Il testo riflette la situazione di oggi, che potrebbe essere diversa da quella di domani. Ho ritenuto che non fosse ammissibile, discutendo di Europa, tacere i rischi ai quali oggi si espone il nostro Paese. Con la viva speranza che tra qualche mese questi timori risultino ormai scongiurati. Fondamentale sarà l’elezione del Parlamento europeo del maggio 2019, che ha fornito l’occasione per la genesi del Dialogo.

Ringrazio vivamente l’editore Nicola Cavalli di Ledizioni, il quale ha condiviso il disegno che sta all’origine questo Dialogo e lo ha assecondato con liberalità e lungimiranza, in una fase tanto difficile della storia di quella grande cattedrale incompiuta che oggi rappresenta l’Unione europea.

Antonio Padoa-Schioppa

Milano, 19 novembre 2018


Template:Anchor I. Rischi e opportunità[modifica]

[[Image:|top]]

Template:Anchor Per cominciare[modifica]

Marco Se noi giovani capissimo che il nostro futuro e quello del nostro Paese dipendono davvero dalle scelte che verranno fatte sull’Europa, la tentazione di non andare a votare nel maggio 2019, che ho raccolto da più parti, sarebbe molto minore. Saremmo più motivati a recarci al seggio elettorale e a votare sulla base di scelte ragionate.

Aps Le ragioni per le quali non solo tanti giovani, ma tanti elettori non più giovani oggi non vanno a votare sono molte. Forse più di tutto pesa una sfiducia generale verso la politica, verso l’intera classe politica, giudicata non solo distante e non di rado corrotta, ma soprattutto incapace di risolvere in modo adeguato i problemi che il cittadino affronta ogni giorno con il fisco, con le amministrazioni pubbliche di ogni livello nonché, specie per i giovani, quando si cerca un lavoro e si viene respinti.

Di queste difficoltà, di questa vera e propria crisi del sistema democratico spero che parleremo più avanti, a conclusione del nostro colloquio. Ora io vorrei invece cercare di spiegare perché è importante andare a votare per le elezioni europee.

Marco E allora mi piacerebbe cominciare col chiederLe un brevissimo giudizio di sintesi sulle ragioni per le quali vale la pena non solo di andare a votare ma di votare per l‘Europa e non contro l’Europa: perché si dovrebbe puntare sull’Unione europea per affrontare il futuro di questa e delle prossime generazioni?

Aps Ci provo. La ragione fondamentale può forse essere espressa così. La qualità della vita di ognuno di noi dipende da tutta una serie di fattori: salute, famiglia d’origine e di scelta, risposta ai bisogni primari a partire da alimentazione e casa d’abitazione; e gli affetti, le amicizie, la qualità e sicurezza del lavoro, la vita di relazione, gli svaghi ed altro ancora. Alcuni di questi beni dipendono da noi, dalle nostre scelte individuali e dal nostro comportamento, altri li troviamo già determinati alla nascita (positivi o negativi che siano) e non possiamo cambiarli, altri ancora sono il risultato della fortuna o della sfortuna, mentre ci sono beni e obbiettivi che possono essere più o meno soddisfacenti a seconda della qualità e dell’efficacia delle istituzioni sociali, economiche e politiche.

Quest’ultimo è il terreno in cui interviene l’organizzazione della vita collettiva, dunque la politica. Ebbene, si può mostrare con chiarezza che per raggiungere un assetto soddisfacente in alcuni campi fondamentali della nostra vita individuale e collettiva lo Stato nazionale non è in grado di provvedere in modo adeguato. Quale che sia la qualità delle sue politiche e dei suoi politici.

Marco Quali sarebbero questi campi fondamentali?

Aps Elenco i più importanti: la pace entro l’Europa; la difesa dai rischi delle guerre nei confronti degli Stati esterni all’Europa; un regolamento razionale delle migrazioni dai Paesi vicini e soprattutto dall’Africa; l’occupazione anzitutto giovanile; una crescita economica sostenibile (cioè, non distruttiva del pianeta); la tutela dei livelli occupazionali in un mondo ormai globalizzato; lo sviluppo e la disponibilità di fonti energetiche rinnovabili che non minaccino il clima; il governo del nuovo mondo digitale. Solo l’Europa unita può essere in grado, già oggi e ancor più domani, di assicurare ai cittadini dei nostri Paesi il raggiungimento stabile di questi obbiettivi e dei diritti che sono essenziali per il benessere e per la sicurezza individuale e collettiva.

Marco Perché Lei dice “solo l’Europa”?

Aps Lo vedremo meglio, ma anticipo questo dato. Nel mondo di domani molte grandi scelte saranno compiute da un piccolo numero di grandi Stati, dagli Usa alla Cina, all’India al Brasile alla Russia. Nessuno Stato europeo sarà tra questi, perché sono tutti troppo piccoli. Già oggi la percentuale della popolazione europea a livello mondiale è di meno del 7%, meno di 500 milioni su 7 miliardi di uomini e donne, quanti ne conta il pianeta. Tra pochi decenni la quota degli europei scenderà al 4%. Ma oggi l’euro è la seconda moneta mondiale. Il mercato europeo è al primo posto nel mondo. E la qualità della vita e del modello sociale europei sono al vertice. Su queste basi l’Europa potrà svolgere un grande ruolo nel futuro. Ma solo se politicamente unita.

Marco L’elenco dei settori in cui l’Europa dovrebbe agire unitariamente è senz’altro impressionante. Ma le cose stanno davvero così? Ciascuno di questi obbiettivi è davvero raggiungibile solo con l’Europa unita? E se fosse, allora i nostri Stati nazionali, compresa l’Italia, perderebbero ogni funzione?

Aps È proprio così; si può dimostrarlo punto per punto, come spero di fare. Ma sia chiaro, gli Stati nazionali non scomparirebbero affatto con l’unione politica dell’Europa: molte funzioni importanti resterebbero di loro competenza, ed è giusto che sia così. L’identità storica e attuale di ogni nazione e di ogni regione non verrebbe meno, guai se così fosse. Al livello europeo vanno affrontate solo le sfide alle quali la dimensione nazionale non è in grado di rispondere. È qui il principio di base di un’unione federale.

Marco Noi giovani apparteniamo – per carattere oltre che per appartenenze famigliari, sociali e culturali – a tanti mondi distinti, ci formiamo e diventiamo adulti in condizioni di vita e con ideali anche molto distanti tra loro. Lei a chi intende rivolgersi nel corso del nostro dialogo?

Aps Ha ragione nel chiedermi questo. Pensandoci, direi che la mia aspirazione sarebbe di parlare a più categorie di giovani, molto diverse per il loro approccio alla politica e all’Europa. Ci sono giovani come Lei, Marco i quali sono in linea di principio favorevoli all’Europa (i sondaggi e le statistiche dicono che in Europa e anche in Italia siete in maggioranza!) ma vorrebbero capire meglio cosa sia davvero l’Unione, come sia organizzata, come operi e come sia possibile rispondere alle critiche ampiamente diffuse sui media e nei giornali, specie in tempi recenti. Ci sono giovani che disprezzano la politica e pensano che ciò che conta nella vita sia soprattutto raggiungere con le proprie forze il successo personale: Roberto la pensa così. Altri giovani ritengono che la sfera della politica e la stessa democrazia siano una prerogativa dello Stato nazionale e solo di questo: Matteo la pensa così. Altri aspirano a dedicare una parte della loro attività al bene del prossimo attraverso il volontariato, non con gli strumenti della politica: Luisa la pensa così. Altri considerano l’idea di un’Europa unita un’utopia, che mai vedrà la luce: Luca la pensa così. Altri ancora sostengono che solo una rivoluzione culturale, volta a sostituire il modello consumistico-capitalistico, possa salvarci dall’anarchia della globalizzazione finanziaria, e nutrono sfiducia non solo nel sistema economico e finanziario del capitalismo ma anche nelle attuali istituzioni pubbliche, nazionali o internazionali che siano: Elena la pensa così. Altri infine hanno una visione globale del mondo di oggi, sono sensibili alle esigenze del Terzo mondo, sono per così dire cosmopoliti, favorevoli a iniziative quali “Amnesty International” o “Medici senza frontiere”, sono pacifisti, mondialisti e pertanto ritengono ormai superato dalla storia l’obbiettivo dell’unione politica europea: Mario la pensa così. Ecco, io vorrei parlare, oltre che a te, a ciascuno di loro, a Roberto, a Matteo, a Luisa, a Luca, ad Elena e a Mario: ai primi cercando di convincerli che sono in errore, agli altri mostrando che l’ideale europeo non è in contrasto, ma invece complementare, integrativo e addirittura funzionale rispetto a ciò in cui essi giustamente credono.

Template:Anchor Alcune obiezioni ricorrenti[modifica]

Marco Vorrei allora citare subito alcune obiezioni, alcuni pungenti rilievi che ho sentito ripetere da amici e compagni quando il discorso cade sull’Europa: giudizi negativi dei quali penso si debba tenere conto e sui quali desidererei che Lei si pronunciasse.

Se Lei è d’accordo, ne riporto alcuni.
“I parlamentari europei sono distanti dai cittadini.” “L’Europa impone diktat dall’alto senza alcun riguardo
per i cittadini dei vari Stati.”
“A scuola ci insegnano l’Unione Europea e i suoi valori con tante belle parole, mi sembra una bella favola che nella realtà non funziona.”
“L’Europa fa gli interessi delle banche e della grande finanza.”
“Le regole europee sono una messa in scena dei poteri forti.”
“Non basta che l’Europa garantisca la pace. Questa è stata una funzione del passato. Ora bisogna guardare al futuro. A me sembra incapace di rispondere ai nuovi problemi.”
“L’accoglienza dei flussi migratori deve venire in secondo piano rispetto ai problemi dei cittadini italiani.”
“Con l’euro ci hanno preso in giro.”
“Mi sembra che le istituzioni europee siano uno spreco di soldi.”
“I parlamentari sia italiani, che europei, fanno solo i propri interessi. A loro non interessano davvero i problemi dei cittadini. Io non mi sento rappresentato dal mio Stato, tantomeno dall’Europa.”
“I vari Stati europei sono troppo diversi: storie, economie, culture e politiche estere differenti. Se ci sono Paesi che stanno meglio da soli non mi sembra giusto costringerli ad unirsi, magari sobbarcandosi i problemi degli Stati più deboli. Un’Europa davvero unita non potrà mai esserci.”
“Non ho scelto di nascere in questo Paese e nel mondo di cui fa parte. Sinceramente mi fanno schifo tutte queste ingiustizie. Non mi sento parte di un mondo che arricchisce i più ricchi e fa morire nella miseria migliaia di persone, un mondo sempre più intriso di guerre e sofferenze.”

Aps Ho ascoltato. È una batteria impressionante di critiche e di obiezioni. Ciascuna di queste merita attenzione. Alcune sono frutto di pregiudizi, o di informazioni non corrispondenti al vero. Altre hanno un fondamento reale. Tenterò di rispondere a tutte. Ma desidero intanto sottolineare in via generale che respingere l’idea di Europa e rifiutarsi di prendere parte al voto sono due atteggiamenti contraddittori. Tagliarsi fuori dal voto vuol dire lasciar decidere agli altri al posto nostro cose che riguardano la nostra vita. Sul primo aspetto, prima di respingere l’Unione bisogna capire bene le conseguenze di un ritorno alle barriere nazionali, al nazionalismo e al protezionismo, che l’Europa ha sperimentato per secoli, con esiti funesti. Se in alcune circostanze proteggere inizialmente le proprie industrie e produzioni può essere opportuno o addirittura necessario, l’esperienza ha dimostrato che l’isolamento e la chiusura portano all’impoverimento e alla dequalificazione, a danno dei consumatori. Si può criticare un’istituzione (come lo è l’Unione europea) per gli errori che può aver commesso e che ancora sta commettendo, ma volerne fare a meno, volerla abolire è tutta un’altra cosa, sarebbe un errore fatale: si può dimostrare che la sicurezza e la condizione economica e sociale dei cittadini europei peggiorerebbe anziché migliorare se l’Unione venisse meno.

Template:Anchor No all’Europa, all’euro, ai migranti? Sì alla Nazione?[modifica]

Marco Mi permette di proporle – a nome di uno degli interlocutori virtuali da Lei citati all’inizio – una serie di battute lampo che i populisti/nazionalisti ripetono continuamente, chiedendoLe risposte altrettanto immediate? Immagino che poi potremo riprendere ciascuno di questi punti in modo più argomentato.

Aps Proviamo…

Marco Prima gli interessi degli italiani, poi tutto il resto, direbbe Matteo. Sì alla nazione, questa è la cosa fondamentale che i passati governi hanno rinnegato. Ora finalmente il vento è cambiato!

Aps Il punto è proprio questo: cosa è nell’interesse degli italiani? Il sovranismo, cioè la pretesa che non vi sia alcuna autorità superiore rispetto alla sovranità nazionale, mette in primo piano obbiettivi che apparentemente soddisfano interessi popolari e rispondono a insicurezze e reazioni dell’opinione pubblica – anzitutto sulla disoccupazione e sulla crisi migratoria – erroneamente sottovalutate sin qui. Ma solo apparentemente la chiusura delle frontiere e il ritorno all’autarchia rispondono all’interesse dei nostri cittadini. A medio e lungo termine l’interesse degli italiani (come pure l’interesse degli altri popoli europei) è di individuare un giusto equilibrio tra autonomia, libertà degli scambi e condivisione delle politiche in sede europea.

Marco Basta acquiescenza alle regole europee. Ritorniamo sovrani in casa nostra, lo dicono in tanti.

Aps Se ogni Paese dell’Unione adottasse questo principio, non risolverebbe le sfide che superano le dimensioni nazionali. E per più si ricreerebbe l’ideologia per la quale il vicino è potenzialmente nostro nemico. La ricetta del sovranismo va contro l’interesse dei nostri popoli.

Marco Vogliamo riconquistare una sovranità perduta, la sovranità italiana.

Aps La risposta è questa: nessun Paese europeo è ormai più sovrano, né potrà esserlo più, in un mondo globalizzato e multipolare in cui esistono Stati di dimensioni continentali. L’Unione europea è la sola via per recuperare una sovranità perduta. E nulla toglie alle identità e alle sovranità nazionali, per tutto ciò in cui queste possono e debbono mantenersi.

Marco Eppure c’è chi dice che l’Italia di oggi sarebbe all’avanguardia in questo processo di riconquista della propria sovranità.

Aps Ho letto anch’io una recente intervista di colui che è considerato l’ideologo di tali posizioni, molto ascoltato da chi oggi ci governa, l’ex consigliere di Trump, ora attivo in Europa proprio su questo fronte, Steve Bannon. Richiesto di esplicitare in cosa consista questa nuova dottrina, della quale l’Italia della maggioranza attuale sarebbe l’antesignana, Bannon ha risposto: “Francia e Germania vogliono gli Stati Uniti d’Europa [fosse vero, soggiungo io…], mentre l’Italia di oggi vuole un’Europa di Stati nazionali sovrani ma coordinati tra loro” (Fubini, Corriere della Sera, 22 ottobre 2018). Tutto qui? Ma questa non è una nuova dottrina, questa sarebbe l’Europa di ieri, l’Europa della Grande Alleanza del 1815, l’Europa che porta alla guerra quando l’accordo tra gli Stati si incrina. Questa è la vecchia Europa!

Marco Basta immigrazioni, direbbe Matteo. Gli immigrati tolgono il lavoro agli italiani, creano solo problemi. Vanno respinti!

Aps I migranti ci servono, eccome: badanti, operai, lavoratori agricoli, edili, senza gli immigrati andiamo a fondo. Senza nuovi immigrazioni in 40 anni l’Italia perderebbe la metà del Prodotto interno lordo (lo ha documentato la Banca d’Italia).

Marco Ma non sono comunque troppi? Uno ogni quattro italiani.

Aps Questo è un dato falso; è quanto un campione di cittadini ritiene che sia la percentuale degli immigrati. È il tasso di immigrazione percepito, non quello reale. La realtà è completamente diversa: la nostra quota di immigrati è oggi il l’8,5 % della popolazione italiana. Ed è inferiore a quella della Francia, della Germania, del Belgio e di altri Paesi dell’Unione.

Marco Non è ora di bloccare altri ingressi?

Aps Gli ingressi in Italia da un anno sono diminuiti dell’80%, grazie alle iniziative del precedente governo. Ma questo dato non viene fatto circolare dai media.

Marco Gli immigrati ci costano. Utilizzano le nostre strutture sanitarie. Frequentano gratuitamente le nostre scuole.

Aps Ma teniamo presente che le imposte versate dagli immigrati al fisco italiano ogni anno ammontano a 9 miliardi di euro.

Marco L’Italia si trova esposta per ragioni geografiche a flussi molto più elevati rispetto agli altri Paesi europei. Questo non è giusto.

Aps È vero, non è giusto. Ci vuole un controllo europeo e una responsabilità condivisa sulle immigrazioni: questo dobbiamo chiedere e ottenere, non le chiusure nazionali che vorrebbero i Paesi dell’Est europeo. I migranti regolari vanno istruiti e immessi nel mercato del lavoro.

Marco Il Paese è pieno di immigrati irregolari.

Aps Gli irregolari sono meno dell’1% della popolazione. Sono comunque troppi, i migranti irregolari vanno respinti pur nel rispetto di procedure corrette. Ma su base europea, non su base nazionale. Ci vuole una frontiera esterna ai confini dell’Unione, debitamente organizzata e finanziata dall’Unione. E gli accessi vanno limitati intervenendo efficacemente nei Paesi di origine dei migranti: anche questo, su scala europea e non nazionale.

Marco L’Italia regala all’Europa 20 miliardi all’anno: lo ha detto il Governo.

Aps Falso! Ne versa 14 e ne riceve quasi 12, che spesso non riesce a spendere per eccesso di burocrazia nazionale e per incapacità.

Marco Se serve agli italiani, dice Matteo, anche le regole europee possono anzi debbono essere trasgredite.

Aps Anzitutto le regole europee le abbiamo approvate anche noi. Possono essere cambiate, seguendo le procedure concordate, ma non violate unilateralmente da uno Stato membro dell’Unione europea. E poi, attenzione: se mettiamo in crisi la libera circolazione di merci e capitali, entra in crisi l’intera economia nazionale. Senza le regole europee sul mercato unico, da noi sottoscritte e presenti in Costituzione, l’Italia non potrebbe realizzare un volume di esportazione di centinaia di miliardi all’anno! È questo che si vuole? Il collasso della nostra economia?

Marco Io sento dire che per abbassare il debito bisogna che l’economia cresca e per crescere bisogna investire, anche a costo di far salire il debito.

Aps Quasi tutti gli economisti – e così pure le istituzioni internazionali indipendenti e le istituzioni europee – sono d’accordo sui primi due punti. Ma contestano recisamente la terza affermazione: non è aumentando il debito che l’economia cresce. Per crescere davvero, l’economia ha bisogno di due cose: investimenti pubblici con risorse vere e non con aumento del debito, e più investimenti privati nazionali e stranieri, che ci saranno soltanto se ci sarà fiducia nel nostro Paese. La fiducia invece sta venendo meno. E questo è inaccettabile, se si pensa a quante energie sane ci sono in Italia.

Marco Non sono dunque i vincoli al bilancio che ci impediscono di crescere?

Aps Controllare i nostri conti – il debito e il deficit – è indispensabile per noi, o meglio per i nostri figli, per la loro sopravvivenza dignitosa, per non costringerli un giorno a sacrificare gran parte del loro stipendio per far sopravvivere i loro genitori e i loro nonni. Non perché ce lo chiede l’Europa. Se il debito è alto, occorre aumentare le tasse per pagare gli interessi necessari per farvi fronte. E diminuiscono le risorse per gli investimenti, per i servizi pubblici, per le future pensioni.

Marco Possibile che per pochi decimali di differenza sul deficit si incrini la fiducia nell’Italia?

Aps Sì. Perché quei pochi decimali costituiscono lo spartiacque tra un debito che comincia a scendere e un debito che continua a salire.

Marco Cosa sono tutti questi attacchi al Governo? Hanno appena cominciato, vogliono il cambiamento, lasciamoli governare poi giudicheremo: questo lo dicono in tanti.

Aps È vero, lo sento ripetere anch’io. Ma a parte il fatto che la critica (la critica, non l’insulto…) è un valore del le democrazie, c’è soprattutto un altro elemento da tenere presente: quando tu vedi un’auto sfrecciare a poca distanza da un burrone apertosi dopo la curva, non cerchi di segnalare il pericolo? Noi siamo in questa situazione, purtroppo. Limitarsi a dire “giudicheremo più avanti”, in questo caso è sbagliato. Oggi l’Italia per la prima volta da oltre mezzo secolo è isolata in Europa. E questo è niente in confronto a quanto potrebbe capitarci a breve…. Non è giusto allora segnalare in tempo il pericolo? Prima che sia troppo tardi?

Marco Finalmente abbiamo un Governo che parla chiaro all’Europa, secondo molti. È vero questo?

Aps Senza che si sia ancora deciso nulla (ottobre 2018), sulla sola base di dichiarazioni del Governo, il tasso di interesse sui nostri titoli è salito di molto rispetto a quello degli altri Paesi europei e ci costerà, se non scende, 900 milioni in più nel già nel 2018 e ben 5 miliardi in più nel 2019! E potrebbe esplodere: i mercati non si fidano più a investire nei nostri buoni del tesoro e perciò alzano il prezzo.

Marco Per ottenere qualcosa bisogna gridare, bisogna battere il pugno sul tavolo, anche questo lo dicono in tanti!

Aps Nell’Unione europea questo metodo ha sempre fatto fiasco. Per ottenere qualcosa bisogna chiedere le cose giuste e farlo nel modo giusto. Soprattutto, bisogna essere credibili. E poi, troppo spesso i governi italiani – e l’ultimo non fa certo eccezione – hanno chiesto all’Europa di risolvere problemi che nascono in Italia e che sono risolubili solo in Italia. A cominciare dallo sbilancio dei nostri conti pubblici.

Marco Perché risolubili solo in Italia?

Aps Ma è evidente. Se l’evasione fiscale supera i 100 miliardi all’anno e di conseguenza le tasse sono troppo elevate, tutte a carico dei cittadini onesti; se la burocrazia rallenta ogni decisione; se la giustizia è la più lenta d’Europa e ci vogliono dieci anni per concludere un processo; se le mafie intossicano intere regioni del Paese, anche al nord; se tutto questo toglie risorse all’economia sana, fa salire il debito pubblico e disincentiva gli stranieri dall’investire in Italia, di chi è la responsabilità? Dell’Europa forse? No di certo.

Marco E di chi allora?

Aps Lo vogliamo dire? La responsabilità è dei cittadini che non si ribellano a questi mali e dei governi che non li combattono con decisione, per paura dell’impopolarità. Preferiscono accusare l’Europa di colpe non sue. Preferiscono le battute insultanti sull’Europa. Questo è molto più facile. E procura consensi a buon mercato da parte dei cittadini ignari: i sondaggi purtroppo lo confermano.

Template:Anchor Cosa ci ha dato l’Unione[modifica]

Marco La stampa, i media e i social network lanciano continuamente messaggi negativi, critici sull’Europa e sull’Unione europea. Anche chi si oppone ai sovranisti aggiunge subito che “questa Europa” non va bene. Vorrei sentire da Lei se è possibile formulare in breve un messaggio di segno opposto, che mostri quali siano – se ci sono – i risultati ottenuti dall’Europa da quando è nato il progetto di integrazione.

Aps Sì, credo che sia possibile ed anzi necessario. Nel corso di questo dialogo spero che approfondiremo sia gli aspetti positivi sia i nodi non ancora sciolti dell’Unione. Io ricorro all’immagine della cattedrale incompiuta proprio per mettere in luce il fatto che un edificio imponente già esiste. Esso deve essere conosciuto e apprezzato come merita, molto di più di quanto oggi non accada. Le navate principali di questo edificio sono tre, secondo me, ma ci sono anche molte cappelle laterali, come nelle grandi chiese romaniche e gotiche. E c’è una base, un fondamento comune di regole e di diritti. Inoltre, la prospettiva di entrare a far parte dell’Unione europea ha costituito un fattore determinante nella transizione alla democrazia in Paesi europei governati ancora dopo la seconda guerra da regimi autoritari, dalla Grecia dei colonnelli alla Spagna franchista e al Portogallo di Salazar. Le navate sono, rispettivamente, la pace; il benessere; la solidarietà.

Marco La pace in Europa ormai mi sembra scontata.

Aps La prospettiva di un guerra tra Paesi europei oggi è remota, sembra scomparsa per sempre. Abbiamo alle spalle settant’anni di pace, una condizione che in Europa non si era mai avuta dalla fine dell’Impero romano, da oltre quindici secoli. È un successo straordinario, del quale si rende pienamente conto chi ha visto da vicino e vissuto l’orrore della guerra: non la vostra generazione, per fortuna. Non c’è dubbio che il processo di integrazione europea è sta to un elemento determinante di questo risultato. Non solo: l’Unione europea è stata ed è promotrice di pace anche fuori dai propri confini, basti pensare alle tante missioni di pace alle quali prende parte attiva nel mondo. Tuttavia solo la realizzazione di una vera difesa comune potrà ad un tempo rendere impossibile una guerra intra-europea e assicurare all’Unione le condizioni per la propria difesa, per la propria sicurezza e per la propria autonomia rispetto alle grandi potenze di oggi e di domani. Soprattutto in un mondo dove le risorse saranno sempre meno e si avranno condizioni climatiche mai viste prima.

In un mondo che cambia velocemente se non si completa l’integrazione e addirittura si torna indietro, la guerra tra gli Stati europei potrebbe tornare, la libertà e l’autonomia potrebbero sparire, considerando che gli Stati nazionali diventerebbero facile preda delle potenze mondiali. E solo un’Europa unita potrebbe promuovere una crescita sostenibile.

Marco Davvero l’Unione europea ha creato benessere? Le critiche non mancano, mi pare.

Aps I fatti parlano da soli. Con la creazione del mercato comune, a partire dal 1957, il livello della ricchezza nei Paesi della Comunità economica europea (CEE) e poi dell’Unione europea è cresciuto negli anni in misura impressionante. Per l’Italia, ad esempio, il reddito pro capite si è quintuplicato nel corso dei decenni, dagli anni Cinquanta al 2010: da Paese povero, dal quale ancora dopo la seconda guerra si emigrava nelle Americhe e in Australia, siamo diventati uno dei Paesi più floridi del pianeta. La libera circolazione delle merci e dei capitali ha permesso di promuovere una concorrenza non più ostacolata dalle frontiere e dai dazi, così che i prodotti migliori per qualità e prezzo sono arrivati nei negozi e nei supermarket di tutta Europa e le imprese più valide hanno potuto esportare liberamente a vantaggio dei consumatori: lo sperimentiamo ogni giorno. Non è certo un caso se la Comunità economica europea, inizialmente limitata ai sei Stati fondatori (Francia, Germania, Italia, Belgio, Olanda e Lussemburgo) si è progressivamente estesa dal 1972 al 2013 prima a nove, poi a dodici, a quindici, a venticinque e a ventotto Stati europei (ora ventisette, dopo l’uscita della Gran Bretagna).

Marco I Paesi dell’Est europeo hanno anch’essi raggiunto la prosperità?

Aps Nei Paesi dell’Est europeo, usciti da mezzo secolo di subordinazione all’Urss, la concorrenza e la libera circolazione di persone e capitali, insieme con gli interventi di supporto dell’Unione europea, hanno avuto un peso determinante nel far crescere il livello di benessere. Ad esempio, nel breve periodo dal 2006 al 2008, subito dopo l’ingresso nell’Unione europea, il Prodotto interno lordo per abitante (Pil) è salito in Ungheria del 27,4%, in Polonia del 26.3%, in Romania addirittura del 73,9%1[1]. Ed ha continuato a salire, subito prima della crisi, anche negli altri Paesi. Non vi è dubbio che la crescita dell’Europa e il benessere che ne è derivato nell’arco di ormai quasi settant’anni sono stati incentivati in misura molto elevata proprio in virtù dell’integrazione economica.

Marco Il benessere di cui Lei parla ha anche altre dimensioni?

Aps Sì. Chi non ha vissuto il dramma di un’inflazione galoppante – la più ingiusta delle imposte, diceva Luigi Einaudi – forse non può capire l’importanza della stabilità monetaria, che protegge il risparmio, che permette al cittadino di programmare il proprio futuro e che è stata assicurata dalla moneta unica, l’euro. Nel commercio internazionale il fatto che l’Europa nello stipulare accordi commerciali e trattati agisca come un unico soggetto dà molto più peso anche alle richieste dei singoli Paesi di fronte ai colossi del mondo di oggi, dagli Usa alla Cina all’India alla Russia: a tutela dei propri prodotti, contro le forme di concorrenza sleale o non corretta da parte dei Paesi terzi. E ancora: benessere è anche la possibilità di circolare liberamente, come a casa propria, in ogni paese dell’Unione, come ben sanno i giovani e che hanno usufruito di un programma Erasmus, ma non solo loro. Investimenti per il benessere futuro, nostro e altrui, per i Paesi dell’Unione e per il mondo, sono anche le politiche di avanguardia che l’Europa persegue a livello internazionale sulle energie rinnovabili e sulla difesa dell’ambiente dai rischi climatici.

Dunque, un insieme imponente di risultati resi possibili solo dalla progressiva integrazione europea, là dove l’Europa parla e agisce con una voce sola. Che poi esistano difficoltà, fasi critiche e insufficienze è verissimo. Ne parleremo in seguito. Ma in nessun caso è stato dimostrato che esse sarebbero risolte in modo migliore tornando indietro, alle sovranità nazionali del passato.

Marco La terza navata, la solidarietà, mi sembra però in netta crisi. O sbaglio?

Aps Purtroppo questo oggi è vero. Ascoltiamo ogni giorno rivendicazioni dei governi che puntano al proprio interesse nazionale (a quello che essi credono essere l’interesse nazionale…) in una logica di dare e avere che non è quella sulla quale si è costruita l’integrazione europea. È una deriva che può svuotare di significato l’Unione. Tuttavia il principio di solidarietà non solo è chiaramente sancito nei trattati, ma è ancora pienamente attivo nelle politiche dell’Unione. Vedremo tra poco alcuni dati, ma possiamo anticipare che alla politica di coesione a sostegno delle regioni meno ricche d’Europa il bilancio dell’Unione ha destinato per il settennio dal 2014 al 2020 un volume complessivo di risorse di bilancio pari a 352 miliardi di euro. Le politiche di coesione non sono altro che una declinazione del principio di solidarietà sul terreno dell’economia. E poi ci sono gli interventi per le emergenze e per le calamità naturali. Si potrebbe e si dovrebbe fare di più, se il bilancio dell’Unione lo consentisse. Ma quello che l’Unione fa è già molto, anche se è scarsamente pubblicizzato.

Marco Vorrei capire meglio sino a che punto queste tre direttrici, che Lei ha metaforicamente chiamato le navate dell’Unione, sono fondate su pilastri saldi.

Aps Vedo che le metafore le usa anche Lei. Ebbene, è sufficiente leggere i primi dieci articoli del Trattato per l’Unione europea di Lisbona del 2009 per ritrovare sanciti con estrema chiarezza gli obbiettivi della pace, della prosperità e della solidarietà accanto ai diritti fondamentali di libertà e di democrazia.

Marco Lei ha parlato anche di un fondamento comune di regole e di diritti nell’Unione.

Aps Si tratta appunto dei diritti fondamentali enunciati nei Trattati europei e nella Carta dei diritti dell’Unione approvata nel 2000: i diritti di libertà, di cittadinanza, di giustizia, di democrazia, il principio di distinzione e di equilibrio tra i poteri. Questi diritti, che sono i pilastri in ogni moderna costituzione, valgono sia al livello dell’Unione sia entro ciascuno degli Stati membri.

Questi fondamenti positivi – la pace, il benessere, la solidarietà, i diritti fondamentali – non debbono venire dimenticati né sottovalutati.

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Marco Proprio perché l’elezione europea del 2019 sarà importante, mi può dire qualcosa di più sulle posizioni attuali dell’Italia riguardo all’Europa?

Aps Sì, ma desidero dire sùbito, a scanso dì equivoci, che la mia è una posizione non super partes ma di parte. Questo dovrebbe già essere chiaro, ma qui lo ribadisco espressamente. Posizione di parte non nel senso di riferimenti a un partito o a singoli personaggi politici, bensì nel senso che la mia tesi si riassume nell’affermazione dell’importanza decisiva di una piena adesione del nostro Paese alle finalità di una unione politica come traguardo dell’integrazione eu-

ropea. A mio giudizio, tutto ciò che mette a rischio questo processo è distruttivo per il nostro Paese e per il suo futuro, cioè per il futuro delle generazioni a venire. Ma c’è di più: il venir meno di una politica pro-europea dell’Italia può mettere a rischio l’intero edificio dell’Unione.

Marco Quali sono allora a Suo giudizio i rischi che il Governo attuale fa correre all’Italia?

Aps Con un deficit più ampio di quello concordato con l’Unione il rischio principale è che il mancato contenimento strutturale (cioè graduale ma costante) del nostro debito pubblico, superiore al 130% del nostro prodotto interno lordo un debito pubblico che è il più elevato in Europa dopo quello della Grecia, determini una reazione di sfiducia dei potenziali sottoscrittori dei buoni del tesoro: banche, fondi di investimento italiani e stranieri, privati. Essi esigerebbero, a fronte del rischio, interessi molto più elevati, insostenibili per la finanza pubblica: altrimenti i titoli resterebbero inoptati. Ma in Italia la spesa pubblica ha la necessità di emettere ogni anno titoli per circa 400 miliardi di euro per rinnovare i titoli in scadenza e coprire gli impegni assunti in bilancio, i quali includono naturalmente le risorse per i servizi pubblici, per gli stipendi delle forze dell’ordine e degli impiegati pubblici, per la sanità, per le scuole e per altri beni pubblici essenziali. Se gli interessi crescono fuori misura rispetto a quelli degli altri Paesi europei – è questo lo spread di cui tanto si parla – non solo sale corrispondentemente anche il costo dei prestiti delle banche ai privati e dei mutui, non solo l’imposizione fiscale salirebbe sino a livelli insostenibili per i contribuenti, ma lo Stato può rapidamente divenire inadempiente. Lo Stato potrebbe andare in default. A questo scenario si deve aggiungere il grave rischio che corre il sistema bancario italiano e dunque l’intera economia.

Marco Lei sa che ci sono economisti che hanno scritto interi volumi contro l’euro. E posso dire che ci sono giovani che questi libri li hanno letti. Forse in questo gli anti-euro e gli anti-Europa sono stati più efficaci dei loro avversari?

Aps Io non sono un economista, né pretendo di esserlo. Ho letto anch’io testi di economisti anti-euro come pure testi pro-euro. E questi ultimi mi hanno persuaso decisamente di più dei primi. Provo a riassumere in poche affermazioni le ragioni del mio convincimento:#

L’euro era ed è necessario al corretto funzionamento del mercato unico.
  1. Che esso fosse uno strumento necessario ma non sufficiente ai fini dell’integrazione economica e politica è stato sostenuto sin dal 1992, proprio da chi ha programmato la moneta unica: era chiaro già allora che occorreva dotare l’Unione anche di un potere di politica economica e fiscale, cioè di un governo dell’economia dotato delle necessarie risorse, che ad oggi ancora essa non possiede; questo non è stato possibile allora per l’opposizione di alcuni governi, anzitutto quello francese.
  2. Pertanto la creazione dell’euro è stata una tappa di un percorso ancora incompiuto, che tuttavia un grande politico come Helmut Kohl ha voluto – affrontando l’impopolarità nella sua Germania, che oggi invece si giova largamente dell’euro, mentre allora i tedeschi erano contrarissimi ad abbandonare il marco – avendo ben chiaro l’obbiettivo dell’unione economica e politica di un’Europa federale.
  3. L’euro ha comunque garantito in questi anni il risultato importantissimo della stabilità della moneta e dunque anche della tutela del risparmio, obbiettivi particolarmente importanti in anni di crisi dell’economia come sono stati quelli del decennio 2008-2017.
  4. L’euro è ormai la seconda moneta mondiale ed è la principale fonte di autorità dell’Europa nel contesto dei rapporti non solo economici internazionali.


Dunque occorre completare l’unione economica e monetaria europea, non rischiare di distruggerla uscendo dall’euro. Va aggiunto che anche alcuni illustri studiosi e osservatori qualificati e anche critici dell’euro, come oggi si presenta entro l’Unione, concordano nel ritenere che i rischi in caso di crisi sarebbero affrontabili e superabili se e solo se gli strumenti fiscali e di governo dell’economia a livello europeo venissero adeguatamente potenziati entro un percorso chiaramente tracciato verso l’unione politica: così Paul Krugman, così Joseph Stiglitz, così Paul De Grauwe.

Marco Chi condivide questa linea è naturalmente preoccupato in questo momento, perché ritiene che l’uscita dall’euro sarebbe disastrosa per l’Italia. Ma tale rischio secondo Lei è davvero reale? Potremmo essere costretti ad uscire dall’euro?

Aps Premetto che non dobbiamo accontentarci delle dichiarazioni dei partiti di governo e del governo stesso, volte a rassicurare che l’Italia vuole rimanere nell’Unione e vuole mantenere l’euro. Sono i comportamenti effettivi del governo e i voti del Parlamento che devono esser valutati per la loro coerenza con queste dichiarazioni. Se i comportamenti e le decisioni risultassero tali da mettere a rischio la finanza pubblica e la tenuta del sistema bancario, potremmo trovarci davvero tra breve “a un passo dall’uscita dall’euro” (Guido Tabellini, “Il Foglio”, 3 ottobre 2018). C’è chi questa uscita la vorrebbe, asserendo che il Paese anzi se ne avvantaggerebbe. Io condivido la tesi della maggior parte degli economisti: le conseguenze sarebbero disastrose. Uscire dall’euro non è previsto dai trattati e comporterebbe l’uscita dall’Unione europea; né è ipotizzabile rifiutare l’unione e restare nell’euro, come una parte dell’opinione pubblica sembra desiderare: questo è semplicemente impossibile. Come ha scritto recentemente Lorenzo Bini Smaghi (La tentazione di andarsene, p. 184), con l’uscita dall’euro e con il ritorno ad una moneta nazionale i depositanti correrebbero a ritirare i loro fondi presso le banche, il governo dovrebbe vietare depositi all’estero, i tassi di interesse sui titoli schizzerebbero su livelli elevatissimi, il sistema bancario e molte imprese indebitate in valuta estera rischierebbero il collasso, la rapida svalutazione della nuova lira rispetto all’euro farebbe anche salire drasticamente l’onere di ripagare il debito contratto dalla Banca d’Italia con le altre Banche centrali; ed altro ancora. L’economia entrerebbe in crisi distruggendo massicciamente posti di lavoro. L’uscita dall’euro, se si dovesse verificare, avrebbe dunque conseguenze gravissime per il Paese: per il livello di benessere, per i nostri risparmi, per la crescita, insomma per il nostro futuro.

Marco Secondo Lei gli Italiani vorrebbero lasciare l’Unione europea?

Aps Io sono convinto che gli Italiani questo non lo vogliano. Tra l’altro, nessun partito lo ha messo nel programma elettorale, neppure i partiti oggi al governo. Potremmo essere fuori dall’euro senza averlo voluto! Ma quando la crisi si verificasse, la deriva sarebbe rapida. E probabilmente irreversibile.

Marco Per quale ragione l’Italia sta correndo, proprio ora, questo enorme rischio?

Aps I governi dell’ultimo decennio, pur senza affrontare con decisione l’esigenza di ridurre il debito pubblico in rapporto al Pil, avevano impostato una politica di graduali riforme che promettevano di migliorare la crescita avviando la decrescita del debito e del deficit: un’impostazione registrata e apprezzata dall’Unione e dai mercati. L’attuazione del “contratto” di governo Lega e Cinque stelle varato nel 2018 comporterebbe – in base alle stime disponibili ad oggi, ottobre 2018 – un onere a regime per le finanze pubbliche di oltre 100 miliardi di euro: 50 miliardi per la Flat Tax, 20-30 per il reddito di cittadinanza, decine di miliardi per la revisione della legge Fornero sulle pensioni. Quel che sappiamo adesso è che della maggior spesa di circa 37-38 miliardi per il 2019, 22 sarebbero in disavanzo, mentre 15-16 sarebbero coperti con entrate di incerta affidabilità. (Bordignon, “La Voce”, 9 ottobre 2018). Se non si vuole aumentare la pressione fiscale, se non si riesce a diminuire sufficientemente sin d’ora la spesa pubblica, se il recupero dell’evasione non basta e richiede comunque un impegno pluriennale, se la crescita della nostra economia è lenta e insufficiente per cause non facilmente contrastabili in tempi brevi (burocrazia, confusione normativa, giustizia lenta, mafie, privilegi), se tutto questo è vero, allora la conclusione è una sola: noi queste risorse previste nel contratto di governo non le abbiamo, se non a condizione di smentire gli impegni già assunti e squilibrare ulteriormente i nostri conti.

Marco Sono dunque troppi i soldi che il governo ha dichiarato di voler spendere?

Aps Sì, sono troppi. E sarebbero anche male impiegati. Sono troppi perché le risorse necessarie non ci sono: non resterebbe se non aumentare ancora di più l’enorme debito pubblico nostro. Già oggi paghiamo, con le tasse, 65 miliardi all’anno solo per gli interessi sul debito. Inoltre, l’aumento dei tassi già minaccia di spingere l’economia verso la recessione. Ecco perché il programma di governo, così come è stato annunciato (ottobre 2018), non risulta sostenibile.

Marco E perché questi soldi sarebbero comunque male impiegati?

Aps Esprimo, naturalmente, un’opinione personale. La flat tax al 15% e al 20% vorrebbe dire privilegiare i ricchi a spese dei meno abbienti, in quanto si ridurrebbe ai minimi termini la progressività della tassazione, che tra l’altro è un principio e obbligo fondamentale sancito dalla Costituzione. La revisione della legge Fornero con l’anticipazione dell’età pensionabile creerebbe un peso maggiore per chi oggi lavora. Per concedere qualche anno di meno di lavoro ai pensionabili di oggi si mette un peso aggiuntivo sulle spalle dei pensionati di domani, che sono i giovani di oggi: è un atto grave di iniquità, di ingiustizia nel rapporto tra le generazioni. Quanto al reddito di cittadinanza, esso può avere un senso, ma solo se è un rimedio temporaneo che porti poi a un impiego. I nostri centri per l’impiego sono strutture fragili; a loro si chiederebbe di garantire tre offerte di lavoro in un’area limitata a 50-80 chilometri dalla residenza del disoccupato. Ma se i posti di lavori in quella zona non ci sono, non sarà il centro per l’impiego a crearli; il Paese infatti manca di una organizzazione diffusa su tutto il territorio e sufficientemente strutturata per far incontrare la domanda e l’offerta già esigua di lavoro. La promessa di un reddito indipendentemente dal lavoro spingerebbe decine di migliaia di persone nell’area del lavoro nero. Dunque, un programma non realizzabile, che sarebbe comunque socialmente iniquo.

Marco Ho letto però che il Governo sostiene che l’aumento del deficit rispetto alle precedenti intese servirebbe ad aumentare la crescita, dalla quale dipende anche il calo del debito pubblico. E ciò compenserebbe gli scarti.

Aps Secondo gli osservatori indipendenti (Fondo monetario internazionale, Banca d’Italia, Commissione europea e altri) che si sono pronunciati ad oggi, ottobre 2018) sta proprio qui il difetto principale della manovra: la crescita della spesa non viene destinata ad investimenti bensì a una redistribuzione di risorse, sostanzialmente ininfluente (se non addirittura negativa[2]) rispetto rispetto all’obbiettivo della crescita. È questo l’ostacolo che determina il giudizio negativo degli osservatori. E se non ci sarà crescita, anche lo squilibrio dei conti risulterà ulteriormente accentuato, con le conseguenze che abbiamo già visto.

Marco Perché Lei ha detto che anche il sistema bancario sarebbe a rischio?

Aps Perché l’aumento ulteriore del debito pubblico con i rischi dei quali abbiamo parlato comporta, con la salita dello spread, un deprezzamento dei titoli pubblici che le banche italiane posseggono, per un valore complessivo, già oggi, di alcune centinaia di miliardi di euro. Dunque il loro capitale e la loro solidità finanziaria diminuirebbero. E parallelamente si assottiglierebbe la quota di risorse destinate ai fidi e ai crediti alle imprese e ai privati: una fonte essenziale per l’economia di un Paese. Crisi della finanza pubblica e crisi bancaria: una prospettiva che potrebbe portarci fuori dall’euro.

Marco Le argomentazioni che Lei ha espresso mi sono sembrate persuasive. Ma quando giorni fa ho ascoltato in televisione un’intervista al ministro Salvini, il suo modo di rivolgersi agli ascoltatori mi ha molto colpito: era il tono quasi spavaldo di chi appare più che sicuro di fare l’interesse degli italiani. Secondo lui, il governo attuale vuole un’Europa più efficace, più vicina ai cittadini, con più poteri al Parlamento europeo e meno poteri di intervento dei “burocrati” sull’economia degli Stati. Secondo lui il rimpatrio di centinaia di migliaia immigrati irregolari è possibile. Secondo lui l’età del pensionamento deve scendere ancora, non si può avere la schiena spezzata (come se i lavori usuranti non fossero già esentati..). Dunque, la manovra del governo italiano andrà avanti, non arretrerà “di un millimetro”. Chi lo ascoltava era portato a concludere: forse questi hanno ragione, diamo loro credito, fidiamoci e vediamo…

Aps Ho visto anch’io la trasmissione. L’oratoria era senza dubbio molto efficace. Finalmente qualcuno che sa quello che vuole e sa farsi ascoltare, veniva fatto di pensare. Ma poi ci si accorge che nessuna obiezione, nessuna critica gli era stata rivolta dalla conduttrice né dagli altri partecipanti. Perché le istituzioni indipendenti nazionali e internazionali sono unanimi nel ritenere che la manovra del governo non incrementerà la crescita? Possibile che si sbaglino tutti? Perché non rilevare che l’aumento dello spread ha già determinato perdite cospicue ai risparmiatori e che nel 2019 andrà peggio? Perché non chiedere cosa succederebbe se gli interessi sui nuovi buoni del tesoro raddoppiassero o triplicassero in quanto altrimenti non verrebbero acquistati? Perché non obiettare che il pensionamento anticipato avrà conseguenze sui giovani di oggi che saranno pensionati domani, come asseriscono tutti gli esperti? Perché non citare l’allungamento in corso della speranza di vita, che fa sì che si resti poi pensionati per venti o trent’anni con danno evidente per chi lavora e dovrà mantenere, direttamente e indirettamente attraverso le tasse, chi non lavora in quanto pensionato? Perché dichiarare di volere un’Europa più forte e contemporaneamente tuonare ogni giorno contro le sue istituzioni alleandosi con chi le vuole indebolire? Perché isolare anche nella politica internazionale l’Italia dall’Europa, proprio quando la protezione americana sta venendo meno? A questi ed altri interrogativi non c’è stata risposta perché non ci sono state domande. Ed è qui un altro elemento inquietante. Comunque l’oratoria è indubbiamente efficace. Se non fosse così, i sondaggi non darebbero al governo il consenso del quale gode attualmente.

Marco Mi ha colpito di sentire che anche gli esponenti del sovranismo affermano tutti di volere l’Europa, ma un’Europa diversa. E mi sono detto: ma allora se si va all’elezione del 2019 e tutti dicono di volere l’Europa, come fa l’elettore a scegliere?

Aps Anzitutto colpisce che chi si batte per un ritorno alle nazioni sovrane affermi subito dopo che la battaglia si farà alle elezioni europee, e con ciò riconosca in pieno il ruolo

di queste. Quanto alle dichiarazioni, Altiero Spinelli diceva che c’è un criterio sicuro per capire chi è davvero in favore dell’unione politica federale e chi è contro, pur dichiarandosi pro-europeo: da parte dei primi le proposte vanno nel senso di attribuire alle istituzioni sovranazionali dell’Unione – Commissione, Parlamento europeo, Corte di Giustizia – i poteri propri di una federazione, da parte dei secondi si auspica un coordinamento tra governi che lasci però agli Stati l’ultima parola. Meglio forse un avversario palese che un falso amico dell’Unione.

Marco Ci sono anche avversari esterni dell’Unione?

Aps Sì, e ci sono sempre stati. Il progetto europeo è di tale portata che non può non suscitare resistenze politiche, economiche e culturali, sia all’interno che all’esterno dell’Europa. Un fallimento dell’Unione lo vorrebbero in tanti. Contro l’Unione militano potenti interessi politici, finanziari ed economici. I rischi di crisi si devono anche a queste forze avverse.

Marco Questo scenario è davvero drammatico. Ma L’Unione europea non potrebbe fare nulla per intervenire in caso di crisi della nostra finanza pubblica?

Aps Gli strumenti oggi esistono. Nel 2012 è stato creato – con l’accordo e la sottoscrizione di tutti i 19 Paesi dell’Eurozona – un nuovo importante strumento, denominato Meccanismo europeo di stabilizzazione (European Stability Mechanism, ESM), più noto come Fondo Salvastati, dotato di un capitale iniziale di 700 miliardi di euro, il quale è abilitato a intervenire a sostegno di uno Stato dell’Eurozona in difficoltà. difficoltà garantisce una gestione rigorosa della finanza pubblica accompagnato dall’impegno ad attuare riforme strutturali, con sanzioni pesanti e automatiche qualora l’impegno non venga rispettato, sulla base di valutazioni operate fondamentalmente dagli altri governi, dunque con un metodo intergovernativo. Inoltre, un altro strumento recente, denominato OMT (Outright Monetary Transaction), consente alla Banca centrale europea di acquistare in caso di necessità anche titoli del debito pubblico di un Paese in difficoltà, ma solo se la valutazione dei mercati e della agenzie di rating sull’affidabilità finanziaria del Paese sarà positiva e, in ogni caso, anche qui solo dopo che il Paese abbia concordato con gli altri governi dell’Eurogruppo un programma di risanamento, debitamente garantito e monitorato.

Marco Se queste garanzie ci fossero, i rischi verrebbero condivisi a livello europeo?

Aps Sì, questa condivisione è di importanza fondamentale non solo nell’interesse dei Paesi deboli ma anche in quello dei Paesi europei più forti. Solo così l’unione economica e finanziaria e la stessa moneta unica potranno reggere le sfide di domani. Ma questo richiederà il completamento dell’unione bancaria ed anche la modifica delle regole dell’ESM.

Marco Se l’uscita dall’euro comporta l’uscita dall’Unione europea, cosa dovremmo aspettarci?

Aps Per l’Italia questa sarebbe una catastrofe. Torneremmo indietro di mezzo secolo. Tra l’altro ci taglieremmo fuori da una rete di vitali rapporti economici e commerciali conclusi anche per il nostro Paese dall’Unione europea attraverso centinaia di accordi commerciali che andrebbero rinegoziati dall’Italia in posizione di debolezza.

Marco L’Europa può permettersi un’uscita dell’Italia?

Aps È una domanda giustificata. In effetti il nostro Paese è per dimensioni economiche il terzo entro l’Unione, dopo l’uscita della Gran Bretagna, la quale però non era nell’euro. Il caso italiano sarebbe ben più grave anche rispetto al caso della Grecia. E metterebbe in crisi anche il sistema bancario dei Paesi dell’Eurozona: tutti possiedono titoli nostri, che pure essi stanno prudenzialmente riducendo in via precauzionale (70 miliardi in meno solo negli ultimi mesi, ottobre 2018). Tuttavia di fronte al rischio che il default italiano faccia affondare l’euro, gli altri Paesi dell’Eurozona e l’Unione nel suo complesso reagirebbero comunque per salvarlo, e con esso il mercato unico e dunque la stessa Unione europea.

Marco E l’Italia?

Aps L’Italia potrebbe restare fuori da questi interventi di salvataggio. Perché se la sua affidabilità sarà valutata al di sotto degli standard internazionali, la Banca centrale europea non potrà intervenire ad acquistare i nostri buoni del tesoro con l’OMT né potrà attivarsi l’ESM se prima non verrà sottoscritto un impegno vincolante di risanamento e di adozione di riforme strutturali. Un impegno ben più pesante, anche perché a questo punto imposto dall’esterno, rispetto alle politiche che l’Italia potrebbe mettere in atto, d’intesa con l’Europa, per avviare una graduale ma strutturale discesa del proprio esorbitante debito pubblico.

Marco L’uscita dell’Italia segnerebbe la fine dell’Unione come oggi la conosciamo?

Aps In un certo senso sì, perché l’Italia è stata per due terzi di secolo, e sin dall’inizio, un Paese fondatore che nel progetto europeo ha sempre creduto e al quale ha dato un contributo molto profondo, anche se questo non viene ricordato quasi mai. Abolire il mercato unico, la libera circolazione di merci persone capitali e servizi dall’Italia e verso l’Italia sarebbe molto grave anche per gli altri Paesi dell’Unione. Questo loro lo sanno benissimo. Ma alla crisi si può arrivare, se l’Italia abbandona le regole europee che pure ha sottoscritto. Sia chiaro, però: meglio, infinitamente meglio che il processo di unione non si arresti, persino se l’Italia dovesse restare ai margini (e dico questo con grande tristezza, sperando di venire smentito dai fatti). Il progetto europeo è di rilevanza planetaria, tutto è preferibile rispetto alla prospettiva di vederlo tramontare.

Marco È un esito solo possibile o anche probabile il naufragio dell’Unione europea?

Aps È impossibile dirlo oggi. La storia non è mai prevedibile. Alcuni segnali negativi che percorrono l’intera Europa ci sono. E sono gravi, anche a prescindere dalle responsabilità dell’Italia. L’unione bancaria non è stata ancora completata. Il fenomeno migratorio è affrontato in ordine sparso, con forti divergenze tra i Paesi dell’Unione. Sono stati fatti progressi per condividere i dati di intelligence su terrorismo e mafie tra i Paesi dell’Unione ma molto resta ancora da fare. I nazionalismi stanno rinascendo quasi ovunque, Germania compresa, e alimentano atteggiamenti emotivi e irrazionali. Sull’Africa non c’è unità di intenti tra i governi dei Pae si europei per lo sviluppo di questo grande continente, che dovrebbe essere un terreno privilegiato per investimenti europei, anche per controllare il fenomeno migratorio. È vero, c’è ancora la convinzione diffusa che l’unione politica è la giusta prospettiva per il futuro degli Stati europei e dell’Europa nel suo complesso. Ma non trova supporti sufficienti nella classe politica e nei governi. E neppure, spesso, nei funzionari dei singoli Stati che preparano le decisioni intergovernative: anche in loro spesso prevale l’ottica del (supposto) interesse nazionale, la logica della negoziazione. È un approccio profondamente diverso dalla strategia di chi affronta un problema comune con l’intento di dar vita a un progetto comune. Troppo spesso nelle decisioni dell’Unione di oggi prevalgono scelte che sacrificano il futuro.

Marco Chi ha sbagliato, allora, se siamo a questo punto?

Aps Hanno sbagliato i governi e i partiti pro-europei a non capire che bisognava tener conto delle pulsioni e delle paure dell’opinione pubblica: bisognava recepirle e collegarle con una politica efficace. Ha sbagliato l’Unione – anzitutto il Consiglio europeo, dunque ancora i governi – a non dare risposte coraggiose, adottando una politica comune su questo fronte e dotandosi in tempo di un governo comune dell’economia, di una fiscalità europea e di una comune politica sui migranti. Hanno sbagliato i media a privilegiare gli allarmi e gli slogan rispetto ai dati di fatto, spesso molto meno allarmanti di quanto percepito. Ed ora sta sbagliando il nostro governo quando sembra inconsapevole del rischio al quale sta esponendo il Paese.

Marco Quindi è un errore imputare la crisi italiana all’Europa, come sembrano credere molti italiani?

Aps Sì, è un errore. L’Unione non è stata pienamente all’altezza dei suoi compiti, ma ormai gli altri Paesi europei sono usciti dalla crisi grazie anche agli interventi che l’Europa ha messo in atto. Solo l’Italia non ne è uscita: perché sebbene i governi che si sono succeduti dal 2011 in poi abbiano cercato di imprimere una inversione alla tendenza all’aumento del debito, la produttività è aumentata poco rispetto agli altri paesi. L’Italia è frenata anche da schiaccianti pesi strutturali, che risalgono indietro nel tempo e che le impediscono la crescita: l’evasione fiscale abnorme, le mafie, la burocrazia paralizzante, la giustizia infinita, l’incertezza normativa. Il governo Lega – Cinque stelle in pochi mesi ha esposto l’Italia a gravi rischi con il Def votato dal Parlamento italiano nell’ottobre 2018. E questo è accaduto a poche settimane di distanza da quando il presidente del Consiglio italiano e il ministro dell’Economia si erano impegnati con il Consiglio europeo e con la Commissione a rispettare parametri compatibili con un sia pur lento ridimensionamento strutturale del debito. Aver trasgredito questi impegni ha minato gravemente la fiducia nell’Italia. E i mercati stanno reagendo come sappiamo, con le conseguenze che possiamo oggi temere.

Marco Eppure sentiamo ripetere continuamente che la nostra crisi, la nostra mancata crescita dipendono dall’Europa; e che dobbiamo smettere di sottometterci alla burocrazia di Bruxelles.

Aps Accollare all’Europa le nostre criticità è un’operazione politico-mediatica straordinariamente efficace. Ma è il contrario del vero. Anzitutto delle decisioni dell’Unione noi siamo corresponsabili, le abbiamo condivise nei Consigli europei, le abbiamo votate nel nostro Parlamento. Ma soprattutto, la tenuta dei nostri conti è un’esigenza vera nell’interesse nostro, come abbiamo già detto; e non è vero che sia l’Europa a ordinarci di fare tagli sui nostri servizi essenziali. L’impegno è di ridurre gradualmente il debito pubblico e il deficit. Ma siamo noi che dobbiamo decidere come farlo: se risparmiare sugli sprechi, se aumentare la produttività con le opportune riforme, o se invece, come è più facile, smentire gli impegni assunti e poi accollarne la responsabilità all’Europa. La vicenda di Brexit, con i gravi inconvenienti che solo ora gli inglesi cominciano a percepire, dovrebbe pure insegnarci qualcosa!

Marco Se le scelte dei sovranisti sono così rischiose per l’Italia, non verrà il momento in cui gli elettori, i cittadini se ne accorgeranno?

Aps Se le promesse fatte dai partiti al governo non verranno modificate, quel momento senza dubbio verrà. Ma forse sarà troppo tardi.

Marco In conclusione, per l’Europa la prognosi è infausta?

Aps Nonostante i tanti segnali negativi, che abbiamo richiamati sopra, ai quali altri se potrebbero aggiungere, nonostante i gravi rischi che l’Italia e l’Europa stanno correndo, la partita non è chiusa. È stato arduo costruire un edificio come l’Unione, le istituzioni sono difficili da creare; ma sono anche difficili da distruggere. Inoltre, come ho accennato, alla base i cittadini sanno bene che per il mondo di domani (ma in realtà già oggi) non ci sarà un ruolo adeguato per i piccoli Stati nazionali, per nessuno degli Stati europei, Germania inclusa. Un Progetto ambizioso di evoluzione dell’Unione è stato enunciato dai presidenti delle più importanti istituzioni dell’Unione. La più grave crisi economica dagli Anni Trenta è stata affrontata con decisione. Alcuni passi avanti importanti ci sono stati in questi anni, dal ruolo accresciuto del Parlamento europeo al ruolo decisivo svolto dalla Banca centrale europea, dalle recenti iniziative per una difesa comune all’introduzione di una vigilanza sovranazionale sulle banche. Last not least, una fascia alta e qualificata di intellettuali europei sta esprimendo in questi mesi, anche pubblicamente, la propria fede nell’ideale europeo. Molto bello è, ad esempio, l’appello recente di uno dei maggiori filosofi viventi, Jürgen Habermas, insieme con alcuni dei più influenti uomini politici tedeschi, in sostegno di un’Europa unita in grado di difendersi e di agire efficacemente per lo sviluppo, contro le disparità sociali e la disoccupazione (We are deeply concerned about the future of Europe and Germany, “Handelsblatt”, 25 ottobre 2018). È significativo che ci sia in Germania chi ha compreso e dichiara apertamente che dal futuro dell’unione europea dipende anche il futuro della Germania. Gli appelli pro-europei si stanno moltiplicando. Per l’Unione l’elezione europea del 2019 sarà decisiva.

Template:Anchor Il Parlamento europeo, 2019 scadenza decisiva[modifica]

Marco Vorrei allora capire meglio perché è importante andare a votare alle elezioni europee, come saremo chiamati a fare nel mese di maggio del 2019.

Aps Le elezioni europee che si tengono ogni cinque anni sono sempre importanti. Ma l’elezione del 2019 sarà la più importante di tutte quelle svolte sinora. E questo per diverse ragioni. L’Europa si trova in una difficile condizione di crisi, una crisi di sicurezza e una crisi economica, entrambe non ancora superate: basti pensare al livello di disoccupazione soprattutto giovanile e al fenomeno impressionante delle migrazioni dal Mediterraneo e dall’Africa. Inoltre, alcune elezioni nazionali – anzitutto in Francia, con la nomina di Emmanuel Macron alla presidenza della Repubblica – hanno creato una situazione nuova, di rilancio dell’idea europea, che sta trovando un riscontro anche al livello delle istituzioni dall’Unione, a cominciare dal Parlamento europeo. Nel maggio dell’anno venturo l’esito del voto segnerà, forse irreversibilmente, il futuro dell’Unione europea. Si fronteggeranno, in tutti i Paesi dell’Unione due visioni molto diverse, se non addirittura opposte: quella di chi vuole smantellare l’Unione restituendo ai governi nazionali le funzioni che con l’integrazione sono passate all’Unione e quella di coloro che al contrario intendono portare l’Unione e dunque l’Europa e ciascuno dei suoi Paesi membri a un livello superiore e soddisfacente di funzionalità e di democrazia, seguendo la lettera e lo spirito dei trattati, che parlano di “un’unione sempre più stretta”.

Marco Ad oggi, chi rappresenta in modo chiaro ciascuna di queste due posizioni?

Aps Una risposta è semplice: anzitutto Macron da una parte, Salvini, Le Pen e Orban dall’altra. Ma alla posizione pro-europea aderiscono con sfumature diverse, insieme alla Francia, anche la Germania di Angela Merkel, la Spagna, il Portogallo, il Benelux, l’Irlanda e altri.

Marco E l’Italia?

Aps L’Italia, che è stata sempre, in sessant’anni, promotrice attiva dell’integrazione europea, e come tale riconosciuta ovunque, oggi è su posizioni scettiche e negative. Ovviamente mi auguro che questa involuzione del nostro Paese costituisca solo una parentesi.

Marco Tra queste visioni diverse se opposte, come Lei ha detto, non ci sono davvero possibili punti in comune?

Aps La domanda è assolutamente giustificata. Se è vero che la lotta politica si svolge, specie in vista delle scadenze elettorali, sulla base di programmi distinti e contrapposti, è altrettanto vero che sia al livello parlamentare che nel governo occorre quasi sempre raggiungere intese che in qualche misura sfumano i contrasti. L’importante è che la qualità delle intese non ne risenta, perché ci sono i compromessi al rialzo e quelli al ribasso. Ad esempio, la Commissione europea ha sviluppato una grande capacità di individuare, in molti casi, un punto di incontro tra posizioni inizialmente distanti espresse dai singoli governi nazionali oppure nella procedura di codecisione tra Parlamento europeo e Consiglio dei ministri, della quale parleremo. E lo stesso avviene, in altre forme, all’interno del Parlamento europeo.

Marco Perché l’elezione del 2019 presenta questi aspetti di novità rispetto alle elezioni precedenti?

Aps L’elezione del 2019 sarà in certo senso la prima vera elezione europea, e non, come spesso è avvenuto in passato, anzitutto una proiezione delle politiche nazionali. È stato Mario Albertini ad affermare, quarant’anni fa, che l’Unione europea avrebbe messo radici il giorno in cui il suo governo fosse diventato oggetto di lotta politica, come è proprio delle democrazie. Questo processo, avviato già nell’elezione europea del 2014, oggi sta compiendo un passo avanti molto deciso.

Marco Torniamo allora alle elezioni del 2019. Come si formeranno i gruppi politici e le maggioranze nel nuovo Parlamento europeo?

Aps Saranno determinanti i programmi dei partiti e le alleanze elettorali concordate prima del voto: bisognerà vedere quali partiti nei singoli Paesi – e dunque anche in Italia – si collegheranno tra loro alleandosi con l’uno o con l’altro schieramento, allo scopo di formare una maggioranza nel nuovo Parlamento europeo eletto, dal quale usciranno il Presidente della Commissione, i Commissari e soprattutto le scelte legislative e di bilancio dell’Unione nel successivo quinquennio 2019-2024. Il ruolo dei parlamentari europei eletti in Italia potrà risultare determinante.

Marco A me però pare che il Parlamento europeo conti ancora poco.

Aps Certo non conta ancora abbastanza, ad oggi. Ma che conti poco non è vero. Per due ragioni: perché senza la sua presenza attiva l’Unione europea non sarebbe una struttura democratica; e perché nel corso dei decenni, da quando i cittadini hanno cominciato nel 1979 a votarlo ogni cinque anni, dunque ormai da quarant’anni, il suo peso è costantemente cresciuto. Sul primo punto, la questione è chiara: nei regimi democratici moderni le leggi debbono essere votate da un organo eletto dai cittadini, che sono i soli sovrani; e le scelte politiche di fondo debbono essere assunte da un governo che abbia la fiducia del parlamento eletto, là dove non ci sia, come negli Usa, una costituzione presidenziale, che prevede l’elezione diretta del presidente.

Marco Dunque il voto europeo è essenziale per un funzionamento democratico dell’Unione?

Aps Sì. L’Unione europea non è uno Stato, non è neppure sino ad oggi una vera federazione di Stati, ma ha competenze economiche, sociali e politiche di tale importanza da non poter funzionare in modo democratico senza una base di legittimazione popolare: l’elezione ha questo scopo. Il peso del Parlamento europeo come abbiamo già detto è cresciuto. Le leggi nazionali sull’economia, vigenti nei diversi Paesi dell’Unione, sono in gran parte la derivazione di leggi europee, come tali votate dal Parlamento europeo, con una procedura di doppia decisione (codecisione) con il Consiglio dei ministri europeo, in coerenza con un modello di tipo federale. Questo fatto l’opinione pubblica lo ignora, la stampa e la televisione (ma anche Internet) lo trascurano. A loro volta, le forze politiche nazionali tendono ad esaltare il proprio ruolo e a svalutare il ruolo dell’Unione europea, salvo attribuirle spesso e volentieri decisioni impopolari o comunque contestabili che i governi stessi hanno sollecitato in sede europea.

Marco Tuttavia il recente doppio voto del Parlamento europeo del 12 settembre 2018 sull’Ungheria di Orban e sui diritti di copyright ha avuto ampia risonanza.

Aps Giustissima osservazione. Io considero questa data come davvero storica, perché è la prima volta dal lontano 1979 in cui le decisioni del Parlamento europeo sono state messe in risalto sulle pagine di tutti i giornali d’Europa e in tutti telegiornali. Forse la stampa e la televisione stanno finalmente prendendo atto del ruolo politico e democratico del Parlamento europeo. Il voto sull’Ungheria ha mostrato che quando si tratta dei principi di democrazia, di equilibrio tra i poteri e di libertà di pensiero i rappresentanti dei cittadini europei sono fermi nel difendere i diritti fondamentali: l’iniziativa di sanzionare le violazioni del governo di Orban ha ottenuto oltre i due terzi dei voti. Anche il voto del Parlamento sul copyright ha segnato una svolta, a tutela dei diritti d’autore, contrastando i privilegi anche fiscali dei grandi circuiti mondiali, da Google a Facebook.

Marco Ora mi è più chiaro che il Parlamento europeo è un vero parlamento e non un semplice foro di discussione, come molti ancora ritengono.

Aps Sì, nelle materie in cui i trattati hanno stabilito la sua competenza è proprio così. Anche se ci sono ancora fondamentali lacune sulle competenze da attribuire al Parlamento, per esempio in materia fiscale e di bilancio. Aggiungo un punto che mi sembra importante: oggi vediamo che spessissimo i parlamenti nazionali funzionano male, sono teatro di risse e di contrapposizioni rigide e aprioristiche, dettate dai partiti e imposte ai parlamentari. Invece le discussioni e le decisioni del Parlamento europea avvengono in un clima molto diverso, certo anche acceso come è naturale per le scelte di un’assemblea politica, ma sereno e privo di schieramenti rigidi, immobili. È così che deve funzionare un vero parlamento.

Marco Andremo dunque a votare per il Parlamento europeo nel maggio 2019: può chiarire quale è la procedura elettorale?

Aps Una legge elettorale comune è prevista dai trattati ma ancora non esiste in Europa, anche se il criterio di base in atto è quello della proporzionalità: nel doppio senso di un numero di eletti sostanzialmente proporzionale rispetto alla popolazione di ciascuno Stato dell’Unione (con una certa sovra-rappresentazione in favore degli Stati più piccoli) e di un numero di eletti proporzionale rispetto ai voti ottenuti da ciascuna delle liste nazionali.

Marco Come si svolge il voto?

Aps Gli elettori italiani (come quelli degli altri Paesi membri, naturalmente) votano scegliendo tra le liste dei diversi partiti e potendo in molti casi esprimere preferenze sui nomi dei candidati. I partiti sono quelli tradizionali nel nostro Paese, ma i più importanti sono collegati al livello europeo con i partiti affini. I tre gruppi politici più consistenti al livello europeo sono quelli dei Partito popolare europeo (la destra moderata), dei Socialisti europei (incluso il nostro PD) e dei Liberali. Poi ci sono i gruppi della Sinistra europea e i partiti antieuropei, tra i quali da noi la Lega, in Francia i seguaci di Marine Le Pen. Questi collegamenti al livello europeo sono importantissimi perché ciascun gruppo in vista delle elezioni del nuovo Parlamento prefigura un programma europeo comune. Come scegliere? Naturalmente sulla base dei programmi e dei candidati annunciati prima del voto.


Template:Anchor II. La grande crisi europea[modifica]

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Template:Anchor Crisi economica ed Europa[modifica]

Marco Da dieci anni ormai l’Italia è in crisi, i giovani non trovano lavoro, l’economia non cresce, il debito pubblico continua a salire. Come possiamo spiegare le cause di questa situazione?

Aps Non solo l’Italia ma tutta l’Unione europea ha attraversato la crisi economica più grave che il mondo abbia conosciuto dagli anni Trenta del Novecento. È una crisi che l’Europa ha importato dagli Stati Uniti, dove tra il 2007 e il 2008 dapprima una gigantesca bolla immobiliare (i mutui per l’acquisto di case venivano concessi anche ad acquirenti privi di garanzie e tuttavia il valore degli immobili saliva inarrestabilmente, sino al momento in cui la bolla scoppiò) poi il fallimento della grande Banca d’affari Lehmann Brothers hanno gettato la finanza e l’economia statunitense nella crisi: si ebbe un calo vistoso dell’occupazione e una brusca discesa del Prodotto interno lordo (il Pil). La crisi si è trasmessa rapidamente in Europa, dati gli intrecci strettissimi tra le economie e la finanza delle due parti dell’Atlantico.

Marco Come hanno reagito gli Stati Uniti?

Aps Gli Stati Uniti hanno reagito con decisione e immediatezza, attraverso investimenti massicci del governo federale nell’economia, dell’ordine di 800 miliardi di dollari. Sono anche intervenuti a risanare e ricapitalizzare i bilanci delle banche. E nell’arco di un paio d’anni hanno invertito la tendenza, riprendendo la crescita e contrastando la disoccupazione. L’Unione non ha potuto operare entro l’Eurozona in modo analogo agli Usa, perché non disponeva di un vero governo dell’economia, né di un adeguato bilancio comune, né delle necessarie risorse. Il riconoscimento di questi handicap ha spinto le istituzioni dell’UE a introdurre molteplici riforme dell’unione moneraria negli ultimi anni.

Non è certo un caso che negli Usa la produzione sia presto tornata a crescere a più del 3% del PIL mentre in Europa è rimasta a lungo sotto la metà di questo valore; e la disoccupazione, che negli Usa è presto tornata ad un tasso quasi fisiologico del 4%, in Europa è tuttora in media del 10%, con punte molto più elevate ancora per la disoccupazione giovanile. Questo va detto, senza però dimenticare che l’Unione è stata tutt’altro che passiva di fronte alla crisi.

Marco Come ha agito l’Unione europea?

Aps L’Unione ha reagito alla crisi con una serie impressionante di misure adottate soprattutto negli anni dal 2010 al 2013. Esse hanno essenzialmente lo scopo di disciplinare quei bilanci nazionali che sono devianti rispetto ai parametri fissati dal trattato di Maastricht, e questo per evitare che la crisi finanziaria o bancaria di un Paese dell’Unione, in particolare entro l’Eurozona, possa mettere a rischio l’economia, la finanza, il sistema bancario e la moneta dell’Unione nel suo complesso. Ma tali misure hanno hanno purtroppo determinato in molti casi politiche fiscali pro-cicliche anziché incentivare la crescita e l’occupazione che la crisi aveva bloccato. La recente crisi in Europa è stata molto difficile da gestire anche perché – nata come crisi finanziaria importata dagli USA – è diventata crisi bancaria, economica e sociale. L’Unione è intervenuta in sostegno dei paesi in difficoltà creando l’European Financial Stability Facility (EFSF, maggio 2010), presto sostituito dal Fondo European Stability Mechanism (ESM, gennaio 2012), tuttora in vigore, come abbiamo già ricordato. Parallelamente l’Unione ha fortemente potenziato le misure finalizzate a coordinare le politiche di bilancio dei Paesi membri verso il rispetto dei parametri di Maastricht, con l’obiettivo di portare i Paesi con elevato debito pubblico, più esposti agli attacchi speculativi, a intraprendere politiche di graduale riduzione del debito (“Six pack”, dicembre 2011, Fiscal Compact (ottobre 2012), e “Two pack”, maggio 2013). Tutte queste iniziative dell’Unione hanno coinvolto la Commissione, il Consiglio europeo, l’Ecofin che comprende i ministri delle finanze dell’Unione e l’Eurogruppo che oggi include i 19 Paesi che hanno adottato l’Euro.

Marco Cos’è il Fiscal Compact?

Aps La procedura di rafforzamento del controllo dei bilanci degli Stati membri è culminata nel Trattato sulla stabilità, coordinamento e governance (in vigore dal 3 ottobre 2012), noto come Fiscal Compact, votato da tutti gli Stati membri ad eccezione della Gran Bretagna e della Repubblica Ceca (quest’ultima ha però in seguito aderito). Si è tra l’altro deciso di inserire nelle rispettive legislazioni nazionali il principio del pareggio del bilancio; anche l’Italia lo ha fatto, rafforzando con un voto a larghissima maggioranza del nostro Parlamento un obbligo che già figurava nella nostra Costituzione all’art. 81. Va detto che il Fiscal Compact ha la natura di un accordo tra governi, con i limiti di legittimazione democratica che questo fatto comporta.

Marco Perché sono state necessarie regole così stringenti sui bilanci nazionali, sul deficit e sul debito pubblico?

Aps . Quando a Maastricht nel 1992 si è decisa la creazione della moneta unica, questa scelta implicava ovviamente il passaggio della sovranità monetaria dagli Stati all’Unione attraverso la Banca centrale europea (Bce). Sino alla nascita dell’euro gli Stati, pur attraverso complesse procedure concordate, potevano far fronte a crisi economiche e finanziarie attraverso lo strumento del cambio delle rispettive monete, anzitutto con le svalutazioni competitive. Si trattava di misure di breve periodo, a danno della perdita di valore della moneta nazionale per i cittadini del paese. L’Italia lo aveva fatto ripetutamente. Con la moneta unica questo non è più stato possibile con riferimento ad un singolo Stato membro dell’Unione: la Banca centrale è la sola titolare della politica monetaria dei Paesi dell’euro e deve tener conto dell’intera Eurozona della quale è garante quanto alla stabilità monetaria. Il Trattato di Maastricht ha disposto tassativamente che la creazione di nuova moneta da parte della Banca centrale europea non possa essere utilizzata per ripianare il debito eccessivo di uno Stato membro dell’Unione, tale da renderlo insolvente, perché questo comporterebbe alla fine di mettere a carico dei contribuenti degli altri Stati membri il peso di una politica economica non sana praticata dallo Stato in questione. Infatti poteva accadere (e può tuttora accadere) che uno Stato con una finanza pubblica fuori controllo si trovi nell’impossibilità di farvi fronte se l’onere per gli interessi sale eccessivamente, sino a rendere insostenibile l’impegno conseguente; in tal caso può entrare in crisi non solo la finanza pubblica dello Stato insolvente ma anche l’intero suo sistema bancario, e non solo quello del Paese indebitato. Occorre allora ricondurre lo Stato deviante ad una gestione corretta del proprio bilancio, che accompagni gli interventi di sostegno per uscire dalla crisi. È questo il motivo per il quale la crisi iniziata nel 2008 ha indotto l’Unione ad adottare le misure delle quali abbiamo appena parlato, nell’intento di rendere cogenti le regole introdotte a Maastricht.

Marco Ma la Banca centrale europea non potrebbe stampare moneta per intervenire a sostegno di uno Stato insolvente?

Aps È ciò che alcuni critici dell’euro e della moneta unica vorrebbero e ciò che chiedono con insistenza. Senonché questa richiesta è priva di fondamento. Nessuna Banca centrale – neppure la Federal Reserve americana – è prestatore di ultima istanza di uno Stato che si indebita in misura tale da mettere a rischio la propria solvibilità. Lo faceva l’Italia sino al 1981, generando un’inflazione crescente e altamente dannosa. Dopo di allora si è introdotto anche in Italia il principio dell’indipendenza della Banca centrale. È il cardine adottato anche dalla Banca centrale europea in base al trattato di Maastricht, proprio per impedirle di svolgere la funzione di prestatore di ultima istanza di uno Stato, perché ciò “eliminerebbe qualsiasi incentivo per i governi a tenere sotto controllo le finanze pubbliche” (Bini Smaghi, 2014, p. 93), con le conseguenze che sappiamo.

Marco Quale è stato il ruolo della Banca Centrale Europea nella gestione della crisi?

Aps Il ruolo della Bce è stato fondamentale per garantire la stabilità della moneta e stabilizzare le condizioni sui mercati monetari e finanziari. All’apice delle turbolenze dell’estate 2012, un discorso di Draghi ha calmato i mercati, attestando l’autorevolezza e la credibilità della Bce. La frase famosa pronunciata allora suonava semplicemente così: “within our mandate, the European Central Bank is ready to do whatever it takes to preserve the euro; and believe me, it will be enough”. Gli interventi della Banca centrale sono stati incisivi e molteplici; essi hanno incluso un piano di rifinanziamento a lungo termine mediante prestiti alle banche (Ltro, 2011-2012), l’acquisto sul mercato secondario di titoli di Stato (Smp, 2012) nonché il possibile acquisto diretto da parte della Bce di titoli di stato a breve termine emessi da Paesi in difficoltà macroeconomica grave e conclamata, a condizione che i conti pubblici dello Stato siano sotto controllo: è questo l’Outright Monetary Transaction (OMT, settembre 2012) che la Corte di giustizia europea, alla quale la Corte costituzionale tedesca aveva fatto ricorso, ha dichiarato legittimo nel 2014. A due riprese, nel 2014 e nel 2016, sono stati attivati per gli enti creditizi finanziamenti sino a quattro anni e condizioni particolarmente favorevoli (Tltro). Il rischio molto grave di una deflazione ha nel frattempo indotto la Bce ad intraprendere il Quantitative Easing (QE) allo scopo di rendere più conveniente e più fluido il credito: la Banca centrale europea ha immesso per alcuni anni nel circuito del credito un volume di liquidità enorme, 60 miliardi di euro al mese ed anche oltre, con lo scopo di consentire alle banche di operare senza restrizioni e di evitare la deflazione che si stava preparando, anche allo scopo di riportare l’inflazione verso il valore indicato dai trattati, vicino al 2%. Iniziato nel marzo 2015, il QE sembra ormai in fase di chiusura. L’OMT permane fra gli strumenti attivabili dalla Bce, alle condizioni però che abbiamo ricordato, cioè solo a fronte di una politica di risanamento (verificabile e monitorata) da parte dello Stato o degli Stati membri che intendono usufruirne.

Marco Tutte queste misure sono bastate per superare la crisi economica e finanziaria?

Aps Esse hanno bensì gradualmente riportato l’ordine nei bilanci nazionali di alcuni Paesi (in particolare Spagna, Portogallo, Irlanda), talora al costo di disagi estremamente pesanti, come è accaduto in Grecia. La crisi ora è sostanzialmente superata. Ma la ripresa è stata lenta e faticosa, anche a causa di un contesto internazionale sfavorevole. Si è andati vicino ad una vera recessione dell’economia che avrebbe avuto conseguenze devastanti sull’occupazione.

Marco L’euro dunque ha superato la crisi?

Aps Sì, questa crisi è stata superata. Decisivo è stato il ruolo della Banca centrale europea, attraverso le misure che abbiamo appena ricordato. Particolare importanza assumono gli interventi adottati per stabilizzare il sistema bancario, rafforzandone il capitale e centralizzando la vigilanza delle banche di maggiori dimensioni presso la Bce. È questo il progetto, ancora incompleto, dell’unione bancaria.

Marco Possiamo allora stare tranquilli per il futuro?

Aps Purtroppo no. Per diverse ragioni. Perché non tutti gli Stati hanno messo i propri conti in ordine, a cominciare proprio dall’Italia, che oggi costituisce il fronte più esposto dell’intera Eurozona. Perché il sistema finanziario e i mercati non sono prevedibili e possono sempre precipitare in nuove crisi. E perché l’unione bancaria non è stata ancora completata.

Marco In Europa ci vuole dunque anche una riforma del sistema bancario?

Aps Certamente, per l’interconnessione stretta tra le economie e la finanza dei diversi Paesi dell’Unione, senza la quale il mercato unico non potrebbe funzionare. L’Unione, sotto la spinta della crisi, si è posta un obbiettivo fondamentale, quello di dar vita ad una effettiva unione bancaria. La decisione è scaturita dal Consiglio europeo di fine giugno 2012 che ha recepito il cosiddetto Documento dei quattro Presidenti, una sorta di Roadmap per il futuro dell’Unione, nel quale si prospettavano le quattro unioni da realizzare progressivamente: bancaria, fiscale, economica e politica. L’unione bancaria, che già da tempo si era rivelata necessaria, è così finalmente decollata a livello europeo. Il progetto dell’unione bancaria comprende tre principali obbiettivi: l’istituzione di un potere di vigilanza sovranazionale, perché le grandi banche sono attive contemporaneamente in più Paesi; un meccanismo condiviso per intervenire in caso di default di una o più banche; una garanzia comune sui depositi bancari. Ad oggi, la vigilanza sovranazionale è stata completata e il meccanismo di risoluzione delle crisi bancarie è partito, seppure incompleto, mentre sul meccanismo europeo dei depositi manca ancora l’accordo. Questo ritardo lascia i sistemi bancari nazionali ancora esposti al rischio di instabilità e può produrre conseguenze negative per le banche, per i risparmiatori e per lo sviluppo dell’economia e del mercato unico.

Marco Si sente spesso ripetere che responsabile dell’alto tasso di disoccupazione e della mancata crescita è proprio l’Europa. Sono giustificate queste accuse contro l’Unione europea?

Aps Non si deve pensare né che l’Europa non abbia fatto nulla per superare la crisi né che essa possa fare tutto. Delle misure adottate dall’Unione abbiamo appena parlato. La difesa della moneta europea è stata un successo e le misure per indurre i Paesi con alto debito e con alto deficit ad adottare politiche di rientro nella normalità sono obbiettivi importanti: non perché lo prescrive un Trattato ma perché un Paese che si indebita fuori misura mette a rischio il proprio futuro e carica sulle spalle dei giovani un peso troppo alto; e perché i debiti vanno pagati e – pur dovendosi tenere ben presente il principio di solidarietà, sul quale torneremo – non è giusto che siano i contribuenti di Paesi con i conti in ordine a dover sanare costantemente le carenze di Paesi troppo indebitati. Tuttavia, se per riavviare la crescita e combattere la disoccupazione occorrono investimenti pubblici massici, proprio i Paesi fortemente indebitati hanno le mani legate perché gli spazi di manovra per incrementi di spesa pubblica su questi fronti sono ridottissimi.

Marco È qui che l’Europa dovrebbe intervenire?

Aps Sì. E non lo ha fatto in misura adeguata. Nel 2010 Tommaso Padoa-Schioppa aveva espresso in modo breve e pregnante una strategia per contrastare la crisi con efficacia: “il risanamento spetta agli Stati, l’Europa intervenga per la crescita”. Su questo fronte l’Unione è stata caren te. Solo con la Commissione uscita dalle elezioni europee del 2014 è stato promosso, per iniziativa del Presidente Juncker, un piano che ha portato alla creazione del Fon do europeo per gli investimenti strategici (Feis) – per il triennio 2015-2018 sono previsti 315 miliardi di euro, che arriveranno a 500 miliardi entro il 2020 – ed ha permesso di raccogliere capitali per investimenti già attivati per 335 miliardi di euro (Juncker, Discorso sullo stato dell’UE, 12 settembre 2018). Per l’Italia sono stanziati dal Piano 8 miliardi, che con l’apporto degli investitori incentivati dalle garanzie europee potrebbero arrivare a ben 50 miliardi. Con questi soldi si sta facendo molto, ma questo ancora non basta. Ed agire sarebbe possibile, in quanto l’Unione non soltanto potrebbe avvalersi di nuove risorse proprie ma non avendo sin qui neppure un euro di debito potrebbe inoltre, mantenendo il bilancio in condizioni di sicurezza, emettere quote di bonds destinate ad investimenti. Ma non si tratta solo di spendere più soldi per la crescita. Il grande punto di forza economico dell’Unione europea, che è il mercato unico, andrebbe completato nei servizi, soprattutto i servizi a rete, e nella creazione di un autentico mercato unico per i servizi digitali. Così si potrebbero mobilita re ingenti investimenti privati e creare posti di lavoro nei campi delle nuove tecnologie.

Marco Come si spiega questa carenza di visione, questa miopia dell’Unione europea che ha impedito di uscire prima – e meglio – dalla crisi dell’ultimo decennio?

Aps Come spesso accade nelle cose umane, si è trattato di un deficit prima di tutto culturale. È prevalsa in questi anni una dottrina dell’economia che ha le sue radici nella Germania di Weimar e che tuttora domina la condotta dei governi tedeschi. È la dottrina della “casa in ordine”, per la quale la condizione necessaria e sufficiente perché vi sia uno stabile ordine internazionale, tale da evitare crisi di sistema anche sul terreno della finanza, è che ogni Stato assicuri l’equilibrio del proprio bilancio. È un’illusione parallela a quella che nell’Ottocento aveva indotto a ritenere che la guerra sarebbe stata scongiurata in Europa il giorno in cui vi fosse stata la coincidenza di Stato e Nazione. In pari tempo, si è accreditata con enorme successo la tesi per la quale la politica migliore è di lasciare la mano libera al mercato perché è il mercato che conosce meglio le condizioni dell’economia e che è in grado, da solo, di autocorreggersi; l’intervento pubblico non sarebbe dunque né necessario né opportuno. Questa impostazione da circa un quarantennio, dagli anni di Ronald Reagan e di Margaret Thatcher, è la dottrina dominante, teorizzata da intellettuali autorevoli, quali l’influente scuola di Chicago già dominata da Milton Friedman. In realtà, proprio la crisi recente ha dimostrato che per contrastare le crisi più gravi, che sempre possono tornare a verificarsi, occorrono strumenti diversi. Il mercato non sempre si autocorregge, anche perché è la vittima di ondate speculative da esso stesso prodotte.

Marco E allora quali sono i rimedi contro questi fallimenti dei mercati?

Aps Bisogna considerare due elementi: se è vero che il mercato può funzionare solo entro un perimetro di regole perché non è una condizione di natura ma una creazione dell’economia e in definitiva della politica, occorre però in pari tempo lasciare alla politica – al livello al quale sia necessario od opportuno inervenire, dunque per l’Unione al livello sovranazionale – un effettivo potere di governo, un potere fiscale ed anche uno spazio di discrezionalità e di intervento che il mercato, pur se disciplinato da regole, non è in grado di assicurare, soprattutto quando si deve fronteggiare una crisi. Del resto, la grande crisi degli anni Trenta è stata vinta da Roosevelt anche con una politica lungimirante di investimenti pubblici. L’Unione europea questo non lo ha fatto, comunque non in misura sufficiente, non al livello giusto. E i risultati sono stati negativi. È la conseguenza di quella carenza di un governo federale dell’economia della quale già abbiamo parlato.

Template:Anchor Crisi migratorie ed Europa[modifica]

Marco Io avverto, ancor prima della preoccupazione per l’economia, un forte senso di insicurezza, anzi spesso addirittura di paura e di ostilità per la presenza di una minoranza di immigrati extraed intracomunitari nel nostro Paese. Ed anche di questa situazione si sente spesso imputare la responsabilità all’Europa: che non ci difende, non ci aiuta, non interviene. È esatto questo?

Aps Il tema delle immigrazioni è diventato in questi ultimi anni cruciale in tutti i Paesi dell’Unione. In Italia ancor più che altrove. Vorrei anzitutto delineare in sintesi qualche elemento di informazione, desunto dalle statistiche dell’Istat. Gli stranieri presenti in Italia nel 2018 ammontano a 5.144.440, pari all’8,5% della popolazione italiana. Di essi, il 51% proviene dall’Europa, in massima pare dai Paesi dell’Unione. Dall’Africa proviene il 21%, dall’Asia il 20,5%, dalle Americhe il 7%. Gli uomini immigrati sono meno delle donne e i musulmani sono meno di un terzo del totale. Chi proviene da un altro Stato dell’Unione ha, in virtù dei trattati europei, libero diritto di circolazione; per i restanti immigrati, si distinguono tre categorie: coloro che hanno un regolare permesso di soggiorno; coloro che sono entrati chiedendo il diritto d’asilo e lo status di rifugiato, previsto dai trattati per chi viene perseguitato nel paese d’origine (Convenzione di Ginevra del 1951); e infine gli immigrati irregolari, cioè coloro che sono entrati illecitamente senza dichiararsi rifugiati, coloro per i quali è scaduto il permesso di soggiorno, ma soprattutto coloro che hanno vista respinta la domanda di asilo in quanto non provenienti da Paesi considerati persecutori.

Questa categoria dei migranti irregolari conta attualmente in Italia circa 500.000 individui; nel 2003 erano 250.000 in più rispetto ad oggi. Per loro è prevista l’espulsione, ma questa misura è di difficilissima esecuzione ed anche molto costosa: è stato calcolato che ammonta a circa 4.000 euro a persona, anche perché gli individui da espellere dovrebbero nel frattempo venire reperiti entro il territorio. Invece i richiedenti asilo vengono allocati in apposite strutture, in attesa degli accertamenti sull’identità e sulla provenienza, con procedure che richiedono mesi e spesso anni, con elevati costi di mantenimento. Questi dati sull’identità e sulla provenienza spessissimo sono mancanti o fittizi, perché anche i migranti per motivi economici tendono a dichiararsi perseguitati politici per ottenere il diritto d’asilo, pur provenendo in realtà da Paesi non persecutori. Tutto ciò dà un’idea delle difficoltà e dei costi legati a queste situazioni.

Marco La tesi dei partiti “populisti” è che bisogna chiudere le frontiere e respingere ogni ulteriore ingresso di migranti in Italia. Sarebbe pensabile ipotizzare una chiusura rigida alle immigrazioni?

Aps Occorre avere ben chiaro un punto fondamentale. Non solo l’Italia, ma l’intera Europa hanno un vitale bisogno di immigrati (da alcuni calcoli risulta che ne occorrerebbe alme-

no un milione all’anno in Europa e probabilmente anche di più) per contrastare la crisi demografica: stiamo diventando una popolazione di anziani, con pochi giovani e con una quota insufficiente di persone in età di lavoro; questo potrà avere conseguenze insostenibili, sia per i lavoratori attivi che per i pensionati di domani. Una quota adeguata e ben regolata di immigrati – i quali tra l’altro hanno un tasso di nascite più alto del nostro – è indispensabile già oggi e lo sarà anche in futuro per la nostra economia e per il nostro benessere.

Marco Riguardo al tasso di natalità, quanto gioca il fenomeno migratorio?

Aps Conta molto. Gli immigrati, per ragioni di cultura ed anche per il sollievo di essere sfuggiti a situazioni spesso tragiche di persecuzione e di miseria, hanno generalmente una tendenza assai più accentuata a mettere al mondo dei figli.

Marco Tuttavia il flusso di immigrati in Italia continua a destare preoccupazione, allarme, reazioni.

Aps Anche su questo bisogna anzitutto conoscere i dati reali. Vi è stato nel 2015 un picco nelle immigrazioni in Europa e anche in Italia, causato in larga misura dalla guerra in Siria. L’accordo dell’Unione europea con la Turchia, lautamente ricompensata per questo, ha quasi arrestato questo flusso nel Mediterraneo orientale. Gli sbarchi in Italia, prevalentemente dalla Libia che funge da ponte per le regioni a sud del Sahel, sono scesi da 181.000 nel 2016 a 119.000 nel 2017 e a 17.000 nei primi sei mesi del 2018, con un calo dell’ordine dell’80%. Diciamo la verità: oggi questa attenzione ossessiva per poche centinaia di migranti in attesa di ingresso nei nostri porti è solo un pretesto. È un fenomeno mediatico deplorevole, utilizzato da alcuni politici a fini demagogici, purtroppo con successo. Il vero problema non è attualmente quello degli ingressi bensì quello della gestione degli immigrati già presenti in Italia. Dal momento che l’espulsione di centinaia di migliaia di migranti è inattuabile, occorre mettere in atto politiche di integrazione attiva più efficaci.

Marco All’inizio io parlavo di insicurezza e di ostilità verso gli immigrati: come fare fronte a queste paure, che hanno una radice profonda?

Aps Queste paure vanno capite e vanno affrontate, non certo eluse né disprezzate. Occorre farlo procedendo su più fronti: il fronte dei flussi di immigrati; il fronte della loro distribuzione sul territorio europeo; il fronte della loro integrazione nel mercato del lavoro; il fronte della loro formazione civica; e va aggiunto anche il fronte di un’adeguata formazione dei cittadini italiani ed europei, perché circolano non solo notizie inesatte sui numeri, ma virus ideologici molto pericolosi, che condannano in blocco alcune minoranze straniere, a cominciare dai musulmani; una deriva che può sboccare nel razzismo. Su questi diversi fronti, accanto a politiche adeguate dei singoli Paesi europei, è indispensabile una serie di politiche comuni dell’Unione, che sinora è mancata quasi totalmente. Occorre anche disporre di un circuito informativo corretto, perché i sondaggi confermano che il tasso di immigrazione percepito è ben tre volte quello dell’immigrazione reale, gli italiani credono che gli immigrati costituiscano il 25% della popolazione, non l’8,5% che è il dato reale.

Marco La fonte di molte paure non è forse la lontananza culturale, l’estraneità di lingua e di modi e stili di vita familiare degli immigrati rispetto alla popolazione locale?

Aps La lontananza culturale c’è, è innegabile. Ma diven ta pericolosa solo quando crea conflitti con la popolazione locale. Ed è inaccettabile solo quando si concreta in comportamenti – anche interni alle famiglie immigrate – che contrastano con i principi del nostro diritto e della nostra Costituzione: chi viene in Europa deve accettare le nostre Carte dei diritti, le nostre Costituzioni nazionali, che oggi trovano la sintesi nella Carta europea. Su questo non si può e non si deve transigere.

Marco Sono anche gli atti di violenza a suscitare reazioni. E ancor più la minaccia del terrorismo.

Aps Sì, i media mettono in evidenza i reati commessi da stranieri, ingenerando anche qui percezioni non sempre corrispondenti alla realtà; il che nulla toglie naturalmente alla gravità di tali comportamenti. Quanto al terrorismo islamico, terrificante nelle sue manifestazioni sanguinose contro innocenti, due sono le vie per contrastarlo, complementari tra loro: da un lato gli immigrati musulmani vanno integrati socialmente e culturalmente e non confinati in ghetti come purtroppo fuori d’Italia è accaduto spesso; d’altro lato è indispensabile una condivisione a livello europeo dei dati di intelligence, perché il terrorismo è internazionale; ed anche questo sinora non è avvenuto, comunque non in misura sufficiente, perché ogni polizia tende ad essere gelosa delle proprie banche dati. Inoltre va consideato il fatto che nella maggior parte dei casi le terribili stragi terroristiche sono state opera di individui di cittadinana europea – in Inghilterra, in Belgio, in Francia – spesso immigrati di seconda generazione, già allievi delle scuole del loro Paese di appartenenza. Questo fa capire come sia difficile combattere il rischio.

Marco Molti sono convinti che la malavita sia in gran parte opera di immigrati.

Aps Quanto alla malavita, certo essa va combattuta senza quartiere. Ma non dimentichiamo che quella di gran lunga più diffusa e più pericolosa nel nostro Paese è la malavita delle nostre quattro mafie. Le meritorie denunce di associazioni come Libera e l’azione di magistrati coraggiosi quali Gratteri ed altri, ampiamente note, sono inequivocabili. Decine di magistrati hanno pagato negli scorsi decenni con la vita il loro impegno contro la criminalità mafiosa. Eppure ancor oggi l’Italia è inquinata capillarmente, anche al Nord, dalle mafie per così dire domestiche, anzitutto dalla mafia calabra della Ndrangheta. È un virus mortale per la società civile e per l’economia.

Marco Qualche giorno fa dovevo recarmi in un ambulatorio del Servizio sanitario regionale e sono rimasto colpito per il fatto che la grande maggioranza dei pazienti in attesa era costituita da migranti. Avvertivo negli italiani presenti una forte reazione, anche se muta…

Aps Le percentuali di immigrati in Italia le abbiamo viste sopra. Se ci sono situazioni come quella che Lei ha descritta, questo si deve al modo non regolato di gestire i migranti sul territorio italiano. Una distribuzione diversa e più equilibrata, anche con riferimento all’istruzione scolastica e alla sanità, è possibile ed anzi necessaria. In altri Paesi dell’Unione questo già avviene. Accogliere gli immigrati non significa privarsi di ogni forma di regolamento, ovviamente senza discriminazioni sui diritti fondamentali. Se questo non avviene, la responsabilità è nostra e non dell’Europa, come invece si tende a far credere.

Marco L’Italia però si è anche dimostrata accogliente con i migranti; o sbaglio?

Aps l’Italia negli anni scorsi si è mossa con generosità, sia nel soccorso ai migranti in fuga dall’Africa, in particolare attraverso la Libia, sia nell’accoglienza sul territorio; e questi meriti, per una volta, ci sono stati riconosciuti: “l’Italia ha salvato l’onore dell’Europa”, ha dichiarato più volte il presidente della Commissione europea Juncker.

Marco Come si connette il fenomeno migratorio con la globalizzazione dell’economia a livello planetario?

Aps Alcuni grandi Paesi in via di sviluppo o di sviluppo recente – la Cina, l’India, il Sud est asiatico – producono molti beni tradizionali a costi talmente inferiori da rendere insostenibile la concorrenza, facendo perdere all’Europa milioni di posti di lavoro. Qui è intervenuta con efficacia e potrà ancora operare l’Organizzazione internazionale del commercio (WTO) – nella quel l’Unione europea ha un peso determinante – per ottenere condizioni tali, ad esempio sugli orari di lavoro e sul lavoro minorile, da ristabilire un livello adeguato di concorrenza, penalizzando chi non li rispetti, anche con misure di protezione doganale alle frontiere. L’Europa comunque dovrà e potrà riconvertirsi, anche a seguito della rivoluzione informatica, così da sviluppare non solo le tecnologie d’avanguardia del mondo di domani, ma anche per intervenire nel processo di crescita dei Paesi in via di sviluppo, il che comporta la creazione e/o la trasformazione di posti di lavoro. Nel corso non breve di questo processo, investire in Africa (come già sta facendo la Cina in misura impressionante) consentirà all’Europa, con la messa a punto di un grande Piano per lo sviluppo, di proseguire anche su fronti produttivi tradizionali, in pari tempo favorendo lo sviluppo economico di questo grande Continente e inducendo gli Africani a vivere nelle loro terre.

Marco Tuttavia ho letto che le previsioni prospettano numeri altissimi, più di un miliardo di nuovi nati in Nigeria nei prossimi decenni. L’Europa non potrà mai farvi fronte.

Aps Attenzione però. Già oggi la grande maggioranza dei migranti africani si sta spostando entro l’Africa stessa. Si stima che su 69 milioni di persone che vogliono migrare a livello planetario, quelli che puntano all’Europa sono meno di un decimo (Forum Villa Vigoni 2018). E potranno rimanere entro limiti ragionevoli se l’Europa attuerà in Africa le opportune politiche di investimento: vantaggiose per entrambi i continenti. È d’altra parte ben noto che quando un Paese sottosviluppato raggiunge un adeguato livello di benessere, il tasso di natalità decresce fortemente.

Marco L’Europa è già intervenuta di fronte al fenomeno migratorio?

Aps Anche qui dobbiamo sfatare alcune false percezioni. Non è vero che l’Unione non ha fatto nulla. L’accordo di Schengen del 1990, in seguito entrato nei Trattati europei a partire dal 1997, oggi prevede un Codice frontiere che disciplina l’ingresso dei cittadini dei Paesi terzi, esterni rispetto all’Unione, stabilendo alcune condizioni e alcuni controlli disposti sulla base di regole uniformi. Inoltre, stabilisce l’impegno ad instaurare progressivamente un sistema integrato di gestione delle frontiere esterne, tramite l’istituzione, dapprima, di un’Agenzia comune (Frontex), quindi di una nuova Agenzia europea della guardia costiera e di frontiera (2016), peraltro ad oggi non ancora dotata delle necessarie risorse. Quanto al diritto d’asilo, una più recente riformulazione dell’Accordo di Dublino (Dublino III, 2013) ha confermato il criterio che assegna allo Stato di prima accoglienza il compito di esaminare la domanda di protezione, una procedura lunga e problematica come già abbiamo visto. Nel 2015 è stato adottato un piano temporaneo di emergenza, in coincidenza con il picco immigratorio che sappiamo. L’attuazione del piano è stata però affidata agli Stati dell’Unione solo su base volontaria ed è stata largamente inattuata, nonostante il fatto che la Corte di Giustizia europea abbia respinto nel febbraio 2017 un ricorso dei Paesi di Visegrad contro le decisioni del 2015. Ma il principio della distribuzione solo volontaria e non cogente dei migranti tra i Paesi dell’Unione è stato purtroppo ribadito nel vertice europeo del 27 giugno 2018.

Marco E allora come dovrebbe intervenire l’Europa in modo più efficace?

Aps Ciò che dovrebbe essere disciplinato al livello europeo è anzitutto il flusso delle immigrazioni. Occorre istituire una frontiera esterna all’Unione, regolata da una normativa comune non semplicemente volontaria ma obbligatoria. Occorrono regole comuni sui criteri di accoglienza. Secondo molti osservatori dovrebbe essere superata anche la distinzione tra il diritto d’asilo (per chi è discriminato o perseguitato nel proprio Paese d’origine) e chi fugge per ragioni di guerra o per ragioni di sussistenza, per carestia, per fame e per sete, rimodulando così la Convenzione di Ginevra del 1951. Occorrono valutazioni e regole uniformi sui nume ri accettabili, in termini di possibilità di occupazione, sulla base di dati obbiettivi forniti dai singoli Paesi. Occorrono interventi comuni per stabilire i criteri per l’accoglienza e per l’inserimento, da effettuare nei Paesi d’origine ma anche in quelli di transito, oltre che naturalmente nei Paesi europei di primo ingresso. E ci vogliono le risorse per farlo. Alla Commissione europea vanno conferiti i poteri esecutivi necessari. Infine, dopo un certo periodo di residenza stabile e al termine di un adeguato processo di integrazione e di formazione civica si dovrebbe accordare agli immigrati il diritto di cittadinanza.

Marco I Paesi di accoglienza dei migranti quali compiti avrebbero?

Aps Ogni Paese dell’Unione dovrebbe programmare quanti immigrati possa ospitare, quanti posti di lavoro, e di che tipo, abbia la possibilità ed anzi la necessità di mettere sul mercato, destinandoli sia a lavoratori di altri Stati dell’Unione sia a immigrati extracomunitari. Naturalmente, occorre impedire che la domanda di immigrati sia dovuta al minor costo di una mano d’opera sfruttata, sottopagata, assunta con lavoro nero, perché questo determina un’ingiusta discriminazione a danno di chi offre un lavoro regolare e di chi non è disposto al lavoro nero. Questo non è un rischio, teorico è una drammatica realtà, specie in Italia. Va detto inoltre – questo viene spesso taciuto anche se tutti lo sanno – che ci sono lavori per i quali in Italia (e non solo…) una mano d’opera disponibile non c’è, o è insufficiente, perché non sono lavori graditi. Si pensi alle badanti, a certi lavori agricoli, ai servizi di pulizia o di ristorazione. Guai se non avessimo gli immigrati!

Marco Per gli immigrati regolari, però, come si fa a permettere che ciascuno vada dove vuole, se le esigenze dei diversi Paesi dell’Unione sono diverse?

Aps Infatti questo non dovrebbe essere possibile, almeno nella prima collocazione dei migranti entro l’Unione. E in parte lo è già: i migranti regolari ammessi in un Paese dell’Unione non possono per cinque anni spostarsi in un altro Paese dell’Unione. Come fare? Si potrebbe anche operare con incentivi e disincentivi: se tu sei stato ammesso nell’Unione in un certo Paese, sulla base della programmazione di quel Paese, non potrai usufruire della copertura sanitaria se non all’interno dei quel Paese. Solo in seguito potrai spostarti rispondendo a un’offerta di lavoro di un altro Paese. Ovviamente la situazione è diversa per gli intracomunitari, a condizione che non ci siano abusi, come pure è avvenuto.

Marco Mi sembra importante modificare la regola che impone al primo Stato dell’Unione nel quale sono arrivati i migranti richiedenti l’asilo di provvedere alla loro accoglienza. Questo penalizza evidentemente l’Italia, data la nostra posizione geografica.

Aps Certamente. Occorre modificare il regolamento di Dublino del 1990 che ha sancito questa regola, ormai inaccettabile: bisogna riconoscere che chi entra in un qualsiasi Paese dell’Unione entra in Europa, ogni frontiera nazionale di ingressi di extracomunitari deve essere considerata come frontiera europea. Il Parlamento Europeo ha già votato un progetto di riforma del Regolamento di Dublino, allo scopo di stabilire un’equa ripartizione europea dei migranti. Ma anche questa misura trova l’ostacolo del Consiglio degli Stati membri, che non decide, anche perché paralizzato dal potere di veto.

Marco Questi impegni non saranno esorbitanti rispetto alle risorse disponibili? Dove si possono reperire le risorse?

Aps Bisogna che il bilancio dell’Unione cresca, come diremo parlando della politica economica dell’Unione, attraverso la messa a punto di un vasto programma di sviluppo sostenibile che avvantaggi contestualmente sia l’Europa che l’Africa. Va aggiunto che occorrerà anche mettere a punto tecnologie nuove, ad esempio per lo stoccaggio e il trasporto di energia solare dall’Africa. I costi di elettrificazione e di estrazione di acqua per l’intera Africa sono stati calcolati e risultano affrontabili in un arco non ampio di anni, con costi sicuramente alla portata dell’Unione europea. Come vedremo meglio, il bilancio dell’Unione dovrà necessariamente essere potenziato. Progetti ed opere di questa portata, tecnicamente molto avanzate ma anche vulnerabili, andrebbero difese e garantite, ai fini della sicurezza, con apparati anche militari adeguati, che potrebbero venire gestiti dall’Unione africana – l’embrione di una futura unione del Continente, sul modello dell’Unione europea – ed anche dall’Onu, con il supporto finanziario e operativo dell’Unione europea.

Marco Oggi questo non avviene?

Aps No, tutto questo oggi non avviene. Non si è capito, da parte dei governi – o meglio, non si è voluto capire – che coordinare non significa governare. Per di più, neppure questo coordinamento è avvenuto in misura adeguata, perché il metodo intergovernativo si fonda sull’unanimità, si blocca se c’è un veto e taglia fuori il Parlamento europeo. Al livello europeo il fenomeno migratorio va gestito con regole comuni e va governato, non semplicemente coordinato. La crisi attuale, non ancora risolta, è anche il frutto di questo errore.

Template:Anchor Difesa e sicurezza[modifica]

Marco Nel Mediterraneo meridionale c’è la guerra e anche dove non c’è, la pace è ad alto rischio: dalla Siria all’Iran all’Egitto alla Libia, per non parlare della crisi apparentemente senza vie d’uscita nei rapporti tra Israele e il popolo palestinese. E poi c’è la crisi dell’Ucraina. Tutto questo ci riguarda, avviene ai nostri confini, eppure non sembra che l’Europa abbia voce in capitolo. La fonte della nostra insicurezza non è anche qui?

Aps Certamente, è così. Per la prima volta dopo decenni, oggi anche in Europa la pace è a rischio. Non nel senso che vi sia la minaccia di una guerra interna tra i Paesi dell’Unione, come è avvenuto costantemente in passato e due volte con conseguenze terribili nel corso del Novecento; ma perché quando ai confini ci sono guerre o minacce di guerra, il contagio può avvenire anche senza aver voluto la guerra. L’anomalia che si è verificata per decenni e che non è stata sanata è questa: la sicurezza dell’Europa, la sua difesa militare dalle possibili minacce esterne sono affidate a una potenza, amica e alleata, che ci ha consentito la salvezza dal nazismo: gli Stati Uniti, naturalmente. Questa protezione era necessaria al termine della seconda guerra mondiale, anche per difendere l’Europa dalla minaccia dell’Unione sovietica. Tuttavia se l’alleanza con la grande potenza amica d’oltre Atlantico è tuttora naturale per l’Europa, la dipendenza dagli USA ai fini della nostra sicurezza alla lunga non è più ammissibile come condizione permanente. Ogni comunità politica deve provvedere alla propria sicurezza senza dipendere da altri, anche se le alleanze sono possibili ed auspicabili. La struttura in grado di provvedere alla propria difesa oggi per i nostri popoli non può essere se non l’Unione europea, nella forma di una vera unione federale. I singoli stati nazionali non hanno la dimensione necessaria per farlo. Vorrei dire di più: un popolo che non è in grado di provvedere alla propria sicurezza, prima o poi rischia di perdere anche la propria libertà. La storia è piena di esempi del genere, da millenni.

Marco Dovremmo spendere di più per costruire una vera difesa europea?

Aps È stato dimostrato, cifre alla mano, che se si gestis se in comune la spesa odierna per la difesa dei 27 Paesi dell’Unione (esclusa la Gran Bretagna), l’efficacia militare sarebbe di gran lunga maggiore (The Cost of non Europe in Security and Defense, Parlamento europeo 2017). Naturalmente, una difesa autonoma richiederebbe investimenti ulteriori, che tuttavia (come dimostra l’esempio degli USA) avrebbero ricadute importantissime anche sulle tecnologie non militari e sulla stessa ricerca scientifica.

Marco Non mi è chiaro se difesa europea vorrebbe dire smantellamento degli eserciti nazionali, che sarebbero sostituiti da un esercito europeo.

Aps La creazione di una difesa europea, necessaria per le ragioni che abbiamo detto, verrebbe realizzata progressivamente e non comporterebbe, quanto meno per un periodo non breve, l’abolizione delle forze militari nazionali. Queste rimarrebbero, ma da una parte la standardizzazione degli armamenti le renderà molto meno costose, d’altra parte e soprattutto vi saranno corpi militari gestiti al livello europeo, sia per difesa sia per missioni di pace: peace enforcing, peace keeping, rispettivamente per costringere alla pace tra belligeranti o per mantenere la pace stipulata in territori già in guerra. Un tale doppio livello – nazionale ed europeo – può sembrare contraddittorio; ma sembra l’unico possibile. L’esempio che si può richiamare è quello degli Stati Uniti, dove i due livelli militari – quello degli Stati e quello della Federazione – sono rimasti in vita per buona parte dell’Ottocento (Domenico Moro, 2018).

Per l’Unione europea potrà applicarsi il principio di sussidiarietà, del quale parleremo: si ricorrerà al livello europeo solo quando necessario. Inoltre, si dovrà prevedere che il livello federale possa in caso di necessità, con le dovute garanzie di legittimazione democratica, utilizzare anche le forze militari nazionali, per scongiurare minacce esterne o atti di guerra di un singolo Stato membro verso altri: anche qui va considerato il modello americano. D’altra parte, è chiaro che non può esistere in un regime di democrazia un esercito non sottoposto all’autorità politica, e ciò vuol dire che lo stato maggiore per la difesa e l’esercito europeo agiranno sotto il controllo del Consiglio europeo e del Parlamento europeo.

Marco Il giudizio che si deve dare sulla passata politica dell’Unione riguardo alla difesa comune e alla sicurezza mi sembra dunque sostanzialmente negativo.

Aps Sì, perché questo aspetto cruciale della sicurezza dei cittadini europei avrebbe dovuto venire affrontato da anni, anzi da decenni, e non rimanere bloccato dopo la bocciatura della Comunità europea di difesa (Ced) nel remoto 1954. Tuttavia l’orizzonte ha mostrato proprio in questi ultimi due anni segni di schiarita molto promettenti. Qualcosa si è mosso. La politica di Trump, critica verso l’Unione europea, ha contribuito in misura sostanziale a questa svolta. Si è finalmente manifestata la volontà politica di dotarsi di strumenti comuni per le missioni di pace e per la standardizzazione degli armamenti. Sia in Germania sia in Francia si è espressamente auspicata la creazione di un esercito europeo. Le dichiarazioni recentissime di Emmanuel Macron e di Angela Merkel (novembre 2018) sono molto esplicite, entrambi hanno parlato della necessita di creare un “esercito europeo”, non nell’intento di contrapporsi agli Stati Uniti ma col proposito di acquistare autonomia nella gestione della propria sicurezza e difesa. Questo non era mai più accaduto da sessant’anni. L’11 dicembre 2017 il Consiglio europeo ha deciso di attivare una Cooperazione strutturata permanente (Pesco) per promuovere la difesa e la sicurezza comune. A sua volta, il Parlamento europeo ha approvato il 3 luglio 2018 un Programma europeo di sviluppo del settore industriale della difesa (Edidp). Oggi l’insieme delle risorse, di diversa origine, destinate dall’Unione a questi scopi è vicina ai 10 miliardi di euro (Domenico Moro, 2018). Ancora troppo poco, certamente, ma la via sembra finalmente riaperta. I sistemi satellitari europei Galileo e Copernico renderebbero autonoma l’Unione su questo fronte cruciale per la sicurezza.

Marco A queste funzioni militari dovranno prendere parte tutti gli Stati dell’Unione?

Aps Non necessariamente. Il Trattato di Lisbona prevede una formula (detta cooperazione strutturata) che permette a un gruppo anche ristretto di Paesi di organizzare tra loro forme di integrazione sul terreno della difesa. Le forze europee saranno formate da militari di quei Paesi dell’Unione che lo vorranno; proprio negli ultimi mesi si sono compiuti importanti passi avanti in questa direzione: i governi di Germania, Francia, Italia, Spagna ed altri Paesi dell’Unione hanno espresso l’impegno di avanzare su questo terreno, sul quale l’Europa potrà svolgere un ruolo importantissimo anche a livello internazionale e mondiale. Desidero aggiungere che sarebbe grave se l’Italia si tirasse indietro su questo fronte, magari cedendo alle pressioni di chi oggi sembra voler indebolire e dividere l’Unione europea: mi riferisco agli Usa, alla Russia e alla stessa Cina. L’Italia potrebbe essere l’anello debole, per chi avesse questi propositi.

Marco Lei ha parlato di una funzione internazionale di una futura forza di difesa europea. Ma la pace mondiale non dovrebbe essere garantita dalle Nazioni Unite?

Aps Certo, le Nazioni Unite (Onu) sono il tentativo più ambizioso, mai prima intrapreso nella storia a questo livello, di creare una struttura globale in grado di garantire la pace. L’Onu ha al suo attivo successi innegabili, sia sul piano dei diritti umani che attraverso le tante missioni di pace. Ma è tuttora carente di poteri adeguati. L’Unione europea ha invece lo scopo di unire con un vincolo federale gli stati del nostro continente, garantendo in modo permanente la pace interna all’Europa. Costituisce un modello per gli altri Continenti e, se unita politicamente, potrà dare all’Onu un supporto fondamentale. La forza militare dell’Unione potrebbe diventare uno strumento operativo di ordine e di pace proprio nella cornice dell’Onu. Perché l’idea di un’Europa politica ha sin dall’origine una chiara vocazione cosmopolitica.


Template:Anchor III. Strutture, politiche, storia dell’Unione[modifica]

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Template:Anchor Istituzioni, leggi, decisioni, pareri e procedure dell’Unione[modifica]

Marco A questo punto io vorrei capire meglio come è strutturata e come funziona questa Unione, con i suoi successi e i suoi fallimenti. Chi detta le regole, chi governa, chi giudica?

Aps Mi ha posto tre domande cruciali, Marco, si direbbe che Lei abbia letto Montesquieu (e forse è così, o sbaglio?). Proviamo a descrivere in breve le istituzioni fondamentali dell’Unione europea. Esse sono cinque: i due Consigli (il Consiglio europeo e il Consiglio dei Ministri), il Parlamento europeo, la Commissione, la Corte di Giustizia. Si aggiungono – con competenze più settoriali – la Banca Centrale Europea e la Corte dei Conti. Ma prima di parlarne, è necessario richiamare la fonte di tutte le istituzioni e di tutte le normative di base dell’Unione europea: questa fonte è costituita dai Trattati fondativi dell’Unione, messi a punto alla unanimità dai Governi e ratificati da tutti gli Stati membri. Essi rappresentano, insieme alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, la “Costituzione” dell’Unione europea. Oggi fonte primaria del diritto dell’Unione sono i due trattati sottoscritti a Lisbona nel 2007 e in vigore dal gennaio del 2009: il Trattato sull’Unione europea (Tue) e il Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (Tfue). Parleremo più avanti della storia che ha preceduto questa normativa, dal 1951 al 2007.

Marco Cosa sono e cosa fanno i due Consigli?

Aps Il Consiglio europeo (CE) riunisce periodicamente, più volte all’anno, sotto la guida di un Presidente elettivo, i Capi di Stato o di Governo (a seconda delle rispettive strutture costituzionali, ad es. per la Francia partecipa il presidente della Repubblica) dei Paesi dell’Unione e il Presidente della Commissione. È l’organo dal quale sono venute le principali iniziative politiche dell’Unione negli scorsi anni e decenni: così ad esempio nel 2011 il Fiscal Compact e le altre misure per fare fronte alla crisi, così l’iniziativa per l’unione bancaria, tuttora in corso. Si deve considerare attualmente l’organo di governo strategico più importante e più autorevole dell’Unione europea. Il CE delibera normalmente “per consenso”, cioè all’unanimità, che si presume se nessuno rifiuta la sintesi del presidente del CE. Il suo Presidente dal 2009 viene eletto dai suoi membri per due anni e mezzo, rinnovabile per una sola volta, tra personalità europee, in particolare ex primi ministri. I primi due presidenti del CE dopo Lisbona sono stati il belga van Rompuy e il polacco Tusk, tuttora in carica.

Marco E il Consiglio dei ministri?

Aps Il Consiglio dei ministri (rinominato semplicemente Consiglio) è composto dai ministri competenti dei Paesi dell’Unione – anzitutto i ministri dell’economia, i ministri degli esteri, i ministri dell’Interno, i ministri dell’agricoltura e così via, a seconda delle materie trattate. La presidenza si rinnova con frequenza semestrale a rotazione tra tutti i Paesi dell’Unione. Il Consiglio esercita non solo poteri di decisione ma anche e soprattutto poteri legislativi nelle questioni di competenza dell’Unione. Il Consiglio delibera a maggioranza, semplice o qualificata, in co-decisione con il Parlamento europeo. Ma per una serie di materie di particolare importanza, precisate nei trattati – ad esempio in tema di fiscalità, di polizia, di disavanzi eccessivi dei bilanci nazionali, in certi profili della politica sociale e in numerose altre materie – è richiesta l’unanimità dei voti del Consiglio; e quasi sempre su queste materie il Parlamento europeo (PE) non esercita un potere legislativo ma soltanto una funzione consultiva. Inoltre i ministri dell’economia e delle finanze dell’Unione formano l’Ecofin e quelli tra loro appartenenti ai Paesi che hanno adottato l’euro formano l’Eurogruppo dotato di un presidente eletto tra i ministri per la durata di due anni e mezzo.

Marco Non sono troppi tutti questi presidenti?

Aps Quanto ai ministri finanziari, è giusto che i Paesi dell’euro abbiano un presidente del gruppo Euro perché gli aspetti specifici sono importanti. E’ anche senz’altro spiegabile che i trattati abbiano distinto il Presidente del Consiglio europeo dal Presidente della Commissione. Tuttavia i trattati non escludono che le due cariche possano venir attribuite alla medesima persona. E diversi osservatori preferirebbero questa unificazione in quanto il Presidente sarebbe l’esponente di punta dell’Unione europea anche a livello internazionale, in un’epoca come è la nostra nella quale la personalizzazione della politica al vertice è divenuta la regola in quasi tutti i Paesi.

Marco Non è strana l’esclusione del Parlamento europeo da materie importanti per l’Unione?

Aps Il principio della codecisione tra PE e Consiglio dei ministri è giusto, perché in una prospettiva di federazione tra Stati accanto ad una Camera del popolo (il PE) deve esistere una Camera degli Stati, la quale nel caso dell’Unione è rappresentata, con funzioni distinte come abbiamo visto, dai due Consigli. I Parlamenti sono stati creati nella storia d’Europa, anzitutto in Inghilterra, proprio per governare il processo legislativo e per deliberare in materia fiscale (“no taxation without representation”). Sono i trattati stessi ad avere sancito che l’Unione europea si fonda sulla democrazia rappresentativa. Ed è perciò contraddittorio che per alcune tra le materie più importanti per le quali i trattati hanno stabilito la competenza dell’Unione il Parlamento europeo, che rappresenta i cittadini europei, sia escluso dal potere legislativo. Altrettanto ingiustificata è l’assenza di un potere fiscale a livello europeo, del quale il Parlamento europeo dovrebbe essere co-titolare insieme con il Consiglio che rappresenta gli Stati. Dobbiamo aggiungere peraltro che nel corso di oltre trentacinque anni, da quando il PE viene eletto a suffragio universale, i suoi poteri si sono costantemente accresciuti, nel senso che ognuno dei trattati ha aumentato le materie in cui opera la codecisione. Ma le eccezioni ci sono ancora e sono rilevantissime.

Marco Quali altri poteri ha il Parlamento europeo?

Aps Oltre al potere di codecisione legislativa, là dove esso è previsto dai trattati, il PE ha un ruolo fondamentale nella nomina del Presidente della Commissione e dei singoli Commissari. Può anche votare la censura costringendo l’intera Commissione a decadere dalla carica. Ha inoltre il compito di discutere e approvare il bilancio annuale e il bilancio pluriennale dell’Unione, sul primo dei quali può bloccare il processo sino al raggiungimento di un’intesa con il Consiglio. Ha il potere di proporre emendamenti ai trattati e di assumere risoluzioni non vincolanti su tutte le materie di competenza dell’Unione. Le mozioni e le risoluzioni del PE – preparate in modo ammirevole per completezza e approfondimento all’interno delle Commissioni nelle quali sono presenti parlamentari di tutti i partiti e quindi votate in adunanza plenaria – hanno aperto la via a molte innovazioni e riforme sui diritti, sull’ambiente, sul lavoro, sui rapporti sociali.

Marco Della Commissione anche la stampa e la televisione si occupano continuamente. I principali commissari sono ormai considerati come dei super-ministri, ai quali i governi nazionali debbono rendere conto. Perché accade questo?

Aps Va premesso che i governi nazionali concorrono in modo determinante alla nomina del Presidente della Commissione e dei commissari, quindi non si tratta di “soggetti” alieni dal circuito del consenso politico che coinvolge, innanzitutto, gli Stati membri. In ogni caso, poi, sia il mercato unico e l’unione monetaria sia le altre funzioni dell’Unione rendono necessario non solo un coordinamento tra gli Stati membri in tema di economia ma anche il rispetto di vincoli che, sottoscritti dai singoli governi, debbono venire monitorati per non mettere a rischio l’economia e la finanza dell’Unione, come già abbiamo visto. Per questo il Trattato di Lisbona prevede che la Commissione “vigili” sull’applicazione del diritto dell’Unione europea da parte degli Stati membri.

Marco Da chi viene nominata la Commissione?

Aps La Commissione è nominata dal Consiglio europeo e dal Consiglio e votata dal Parlamento europeo. Il Presidente è proposto dal Consiglio europeo a maggioranza qualificata, tenendo conto dell’esito del voto popolare per il PE. Il Consiglio, in accordo con il Presidente eletto, propone le altre personalità che devono comporre la Commissione. Tale disciplina è il frutto di un’evoluzione che per la nomina del presidente e dei commissari ha determinato, dal Trattato di Maastricht in poi, un aumento del potere del Parlamento europeo e il superamento del requisito della unanimità da parte del Consiglio europeo. Questa evoluzione è molto importante perché segna un progressivo avvicinamento dell’Unione al modello costituzionale di una democrazia rappresentativa, nel quale sia il potere legislativo sia il potere esecutivo hanno la loro fonte prima nella sovranità popolare. Trattandosi però di un modello di stampo federale, entrambi i poteri vengono esercitati in connessione con una “Camera degli Stati”, cioè con i due Consigli: per la nomina della Commissione e del suo presidente vi è il ruolo determinante del Consiglio europeo, per il potere legislativo il Consiglio legifera in codecisione con il PE quando non addirittura da solo ove i Trattati lo prevedano; e il potere di governo è in realtà esercitato in misura eminente, quanto agli indirizzi di fondo, dallo stesso Consiglio europeo, come anche si è detto.

Marco Quali sono i compiti della Commissione?

Aps La Commissione europea, che include un commissario per ciascun Paese dell’Unione, esercita fondamentalmente le funzioni di governo dell’Unione, attraverso l’opera del presidente, dei singoli commissari e del collegio nel suo complesso. Dalla Commissione e dai singoli commissari dipende la struttura amministrativa dell’Unione, che si articola in una ventina di direzioni generali, ognuna delle quali opera per un settore di competenza dell’Unione, dal bilancio all’economia e finanza, dalla concorrenza all’agricoltura, dal commercio alla politica sociale e così via. La Commissione non ha però tutti i poteri di un governo, trovando dei bilanciamenti nel ruolo di impulso e di definizione degli orientamenti generali che è proprio del Consiglio europeo e perché anche il Consiglio ha importanti prerogative “gestorie” in certe materie (ad es. la procedura per disavanzi eccessivi). È importante sottolineare che la Commissione ha conservato in base ai trattati l’esclusiva dell’iniziativa legislativa entro l’Unione. Inoltre la Commissione assolve a un’altra funzione molto importante, distinta da quella tipica di un governo: è “custode dei trattati”, nel senso che verifica, controlla e se necessario sanziona quei comportamenti degli Stati membri e di altri soggetti pubblici e privati, i quali deroghino rispetto alle normative comunitarie.

Marco Chi è competente per la politica estera?

Aps Anzitutto il Consiglio europeo come collegio, il suo presidente e il presidente della Commissione. Ma il Trattato di Lisbona ha creato anche la carica di Alto rappresentante dell’Unione nei rapporti internazionali. Costui (anzi, costei: l’attuale titolare è l’italiana Federica Mogherini) è designato dal Consiglio europeo ed è in pari tempo anche vicepresidente della Commissione. Inoltre presiede il Consiglio quando questo si riunisce nella composizione relativa agli affari esteri, alla presenza dei ministri degli esteri dei Paesi dell’Unione.

Marco Rimane da vedere quali sono le funzioni della Corte di giustizia.

Aps La Corte di giustizia, che ha sede in Lussemburgo, è composta da giudici e avvocati generali. Ognuno dei giudici proviene da uno dei Paesi dell’Unione. Dal 1988 esiste anche, subordinata ad essa, una Corte di primo grado (c.d. Tribunale dell’Unione europea). Il compito fondamentale della Corte è di decidere, su istanza dei governi, dei privati o anche di un’istituzione europea, se un provvedimento legislativo o di governo dell’Unione sia o meno conforme alle norme dei trattati europei. Su istanza della Commissione, la Corte accerta le violazioni degli Stati membri e li condanna al pagamento di sanzioni pecuniarie. Inoltre può decidere, su richiesta di un giudice nazionale e quindi in via “pregiudiziale” sull’interpretazione del diritto dell’Unione; nel far ciò la Corte si pronuncia spesso sulla compatibilità di una misura nazionale con il diritto dell’Unione che è chiamata a interpretare e così qualsiasi giudice nazionale (e quindi qualsiasi parte che controverta dinanzi ad esso) ha il potere di ottenere il controllo sugli atti degli Stati che violano il diritto dell’Unione. Sono funzioni di grandissimo rilievo: alcuni principi fondamentali del diritto europeo sono stati introdotti sulla base di decisioni della Corte di giustizia, ad esempio il principio della diretta applicabilità del diritto dell’Unione all’interno di uno Stato membro o quello della prevalenza del diritto dell’Unione rispetto alle leggi nazionali, nelle materie di competenza dell’Unione stessa. Ma i casi e i temi che hanno generato sentenze di importanza storica pronunciate dalla Corte di Giustizia sono molto numerosi.

Marco Può farmi alcuni esempi?

Aps Mi limito a citare due casi celebri. Nella causa Van Gend & Loos del 1963 la Corte di giustizia europea ha stabilito che le disposizioni dei Trattati europei hanno un effetto diretto a vantaggio dei cittadini degli Stati membri, anche se in contrasto con norme di legge nazionali (il Belgio aveva introdotto un dazio in deroga rispetto ai trattati); allora si trattava del Trattato CEE (Comunità economica europea) del 1957, ma il principio sancito dalla Corte vale ancora oggi con la disciplina in vigore. Nel 1964, nella sentenza relativa alla causa Costa/Enel tale principio venne ribadito con la motivazione che gli Stati membri, avendo approvato il Trattato del 1957, hanno rinunciato in via definitiva ad una parte della loro sovranità relativa alle materie disciplinate dal trattato europeo. Potrei ricordare molte altre decisioni della Corte, ugualmente importanti.

Marco Che rapporto c’è tra la Corte di Giustizia e la Corte sui diritti umani?

Aps Quest’ultima, che risiede Strasburgo, non è un organo dell’Unione europea ma del Consiglio d’Europa, un’istituzione nata nel 1948 che comprende oltre 40 Paesi non solo dell’Unione europea. Il compito della Corte europea per la salvaguardia dei diritti umani è di pronunciarsi sul rispetto dei diritti umani, su ricorso di singoli o di enti pubblici e privati, diritti che sono elencati nella Convenzione europea per la salvaguarda dei diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali (Cedu) del 1950 e nei suoi numerosi protocolli. Vi è una parziale sovrapposizione con la Corte di Giustizia dell’Unione e con le Corti costituzionali nazionali perché la prima (la Corte di Lussemburgo) svolge ormai un ruolo, dopo il trattato di Lisbona, anche con riferimento all’interpretazione della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione le cui disposizioni in molti casi si ispirano alle norme e alla giurisprudenza della Cedu.

Marco Vi sono altre istituzioni dell’Unione europea?

Aps Sì, l’Unione include la Corte dei Conti e la Banca Centrale Europea. Inoltre vi sono due organi consultivi importanti, il Comitato economico e sociale e il Comitato per le Regioni.

Marco Vorrei capire a questo punto cosa sono le leggi dell’Unione europea.

Aps Le due fonti fondamentali della legislazione dell’Unione sono i regolamenti e le direttive. Esse possono formarsi solo entro i limiti delle competenze e delle funzioni che i trattati attribuiscono all’Unione. Poiché tali competenze, esclusive e concorrenti, sono ormai molteplici, anche il raggio della legislazione europea è assai ampio. Mentre i regolamenti sono oltre che obbligatori anche direttamente applicabili entro l’Unione, le direttive sono strutturate in forma di principi, che dovranno venire tradotti in leggi nazionali tenute ad accoglierli, anche in forma non identica nei diversi Paesi. Questa formula è molto importante perché lascia aperta la via a soluzioni nazionali differenziate, purché non contrastanti con le regole di base adottate al livello europeo. Regolamenti e direttive possono essere adottati, quando il Tfue lo prevede, secondo la c.d. procedura legislativa ordinaria, che prevede appunto la codecisione tra Consiglio e Parlamento europeo. Per questo possono essere definiti atti legislativi dell’Unione europea.

Marco Come nascono questi due modelli legislativi, come si forma una legge europea?

Aps La procedura legislativa dell’Unione ha due forme diverse. La prima è la “procedura legislativa ordinaria”, con la quale un progetto di legge predisposto dalla Commissione viene discusso sia dal Parlamento europeo che dal Consiglio; per acquistare forza di legge il testo votato dal Parlamento e dal Consiglio deve alla fine essere identico, un risultato al quale si arriva spesso soltanto al termine di una serie di contatti tra i tre organi; si può anche attivare, a questo fine, un gruppo di lavoro composto da un egual numero di delegati delle tre istituzioni, il cd. Trilogo, per facilitare il raggiungimento di un accordo. La seconda procedura è invece detta “procedura legislativa speciale”; in una serie di materie previste specificamente dai Trattati, la messa a punto di un regolamento, di una direttiva o di una decisione è, di norma, prerogativa del solo Consiglio, il quale dopo averla approvata all’unanimità la sottopone al Parlamento europeo a titolo di consultazione non vincolante nella maggior parte dei casi, mentre solo in alcuni altri casi il parere del Parlamento è richiesto per l’approvazione dell’atto, e quindi il Parlamento potrà dire si o no, senza potere intervenire sulla formulazione del testo.

Marco Non deve essere facile arrivare a un testo condiviso quando vi debbono lavorare tante istituzioni diverse.

Aps Infatti, il cammino non è semplice, sia entro ciascuna delle quattro istituzioni (la Commissione, i due Consigli, il Parlamento), sia nell’interazione tra di esse. Del Trilogo abbiamo appena parlato. Ma vorrei sottolineare un altro aspetto: occorre che nel Consiglio dei ministri si trovi un’intesa tra i Governi, un’intesa unanime quando i trattati lo esigono nella procedura legislativa speciale e un’intesa maggioritaria nella procedura legislativa ordinaria. Per arrivare a questo – come pure in generale per predisporre le delibere dei due Consigli – è fondamentale l’attività del Comitato di rappresentanti permanenti dei governi (Coreper), in genere composto di diplomatici, che prepara le bozze di delibere che poi i Consigli saranno chiamati ad approvare. È un lavoro di negoziazione spesso molto arduo – perché in questa sede ogni rappresentante tende a sostenere le posizioni che ritiene più vantaggiose per il proprio governo e per il proprio Stato – ma essenziale per poter giungere a una posizione comune. La Commissione istruisce le sue proposte al proprio interno e il Parlamento europeo matura le sue posizioni attraverso il lavoro delle commissioni parlamentari.

Marco Vi sono anche altri atti giuridici dell’Unione, diversi da regolamenti e direttive?

Aps Naturalmente sì. Il trattato di Lisbona prevede, accanto ai regolamenti e alle direttive, anche le decisioni, le raccomandazioni e i pareri (art. 288 Tfue). Le decisioni possono essere di due tipi: obbligatorie per il destinatario o i destinatari, oppure prive di un destinatario specifico, ma comunque obbligatorie per la generalità dei consociati (decisioni in materia istituzionale). In quest’ultimo caso, possono venire deliberate con la procedura legislativa ordinaria. Le raccomandazioni e i pareri esprimono, d’ufficio o su richiesta, opinioni non vincolanti delle istituzioni europee su questa o su quella materia. Ci sono però anche numerosi atti non legislativi (Atti autonomi) i quali sono deliberati da una singola istituzione, la Commissione o il Consiglio, sulla base delle rispettive competenze e funzioni, senza la necessità di un intervento delle altre istituzioni dell’Unione. Ma non è tutto: l’Unione agisce anche attraverso numerosi altri canali. Essi hanno in comune il fatto di non essere provvedimenti vincolanti, ma solo atti di indirizzo e di proposta (ad es. le comunicazioni). Eppure sono stati spesso e sono tuttora di grandissimo rilievo.

Marco Non si stupirà se Le chiedo di dirmi al riguardo qualcosa di più….

Aps La terminologia è varia, come è varia la natura di questo atti. Vi sono le risoluzioni, con le quali un’istituzione dell’Unione esprime propositi di azione futura manifestando una volontà politica comune. Vi sono le dichiarazioni che prefigurano sviluppi ulteriori dell’Unione ovvero danno l’interpretazione di decisioni assunte in precedenza. E poi anche comunicazioni, spesso di grande valore interpretativo e quindi fonte importante per l’orientamento degli operatori. E ancora: vi sono i Libri Bianchi, con i quali la Commissione pubblica un dossier, frutto di laboriose indagini preliminari, su un capitolo importante del futuro sviluppo dell’Unione: così il Libro bianco del 1985 sul mercato interno, quello del 2004 sui servizi di interesse generale, quello del 2006 sulla comunicazione, infine il Libro bianco del 2017 sul futuro dell’Europa. E molti altri.

Marco Non è eccessiva tutta questa proliferazione di documenti? Per di più non vincolanti?

Aps A differenza di quanto avviene negli Stati nazionali, l’Unione europea, forse perché è un organismo ancora in divenire, ha generalmente proceduto nelle sue politiche con una visione di medio e lungo periodo. Non è vittima della miopia della quale soffrono molti spesso le politiche nazionali, con lo sguardo fisso ai sondaggi quotidiani e alle elezioni del giorno dopo. Eppure l’Unione non trascura di consultare l’opinione pubblica: i sondaggi periodici di Eurobarometro su cosa i cittadini pensano dell’Europa sono ben noti. Questi atti “non vincolanti” servono anche a preparare il terreno per future evoluzioni della legislazione vincolante.

Marco Questa prospettiva di lungo periodo, non appiattita sull’oggi mi convince molto. Tuttavia mi chiedo se gli strumenti non vincolanti abbiano un ruolo effettivo nelle politiche dell’Unione europea.

Aps Certo la loro efficacia è indiretta. I giuristi parlano di soft law, per indicare questo tipo di atti non vincolanti. Bisogna però considerare un aspetto importante: il processo di integrazione europea è un’impresa senza precedenti, anche perché mira a raggiungere un livello alto di integrazione senza sacrificare la sovranità degli Stati membri, ogni qualvolta questo non sia indispensabile. Dunque si cerca, d’intesa con i governi, di promuovere una cooperazione tra le istituzioni dell’Unione (i due Consigli e la Commissione) e i governi nazionali. La procedura chiamata “coordinamento aperto” ha questa finalità: la Commissione organizza riunioni alle quali partecipano i governi nazionali interessati allo scopo di confrontare le rispettive esperienze ed elaborare le pratiche migliori (best practices) per la messa a punto di progetti. In particolare sul terreno della cultura e della valorizzazione del patrimonio culturale, anche il carattere non vincolante di questi strumenti si è rivelato utile per accedere ai finanziamenti europei.

Marco Nelle materie di competenza concorrente come si combina il livello legislativo europeo con il livello nazionale?

Aps Per il raggiungimento degli scopi del mercato unico, quando una competenza è concorrente, cioè spetta sia agli Stati che all’Unione, l’Unione europea interverrà con le proprie regole quando l’obiettivo sarà meglio raggiungibile con una normativa a livello europeo, piuttosto che con tante normative nazionali e, ovviamente, in tal caso la direttiva o il regolamento europeo prevarrà sulle leggi nazionali. Nel tempo c’è stata un’evoluzione, promossa anzitutto da alcune sentenze della Corte di giustizia sulle caratteristiche dei prodotti posti in commercio. Si è affermato da un lato il principio del mutuo riconoscimento, da parte di uno Stato, dei requisiti richiesti dalle leggi di un altro Stato, dall’altro lato l’obbligo per gli Stati membri di non discostarsi dai criteri minimi relativi alla salute e alla sicurezza stabiliti a livello europeo, senza tuttavia impedire che una legge nazionale possa imporre per i propri prodotti (e solo per questi, non per i beni importati) requisiti più restrittivi rispetto alla normativa europea.

Marco Capisco allora perché molti contestino all’Unione europea la complessità delle procedure.

Aps Sì, queste critiche risuonano spesso. Tuttavia è giusto tenere presente che la trasparenza delle procedure europee è notevolmente superiore rispetto a quella propria di molte procedure nazionali; e che la stretta cooperazione con gli Stati è un valore positivo, perché non solo evita di creare una enorme burocrazia europea, ma anche perché coinvolge gli Stati membri nell’attuazione di politiche condivise.

Marco Se si volessero modificare i Trattati, come si dovrebbe procedere?

Aps La procedura per riformare i trattati è disciplinata dall’art. 48 del Tue (come modificato da Trattato di Lisbona). Ogni governo dell’Unione o il Parlamento europeo o la Commissione possono proporre progetti di modifica dei Trattati. Il Consiglio europeo (CE), sentito il PE, decide a maggioranza semplice se convocare una Convenzione composta da parlamentari nazionali, parlamentari europei, rappresentanti dei Governi e rappresentanti della Commissione. La Convenzione esamina i progetti e adotta per consenso di proporre una Conferenza intergovernativa. In tal caso una Conferenza dei rappresentanti degli Stati membri decide di comune accordo le modifiche ai trattati. Queste entrano in vigore solo dopo essere state ratificate da tutti gli Stati membri dell’Unione.

È una procedura certamente complessa e di difficile attuazione, soprattutto perché occorre l’unanimità sia per la delibera finale della Conferenza intergovernativa sia per le ratifiche degli Stati. Esiste anche una procedura semplificata per modifiche di una parte del Trattato sul funzionamento dell’UE, che si può esperire senza la convocazione della Convenzione e senza la partecipazione del PE, con delibera unanime del Consiglio europeo. Ma occorre anche qui la ratifica di tutti gli Stati membri dell’Unione. È chiaro che queste procedure sono tali da rendere ardui i tentativi di modifica. Ma per sbloccare questi ostacoli occorrerebbe anzitutto modificare proprio l’art. 48, e per farlo occorre precisamente seguire la procedura che ho appena descritta! È un nodo stretto, molto difficile da sciogliere. Anche per questa ragione il Trattato di Lisbona ha previsto che un gruppo di Stati possa comunque avanzare nell’integrazione attraverso procedure particolari, le cooperazioni rafforzate e le cooperazioni strutturate.

Marco Spesso si sente accusare l’Unione europea di non essere democratica. E la si contrappone alle “vere” democrazie, che sarebbero quelle nazionali. È giustificata questa accusa?

Aps È giustificata solo per le decisioni in cui in base ai trattati il Parlamento europeo non ha voce in capitolo. Per le leggi europee che si formano con la procedura legislativa ordinaria (e quindi di codecisione) tra Parlamento e Consiglio su proposta della Commissione questa critica è infondata perché l’Unione risponde pienamente ai requisiti costituzionali di una democrazia parlamentare di taglio federale. Quanto alle decisioni di governo dell’Unione, tutto ciò che viene deciso dalla Commissione ha il medesimo fondamento di legittimazione democratica: la Commissione in base ai trattati è infatti nominata dal Parlamento europeo sulla base dei risultati del voto popolare e può essere fatta decadere con un voto dello stesso Parlamento. Chi imputa alla Commissione di non essere eletta ignora un principio elementare: nelle democrazie parlamentari è il Parlamento che legittima il governo, non l’elezione diretta. Inoltre, sia il Presidente designato che i candidati Commissari vengono interrogati dal Parlamento europeo prima della nomina per accertarne l’idoneità all’incarico, con una procedura addirittura spesso piu stringente di quella operante per i ministri nazionali entro il loro Stato.

Marco Questa costruzione mi sembra semplice e complessa al tempo stesso. Ma perché Lei si chiedeva se ho letto Montesquieu?

Aps Perché quando ho cercato di rispondere alle sue domande – “Chi regola? Chi governa? Chi giudica?” – avrà notato che le istituzioni europee si inquadrano bene nella struttura dei tre poteri (legislativo, esecutivo, giudiziario) teorizzata appunto da Montesquieu. Con due precisazioni importanti, però: in primo luogo il potere legislativo europeo è esercitato, su iniziativa della Commissione, in codecisione dal Parlamento europeo e dal Consiglio dei ministri nella logica di uno stato federale, ma in materie di grande sensibilità politica il Parlamento ne è escluso, come si è detto, e il Consiglio decide all’unanimità; in secondo luogo il potere di governo è ripartito tra il Consiglio europeo e la Commissione, nella forma che abbiamo precisato. Si tratta di due anomalie rispetto alla teoria della separazione dei poteri. Più che di separazione dei poteri, nel sistema istituzionale dell’Unione si deve perciò parlare di equilibrio dei poteri.

Marco Quelle che Lei ha chiamato anomalie andrebbero corrette?

Aps L’esclusione del Parlamento europeo da una parte importante della funzione legislativa è ingiustificabile in un ordinamento democratico; e così pure il potere di veto nel Consiglio. In duemila e cinquecento anni non si è individuato un altro sistema per decidere in comune delle faccende umane, accanto al sorteggio, se non il contare i consensi. La Chiesa stessa, che di istituzioni è maestra, dal 1179 ha stabilito che il papa viene eletto se ottiene almeno i due terzi dei voti dei cardinali. Quanto alla seconda anomalia, essa a mio giudizio è accettabile: in quasi tutti gli ordinamenti, talune funzioni di governo sono esercitate da altri organi, ad esempio dal presidente della Repubblica ovvero dalla Seconda Camera, come nel caso del Senato americano. Che il Consiglio europeo conservi le facoltà di impulso politico che sta esercitando va bene; purché non ne pretenda l’esclusiva e purché non crei una seconda burocrazia dipendente dal Consiglio europeo e dal Consiglio accanto a quella che dipende dalla Commissione.

Template:Anchor Le politiche dell’Unione[modifica]

Marco Le crisi che oggi ci preoccupano – anzitutto disoccupazione giovanile, mancata crescita, immigrati – non si risolvono negando l’Europa, ma rafforzandola, Lei lo ha sostenuto prima. Ma mi chiedo se si possa avere fiducia nell’Unione europea come promotrice di politiche sane; se ci siano davvero elementi per darle credito.

Aps Una risposta può venire da uno sguardo a ciò che l’Unione ha fatto in questi anni e decenni. La serie delle politiche messe in opera dall’Europa è impressionante. Mi limito a poco più di un elenco, neppure completo. Con il mercato unico l’Europa ha realizzato in un trentennio, attraverso un procedimento straordinariamente articolato, l’obbiettivo della libera circolazione di persone, merci, servizi e capitali entro l’Unione. Per conseguire questo obbiettivo è stato necessario adottare una legislazione comune e una moneta unica, in modo da garantire la concorrenza e la stabilità monetaria. Con la politica di promozione attiva della libera concorrenza l’Unione ha assicurato ai consumatori prodotti migliori a prezzi competitivi ed ha in pari tempo favorito la crescita dell’economia degli Stati membri incentivando e tutelando l’iniziativa imprenditoriale. A questo proposito, l’Unione vieta alle imprese di concordare i prezzi o di ripartirsi i mercati; di abusare della propria posizione dominante in un determinato mercato per escludere concorrenti meno influenti. Anche il controllo delle concentrazioni tra imprese è effettuato dalla Commissione per evitare che una concentrazione finisca per impedire o pregiudicare il mercato concorrenziale; dove invece un’impresa ha già una posizione dominante sul mercato, le è fatto divieto di abusarne.

L’Atto unico del 1986, ma soprattutto il trattato di Maastricht del 1992 hanno esteso le competenze dell’Unione alla dimensione sociale e alla solidarietà, destinando importanti risorse allo sviluppo rurale, alla formazione del capitale umano, agli affari marittimi e alla pesca, all’innovazione e all’istruzione e soprattutto alle politiche di coesione, le quali hanno lo scopo di ridurre le disparità economiche e sociali tra le diverse regioni d’Europa. Non solo: da Maastricht in poi l’Unione persegue politiche di tutela dell’ambiente e del territorio, politiche di formazione per i giovani e per i lavoratori, politiche di investimento nella ricerca, politiche di protezione dei consumatori, interventi a favore del patrimonio culturale europeo, razionalizzazione del sistema dei trasporti, promozione di una comune politica dell’energia, linee comuni sulla sanità pubblica ed altro ancora.

Marco Non è eccessivamente ampio questo ventaglio di competenze?

Aps No, perché in questi campi la competenza dell’Unione non deriva da una competenza esclusiva e nemmeno da una competenza concorrente, ma è il frutto di interventi di sostegno alle politiche nazionali, e questo in virtù del fondamentale principio di sussidiarietà, sul quale torneremo. L’Unione, in base al Trattato di Lisbona (art. 3 Tfue), ha competenza esclusiva solo in poche fondamentali materie, per le quali una disciplina unica e centralizzata è indispensabile per il corretto funzionamento del mercato unico: l’unione doganale, le regole sulla concorrenza, la politica monetaria dei Paesi che adottano l’euro, la conservazione delle risorse biologiche del mare e la politica commerciale comune.

Marco Ma allora nelle materie in cui l’Unione ha una competenza esclusiva si fa tutto a Bruxelles e ci vengono calati degli ordini dall’alto? Gli Stati in queste materie sono tagliati fuori ?

Aps Innanzitutto bisogna dire che si tratta di materie individuate dai trattati istitutivi, con i quali sono gli Stati a conferire all’Unione le competenze esclusive in questi campi. Ma l’Unione esercita queste competenze anche con la collaborazione degli Stati. Facciamo alcuni esempi. L’unione monetaria, con cui è nato l’euro, ha istituito la Banca Centrale europea la quale è governata da un Consiglio al quale spettano le decisioni più importanti sulla politica monetaria; nel Consiglio sono presenti, con diritto di voto, i governatori delle Banche centrali degli Stati membri che adottano l’euro. Anche la politica della concorrenza in alcune materie è stata parzialmente decentrata, nella sua attuazione, alle autorità nazionali.

Marco Ci sono profili comuni alla base delle diverse politiche dell’Unione europea?

Aps La trama che tiene insieme le politiche è stata costruita intorno ai tre macro obiettivi di cui si parlava prima: crescita, coesione e stabilità della moneta. Essa si è strutturata, dopo il trattato di Maastricht, in vasti piani di intervento che hanno preso il nome di “strategie”, per indicare una modalità decisionale e di implementazione. Tra queste si possono ricordare la Strategia europea per l’occupazione (Seo, dal 1997), e la Strategia Lisbona 2010 ora confluita nella Strategia Europa 2020. Quest’ultima indica le priorità della crescita e riguarda l’occupazione, la ricerca scientifica e lo sviluppo tecnologico, i cambiamenti climatici e l’energia, l’istruzione e la lotta contro la povertà e l’esclusione sociale; e si deve realizzare in partenariato con gli Stati membri.

Si tratta per lo più di programmi che individuano alcuni fondamentali obiettivi tematici alla cui realizzazione devono essere indirizzati i fondi del bilancio europeo. È importante rilevare che essi riguardano anche, in larga misura, alcuni ”beni pubblici europei” (difesa, ambiente, energia), i cui vantaggi ricadono anche sull’Italia. Altre strategie sono più specifiche. Ad esempio nel dicembre 2008 è stato approvato dai governi dell’Unione lo Small Business Act per la politica di sostegno alle piccole e medie imprese (Pmi) a livello europeo, permettendo così di destinare quote importanti dei fondi europei e consentendo inoltre, dal 2013, di equiparare i professionisti europei alle Pmi per l’accesso ai fondi. Anche per lo sviluppo del digitale sono in corso finanziamenti di rilievo, come su numerosi altri fronti (Fondi europei per le imprese, 2018). Per contrastare la disoccupazione giovanile è stato predisposto (su raccomandazione del Consiglio europeo dell’aprile 2013) il programma “Garanzia giovani”, che prevede finanziamenti agli Stati e iniziative per l’occupazione giovanile.

Marco Come si realizzano tutte queste politiche?

Aps La realizzazione delle politiche avviene in parte con finanziamenti diretti, erogati direttamente dalla Commissione, in parte con finanziamenti indiretti erogati agli Stati membri e alle regioni, che provvedono ad allocarli sul territorio. Tra i finanziamenti diretti uno dei più importanti è il Programma Horizon 2020 per la ricerca, l’innovazione lo sviluppo tecnologico, dotato di un finanziamento complessivo di 80 miliardi per il periodo 2014-2020. Tra i finanziamenti indiretti sono fondamentali il Fondo sociale europeo per l’inclusione sociale e l’istruzione, nato sin dal 1957, il quale ha stanziato 90 miliardi per il periodo 2014-2020; il Fondo di coesione, nato con l’Atto unico del 1986 e con il Trattato di Maastricht del 1992, che promuove lo sviluppo delle regioni svantaggiate e dispone per il periodo dal 20142020 di 63,4 miliardi, i quali sommati a quelli del Fondo regionale e sociale raggiunono i 352 miliardi; il Fondo europeo per lo sviluppo regionale; e il Fondo agricolo di garanzia, che incoraggia la produzione di alimenti sicuri e di qualità nel rispetto dell’ambiente, che è dotato per il periodo 2014-2020 di 100 miliardi.

Marco Sono fondate le accuse ricorrenti alla “burocrazia” di Bruxelles?

Aps Queste accuse sono infondate, per diverse ragioni. Anzitutto si deve tenere presente che per regolare un mercato così vasto la struttura amministrativa della Commissione di Bruxelles conta in valore assoluto meno funzionari e impiegati di quelli attivi in una grande città come Milano o Rotterdam. Questo è possibile in quanto l’Unione europea non è costruita come una struttura capillarmente presente sul territorio, perché affida alle amministrazioni nazionali ed anche locali il compito di adeguarsi, dove è necessario, alle direttive comuni. Inoltre, quando si imputa all’Europa, talvolta a ragione, un eccesso di regolamentazione minuta, non si dice che quasi sempre sono i governi nazionali ad imporre in sede europea queste regole con la prescrizione di caratteristiche individuate, a ragione o a torto, allo scopo di renderle esclusive, ad esempio per tutelare i prodotti tipici del proprio Paese. Poi questi stessi governi a casa propria si lamentano degli effetti di quanto loro stessi hanno preteso a Bruxelles.

Marco Come avviene l’assegnazione delle risorse europee?

Aps Il bilancio viene programmato con due diverse procedure. Ogni sette anni l’Unione stabilisce l’ammontare complessivo delle sue risorse (Quadro pluriennale di sviluppo) su proposta della Commissione, con l’accordo di tutti gli Stati membri e con il voto del Parlamento europeo. Entro questa cornice pluriennale, l’Unione vara il proprio bilancio annuale.

Marco In cosa consiste il Quadro pluriennale di sviluppo?

Aps L’Unione programma il proprio sviluppo in termini di obbiettivi e di risorse. Dal momento che queste sinora provengono per la massima parte dagli Stati membri, la programmazione settennale avviene con la partecipazione attiva dei governi. La Commissione europea elabora una proposta, che viene discussa, votata dal Consiglio dei ministri all’unanimità e poi approvata se vi è il parere conforme del Parlamento europeo.

Marco Si sa già come sarà composto il prossimo Quadro pluriennale?

Aps Il prossimo Quadro pluriennale riguarderà gli anni dal 2021 al 2027 e sarà decisivo per lo sviluppo futuro dell’Unione. Il Parlamento europeo se ne è occupato in via preliminare ed ha enunciato un parere articolato, votato il 18 marzo 2018;[3] esso propone un aumento complessivo delle risorse, dall’attuale 1,04 all’1,3 del Prodotto interno lordo dei 27 Paesi dell’Unione; e soprattutto si individuano obbiettivi in linea con le esigenze di fondo dell’Europa, dalla tutela dell’ambiente alle migrazioni, dalle nuove tecnologie all’energia. La Commissione a sua volta ha presentato una proposta articolata il 2 maggio 2018.[4]

Marco Vorrei capire meglio quali sono gli obbiettivi principali del quadro pluriennale dell’Unione.

Aps Per i sette anni dal 2014 al 2020 il programma di bilancio in corso[5] comprende 371.4 miliardi per la coesione economica, sociale e territoriale (ricerca e innovazione, ambiente, risorse naturali, impiego, inclusione sociale, piccole e medie imprese ed altro), 420 miliardi per l’agricoltura, la pesca, lo sviluppo rurale e l’ambiente, 142.1 miliardi per la crescita e l’occupazione (ricerca, educazione, energia, piccole e medie imprese, reti telematiche, trasporti), 66.3 miliardi per le politiche di cooperazioni internazionale e per le spese umanitarie, 17.7 miliardi per la politiche di sicurezza, di cittadinanza, salute giustizia, 69.6 miliardi per le spese amministrative.

Marco Sono molti o sono pochi?

Aps Sono molti se si guarda alla molteplicità degli interventi, tutti rigorosamente scelti e monitorati. Sono pochi, troppo pochi se solo si pensa a quanto resti da fare per la crescita sostenibile, per l’occupazione soprattutto giovanile, per l’energia, per le nuove tecnologie, per la difesa comune: tutti obbiettivi che richiedono politiche europee e non solo nazionali. Al bilancio europeo attualmente è dedicato appena l’1% del Prodotto nazionale lordo complessivo dell’Unione, mentre il bilancio federale degli Stati Uniti supera il 20% del Pil. Il bilancio annuale dell’Unione, che si indirizza ad oltre 400 milioni di cittadini attraverso le politiche che ho ricordato, è oggi dell’ordine di 140 miliardi, inferiore a quello di alcune tra le maggiori imprese bancarie o industriali europee!

Marco Da dove derivano le entrate dell’Unione?

Aps Sono risorse proprie le entrate dell’Unione che le vengono conferite sulla base di una decisione normativa unanime dei governi, ad esempio una quota dell’IVA, ovvero il provento di dazi alle frontiere d’Europa. Sono risorse proprie anche quelle derivanti dal trasferimento di una quota del Prodotto nazionale lordo che ogni Stato membro conferisce annualmente all’Unione; attualmente quest’ultimo cespite copre circa i tre quarti del bilancio dell’Unione; esso è evidentemente differenziato sulla base delle dimensioni e del livello di ricchezza dei singoli Stati; si tratta comunque di una somma inferiore all’1% del Pil nazionale.

Marco Come si potrebbe aumentare il bilancio dell’Unione?

Aps Ciò si può fare con il ricorso a nuove risorse proprie, derivanti da imposizioni non nazionali ma europee: ad esempio quelle sulle emissioni di carbonio (carbon tax) o sulle transazioni finanziarie o sul Web, che in futuro potranno risultare fondamentali per disporre delle risorse necessarie per sviluppare le politiche dell’Unione. La sola carbon tax – che disincentiva le fonti di energia produttive di carbonio e incentiva le energie pulite potrebbe offrire un gettito di 75-90 miliardi annui, che potrebbero salire a 150 miliardi (Alberto Majocchi, 2018) con uno strumento che per di più favorirebbe la tutela dell’ambiente dal rischio climatico. È stato calcolato che non sarebbe difficile aumentare il bilancio annuale dell’Unione dall’1% attuale al 2,5% del Pil europeo, includendo anche le spese per la difesa.

Marco Posso avere un’idea di come è composto un bilancio annuale dell’Unione?

Aps Prendiamo il bilancio relativo all’anno 2017, che ammonta complessivamente a 157,8 miliardi di euro.[6] Le poste principali di spesa sono le seguenti: 74,8 miliardi per la crescita intelligente e inclusiva (dei quali 53,5 miliardi per la coesione economica, sociale e territoriale, per l’ambiente, per le piccole e medie imprese e altro; 21,3 miliardi per la crescita e l’occupazione); 58,5 miliardi per la crescita sostenibile, l’agricoltura e la tutela del territorio; 4,2, miliardi per la sicurezza e la cittadinanza; 10,1 miliardi per l’Europa globale, la cooperazione internazionale e le spese umanitarie; 9,3 miliardi per le spese amministrative.

Marco Si può avere un’idea di quanto ha dato e di quanto ha ricevuto l’Italia in un anno recente?

Aps Certamente, anche questi dati sono agevolmente reperibili nel portale europa.eu già citato. Ad esempio, nel 2016 l’Italia ha versato all’Unione 14 miliardi di euro e ha ricevuto 11,5 miliardi, dei quali il 44% è andato all’agricoltura, il 39% alle politiche regionali, l’11% a ricerca e sviluppo, il 2% a cittadinanza sicurezza e giustizia.

Marco Perché l’Italia riceve meno di quanto versa all’Unione?

Aps Perché nonostante i fattori di crisi, l’Italia è ancora uno dei Paesi più ricchi in Europa. In base al principio di solidarietà, fondamentale per l’Unione, una quota delle risorse del bilancio europeo va a sostenere lo sviluppo dei Paesi meno ricchi, tra i quali i Paesi dell’Europa orientale. E non è solo una questione di solidarietà ma anche un calcolo economico: crescendo, questi paesi incentiveranno i propri consumi, a vantaggio anche dei Paesi produttori più prosperi.

Marco In alcune Regioni e in alcuni Paesi i fondi europei assegnati non vengono utilizzati se non in parte, e tra questi Paesi c’è il nostro, a quanto scrivono i giornali.

Aps È una mancanza gravissima, che spesso si deve alla politica di approssimazione dei beneficiari pubblici e privati del nostro Paese: occorre la presenza di assetti organizzativi stabili e competenti i quali da un lato individuino le esigenze e le procedure corrette, dall’altro consentano di utilizzare efficacemente i finanziamenti assegnati. La stabilità dei governi e la continuità delle politiche contano molto nel creare le cornici favorevoli all’impiego di queste risorse.

Marco Quanto contano le lobbies, gli interessi delle grandi imprese nelle politiche dell’Unione europea?

Aps È ben vero che gli interessi particolari sono oggi spesso più “forti” che non l’interesse generale al quale dovrebbero rispondere sia i parlamenti che i governi. Le lobbies d’altra parte non vanno necessariamente demonizzate, in alcuni casi contribuiscono all’elaborazione di normative migliori di quanto i politici o i funzionari potrebbero fare da soli; è necessario però che vi sia trasparenza, e per questo si è introdotto il registro europeo delle lobbies. Quando funziona correttamente il circuito Commissione-Consiglio-Parlamento europeo, l’Unione è forte ed efficace. Ad esempio si è imposta e si sta imponendo persino alle potentissime multinazionali statunitensi, Google, Apple, Amazon. Là dove ha i poteri necessari, l’Unione europea è già una potenza. Una potenza pacifica, naturalmente.

Marco Lei ha appena descritto molte politiche positive dell’Unione europea, che abbiamo visto intrecciarsi con le criticità nate dalla crisi. Ma io vorrei dirLe che ci sono alcune cose sulle quali noi giovani siamo tutti d’accordo: una è l’abolizione delle frontiere, un’altra è l’opportunità di svolgere in un altro Paese dell’Unione una parte degli studi universitari, il Programma Erasmus. Nessuno dei miei amici, neanche gli anti-europei, si dichiara contrario.

Aps È vero. Le posso dire, anzi confessare, che quando è partito il programma Erasmus io, che insegnavo all’Università, ero perplesso. Ebbene, avevo torto. La possibilità di studiare per un anno in un altro Paese d’Europa si è rivelata una carta vincente, uno dei maggiori successi dell’Unione. Credo che una delle ragioni per le quali oggi in tutta Europa – lo mostrano i sondaggi anche recenti – i giovani sono molto più favorevoli all’Unione europea rispetto alle altre fasce d’età stia proprio qui. Inoltre ora è possibile anche fare esperienze di lavoro in Europa o confrontarsi con altri giovani quando si programmano delle nuove iniziative imprenditoriali. L’Europa è diventata un po’ casa propria per tanti, e questo è bellissimo.

Marco Mi pare di capire che la politica economica dell’Unione, nonostante i limiti che Lei ha denunciato, sia orientata su diversi obbiettivi, non soltanto sulla stabilità della moneta e sulla sostenibilità dei bilanci nazionali; è così?

Aps Sì. Possiamo vederlo con chiarezza se ricorriamo ad uno schema classico della politica economica. Gli obbiettivi sono tre: la stabilità, che mantiene fermo il valore della moneta evitando le conseguenze disastrose di un’alta inflazione distruttiva dei risparmi nonché il grave rischio della deflazione; la crescita sostenibile – compatibile con la tutela ambientale e con le condizioni di sviluppo delle comunità – che è il frutto di una disciplina rigorosa della libera concorrenza, e della messa in opera del mercato unico; la coesione, che opera una redistribuzione, affidata agli Stati, di una quota delle risorse a vantaggio degli Stati e delle Regioni più povere; il principio di solidarietà è ben presente nelle politiche europee.

L’Unione, pur nei limiti delle risorse di cui dispone, persegue tutti e tre questi obbiettivi, ognuno dei quali è sancito nei Trattati europei. Moneta unica, concorrenza, sviluppo e coesione hanno queste finalità. Aggiungo una considerazione: se guardiamo bene, questi tre obbiettivi, fondamentali per l’integrazione economica e sociale, sono in corrispondenza con quelle che abbiamo denominato le tre navate principali dell’Unione: la pace è un fattore basilare di stabilità, il benessere è legato alla crescita, la solidarietà si realizza sul fondamento dell’equità sociale. Vi è una coerenza di fondo nel disegno della cattedrale.

Template:Anchor Breve storia dell’Unione, 1948-2017[modifica]

Marco Come è nata l’idea dell’Unione europea?

Aps Se dovessimo farne la storia, anche per sommi capi, ci vorrebbe lo spazio di un libro. Basti dire che spiriti sommi avevano immaginato da secoli un’unione politica dell’Europa, talora dell’intera cristianità o addirittura dell’intero genere umano. In modi e contesti diversissimi, Dante Alighieri e Immanuel Kant hanno scritto pagine imperiture in proposito. Dante ha scritto che solo un impero in grado di dirimere con la forza del diritto una controversia tra i regni e tra le cit tà avrebbe portato alla pace (circa 1312, Monarchia, 1. 10). Kant ha tracciato il disegno di una federazione planetaria tra Stati quale strumento per la pace perpetua (1784 e 1795). Su un piano ben differente, sovrani di tempi diversi, da Carlo Magno a Federico II, da Carlo V a Napoleone hanno tentato di unificare l’Europa, ma hanno operato nella prospettiva di una conquista militare, di uno Stato unico sotto un solo sovrano; e sono stati fermati da altri Stati, da altri sovrani, dalla Francia, dall’Inghilterra, dagli Asburgo, dalla Prussia. L’ultimo a muoversi su questa linea è stato Hitler: voleva un continente ridotto in servitù sotto il dominio germanico.

L’idea di una vera unione politica è però maturata più tardi, proprio nel pieno della guerra terribile contro il nazismo, che in quel momento sembrava inarrestabile. Dal confino in cui lo aveva recluso il fascismo dopo avergli inflitto dieci anni di carcere, Altiero Spinelli scrisse nel 1941, con Ernesto Rossi e con Eugenio Colorni, il Manifesto di Ventotene, nel quale per la prima volta l’idea di Europa veniva sostenuta, con argomentazioni in gran parte ancora attuali, nei termini di una vera unione politica federale, che avrebbe reso finalmente impossibili le guerre intra-europee. Poteva sembrare un sogno irreale, in un momento nel quale l’Europa era ormai quasi interamente caduta sotto il dominio nazista.

Marco L’integrazione europea è nata solo dopo la vittoria sul nazismo e sul fascismo?

Aps La sua genesi e il suo sviluppo sono affascinanti. Nel maggio 1948 un grande Congresso organizzato all’Aja ha per la prima volta riunito le forze favorevoli alla prospettiva di un’unione politica dell’Europa con l’intervento di esponenti politici e culturali dei Paesi dell’Europa occidentale. Un primo importante traguardo lo troviamo nel trattato del 1951 sulla Comunità del carbone e dell’acciaio (la Ceca). Ne fu ideatore il francese Jean Monnet. Egli propose con successo ai governi di Francia e Germania, appena uscite dalla seconda guerra mondiale, di sottrarre alle sovranità nazionali la gestione di quelli che erano da un secolo i due pilastri dell’economia industriale, il carbone e l’acciaio, la cui produzione era concentrata nella Ruhr, contesa anche per questo dai due Paesi in ben tre guerre tra il 1870 e il 1939. Monnet propose di affidarne la gestione ad una Alta autorità indipendente dai governi; questi sarebbero stati presenti in un Consiglio; un’Assemblea parlamentare avrebbe votato le regole insieme al Consiglio; e le controversie le avrebbe decise una Corte di giustizia. È facile vedere che qui abbiamo già, in embrione, le istituzioni di base dell’Unione europea attuale. Esse presentano molti dei caratteri che sono propri della statualità federale e democratica. Monnet questo lo aveva chiarissimo: voleva porre le premesse, partendo dal carbone e dall’acciaio, per una unione più ampia. Il suo obbiettivo finale era espresso dall’associazione da lui fondata, che si intitolava in modo inequivocabile: “Associazione per gli Stati Uniti d’Europa”.

Marco Dunque la finalità vera era politica, non economica.

Aps È proprio così. Oggi spesso, anzi quasi sempre si dimentica che l’integrazione europea è nata con uno scopo di natura politica: quello di portare all’unificazione politica del nostro continente, un’unificazione federale. Lo scopo era di impedire così, in via definitiva, il rischio di nuove guerre europee, che avevano devastato i nostri Paesi e il mondo intero per responsabilità dell’Europa ben due volte in pochi decenni.

Marco E le tappe successive?

Aps Nei primi anni Cinquanta del Novecento si giunse a un passo dalla federazione, con il trattato per la Comuni tà europea di difesa (Ced, 1952), che però non venne ratificato nel 1954 dall’Assemblea francese. Allora lo stesso Monnet avviò, con altri, il progetto del Mercato comune, il cui trattato venne firmato dai governi di Francia, Germania, Italia e Belgio, Olanda e Lussemburgo nel 1957: la Comunità economica europea (Cee), originariamente a sei. Ma col tempo, in ragione del successo straordinario conseguito in pochi anni dall’economia dei sei paesi del mercato comune, la Cee si ampliò dapprima a nove Paesi, poi dodici, poi a quindici Paesi dal 1973 al 1995, infine a ventotto Paesi dal 2004 al 2013. Contemporaneamente nel 1957 nasceva anche l’Euratom, un trattato per la gestione comune dell’energia nucleare, purtroppo rimasto lettera morta dopo che la Francia di De Gaulle si dotò di un proprio armamento nucleare. Eurarom però è tuttora è in vigore e potrebbe ritornare di attualità per le energie rinnovabili.

Marco Lei come spiegherebbe questo successo del Mercato comune e della Comunità economica europea (Cee)?

Aps Una ragione di fondo della riuscita del grande progetto ideato da Jean Monnet sta nell’intuizione geniale che fosse possibile concentrare su un medesimo obbiettivo due dimensioni del vivere e del progettare che molto spesso sono divergenti, quando non addirittura contrastanti: gli interessi e i valori. L’integrazione europea costituiva e costituisce un valore largamente condiviso, perché prospetta la pace durevole tra i nostri Stati e i nostri popoli che per secoli si sono combattuti; sul terreno economico, migliorare la qualità dell’offerta e contenere i prezzi dei prodotti è anch’esso un valore; ma rappresenta allo stesso tempo anche un interesse, sia per la ragione appena espressa, sia perché le imprese più dinamiche e più sane dei diversi Paesi europei hanno interesse all’abolizione dei dazi alle frontiere e all’instaurazione di regole che garantiscano la libera concorrenza. Il compito non era semplice: per la messa a punto del mercato unico ci sono volute negli anni successivi al 1986 ben trecento direttive europee. Convergenza di valori e di interessi: ecco forse il segreto del successo del mercato comune, poi diventato mercato unico.

Marco Le istituzioni europee si sono trasformate in questi sessanta anni?

Aps Le tappe fondamentali di questa evoluzione le riassumerei così. Nel 1976 per iniziativa del presidente francese Giscard d’Estaing quella che era sino a quel momento un’Assemblea parlamentare composta di deputati nazionali si è tramutata nel Parlamento europeo eletto a suffragio universale ogni cinque anni dai cittadini europei, come è avvenuto a partire dal 1979. È stata una svolta di importanza cruciale, perché solo un Parlamento eletto direttamente possiede la legittimazione politica e istituzionale necessaria per rappresentare al livello dell’Unione i cittadini europei, che al livello nazionale sono rappresentati dai parlamentari nazionali. Frattanto si era introdotta la prassi, poi formalizzata, di riunioni periodiche dei capi di Stato e di governo dando vita al Consiglio europeo, via via diventato organo fondamentale per gli indirizzi politici dell’Unione, come abbiamo visto. Nel 1986, anche sulla base del Libro Bianco messo a punto da Jacques Delors nel 1985, fu varato l’Atto unico, il trattato che ha stabilito il traguardo ambizioso del mercato unico e l’ha accompagnato con la previsione di una politica di sostegno economico da parte dell’Europa alle regioni meno ricche del Continente, che prederà il nome di politica di coesione. È stata la risposta al progetto di unificazione politica varato dal Parlamento europeo al termine della sua prima legislatura, nel 1984, noto come “Progetto Spinelli” perché promosso dal grande federalista del Manifesto di Ventotene.

Marco E poi si arriva al Trattato di Maastricht, se non sbaglio.

Aps Certo, questo è avvenuto nel 1992. Il Trattato di Maastricht ha fissato due obbiettivi centrali: ha dettato le regole per la moneta unica, l’euro, realizzata a partire dal 1999, che si era resa necessaria per garantire un corretto sviluppo del mercato unico e della concorrenza, prima alterata da svalutazioni monetarie competitive; ed ha esteso la competenza di quella che da allora ha preso il nome di Unione europea alla politica estera e di sicurezza e alla politica interna e di giustizia, due gruppi di competenze denominati allora il secondo e il terzo pilastro dell’Unione, accanto a quello dell’unione economica e monetaria (primo pilastro), tutti e tre essenziali nella prospettiva di una futura unione politica federale. Non solo: il Trattato del 1992 ha introdotto il principio fondamentale della cittadinanza europea, che ogni cittadino di uno Stato membro dell’Unione possiede accanto alla propria cittadinanza nazionale; ha disciplinato la politica di coesione, cioè di solidarietà, già ricordata; ha enunciato il principio della sussidiarietà, un vero pilastro dell’Unione, sul quale torneremo tra poco; ha previsto l’avvio di una politica sociale dell’Unione; ed ha incluso tra le competenze dell’Unione tutta una serie di materie, dai trasporti alla ricerca, dall’occupazione alle politiche giovanili all’energia, come già abbiamo visto in merito alle politiche dell’Unione. Un complesso di riforme imponente, il più importante sino ad oggi dopo i Trattati fondatori del 1950 e del 1957.

Marco Quali sono stati i passi ulteriori?

Aps I due successivi trattati di Amsterdam (1997) e di Nizza (2000) hanno introdotto modifiche significative estendendo

i casi di decisione a maggioranza nel Consiglio dei ministri e rendendo più funzionale la procedura di codecisione tra il Parlamento europeo e il Consiglio dei ministri. A Nizza è stata anche approvata la Carta dei diritti dell’Unione, che dal 2009 è parte integrante dei trattati, un passo in avanti importantissimo. Va sottolineato il fatto che una Carta dei diritti costituisce un elemento essenziale di tutte le moderne costituzioni.

Marco E le innovazioni di questi primi anni del terzo millennio?

Aps Nel 2004 si è conclusa la Convenzione europea composta da rappresentanti del Parlamento europeo, dei Parlamenti nazionali, dei Governi e della Commissione. Ha predisposto una Costituzione (denominata Trattato costituzionale) che introduceva elementi nuovi nella disciplina dei trattati e sistemava l’intera normativa europea in modo molto più razionale. Ma il Progetto è caduto perché due referendum del 2005 sulla ratifica, in Francia e in Olanda, hanno avuto esito negativo. Una nuova Conferenza intergovernativa lo ha però ripreso quasi integralmente nel 2007, anche se in forma meno organica e senza più impiegare il termine di costituzione. E così è nato il Trattato di Lisbona entrato in vigore nel 2009, che tuttora rappresenta la costituzione dell’Unione europea. Esso consta di due trattati disinti ma collegati, il Trattato sull’Unione europea (Tue) che delinea i profili fondamentali dell’Unione, e il Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (Tfue), che specifica analiticamente gli obbiettivi e le procedure dell’Unione.

Marco Perché parlare di costituzione, se tale non è?

Aps È vero, quello di Lisbona è un trattato, non una costituzione. Ma nella realtà, l’Unione ha già una costituzione: le istituzioni che abbiamo ricordato, le regole di decisione, le competenze stabilite, la Carta dei diritti ormai parte integrante del diritto dell’Unione, tutto questo presenta i caratteri che sono propri di un assetto costituzionale. È corretto perciò ritenere che l’Unione europea una costituzione la ha già, anche se imperfetta, incompiuta.

Marco Quali sono le innovazioni del Trattato di Lisbona?

Aps Oltre all’inclusione della Carta dei diritti, il Trattato sviluppando quanto già avviato a Nizza nel 2000 ha introdotto il principio per il quale quando il Consiglio dei ministri può decidere a maggioranza qualificata, questa richiede un voto che raccolga la maggioranza di almeno il 55% dei governi, tale da rappresentare almeno il 65% della popolazione dell’Unione. Il Trattato ha reso esplicito il principio per il quale l’Unione si regge sulla democrazia rappresentativa. Inoltre, il trattato di Lisbona ha disciplinato in modo nuovo due procedure che permettono di avviare politiche di difesa e di innovazione entro l’Unione anche se non tutti i governi le condividono: sono le procedure di cooperazione strutturata e di cooperazione rafforzata, sin qui ancora scarsamente utilizzate ma potenzialmente molto promettenti, perché permettono di superare il requisito paralizzante della unanimità.

Marco C’è chi pensa che in una costituzione europea dovrebbero essere menzionate le radici cristiane dell’Europa. Lei è d’accordo?

Aps Non lo ritengo necessario. E spiego perché. Anzitutto negare queste radici sarebbe impossibile per la ragione che esse sono già ben presenti nel diritto dell’Unione, come è stabilito nei trattati: infatti, cosa sono la coesione e il principio di solidarietà se non declinazioni istituzionali del precetto della carità? Cosa rappresenta il principio della dignità scritto nella Carta dei diritti europea se non l’espressione giuridica del precetto della pari dignità di ogni essere umano presente nei Vangeli? Questi principi sommi sono divenuti patrimonio della civiltà europea (anche quando e quanto spesso violati…), hanno una radice religiosa ma sono condivisi – e sono costituzionalmente

vincolanti – anche da chi e per chi non sia credente o appartenga a un’altra religione. Menzionare le radici cristiane dunque da una parte è inutile perché esse sono già ben presenti nel diritto dell’Unione, d’altra parte potrebbe allontanare dall’adesione alla Costituzione europea chi non sia un cristiano praticante mentre è giusto che ogni cittadino di ogni Stato membro dell’Unione si senta anche cittadino europeo.

Marco Dopo il Trattato di Lisbona ci sono state altre modifiche importanti della struttura istituzionale dell’Unione?

Aps Le innovazioni più importanti sono avvenute negli anni 2011-2012, per fare fronte alla grave crisi esplosa nel 2008. Questa ha messo seriamente a rischio la tenuta dell’euro e con essa l’intera unione economica e monetaria europea, come abbiamo visto. La Banca centrale europea ha attuato con successo in questi anni politiche incisive per salvare l’euro. I Governi a loro volta hanno deliberato un insieme di misure per mettere sotto controllo quei bilanci nazionali – a cominciare dalla Grecia e in secondo luogo dall’Italia – per i quali l’indebitamento pubblico rischiava di portare al fallimento il sistema bancario, l’economia del Paese e la stessa unione economica europea. L’Europe an Stability Mechanism (ESM), il Fiscal Compact e altre complesse misure sono servite a questo. E così pure gli altri strumenti che abbiamo menzionato a proposito dei rischi che può correre l’Unione. La politica di austerità, patrocinata in primo luogo dalla Germania, ha avuto meriti e demeriti. Oggi la crisi è in via di superamento – con la sola eccezione dell’Italia, purtroppo – e si sono avviate politiche di sviluppo, peraltro ancora non sufficienti, come abbiamo già visto. Il quadro istituzionale è rimasto, sino ad oggi, quello di Lisbona del 2009.

Marco Dopo quanto ho ascoltato comincio a rendermi conto della complessità della costruzione europea ma soprattutto di quanto alta sia l’ambizione del disegno originario che

la ha vista nascere. Chi possiamo considerare i veri padri del progetto di unione?

Aps Le radici affondano in un passato lontano, che dal cosmopolitismo antico si estenda al medioevo di Dante e poi all’età moderna con Kant. Ma se vogliamo limitarci all’Unione europea quale oggi esiste, due nomi sono davvero fondamentali e possono considerarsi i “padri” dell’Europa. Li abbiamo già menzionati: Altiero Spinelli e Jean Monnet. Rispondo alla Sua domanda tracciando un brevissimo profilo di entrambi. Altiero Spinelli, nato nel 1907, si impegnò sin da adolescente nella lotta al fascismo all’interno del neonato Partito comunista. All’età di appena 21 anni venne condannato dal Tribunale speciale e passò dieci anni in carcere (1928-1937). Nel corso di questi anni si dedicò con passione allo studio. Anche per influenza di Ernesto Rossi (come lui incarcerato dal fascismo), di Luigi Einaudi e dei federalisti inglesi (Strachey, Robbins, Lord Lothian) giunse così alla convinzione che la via del futuro non fosse il comunismo sovietico bensì la costruzione di una federazione europea. Fu per questo duramente ostracizzato dai suoi stessi compagni di carcere di fede comunista. In seguito scrisse nel confino di Ventotene con Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni il celebre Manifesto del 1941, già ricordato.

Nel 1943 fondò il Movimento Federalista Europeo. Nel 1953-54 ebbe un ruolo fondamentale nel disegnare il trattato della Comunità europea di difesa (Ced) che avrebbe condotto direttamente alla federazione. Fallito questo, dopo alcuni anni riprese la sua battaglia; fu dapprima commissario europeo, quindi venne eletto nella prima legislatura del Parlamento europeo e nel 1984 riuscì ad aggregare una maggioranza su un Progetto (Progetto Spinelli) che delineava una profonda riforma dei trattati. Il Progetto non venne recepito dai Governi, ma generò indirettamente prima l’Atto unico del 1986 e poi il Trattato di Maastricht del 1992. Spinelli scrisse saggi fondamentali sull’Europa politica ed anche una bellissima autobiografia (Come ho tentato di diventare saggio, 1984). Morì nel 1986.

Marco E Jean Monnet?

Aps L’Unione europea – come è nata nel 1951, come si è sviluppata dal 1957 in poi e come esiste oggi – è nei suoi fondamenti istituzionali e operativi il frutto del pensiero e dell’azione di Jean Monnet. Quest’uomo singolare, discendente da una famiglia di produttori di Cognac, sviluppò sin da giovane una vocazione per così dire cosmopolitica che lo condusse al segretariato della Società delle Nazioni tra le due guerre, e poi ad avviare con successo una stretta integrazione tra Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia nella lotta contro il nazismo, dal 1940 alla fine della seconda guerra. Fu l’ideatore della Comunità europea del Carbone dell’Acciaio (Ceca) del 1951 e ne fu il primo presidente. Fallita la Ced, intuì che la battaglia per l’unione politica europea potesse riprendere a partire dall’istituzione di un grande mercato comune europeo: il trattato fondamentale del 1957 come pure quello coevo sull’Euratom furono preparati da lui con la collaborazione di pochi funzionari illuminati, tra i quali i francesi Bernard Clappier e Pierre Uri.

L’impianto istituzionale dell’Unione di oggi è sostanzialmente ancora quello da lui ideato sin dal 1950, con le quattro istituzioni che abbiamo descritto. Anch’egli scrisse negli ultimi anni una bellissima autobiografia (Mémoires, 1976), che tutti dovrebbero leggere, insieme con quella di Altiero Spinelli. Alla base stavano alcune idee: che gli ideali e gli interessi potessero incontrarsi nel dar vita all’unione europea; che non gli uomini ma solo le istituzioni possono “diventare più sagge”; che le difficoltà e le crisi siano (possano essere…) le matrici dei passi in avanti verso l’unione europea; che “noi non coalizziamo gli Stati, noi uniamo gli uomini”; e che l’Unione europea “non è che una tappa verso le forme di organizzazione del mondo di domani”. Un gigante.

Naturalmente, l’Unione europea non si deve soltanto a questi due uomini. Molti altri hanno avuto ruoli centrali, dai primi grandi politici del secondo dopoguerra (Schumann, De Gasperi, Adenauer, Spaak) a Giscard d’Estaing promotore dell’elezione diretta del Parlamento europeo nel 1976, da Mario Albertini a Jacques Delors, il più grande presidente della Commissione, in carica dal 1984 al 1995, gli anni dell’Atto Unico e del Trattato di Maastricht). Ed altri ancora…


Template:Anchor IV. Prospettive dell’Unione[modifica]

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Template:Anchor Un’Europa a cerchi concentrici?[modifica]

Marco Oggi l’Unione ha 28 Stati membri, che diventeranno 27 con l’uscita del Regno Unito. Sono tutti sullo stesso piano? Sono tutti davvero schierati per un’Unione più avanzata? Quali dovrebbero essere i confini d’Europa?

Aps La scelta degli Inglesi di uscire dall’Unione è stata una scelta drammatica, in parte emotiva, che a mio avviso si rivelerà dannosa per la Gran Bretagna; ma sarà il futuro a

mostrare se e quanto questo sia vero. Ciò non toglie né mai deve far dimenticare che la storia dell’Inghilterra è stata una componente fondamentale della storia d’Europa. Le moderne democrazie costituzionali, fondate sulla distinzione dei tre poteri, sono nate sul modello inglese del Seicento. La rivoluzione industriale è partita dall’Inghilterra. E pochi sanno che i primi a teorizzare in modo preciso la teoria del federalismo, applicabile anche all’Europa, sono stati alcuni pensatori inglesi, tra i quali J. R. Seeley nel secondo Ottocento e Lord Lothian negli anni Trenta del Novecento. L’Inghilterra, come la Scozia, resterà sempre parte integrante dell’Europa e della civiltà europea, anche dopo il referendum del 2017.

Marco E i Paesi dell’Est europeo?

Aps L’estensione dell’Unione ai Paesi dell’est europeo era un dovere storico, dopo il crollo del comunismo: essi fanno parte a pieno titolo dell’Europa e della sua storia. Tuttavia oggi le posizioni sul futuro dell’Unione e sulle sue scelte sono molto differenziate tra i diversi Paesi. E in taluni di essi – specie in Polonia e in Ungheria, che con altri Paesi vicini fanno parte del cosiddetto gruppo di Visegrad – si sono manifestate posizioni politiche di chiusura verso una prospettiva di unione politica, verso il rispetto dei principi di democrazia stabiliti dai trattati e dalla Carta dei diritti, approvata da tutti, nonché verso ogni forma di accoglienza di migranti se non su base volontaria. Vedremo dove queste posizioni potranno condurre. È in corso un processo di reviviscenza del nazionalismo, oggi ridenominato “sovranismo”, non solo ad est dell’Europa, come sappiamo…

Marco A questo punto mi chiedo: è concepibile un’Unione europea differenziata? Un’Europa per così dire a cerchi concentrici, con un nucleo di Paesi che formino una vera federazione di Stati ed altri Paesi per così dire periferici, ma comunque partecipi del mercato unico?

Aps Questa è davvero una questione fondamentale. In Europa è in discussione da decenni. Io stesso (mi permetto questa autocitazione) ho scritto su questo tema esattamente trent’anni fa, nel 1988, prima di Maastricht. Ebbene, la risposta è sì, ma solo a certe condizioni. La prima è questa: di un possibile nucleo stretto debbono comunque essere parte sia la Francia che la Germania, perché il cuore dell’unione politica, la sua ispirazione originaria e il suo codice genetico stanno in questo patto nato dalle ceneri delle due guerre mondiali. La risposta è sì anche perché in realtà la storia dell’integrazione europea è stata sin qui proprio la storia di un’integrazione differenziata. L’accordo di Schengen che ha istituito la libera circolazione dei cittadini tra Paesi dell’Unione è partito da un gruppo di Stati membri e ancora oggi non è condiviso da tutti. La politica sociale dell’Unione, stabilita a Maastricht, è stata in un primo tempo respinta dalla Gran Bretagna. E soprattutto, la moneta unica, l’euro, oggi è realtà in 19 Paesi, mentre altri Paesi si preparano e ad entrare ed altri ancora almeno per ora non intendono farlo.

Marco Ma come è possibile far convivere più cerchi concentrici?

Aps In linea di principio, tutti i Paesi che hanno ratificato i trattati europei – e dunque hanno espressamente riconosciuto che le competenze dell’Unione sono quelle stabilite dai trattati – dovrebbero accettare di condividere le scelte approvate, su tutte queste materie, dalla maggioranza dei governi e dal Parlamento europeo, rispettando naturalmente il principio di sussidiarietà. Senonché la storia (come un grande giudice della Corte Suprema americana, Oliver Wendell Holmes, diceva a proposito della genesi del diritto) non è figlia della logica, è figlia dell’esperienza. E l’esperienza dell’integrazione europea mostra che in molte circostanze bisogna accettare un’integrazione differenziata. Certe politiche possono essere condivise da alcuni governi dell’Unione ma non da altri, quanto meno in un primo tempo come risulta dagli esempi che ho citato.

Marco Come funzionerebbero in questi casi le istituzioni dell’Unione?

Aps Qui sta il vero nodo. Se è relativamente semplice una geometria differenziata su singole politiche, le cose si complicano se le differenze riguardano il funzionamento del le istituzioni, che sono di tutti. A partire dal 1997 i Trattati europei, in particolare il Trattato di Lisbona oggi in vigore, hanno previsto che si possano decidere “cooperazioni rafforzate” per politiche innovative, purché condivise da almeno otto Paesi dell’Unione; ed è prevista inoltre una “cooperazione strutturata” anche più ristretta per la difesa. Nel Consiglio voterebbero solo i governi che decidano di procedere, dopo avere comunque proposto a tutti l’iniziativa. Del resto, già oggi esiste l’Eurogruppo che riunisce i rappresentanti dei soli governi dell’Eurozona.

Marco E il Parlamento europeo parteciperebbe? E la Commissione?

Aps La Commissione senz’altro sì, come già oggi avviene. Quanto al Parlamento, i trattati tacciono su questo punto. È vero che il Trattato di Lisbona nel disciplinare le due cooperazioni si riferisce solo ai governi e il Parlamento ne sembra escluso. Ma è anche vero che un articolo del trattato (art. 333 Tfue) prevede che i governi della cooperazione rafforzata possano decidere di adottare la procedura legislativa ordinaria: cioè di decidere anche a maggioranza, in codecisione con il Parlamento europeo. Certo, per questo occorre in partenza un voto unanime dei Paesi che vogliono la cooperazione rafforzata. È un ostacolo, ma forse non insuperabile dopo il distacco della Gran Bretagna che mai avrebbe condiviso quella che viene chiamata la “clausola passerella”. E si può immaginare che in futuro su queste politiche innovative la discussione sia aperta a tutti entro il Parlamento europeo, ma il voto sia limitato ai soli parlamentari eletti dai Paesi che abbiano intrapreso la cooperazione rafforzata o strutturata. La via è dunque percorribile.

Marco In questa prospettiva ci sarebbe un’unione economica tra tutti i 27 Paesi e un’unione politica solo per chi lo vuole, purché (come Lei ha detto) condivisa almeno da Francia e Germania?

Aps Sì, ma le cose non sono mai così semplici come possono sembrare. In realtà il mercato unico non è solo un mercato, lo abbiamo già detto: c’è la coesione a sostegno delle regioni meno ricche, c’è la solidarietà, c’è la politica commerciale comune, c’è la tutela dei diritti fondamentali. Come si fa a non riconoscere che queste sono competenze non solo di natura economica ma di natura politica? Dunque anche la via dei cerchi concentrici è disseminata di ostacoli. Solo il futuro dirà se e come essi potranno venire superati.

Marco Ancora pensando al futuro, quali dovrebbero essere secondo Lei i confini di un’Europa unita?

Aps Tra i Paesi da includere nell’Unione vi sono gli Stati balcanici (Serbia, Montenegro, Albania, Bosnia), per i quali le trattative, lunghe e complesse, differenziate per ciascun Paese, sono in corso e si spera che giungano a conclusione in tempi brevi. Vi sono poi altri Paesi ai confini d’Europa – ad est l’Ucraina, l’Armenia ed altri, inclusa la stessa Russia, nonché i Paesi della sponda meridionale del Mediterraneo – con i quali l’Unione europea potrebbe e dovrebbe stringere accordi di associazione economica ed anche di sicurezza senza che essi facciano parte dell’Unione stessa e delle sue istituzioni. Infine c’è la Turchia, con la quale trattative per un ingresso nell’Unione erano in corso, difficili anche per le dimensioni di questo Paese e per la sua diversità culturale e religiosa rispetto all’Europa. Le opinioni pubbliche in Europa sono prevalentemente contrarie all’ingresso, anche se a mio avviso non può essere la religione a costituire un impedimento, in linea di principio. Ma l’ingresso nell’Unione, che divide gli stessi turchi, è ormai reso impossibile per la deriva autoritaria che la Turchia sta attraversando, incompatibile con i principi dell’Unione europea.

Template:Anchor Livello delle sfide e livelli di governo[modifica]

Marco Tutti i problemi, tutte le difficoltà e le sfide che emergono da questa nostra conversazione indurrebbero a pensare che il disagio susciti una reazione anche rabbiosa, ma intensa, una pressione sulla politica perché si muova, perché si attivi, perché risolva tali sfide meglio di quanto non stia facendo. Invece la reazione si manifesta nell’astensione dal voto, sempre crescente. Oppure nei consensi accordati ai movimenti populisti quando non addirittura in un voto di rifiuto dell’Unione come è accaduto con il voto inglese (Brexit). Non sono allarmanti queste due forme di reazione da parte dei cittadini?

Aps Lo sono certamente. Dei rischi gravi che si correrebbero adottando le ricette semplicistiche dei populisti e dei neo-nazionalisti abbiamo già parlato. Però spesso si dimentica quanto l’adesione all’Europa abbia contato in positivo nel corso dei decenni per un Paese come l’Italia. Se dagli anni Cinquanta agli anni Novanta del Novecento il reddito pro-capite in Italia si è quintuplicato, se le esportazioni dei nostri prodotti più validi sono enormemente cresciute, questi risultati (ma non sono i soli) li dobbiamo in larga parte proprio al fatto di aver accettato la sfida europea.

Marco Ma perché allora questo alto livello di astensionismo?

Aps Questo purtroppo è oggi un male diffuso, non solo in Europa. Da decenni, negli USA vota poco più della metà degli elettori. È un aspetto della crisi delle democrazie sul quale si dovrebbe ragionare in profondità, e non possiamo farlo qui; ci sono in proposito molte diagnosi acute, molti rimedi ipotizzati e ipotizzabili. La democrazia, a cominciare proprio dalla democrazia rappresentativa, è un valore che si apprezza soprattutto quando viene a mancare: come l’aria che respiriamo, come la libertà politica, come la salute. Vorrei però richiamare un punto per me essenziale: molte carenze della politica che sono alla base della crescente disaffezione dei cittadini verso la democrazia rappresentativa e verso il voto sono in realtà la conseguenza del fatto che i relativi problemi non sono risolvibili al livello nazionale; non è certo questa l’unica ragione della crisi di fiducia nella politica, ma ne è una componente importante, anche se per lo più sottovalutata.

Marco C’è un legame tra l’astensionismo delle elezioni nazionali e quello delle elezioni europee?

Aps Credo di sì. In un certo senso i due fenomeni derivano da carenze simmetricamente opposte. Per l’Europa molti non vanno a votare perché ritengono che l’Unione risponda in modo insufficiente ai bisogni di sicurezza e di crescita; e questo è in buona parte vero, come abbiamo già visto. Alle elezioni nazionali molti tra gli astensionisti sono mossi dalla stessa disillusione, ma qui va detto che la crisi dello Stato nazionale dipende in larga misura dall’assenza del livello sovranazionale che in settori chiave come la sicurezza e lo sviluppo, gli investimenti e la difesa, le immigrazioni e le nuove tecnologie potrebbe, esso solo, modificare la condizione dei cittadini e assicurare un futuro ai nostri Paesi. Il cittadino avverte il problema, constata che esso non viene affrontato, o lo è solo a parole; e reagisce come si è detto. E allora la vera responsabilità è proprio delle classi politiche nazionali, che rifiutano di affidare all’Europa i poteri e gli strumenti con i quali tali problemi potrebbero invece venire risolti. Per dirlo in poche parole e in termini generali: se un problema non può venire affrontato al livello nazionale perché è di portata più grande rispetto allo Stato nazionale, esso resterà irrisolto a meno di non affidarlo al giusto livello di governo, dunque in molti casi proprio all’Europa.

Marco Ma ci sono anche sfide che superano lo stesso livello europeo perché sono planetarie: dal riscaldamento climatico alle guerre, dalla minaccia nucleare alla povertà estrema di oltre un miliardo di individui, dai genocidi alle malattie epidemiche e alla riduzione della biodiversità. E non solo.

Aps Queste sono immense sfide globali, risolubili (forse…) solo al livello globale. Ma anche su questo fronte vorrei sottolineare che l’Europa ha un ruolo importante, anzi fondamentale. O meglio, potrebbe averlo, se fosse politicamente unita: perché proprio su questi fronti gli europei hanno una visione cosmopolitica più matura, più avanzata rispetto a tutti o a quasi tutti gli altri Paesi e continenti. La condizione è però sempre la stessa: senza un’unione politica federale, queste posizioni resteranno potenziali, dunque non avranno il necessario impatto sulla politica mondiale, che sarà sempre più egemonizzata dai grandi Stati.

Marco Mi pare di aver capito che Lei sostiene questo: le sfide, i problemi che la politica si trova davanti e che non riesce a risolvere sono un fattore determinante della reazione negativa che l’elettorato manifesta con voti populisti e di rigetto per l’assetto esistente, oppure con l’astensione.

Aps È così. Vorrei formulare la questione in termini più generali. Ogni problema, ogni obbiettivo, ogni ostacolo da superare sul terreno delle decisioni collettive e dunque sul terreno della politica deve venire impostato, affrontato e se possibile risolto mediante strumenti adeguati, con il supporto di istituzioni in grado di raggiungere lo scopo. Se l’obbiettivo è raggiungibile a livello locale (ad esempio, un giardino pubblico), va affrontato a quel livello; se a livello regionale (ad esempio, la rete dei trasporti locali), lo stesso; se a livello nazionale (dalla sanità all’istruzione, dalla previdenza sociale all’artigianato alla tutela del territorio e così per moltissimi altri problemi), è questo il giusto livello di decisione; se è risolubile a livello continentale, non sarà lo Stato nazionale ma l’Unione europea a poterlo fronteggiare: per esempio per il mercato unico e per la difesa, come abbiamo già visto; se infine il problema si pone a livello globale, servono le istituzioni globali. Questa scelta del giusto livello va naturalmente motivata, nel rispetto del principio di sussidiarietà, cioè privilegiando il livello più basso possibile, il più prossimo ai cittadini; ci ritorneremo. Dunque, occorre commisurare il livello istituzionale alla natura dei problemi da affrontare. Se ci si ostina a sostenere che lo Stato nazionale può fare e deve fare tutto, ci si scontra con la realtà. E si determina la reazione alla politica che stiamo sperimentando. E non solo in Italia, ma ovunque in Europa.

Marco Ma non c’è il caso che i diversi livelli debbano interagire tra loro?

Aps Certamente, questo accade spessissimo sulle questioni di competenza concorrente, della quale abbiamo già parlato. Ed è giusto che sia così. L’Unione europea mette a punto programmi e finanziamenti in cooperazione con gli Stati. E a ciascun livello, anche nei casi di cooperazione, occorre che siano rispettati i principi di democrazia: esercizio del potere di governo legittimato dalle Camere, equilibrio tra i poteri.

Marco Se tutto questo è vero, allora bisogna concludere che la responsabilità principale per non aver proceduto nella direzione giusta è delle classi politiche nazionali. Una responsabilità molto grave!

Aps È nella natura delle cose umane che quando un sovrano o un governo ricoprono una posizione di potere, essi non siano disponibili a spogliarsene spontaneamente. I nostri piccoli Stati nazionali in realtà non sono già più sovrani nel mondo globale: i politici europei questo lo sanno bene. Ma non vogliono riconoscerlo e si rifiutano di affidare all’Unione quelle leve che ancora essa non possiede.

Marco Perché Lei insiste tanto sulla necessità di adottare il principio delle decisioni a maggioranza?

Aps Le ragioni sono due. Vi è anzitutto una ragione di efficienza; come abbiamo già ricordato, l’esperienza dei secoli ha insegnato che per decidere insieme tra eguali le questioni di interesse comune, quando non c’è accordo bisogna contarsi, altrimenti non si decide. La seconda ragione è di principio: dal momento che le competenze e gli obbiettivi dell’Unione sono stabiliti dai trattati con l’accordo di tutti gli Stati membri, se una decisione va assunta occorre che in caso di dissenso la minoranza accetti la scelta della maggioranza, purché legittimamente adottata; una unione è tale solo se nelle questioni di interesse comune si è disposti ad accogliere il parere della maggioranza, semplice o qualificata a seconda dei casi. Quando questo non avviene, quando per i trattati vale il criterio dell’unanimità anche se la materia è di competenza dell’Unione, si può ritenere che l’unione semplicemente non esiste. Il che è contraddittorio: il principio di non contraddizione vale non solo per i ragionamenti logici ma anche per le faccende umane.

Marco Siamo allora, come dicono i francesi, “ai piedi del muro”, siamo di fronte a un ostacolo non superabile?

Aps No. Il cammino di unione che sta alle nostre spalle è lungo e denso di grandissimi risultati, riconosciuti ovunque nel mondo. Anche alcune tra le scelte che l’Unione ha compiuto sul terreno istituzionale sono veramente illuminate, innovative. Quello che manca è lo slancio per compiere gli ultimi passi, nel segno della continuità ma con decisione. Il vento del pessimismo e della sfiducia, enfatizzato dalla deriva sovranista, potrebbe cambiare direzione e di questo si colgono alcuni segnali significativi, anzitutto da parte dei giovani. Il grande discorso di Emmanuel Macron alla Sorbona del 26 settembre 2017 ha segnato una vera svolta positiva. Ancora una volta ripeto che darà decisiva l‘elezione europea del 2019. La storia, che è sempre imprevedibile, conosce queste svolte inattese. Guai però a ritenere che la strada sia in discesa…

Marco A cosa si riferisce parlando di scelte istituzionali illuminate?

Aps Mi limito a un solo esempio. Abbiamo già detto che in un modello federale la legittimazione democratica si basa su un doppio versante: una Camera rappresentativa, eletta a suffragio universale su base proporzionale, e una Camera degli Stati. Negli Stati Uniti, la Costituzione del 1787 ha stabilito, per quest’ultima, che nel Senato siano presenti due senatori per ognuno degli Stati della Federazione, indipendentemente dal numero degli abitanti di ciascuno Stato, È questo il “grande compromesso” che ha sbloccato la via alla federazione americana. Ma può accadere (lo abbiamo visto anche di recente) che in tal modo la maggioranza in Senato sia costituita da senatori eletti da una maggioranza di Stati (ad esempio 51 senatori su 100) che globalmente hanno tuttavia ricevuto un numero di voti anche largamente inferiore a quelli dell’altro partito, milioni di voti in meno. Nell’Unione con il regime in vigore si è invece adottato un altro criterio, come abbiamo già ricordato parlando del Trattato di Lisbona: quando una legge o una decisione deve essere assunta dal Consiglio dei ministri a maggioranza qualificata, questa viene raggiunta solo se la delibera riceve il voto del 55% dei ministri che rappresentino almeno il 65% della popolazione dell’Unione. Così i due criteri di rappresentanza si combinano in modo armonico. E questo è molto importante, anche perché implicitamente, tenendo conto della popolazione complessiva dell’Unione, si riconosce che essa costituisce già la struttura istituzionale di un solo popolo.

Marco Tuttavia, quanto Lei ha detto, mi pare che “completare la cattedrale” non sia affatto semplice, se l’ostacolo risiede nella resistenza accanita dei governi nazionali.

Aps Sì, la resistenza è accanita, talvolta esplicita ma spesso sorda e sottotraccia. Perché l’obbiettivo sia tanto difficile da raggiungere lo ha spiegato lucidamente Nicolò Machiavelli cinque secoli fa: dare vita a “ordini nuovi” è cosa ardua perché chi li promuove è debole in quanto privo ancora dei poteri necessari mentre chi difende l’ordine antico lo fa con ogni mezzo. I media tendono a credere e a far credere che ciò che conta è il potere esistente e che l’ordine nuovo è solo utopia.

Marco Mi viene quasi da dire che ci ritroviamo in una situazione da “banalità del male”: non essendoci ancora un “ordine nuovo” capace di governare la globalizzazione, ciascun potere nazionale, con l’alibi dell’impotenza dovuta a questa mancanza, riduce la propria politica a individualismo, carrierismo e privilegi, non accorgendosi di diventare con questa irresponsabilità il motivo dell’impasse. Prendere consapevolezza, come cittadini, di questa irresponsabilità potrebbe essere la chiave giusta?

Aps È vero. In un certo senso, l’ideale federalista nasce proprio dalla “banalità del male” frutto delle ideologie totalitarie del Novecento.

Marco Quali sono gli elementi che potrebbero segnare una svolta decisiva verso un assetto federale dell’Unione?

Aps A questa realtà si può fare fronte da un lato con la forza della ragione e della passione civile e morale, che non sono da sottovalutare mai; dall’altro con l’apporto di tre fattori determinanti, efficaci soprattutto se operano congiuntamente. Essi sono: le crisi dell’ordine antico, che costringono a individuare vie nuove; la leadership di uno o più politici che abbia/abbiano intuito le potenzialità dell’ordine nuovo legando ad esso le loro fortune politiche; infine, la “spinta dal basso”, cioè la pressione di un’opinione pubblica favorevole alla prospettiva di fondo dell’integrazione. L’Unione europea quale oggi esiste si è costruita con l’apporto di tutti e tre questi fattori. Ed è possibile che si completi così, perché i tre fattori sono tuttora essenziali per proseguire il cammino. Oggi in tutti i Paesi europei la vera divisione politica è quella tra chi propone più Europa e chi propone la chiusura, il ritorno al nazionalismo.

Template:Anchor La cattedrale incompiuta[modifica]

Marco Lei ha detto prima che una costituzione europea esiste già, ha paragonato l’Unione a una grande cattedrale. Vorrei capire meglio il perché di questa immagine.

Aps Cerco di sintetizzare in poche frasi la ragione della metafora. Un insieme di Stati e di ordinamenti sovrani, formati nel corso di quindici secoli in un costante rapporto scambievole di culture, di confronti civili ma anche di incessanti conflitti armati, culminati in due guerre mondiali rovinose, ha intrapreso un cammino che aveva come traguardo la costruzione di un’unione politica federale. Nel corso di due terzi di secolo questo progetto ha condotto ad una profonda integrazione economica, realizzata per mezzo di una struttura istituzionale nuova e originale. L’Unione europea di oggi ha ormai molti caratteri propri di una costituzione federale: ha un Parlamento, ha una Camera degli Stati (i due Consigli), ha un’autorità di Governo (la Commissione), ha una Carta dei diritti, ha una Corte di Giustizia, ha una moneta unica, ha una procedura di approvazione delle leggi ispirata ai principi di democrazia, possiede competenze precise, alcune delle quali esclusive, altre concorrenti con le competenze degli Stati. È avvenuto in Europa qualcosa che non ha precedenti paragonabili nella storia.

Marco E allora perché definire incompiuta la cattedrale?

Aps Perché vi sono materie per le quali, pur essendo di competenza dell’Unione, le decisioni legislative e di governo non sono coerenti con la democrazia in quanto il Parlamento ne è escluso e in quanto il veto di un governo può bloccare tutto. Perché i poteri di governo della Commissione sono insufficienti. Inoltre l’Unione con il suo Parlamento in base ai trattati non ha la competenza per esercitare autonomamente un potere fiscale, in coordinamento con i governi. Ora, senza risorse proprie di livello adeguato, gestite democraticamente, le politiche di cui l’Unione ha bisogno sono sovente impossibili. Infine, anche la procedura di modifica dei trattati dovrebbe cambiare, senza più esigere l’unanimità dei governi e delle ratifiche nazionali; la Costituzione più antica e gloriosa, quella degli Stati Uniti, non sarebbe mai nata se non ci fosse stata la clausola per la quale era sufficiente il voto di approvazione di nove Colonie su tredici per farla entrare in vigore. Per questo ricorro alla metafora della cattedrale: l’Unione europea può essere raffigurata come una costruzione grandiosa, accogliente, ma ancora priva della copertura della volta, senza la quale rischia non solo i danni delle intemperie ma il crollo.

Marco Da quanto abbiamo detto sin qui, mi pare di poter concludere che il principale errore, la principale carenza dell’Unione, come si è realizzata sin qui, consiste nel non aver saputo adottare le strategie giuste per affrontare temi fondamentali per i cittadini europei, dalle migrazioni allo sviluppo compatibile, dalle nuove tecnologie alla sicurezza e alla difesa. E questo perché su questi temi ha continuato a muoversi in un’ottica nazionale e non al livello europeo: dunque senza un governo europeo efficace e dotato dei mezzi necessari, controllato da un Parlamento europeo espressione dei cittadini. È così?

Aps È così. E la riprova sta nel fatto che nei campi nei quali queste condizioni ci sono, perché i trattati le hanno istituite – così per il mercato unico, per la concorrenza, per la moneta europea, per il commercio internazionale, per il sostegno alle regioni povere, per l’agricoltura – l’Unione è stata ed è assolutamente efficace. Addirittura, si è imposta come protagonista a livello mondiale. Di questo fondamentale difetto, che mette a rischio la sopravvivenza stessa dell’Unione perché la rende incapace di affrontare le sfide, sono responsabili tutti i governi e i parlamenti nazionali, a cominciare da quelli della Francia, che in più occasioni (nel 1954, nel 1992, nel 2005) hanno bloccato le vie che portavano verso un assetto federale dell’Unione.

Marco Ma ci sono responsabilità specifiche dei singoli Paesi dell’Unione?

Aps Ogni Paese membro dell’Unione ha le sue responsabilità per ciò che l’Unione potrebbe essere e (ancora) non è. Per sintetizzare, in modo necessariamente rapido: la Francia ha mancato di mettere la sua forza militare e il suo ruolo di membro fondatore delle Nazioni Unite al servizio dell’Unione; la Germania ha mancato di controbilanciare i vantaggi che la moneta unica le ha consentito (senza l’euro il marco si sarebbe sopravalutato vistosamente, nuocendo alle sue esportazioni) con una politica economica che abbassi il surplus eccessivo della sua bilancia dei pagamenti, recando così un danno agli altri Paesi membri; e si è opposta sinora all’accrescimento del bilancio dell’Unione; i Paesi di Visegrad dell’Est europeo stanno muovendosi in senso contrario ad alcuni principi cardine della Carta dei diritti dell’Unione, mettendo a rischio i diritti e i poteri delle loro democrazie.

Marco E l’Italia?

Aps L’Italia ha mancato ed è carente, anche verso l’Europa, su più fronti. Il suo debito pubblico esorbitante mette a rischio non solo i nostri conti ma anche la moneta unica: di questo abbiamo parlato all’inizio. L’Italia ha un’amministrazione della giustizia troppo lenta che, al pari degli altri handicap nostri, scoraggia gli investimenti dall’estero, pur essendo dotata di un sistema produttivo molto efficiente quanto alle esportazioni; l’Italia ha un tasso di evasione fiscale inaccettabile, superiore a 100 miliardi euro all’anno; basterebbe recuperarne la metà per risolvere tutti i problemi di investimento e di welfare del Paese; l’Italia ha quattro mafie che paralizzano intere regioni del Paese. E mi fermo qui… È chiaro che tutto questo ci danneggia gravemente sia all’interno del Paese che entro la cornice dell’Unione europea. E questi difetti li possiamo correggere solo noi, non certo l’Europa, come già abbiamo detto.

Marco Mi colpisce nelle sue risposte di riscontrare un intreccio di giudizi positivi e ammirativi e di valutazioni critiche sull’unione europea. Non saprei dire da quale parte penda la bilancia…

Aps Ha ragione. Un fatto non va dimenticato, soprattutto in momenti di crisi come è quello presente. L’unione europea non è più il disegno sognato nei secoli da pensatori illuminati né il progetto tentato invano più volte da conquistatori e sovrani potenti e ambiziosi. È oggi una realtà politica e non solo economica, pacifica e democratica, che ha consentito ai nostri popoli di raggiungere democraticamente traguardi di pace, di benessere e di solidarietà senza precedenti e che costituisce un modello originale di valore planetario. Per questo vorrei che il nostro dialogo non perdesse di vista la metafora della cattedrale. L’Unione europea è ormai una grandiosa cattedrale. Una cattedrale incompiuta, tuttavia. E dunque a rischio, come avviene per gli edifici, anche grandiosi, ma ancora privi di un tetto che li protegga dalle tempeste. Con ciò intendo dire che l’unione europea è a rischio in quanto le forze politiche attuali da troppo tempo esitano a intervenire su questa grande costruzione con gli interventi di fondo necessari per completarla.

Marco Ci sono concrete speranze che questi ostacoli possano venir superati?

Aps La storia, come ripeto, non è mai prevedibile. Per i Greci la speranza era l’ultima dea, l’ultima a rimanere nel fondo del vaso di Pandora. Ebbene, la speranza c’è. La fiducia reciproca e la solidarietà potrebbero riaccendersi. Voglio ribadire che l’elezione europea del maggio 2019 potrà risultare determinante, se nel Parlamento neo-eletto prevarrà una maggioranza pro-europea. Lo stesso Parlamento europeo ha approvato nel febbraio del 2017 due importantissime mozioni. Da un lato si chiarisce quali iniziative si potrebbero intraprendere già ora avvalendosi del Trattato di Lisbona (ne abbiamo appena parlato a proposito dei cerchi concentrici): è il Progetto Bresso-Brok. Dall’altro lato si dichiara quali riforme dovrebbero venir introdotte quando si mettesse mano a una modifica dei trattati: è il Progetto Verhofstadt.[7] Il nucleo di queste modifiche proposte dal Parlamento sta a mio avviso in alcune riforme istituzionali, tutte nel segno della continuità: rendere generale la codecisione del Parlamento europeo per tutte le decisioni legislative dell’Unione, dotarlo di poteri propri di fiscalità, attribuire alla Commissione i necessari poteri di governo per tutte le competenze dell’Unione, eliminare il diritto di veto nei due Consigli, consentire modifiche nei trattati anche a maggioranza qualificata o superqualificata dei governi e dei parlamenti nazionali. Nulla di meno, nulla di più di questo. Sono gli ultimi passi, ma sono forse i più difficili. È questa la cupola della cattedrale.


Template:Anchor V. Luci ed ombre d’Europa[modifica]

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Template:Anchor Carta dei diritti, sovranità, democrazia, sussidiarietà[modifica]

Marco Lei ha parlato di principi che stanno alla base dell’edificio (pardon: della cattedrale) dell’Unione europea. Come si possono enunciare in breve?

Aps La Carta dei diritti dell’Unione europea del 2000 li ripartisce in sei capitoli, intitolati rispettivamente così: dignità, libertà, uguaglianza, solidarietà, cittadinanza, giustizia. Proclamare la dignità della persona, di ogni persona umana è un portato della profonda tradizione cristiana dell’Europa. I diritti di libertà – la libertà personale dagli atti arbitrari del potere, le libertà di pensiero, di associazione, di religione – sono un portato della moderna cultura dell’Europa; ma vi rientrano anche le quattro libertà che stanno alla base dell’unione economica, cioè la libera circolazione delle persone, delle merci, dei servizi e dei capitali. Il principio dell’uguaglianza dei diritti e delle opportunità è a sua volta il risultato della storia moderna, dalla fine del Settecento al Novecento. E così pure le esigenze di rispetto dei principi di giustizia anche sociale e non solo personale e collettiva. La cittadinanza europea esprime la dimensione dei diritti politici dell’Unione. E la solidarietà a sua volta indica e prescrive l’obbiettivo di raggiungere una dimensione non solo economica dell’Unione stessa, così da creare condizioni progressivamente meno squilibrate tra le regioni d’Europa, come abbiamo visto sopra parlando delle politiche di “coesione”. Sono principi fondamentali che la Carta dei diritti dovrebbe garantire e dei quali oggi il Parlamento europeo sta inserendo l’implementazione.[8]

Marco Tra le quattro libertà previste dai trattati dell’Unione figura anche la libera circolazione dei capitali. La nostra interlocutrice virtuale Elena, menzionata all’inizio, obietterebbe che è proprio questa libera circolazione dei capitali a provocare disastri come quelli che abbiamo sperimentato in questi ultimi anni con la crisi della finanza.

Aps Anzitutto non si deve dimenticare che la crescita sostenibile dell’economia, essenziale per lo sviluppo, richiede come componente fondamentale l’apporto di investimenti privati anche dall’estero e verso l’estero, che solo la libera circolazione dei capitali può assicurare. Tuttavia è certamente vero che i rischi ci sono stati e ci sono tuttora, i danni gravi li abbiamo sperimentati. E allora deve essere chiaro che la libera circolazione dei capitali non comporta una licenza indiscriminata di fare ciò che si vuole, per chi ha capitali da investire o vuole spostarli. Tanto meno si deve credere che il mercato, anche il mercato dei capitali, sia sempre capace di autocorreggersi, come invece si è creduto e si crede da parte di molti nel mondo dell’economia ed anche nell’accademia: lo abbiamo già detto.

Anche per la finanza occorre predisporre un perimetro di regole e riuscire a farle rispettare con gli strumenti di governo che includono un margine di potere discrezionale. Il tema è complesso, perché la finanza oggi sposta con facilità anche grandi capitali in tempi strettissimi. Tuttavia le regole ci sono e altre regole andranno indubbiamente messe a punto. Ad esempio occorre un’armonizzazione fiscale tra i Paesi dell’Unione, così che non si possa più alterare, come è invece avvenuto, la concorrenza tra imprese favorendo in modo non corretto un flusso di capitali dall’estero, attira ti da un’imposta sugli utili eccessivamente ridotta. E così pure occorre intervenire sulla trasparenza delle transazioni, sull’abuso di posizioni dominanti come pure sui possibili abusi delle multinazionali. Faccio notare però, una volta di più, che sinora il rispetto delle regole nei confronti delle multinazionali è stato possibile soltanto in quanto l’Unione europea è intervenuta con i poteri necessari di cui dispone. I singoli Stati dell’Unione non hanno la forza sufficiente per farlo. E questo vale, naturalmente, anche nella disciplina dei capitali all’interno dell’Unione.

Marco Può allora completare l’elenco dei principi fondamentali dell’Unione?

Aps Mi limito a richiamarne due, chiaramente espressi nei trattati, oltre che presenti nella stessa Carta dei diritti. Il primo è il principio di democrazia, che naturalmente può concretarsi in forme costituzionali diverse (parlamentari o presidenziali, con leggi elettorali ispirate alla proporzionalità o invece al ballottaggio, con collegi uninominali ovvero con liste nazionali e così via), tutte democraticamente legittime perché fondate sul suffragio universale, cioè sulla sovranità del popolo; inoltre l’Unione prevede anche forme di democrazia diretta.

Un altro principio fondamentale dell’Unione è il principio di sussidiarietà, che impone di affidare all’Unione soltanto le questioni e le esigenze che, entro la cornice delle competenze dell’Unione stabilite dai trattati, possono venire affrontate e risolte in modo adeguato al livello europeo e non al livello nazionale; quando una questione è risolubile al livello nazionale, questo deve prevalere. La ragione che sta alla base della sussidiarietà è che le decisioni politiche vanno assunte preferibilmente al livello più vicino alla vita concreta del cittadino, dunque al livello inferiore possibile, il più vicino alla fonte stessa della sovranità che è l’individuo. Perciò, a seconda delle materie, dal comune, dalla regione, dallo Stato nazionale, dall’Unione europea, dalle organizzazioni internazionali, anzitutto le Nazioni Unite.

Marco Ma come si fa a stabilire quale sia il livello giusto della sussidiarietà, volta per volta?

Aps Vi sono anzitutto alcune competenze che i Trattati riservano al solo livello europeo. Sono le poche competenze esclusive dell’Unione, di cui abbiamo parlato: in particolare le regole sulla concorrenza, sul commercio internazionale e sull’unione monetaria. Il mercato unico non potrebbe funzionare in presenza di una pluralità di normative nazionali su queste materie. Molte altre competenze dell’Unione, anch’esse previste dai trattati, sono le competenze dette “concorrenti”, in quanto su di esse possono intervenire con leggi e regolamenti sia i singoli Stati membri che l’Unione. Là dove l’Unione adotta regolamenti o direttive proprie, queste prevalgono sulle leggi nazionali. Ma se uno Stato o anche altri soggetti imputano all’Unione di aver ecceduto violando il principio di sussidiarietà, possono opporsi e fare intervenire la stessa Corte di giustizia. La scelta di regolare una certa materia o di affidare una decisione di competenza concorrente all’Unione è naturalmente una scelta politica, affidata agli organi dell’Unione, alla Commissione, ai Consigli e al Parlamento europeo.

Marco Oggi è davvero applicato il principio di sussidiarietà?

Aps Il principio di sussidiarietà – che, lo ripeto, è fondamentale nella prospettiva di una struttura federale – è ben lungi dall’essere applicato coerentemente. Dovrebbe operare in entrambe le direzioni, sia verso il basso che verso l’alto, a seconda dei casi, mentre oggi l’attenzione è rivolta in prevalenza ad evitare un eccesso di regolamentazione europea più che nella direzione inversa. Ci sono scelte che chiaramente imporrebbero di ricorrere al livello superiore mentre questo non avviene, a cominciare dai beni pubblici europei (energie alternative, tecnologie di avanguardia, intelligenza artificiale, politiche ambientali ed altre), dalla sicurezza alla difesa di cui abbiamo già parlato. Molto resta da fare per attuare coerentemente questo principio.

Marco Gestire al livello europeo e non più solo al livello nazionale queste politiche vuol dire riconoscere all’Unione una propria sovranità. Ma la sovranità non è una prerogativa dello Stato-nazione?

Aps L’idea che la sovranità sia un attributo esclusivo dello Stato-nazione è ancora oggi condivisa da molti, anche al livello della teoria politica e giuridica. Ma è un’idea sbagliata per ragioni storiche, teoriche e fattuali. Storicamente, la dottrina dell’identità tra popolo, nazione e stato è recente, risale alla cultura romantica del primo Ottocento ed è in seguito degenerata nel Novecento sino alle due guerre mondiali. Prima d’allora “patria”, ”nazione” e “stato” costituivano entità distinte. In linea di principio, la moderna teoria politica – da Rousseau in poi, ma le radici sono ben più antiche – ha ricondotto la sovranità al popolo, dunque a ciascuno dei suoi componenti, che la esercitano direttamente o più spesso nella forma della rappresentanza politica attraverso il voto. Infine, in linea di fatto già oggi gli Stati nazionali non sono più sovrani, perché su questioni decisive non hanno potere effettivo, in un mondo globale; e l’Unione europea costituisce la risposta a questo stato di fatto, è la condizione per recuperare una sovranità ormai perduta dagli Stati e irrecuperabile da loro in un mondo globale.

Per queste ragioni bisogna adottare una concezione diversa della sovranità: se sovrano è il popolo, cioè in definitiva l’individuo, questi la può esercitare a più livelli, a seconda delle materie e delle necessità individuali e collettive. Quanto alla dimensione territoriale, i livelli principali sono cinque: il comune (villaggio o città), la regione, lo stato nazionale, il continente (per noi l’Europa), il mondo. Si è cittadini (e sovrani) entro ciascuna di queste comunità. Il concetto monolitico di sovranità nazionale è dunque infondato.

Template:Anchor Nazioni, Regioni, Europa: identità plurime e identità europea[modifica]

Marco Una delle ragioni di fondo dell’ostilità verso l’Europa mi sembra quella che fa leva su un altro timore, che sento evocare spesso: il timore che con l’unione si sia costretti ad uniformarsi ad un unico modello, sacrificando le identità nazionali, rinunciando ad essere italiani o francesi o spagnoli e così via.

Aps Le maggiori opposizioni al progetto di unione federale sono venute proprio da questi timori: sin dall’origine e poi sempre di nuovo. Bisogna allora vedere se essi hanno un vero fondamento. E la risposta è no.

Marco Perché no?

Aps Per una ragione che in breve esprimerei così. Le identità nazionali sono il frutto di una storia culturale e politica di secoli se non addirittura di millenni. In taluni casi lo Stato si è formato prima della nazione, come ad esempio in Francia e in Inghilterra a partire dal medioevo, mentre in altri casi la nazione è nata prima dello Stato, come è avvenuto in Italia e in Germania, dove la “nazione” della cultura e delle consuetudini ha preceduto di secoli l’unificazione politica. Comunque un’identità nazionale esiste oggi, in ogni Stato-nazione d’Europa. È una componente essenziale della nostra identità collettiva. Ma va chiarito che lo scopo dell’Unione europea non è – non è mai stato – di annullare le identità nazionali, bensì di mettere in comune ciò che ci unisce nei nostri valori e ciò che è utile gestire insieme a difesa e a promozione dei nostri interessi. Nulla più di questo e nulla di meno di questo. Di qui è nato il mercato unico, di qui è nata la Carta europea dei diritti, di qui nasce l’idea di una difesa comune.

Marco Ma è vero quello che si sente ripetere, che cioè l’unione politica dell’Europa non sarà mai possibile nella forma di uno Stato federale perché mancherebbe un “comune sentire”, la coscienza di una comune appartenenza, l’esistenza stessa di un popolo europeo, di un demos europeo?

Aps Neppure questa obiezione è fondata. Per tre ragioni. La prima sta nel fatto che per decidere e per agire in comune non occorre pensarla allo stesso modo su tutto; occorre semplicemente avere la convenienza o addirittura la necessità di darsi gli strumenti per risolvere problemi comuni, che non sarebbero altrimenti risolvibili: questo vale per un condominio come per una nazione; e vale anche per l’Europa quanto ai temi e agli obbiettivi, già richiamati sopra, che i singoli Stati europei non sono (o non sono più) in grado di affrontare isolatamente.

La seconda ragione è che, a differenza di quanto spesso si dice, alcuni importanti valori in comune i diversi Paesi europei li hanno già ora. Esiste un modello europeo di stato sociale – sanità, previdenza, misure di contrasto alla disoccupazione, scuola pubblica, finanziati con risorse pubbliche – diverso nei nostri diversi Paesi ma lontano, ad esempio, dal modello statunitense. Esiste negli europei un’avversione di fondo alla guerra, sia tra i paesi entro l’Unione (portiamo in noi la memoria ben viva delle nostre profonde cicatrici) sia quale strumento utilizzabile per promuovere le democrazie nel mondo, come è risultato chiaro ad esempio al tempo della guerra all’Irak e non solo. Esiste una visione cosmopolitica del mondo di oggi e di domani, che ha radici culturali risalenti alla Grecia, al medioevo e all’età illuministica; anche l’idea dello “stato di diritto”, della rule of law è all’origine un’idea europea. E potremmo continuare.

Marco E la terza ragione?

Aps La terza ragione è questa. Si è constatato, attraverso ripetuti sondaggi anche molto recenti, che la distanza di opinioni all’interno di ogni singolo Paese dell’Unione europea è maggiore rispetto alla differenza di opinione riscontrabile su un campione rappresentativo della popolazione complessiva dei diversi stati: tra italiani, tedeschi, francesi, spagnoli non siamo così diversi come può sembrare.

Marco Altri però riguardo alle identità collettive esprimono una posizione in certo senso opposta rispetto ai sovranisti. Si oppongono non all’idea di Europa ma proprio allo Stato nazionale, rivendicando le identità storiche e attuali delle regioni. Dunque si oppongono anche all’Unione europea di oggi, in quanto fondata in larga misura sui governi e sugli Stati nazionali. Cosa c’è di vero in questa posizione?

Aps Il punto fondamentale è questo: ognuno di noi porta in sé più appartenenze, più identità, più modelli di vita, di gusti, di tradizioni e di comportamenti. Ciascuno di essi è per lo più compatibile con gli altri. In particolare, se si pensa alla dimensione del territorio, ognuno di noi è ad un tempo cittadino del suo villaggio o della sua città; cittadino della sua regione; cittadino del suo Paese; cittadino europeo; e cittadino del mondo. Sono identità distinte e complementari, ciascuna delle quali si coglie meglio se vista dall’esterno: un abitante di Siena quando è nella sua città si sente anzitutto “contradaiolo”, membro attivo del proprio quartiere; quando è a Firenze si sente senese; quando è a Milano o a Napoli si sente toscano; quando è a Londra si sente italiano; quando è a San Francisco o a Pechino si sente europeo.

Marco Ma allora perché questa insistenza di molti sull’identità regionale?

Aps Una ragione c’è. L’identità regionale è fortissima, perché è il frutto di una storia di secoli. Non solo la lingua, non solo i dialetti, non solo la pronuncia locale della lingua del Paese, ben riconoscibile perché diversa persino tra città vicine della medesima regione; ma addirittura il carattere delle persone è mediamente diverso. Non è certo un caso se quando noi vogliamo descrivere a qualcuno il carattere di una persona che l’interlocutore non conosce, spessissimo ci limitiamo a richiamare la sua appartenenza ad una regione: “sai, lui è siciliano”; “devi capire, è piemontese”; e così via. E l’interlocutore capisce (o crede di capire) qualcosa di più… Lo stesso vale per la Francia (un bretone è ben diverso da un provenzale, non solo nel linguaggio), per la Germania, per la Spagna; e così via. Il che non elimina affatto gli elementi di identità nazionale, difetti inclusi, naturalmente.

Marco Dunque, nonostante questa forte realtà storica e attuale delle regioni, l’idea di eliminare gli Stati e sostituirli con le regioni va respinta?

Aps A mio avviso sì. Per tre motivi. Primo. Gli Stati sono ancora un pilastro fondamentale non solo della vita collettiva e della politica ma anche dei rapporti internazionali, dell’equilibrio (o squilibrio) delle forze in Europa; la stessa Unione europea è nata e vive nella forma di una unione di Stati; la Francia o la Germania (e non solo loro) non accetterebbero mai di dissolversi nelle rispettive regioni storiche. Secondo. Non esistono solo le regioni storiche ma anche le regioni che per la loro collocazione geografica ed economica presentano aspetti di profonda affinità: si pensi alle regioni alpine d’Italia, Francia, Austria; o alle regioni europee con forti estensioni forestali; o alle coste e alle isole che prosperano di risorse marine e di turismo. L’Europa può (e in parte già lo fa) mettere in atto politiche di sostegno specifiche per ciascuna di queste, che sono transnazionali e che non coincidono con le regioni storiche. Terzo. La spinta di alcune macroaree regionali a diventare Stati non solo trascura gli elementi di unità nazionale che la storia di secoli ha creato, ma darebbe vita a micro-stati all’interno dei quali si riprodurrebbero le spinte autonomiste. La formula politica del federalismo permette di far convivere senza conflitti questi diversi livelli.

Marco Tuttavia la richiesta di molte regioni europee di ottenere una maggiore autonomia, o addirittura l’indipendenza, resta ben viva. Quale dovrebbe essere su questo fronte il ruolo dell’Europa?

Aps Sulla pretesa dell’indipendenza politica la risposta non può che essere negativa, per le ragioni già espresse: sarebbe una nuova forma di nazionalismo, con gli inconvenienti e i rischi che conosciamo bene e che la storia conferma. Invece le richieste di autonomia sono senz’altro legittime. Si deve tenere presente che entro l’Unione europea esistono, in conformità delle rispettive costituzioni nazionali, modelli molto diversi sull’ordinamento delle regioni. In Spagna l’autonomia delle regioni storiche è alta, e non solo per la Catalogna. In Germania i Länder hanno vasti poteri, a cominciare dalla Baviera, ed esiste una seconda Camera, il Bundesrat, che li rappresenta a livello nazionale. In Italia le regioni hanno anche un potere legislativo, ulteriormente esteso con la riforma costituzionale del 2001; e ci sono le regioni alle quali la nostra Costituzione ha garantito – sulla base di ragioni storiche peculiari per ciascuna di esse – un regime di statuto speciale (Sicilia, Sardegna, Val d’Aosta, Trentino-Alto Adige e Friuli-Venezia Giulia), che include tra l’altro un regime fiscale più vantaggioso. La Francia invece ha mantenuto un centralismo molto più accentuato, erede del modello napoleonico. Anche il livello di efficienza delle amministrazioni regionali è ben diverso nei diversi paesi.

Marco Cosa allora dovrebbe fare l’Unione?

Aps Il principio di base è che deve spettare ad ogni Stato nazionale di stabilire nella propria Costituzione quale livello di autonomia attribuire alle proprie regioni. Un’Europa federale può funzionare bene senza la necessità che il regime costituzionale interno dei diversi Paesi debba essere uniforme. Questo vale anche per i comuni e le città metropolitane. Il che non toglie nulla all’esigenza a mio parere sana e positiva di attribuire autonomia alle regioni. A due condizioni però: che venga lasciato un margine sufficiente di competenze e di risorse allo Stato, tale da rendere possibile un livello uniforme di prestazioni di base (istruzione, sanità, trasporti, tutela dell’ambiente ed altri beni pubblici) sull’intero territorio nazionale, anche per le regioni meno ricche; e che non si crei una babele di normative discordanti, ad esempio sulla sanità o sul turismo o sulle imprese o sulla formazione scolastica: perché questo rischio (un rischio molto concreto, almeno in Italia…) produce conseguenze negative per la tutela della salute, per l’eguaglianza di trattamento tra i cittadini e per gli investimenti.

Template:Anchor Il pluralismo religioso ed etnico[modifica]

Marco Accanto alle identità locali e regionali, ci sono però anche le diverse identità religiose; si può farle convivere?

Aps Certamente. Anzi, anche all’interno di una medesima religione, scopriamo “anime” diverse. Il cristianesimo ne ha conosciute in duemila anni moltissime, tra loro profondamente differenziate pur nella costante condivisione di principio dei valori di fondo enunciati nei Vangeli. Valori e precetti che peraltro la storia religiosa e civile d’Europa ha per tanti secoli contraddetto in misura impressionante: basti richiamare alla memoria le feroci persecuzioni anti-eretiche, le Crociate, l’Inquisizione, le guerre di religione, l’intolleranza per ogni opinione non coincidente con l’ortodossia stabilita dai Concili e dalla Chiesa di Roma.

Marco Davvero le diversità religiose sono compatibili?

Aps Sono, le diversità, un vero tesoro, un valore da apprezzare, sia tra le religioni storiche sia entro la medesima religione: quanto profondamente diversa, ad esempio, la spiritualità di ciascun ordine monastico! E così pure, quante diverse declinazioni culturali, religiose e civili entro la storia dell’Islam! Oggi finalmente abbiamo compreso che tutte possono convivere, entro una cornice di mutua accettazione, nel rispetto dei principi di libertà garantiti dalle Costituzioni. Uno dei più grandi uomini della storia del Novecento, il Mahatma Gandhi, lo ha detto e testimoniato in modo mirabile. Ma ci sono voluti secoli di storia e di grandi sofferenze per giungere a questo riconoscimento, ancora molto parziale e imperfetto.

Marco Vi è poi la questione, che mi sembra molto seria, della compatibilità delle diverse etnie entro i singoli Stati ed entro l’Unione europea. I musulmani, i cinesi, gli africani potranno mai integrarsi davvero con i popoli dei Paesi europei nei quali vivono?

Aps La questione è seria e grave. Va detto che essa riguarda anzitutto i singoli Stati europei, entro ciascuno dei quali da decenni vivono e lavorano milioni di individui provenienti da Paesi di altri Continenti. La tradizione di etnie differenti entro un medesimo ordinamento è molto antica, ha conosciuto assetti differenti nel tempo, in particolare nel medioevo, sui quali non posso soffermarmi. Nel quadro delle moderne costituzioni democratiche, il principio di base mi pare si possa esprimere così: la convivenza pacifica di etnie dotate di tradizioni e di elementi identitari specifici – ad esempio nella lingua quotidiana, nel regime della famiglia, nei rapporti sociali, nella religione – è possibile purché esista e venga rispettato da tutti un insieme di elementi comuni. Essi includono la lingua del Paese, l’educazione civica, l’istruzione di base e i diritti fondamentali dell’individuo e delle associazioni di persone, garantiti dalle Costituzioni nazionali.

Marco E che fare con le etnie che sono presenti in molti Stati europei e che chiedono di essere tutelate?

Aps Sardi, corsi, catalani, baschi, e non solo… E poi le altre minoranze etniche presenti in molti stati: gli ungheresi in Romania, gli istriani in Croazia, i turchi in Germania, gli algerini in Francia, i cinesi in Italia e altrove; per non parlare dei gallesi e degli scozzesi. Anche su questo fronte, come su quello delle appartenenze religiose e confessionali che spesso si incrociano con queste etnie minoritarie, la via corretta è quella di consentire il massimo di autonomia – anche giuridica – compatibile con i principi e con i diritti stabiliti dalle costituzioni nazionali. Già oggi e da tempo, ad esempio in Spagna, sono ammesse consuetudini differenti nelle diverse regioni in campo familiare, nelle successioni e persino nei contratti. E poi si deve considerare che anche all’interno delle regioni spesso esistono etnie minoritarie che vanno anch’esse tutelate. La soluzione drastica della “pulizia etnica” è una cruda realtà storica, vecchia di secoli, anzi di millenni. Una realtà purtroppo anche recente e recentissima, tanto negli altri Continenti quanto nella stessa Europa: si pensi alle tragiche vicende che sono seguite alla dissoluzione della Jugoslavia. La via dell’unione fondata sul federalismo – che assicura ad un tempo l’unione politica e l’autonomia in un rapporto di coordinamento concordato – è la sola alternativa valida.

Marco I seguaci della religione islamica possono convivere pacificamente con i popoli cristiani?

Aps Ritengo di sì. Lo affermo sulla base di diverse ragioni: perché questo sul terreno religioso è già avvenuto in molte fasi della storia, ad esempio nella Spagna del secolo XI, ma anche altrove; perché questo avviene anche oggi in molti Stati a maggioranza islamica fuori d’Europa (certo non in tutti, lo sappiamo bene); e perché nella stessa Europa – in Germania, in Francia, in Italia e altrove – la stragrande maggioranza dei musulmani immigrati convive con la popolazione locale senza traumi particolari; e là dove essi hanno acquisito la cittadinanza del Paese europeo nei quali si sono insediati, partecipano regolarmente alla vita democratica. Con questo non voglio certo negare che il problema esista: c’è una lunga e risalente tradizione islamica di ostilità verso le altre religioni e in particolare verso il cristianesimo.

Marco L’islam ha l’idea che una guerra di religione possa essere non solo legittima ma addirittura doverosa?

Aps L’idea della Jihad (la guerra santa) sta nel Corano, anche se in forma non così netta e priva di alternative come viene spesso presentata. Questa tradizione è ancora ben viva in molte parti del pianeta. È appena il caso di rammentare che l’Europa stessa non ne è certo stata immune. Le Crociate del medioevo, come pure la distruzione delle civiltà e delle religioni precolombiane sono lì a dimostrarlo. L’intolleranza religiosa verso i non cristiani, a cominciare dagli ebrei, si è tradotta per secoli in persecuzioni sanguinose. Il principio della libertà religiosa l’Europa della cultura illuministica lo ha fatto proprio solo da due secoli e mezzo; e la Chiesa ancora più recentemente, alla metà del Novecento, con il secondo Concilio Vaticano. Ricordo questi precedenti per dire che la libertà religiosa è un principio fondamentale, del quale ogni Stato europeo e l’Unione europea debbono garantire il rispetto, anche da parte dei musulmani. È una conquista ormai irreversibile.

Marco Ma i principi di libertà e di democrazia che prospettive hanno nei Paesi islamici autoritari?

Aps Su entrambi questi versanti in molti Paesi islamici, come anche in altri Paesi di diverse tradizioni e religioni, il cammino da percorrere è ancora lungo e irto di ostacoli. Non potrà venire imposto dall’esterno, tanto meno con le armi. Una spinta fondamentale potrà venire dalla componente femminile di questi Paesi: le donne avranno, ritengo, un ruolo determinante nel rendere possibile la transizione contrastando la violenza, l’autoritarismo e la discriminazione, dunque lottando (pacificamente) per la libertà e per la democrazia.

Template:Anchor Tesori della civiltà europea[modifica]

Marco Noi europei tendiamo a considerarci come gli eredi della più evoluta civiltà del pianeta. Tendiamo (o almeno così è stato, mi sembra) a ritenere che al confronto della civiltà europea – della quale quella degli Stati Uniti è figlia – le altre civiltà, incluse quelle nobili e antiche della Cina e dell’India, inclusa quella dell’Islam classico, siano comunque inferiori. A me non pare che questo atteggiamento sia giustificato. Lei cosa ne pensa?

Aps Concordo con Lei, Marco. Ogni civiltà ha il suo valore, i propri “carismi”, e il mondo umano è bello anche per questa grande varietà di esperienze e di culture. Anche le civiltà cosiddette primitive, per quel tanto o quel poco che ancora ne resta, presentano aspetti di sorprendente valore attuale: nell’arte, nel rispetto della natura, nei rapporti tra individui, persino nella sfera religiosa. Gli studi su queste civiltà, fioriti soprattutto nel corso del Novecento e per merito di studiosi in gran parte europei, lo hanno mostrato con chiarezza. Aggiungo che uno dei meriti della cultura europea è anche quello di avere sviluppato i criteri di metodo storico con i quali si sta a poco a poco ricostruendo con rigore, sulla base delle fonti, la storia di ciascuna delle altre civiltà del pianeta, dalla Cina all’India, dalle Americhe all’Islam; incluse, naturalmente, le civiltà antiche dell’Oriente mediterraneo, dalla Mesopotamia all’Egitto, sulle quali oggi sappiamo infinitamente di più rispetto al passato.

Marco Se però volessimo richiamare in breve qualche titolo di merito della civiltà europea, come potremmo farlo? E prima ancora: esiste una civiltà europea o ci sono essenzialmente civiltà nazionali?

Aps Sulla risposta alla seconda domanda non ho dubbi. Ho dedicato la mia vita di studioso alla storia del diritto e posso dire con sicurezza che esiste una civiltà del diritto che è europea, non nel senso della uniformità (perché ogni Stato, ogni nazione, ogni città ha avuto aspetti suoi propri), ma nel senso che ci sono caratteri comuni e una ininterrotta circolazione di modelli, di idee, di esperienze. Le tre radici del pensiero e dell’arte della Grecia antica, del diritto di Roma e del Cristianesimo sono ben vive in tutta la storia d’Europa degli ultimi duemila anni. Ma questo vale anche in molti altri campi: pensiamo allo stile romanico e poi allo stile gotico delle chiese dei secoli dall’XI al XV, dall’Inghilterra alla Sicilia, dalla Penisola iberica alla Germania e all’Europa dell’Est; pensiamo ai generi e agli stili della musica; pensiamo ai modelli letterari e poetici; pensiamo agli sviluppi delle scienze e della medicina, dal Seicento al Novecento. L’interscambio è stato continuo all’interno dell’Europa, anche se ogni paese, spesso ogni regione ha sviluppato e declinato in modo originale modelli comuni, in particolare nelle arti. E i “primati”, le epoche d’oro sono venute in momenti e in secoli diversi nei diversi paesi: dall’Italia medievale e rinascimentale alla Spagna del Cinquecento, dai Paesi Bassi alla Francia del Seicento, dall’Inghilterra moderna alla Germania dell’Ottocento, e così per altri Paesi. Unità e diversità sono due aspetti connessi e inscindibili della civiltà europea.

Marco La storia culturale e civile europea può allora essere considerata come la storia di una civiltà comune?

Aps Sì, questo è vero nelle arti, nella musica, nel diritto, nella filosofia, nelle scienze. Il romanico e il gotico, l’arte

del Rinascimento, lo stile barocco, il neoclassicismo, il romanticismo, sono correnti artistiche fiorite in regioni e paesi diversi ma diffuse e declinate, in modi diversi, nell’intera Europa. Il feudalesimo, la rivoluzione comunale, la nuova scienza del diritto nata con le università dei secoli XII e XIII; l’umanesimo, l’assolutismo politico, il giusnaturalismo, il moderno costituzionalismo, le codificazioni ottocentesche, il positivismo sono fasi storiche che ritroviamo nell’intera Europa, inclusa l’Inghilterra.

Marco Anche se è sbagliato fare paragoni tra civiltà, esistono comunque tesori della cultura europea dei quali possiamo essere fieri, non perché autori di essi ma perché eredi di chi li ha creati?

Aps I tesori della civiltà europea – una civiltà comune, lo ripeto, pur nelle differenze – sono straordinari: in ogni campo del sapere. Questo è vero per l’età medievale, per l’età moderna e per l’età contemporanea. Non solo i sommi autori della pittura, della scultura, dell’architettura, della musica, ma i grandi della teologia, della filosofia, della matematica, della medicina, delle scienze della natura, della fisica, della chimica, del diritto, dell’economia, della storiografia sono in gran parte autori europei: dal medioevo al Novecento. E la civiltà della Grecia classica, che ha posto le basi del pensiero razionale ma anche dell’arte e della poesia, è un fondamento essenziale della civiltà europea, rivisitata e valorizzata ad ogni generazione, perché costituisce un tesoro “per sempre”, come Tucidide auspicava per la sua Storia.

Sorprende che opere immortali – si pensi a Dante Alighieri o a Giotto, a Michelangelo o a Molière, a Shakespeare o a Rembrandt, a Bach o a Mozart o a Beethoven, ma i nomi sono centinaia, – sono nate in contesti sociali e politici lontani tra loro e lontanissimi dal nostro presente; eppure sono tesori vivi per il mondo intero, per individui di tempi e di civiltà anche molto lontane dalla nostra; e tali resteranno nel futuro. Questo vale naturalmente sia per le scienze umane che per le scienze fisiche, biologiche, naturali, per la medicina, per la psicologia e per tutte le altre scienze. Vorrei ricordare, ad esempio, che non solo le teorie di Galileo, di Newton e degli altri grandi della scienza moderna dal Seicento all’Ottocento ma anche le due massime scoperte della fisica contemporanea, la teoria della relatività e la teoria dei quanti, sono scoperte europee del primo Novecento. La massima parte dei più grandi matematici, dal Cinquecento al Novecento, è costituita da francesi, inglesi, tedeschi, italiani, scandinavi, svizzeri e di altri Paesi europei. I tesori della cultura europea, oggi patrimonio della cultura dell’intero pianeta, sono davvero incommensurabili. E l’Italia nel corso dei secoli ha contribuito in misura altissima, determinante alla creazione di questo patrimonio.

Template:Anchor Responsabilità, errori ed orrori della storia d’Europa[modifica]

Marco La storia d’Europa è ricca dei tesori che Lei ha appena evocato, certamente. E so che se glielo chiedessi, Lei su questo terreno resterebbe a lungo. Ma questa storia è anche responsabile di errori, di pesanti ingiustizie, direi anche di veri e propri orrori. Non so se possiamo porci come modello per civiltà diverse e lontane, che spesso gli europei hanno ignorato o addirittura soffocato e spento.

Aps Questo è sicuramente vero. Guai a negarlo, guai a dimenticarlo, guai a sottovalutarlo. Guerre intestine quasi senza tregua tra gli Stati europei, feroci persecuzioni religiose ed etniche, lotta senza tregua contro le eresie, intolleranze culturali e civili all’interno d’Europa, in un arco di quasi venti secoli. Guerre di conquista sulla sponda orientale del Mediterraneo con le Crociate; devastazioni anche nell’orbita della Cristianità, ad esempio con il selvaggio assalto dei crociati a Costantinopoli nel 1204, distruttivo di tesori irrecuperabili della cultura antica ancora conservati nella capitale dell’Impero d’Oriente. E poi, soprattutto, il dominio esteso dal Cinquecento al Novecento sull’intero pianeta, attraverso la colonizzazione degli altri Continenti: in Africa, nelle due Americhe, in India, in Indonesia, in Australia. L’intero pianeta è stato per secoli terra di conquista da parte degli Stati europei, oggetto di sfruttamento, di dominio politico, religioso e culturale, senza rispetto per le tradizioni ancora vive di culture nobili e antiche, pur se diversissime rispetto alla nostra civiltà.

Ci sono volute le due guerre mondiali del Novecento, scatenate dagli Stati europei, c’è voluto l’orrore senza paragoni dell’Olocausto perpetrato dal nazismo, ci sono volute le stragi di milioni di esseri umani operate dal comunismo sovietico – anch’esso un prodotto dell’Europa e della sua cultura – per porre fine, nell’arco di alcuni decenni del secondo Novecento, cioè appena ieri, ai domini coloniali e ai genocidi di matrice europea. Altri genocidi, non imputabili a noi, si sono frattanto ripetuti: in Africa, in Cina, in Indonesia, ma anche nell’ex Jugoslavia. Tutto questo non va mai dimenticato, quando proponiamo nuovi modelli di vita individuale e collettiva.

Marco Ho visto recentemente due film che mi hanno profondamente colpito. Il primo è un film tratto dal romanzo di Eric Remarque, All’Ovest niente di nuovo; il secondo è un documentario di Ermanno Olmi, I recuperanti, sui luoghi e sui residui terribili – cannoni, bombe inesplose, granate, grotte scavate nella montagna, centinaia di chilometri di trincee – risalenti agli anni della Prima guerra mondiale e ancora presenti, da un secolo, sulle nostre montagne alpine; mi sono sembrate ferite ancora aperte.

Aps Ha ragione. Questi film, insieme con altri documenti sono tristemente illuminanti. Oggi ci appare incomprensibile, assurdo, che i popoli europei si siano massacrati dal 1914 al 1918 in una guerra di trincea nella quale per conquistare pochi metri di un campo o di un territorio si mandavano a

morte migliaia di uomini in un solo giorno. Povera e umile gente di ogni parte d’Europa, per la quale la guerra era inesplicabile, eppure accettata sino al sacrificio della vita come si accetta un flagello della natura. I morti della prima Guerra superano i 15 milioni di esseri umani! Le ideologie nazionaliste sbandierate allora ci suonano false, tragicamente funeste. Ecco perché il patto originario che sta alla base dell’Unione europea è molto chiaro, molto esplicito: mai più guerre, mai più stragi fratricide. Mai più!

Marco Oggi questo rischio in Europa sembra superato, a molti questo richiamo al valore della pace sembra inattuale.

Aps È un errore, che può avere esiti funesti. Il rischio sarà veramente superato, entro l’Europa, se e solo se l’Unione raggiungerà la fase della federazione, cioè l’unione politica, non prima. Non dimentichiamo che ancora nel 1913, pochi mesi prima dello scoppio della grande guerra, nessuno in Europa l’aveva prevista. Nessuno pensava che l’assetto di pace che il Continente conosceva da quasi mezzo secolo si sarebbe infranto nel corso di una settimana, scatenato da una singola pallottola sparata a Saraievo. Lo esprime bene il bellissimo libro autobiografico di Stefan Zweig, Il mondo di ieri, scritto nel pieno della seconda guerra mondiale, nel 1942.

Marco Come è possibile che nessuno l’avesse previsto? E chi si oppose alla guerra?

Aps Una parte non piccola delle élites europee era contraria alla guerra, anche in Italia (se si fossero interrogate le popolazioni, la contrarietà sarebbe stata schiacciante). Ma quando poi la guerra scoppiò, solo pochissimi intellettua li ebbero il coraggio di denunciarne l’orrore. Tra questi, il francese Romain Rolland, che nel 1914 pubblicò un pamphlet intitolato Al di sopra della mischia, venduto a decine di migliaia di copie ma attaccato aspramente dalla stampa come antipatriottico. Anni prima Rolland aveva scritto il grande romanzo Jean Christophe, incentrato sull’ideale di

una intesa profonda tra Francia e Germania. Nel 1914 egli fu costretto, per un trentennio, a lasciare la Francia. Una sorta di incendio collettivo aveva acceso gli spiriti, un fenomeno diventato inarrestabile. Ecco perché è essenziale che si spieghi e si renda chiaro, soprattutto a voi giovani che non l’avete per vostra fortuna conosciuta, la terribile realtà della guerra. L’unione europea è nata ed è tuttora indissolubilmente legata ad un ideale di pace. Chi ignora questo – e sono tanti, oggi – non ha capito nulla dell’idea di unione europea. Quanto meno, non ha capito l’essenziale.

Marco Eppure ancora oggi si commemora la fine della guerra e la vittoria del 1918.

Aps Sì, è giusto commemorare i morti in guerra. Ed è giusto ricordare che molti giovani e non giovani hanno sacrificato la vita coscientemente. Per la seconda guerra è chiara la ragione che ha spinto alla resistenza attiva contro la barbarie nazista. Per la prima guerra è più difficile capire (come invece è necessario fare) che vi sono stati individui di alta cultura e moralità che hanno creduto in buona fede che la guerra fosse un modo per superare le ingiustizie e le ipocrisie di un’età borghese non priva di ombre. Ma nessuno di loro aveva previsto il massacro della guerra di trincea. Oggi sappiamo tutti che una futura guerra, magari scatenata per caso, potrebbe portare alla morte – nello spazio di ore o di minuti – miliardi di esseri umani. A parte questo scenario da Apocalisse, non dimentichiamo che ancora negli ultimi anni e decenni milioni di persone sono morte per atti di genocidio e di pulizia etnica. Anche ai confini d’Europa.

Marco Le tragedie più recenti ai confini dell’Unione europea si sarebbero potute evitare se l’Europa fosse stata presente e attiva come unione politica già nei decenni scorsi?

Aps In alcuni casi, quasi certamente sì. Pensiamo alla ex Jugoslavia: gli orrori della “pulizia etnica” che ha sacrificato intere popolazioni, sino a quel momento viventi pacificamente porta a porta, sarebbero stati impediti con la forza da un potere pubblico superiore. Pensiamo anche al Medio Oriente, dove non solo gli interessi ma anche i valori che condividiamo non hanno potuto affermarsi perché l’Europa non ha il peso che solo l’unione politica potrebbe darle. Si parla spesso di “costo della non Europa”: e questa formula vale non soltanto sul terreno dell’economia, per la quale sono stati più volte calcolati gli enormi vantaggi che avremmo a presentarci uniti quando si tratta di energia o di ricerca o di difesa, ma anche sul terreno dei rapporti internazionali. Voglio aggiungere che c’è di peggio: l’Europa (o piuttosto alcuni Stati dell’Unione, tra i quali anche l’Italia) portano una quota di responsabilità per aver contribuito a creare le condizioni per le quali si è determinato il flusso di milioni di migranti in fuga dai rispettivi paesi. Mi riferisco alla Libia, alla Siria, all’Irak, ma non solo. Un’Europa politicamen te unita e attiva avrebbe probabilmente agito in tutt’altro modo, nell’interesse di quei popoli e nel nostro interesse.

Marco Ma allora il bilancio storico dei rapporti tra l’Europa e il resto del mondo è solo negativo?

Aps Non penso questo. È vero, ci sono le responsabilità e le colpe, irrimediabili ormai, di cui abbiamo detto. La storia umana è una storia carica, sin dalla più remota antichità, di violenze terribili. Non è mai esistita un’età dell’oro, evocata in tanti miti europei. I genocidi, le deportazioni, le eliminazioni di popoli interi, la riduzione in schiavitù e servitù dei nemici vinti in guerra sono stati quasi sempre la regola, in ogni parte del pianeta, per millenni. E l’Europa non è stata da meno. Soltanto da pochissimi decenni si è cominciato a ritenere non solo eticamente ma anche politicamente inaccettabili queste pratiche millenarie nei rapporti tra popoli e tra Stati. Una parte non secondaria di merito nell’avvio di questa evoluzione si deve proprio all’Europa.

Marco Molti pensano che solo una fede attiva e condivisa di pace e di fraternità possa scongiurare le violenze e le stesse guerre. La nostra interlocutrice virtuale Luisa, che Lei ha nominato all’inizio, la pensa così. Il volontariato è un modo di agire molto rispettato e diffuso anche tra i giovani. Sembra lontano dalla dimensione politica e dunque anche dall’ideale europeo.

Aps Quando oggi vediamo tante migliaia di donne e di uomini che dedicano la vita o una parte della loro vita, gratuitamente e volontariamente, all’assistenza sanitaria, all’istruzione, al miglioramento delle condizioni di vita delle popolazioni più povere del pianeta, anzitutto in Africa ma non solo, e quando vediamo quanto sia alta la quota di europei in queste missioni, penso che possiamo dirci orgogliosi della nostra appartenenza al Vecchio mondo. È una dimensione essenziale della vita, la fraternità verso il prossimo, della quale le radici religiose e cristiane sono evidenti. Il che non comporta affatto la conseguenza di ritenere che questa dimensione sia sufficiente a scongiurare le tragedie della guerra. No, la pace può venire garantita solo con un regime di istituzioni che renda la guerra impossibile.

Marco Mi torna alla mente un carteggio tra Einstein e Freud avvenuto tra le due guerre (1932) in cui i due si interrogavano sulla guerra: entrambi giungevano alla conclusione che per estirpare la guerra, da una parte sono necessarie istituzioni federali e dall’altra occorre alimentare la pulsione di vita, o come preferiva chiamarla Freud di Eros, per contrastare quella di morte, Thanatos. Ma proprio la consapevolezza che nell’essere umano convivono queste due tensioni li indusse ad ammettere la necessità delle istituzioni e di un continuo sforzo di queste per educare la pulsione di Eros. Da una parte quindi la necessità di pedalare sempre per mantenere in equilibrio questa bicicletta (la civiltà) e dall’altra l’importanza di avere un orizzonte per continuare e non perdersi.

Aps È vero, questo carteggio tra due grandi della cultura è ancora molto attuale.

Template:Anchor Caratteri originali della civiltà europea[modifica]

Marco È possibile riconoscere alla civiltà europea, nell’arco della sua storia passata e sino al presente, alcuni aspetti che la distinguono dalle altre civiltà?

Aps Ritengo di sì. A qualche aspetto ho già accennato, parlando dell’identità europea. Sul patrimonio immenso dell’arte, della cultura e delle scienze di matrice europea non occorre tornare: un patrimonio ormai aperto all’umanità intera di oggi e del futuro. Ma c’è anche altro. Mi limito a pochi punti. Il primo riguarda la distinzione tra la sfera spirituale e la sfera secolare, che ha la sua fonte nel passo evangelico “date a Cesare quel che è di Cesare, date a Dio quel che è di Dio”. Stato e Chiesa, istituzioni temporali e istituzioni religiose hanno convissuto in Europa per duemila anni con confini variabili, con sconfinamenti continui nelle due direzioni, con contrasti accesi e non di rado violenti. Ma rimane fermo il principio per il quale la sfera secolare dei rapporti temporali e la sfera spirituale della religione hanno ciascuna un proprio autonomo fondamento etico e istituzionale. Questo principio costituisce un pilastro, un carattere distintivo della civiltà europea, in questo diversa da civiltà come quelle (ad esempio) della Mesopotamia, dell’Egitto antico, di Israele, della Cina, dell’India, del Giappone, dell’Islam e della stessa Bisanzio: anche se, naturalmente, ciascuna di queste civiltà ha conosciuto e variamente disegnato, nei rispettivi poteri, la sfera religiosa e la sfera dei rapporti civili.

Marco Nell’Europa cristiana ci sono stati “travasi”, scambi tra le due sfere?

Aps Certamente. Vi è l’influenza che le istituzioni del mondo secolare hanno esercitato sull’organizzazione interna della Chiesa cattolica, a cominciare dalla sua struttura gerarchica (laici, sacerdoti, vescovi, pontefici), che ha chiari agganci con la struttura gerarchica del tardo impero romano, persino nei nomi. E così pure le istituzioni del feudalesimo. E in tempi molto più recenti, l’accettazione del principio della libertà religiosa, nato nella moderna cultura secolare e, nel Novecento, recepito anche dalla Chiesa. La “rivoluzione” illuminista è stato un movimento intellettuale grandioso, le cui radici sono molteplici, sia religiose che laiche. Ha messo radici l’idea che la realtà delle istituzioni umane e delle regole del diritto può essere riformata sulla base di principi razionali, condivisibili e condivisi. Rientra in questa prospettiva anche la dialettica moderna tra posizioni religiose e posizioni laiche in tema di divorzio e aborto, nonché la discussione sui temi oggi vivissimi della bioetica.

Marco E nella direzione inversa, la Chiesa ha influito sul terreno delle realtà secolari?

Aps Nella direzione inversa gli esempi sono innumerevoli. Non solo ha operato la Chiesa come istituzione bensì in primo luogo i valori del cristianesimo, espressi e trasmessi nei Vangeli. Uno di questi esempi consiste nel fenomeno complesso della “secolarizzazione”: il trasferimento di regole e istituzioni dall’àmbito della religione cristiana all’àmbito temporale. Basti menzionare i principi fondamentali della pari dignità di ogni persona umana, della solidarietà attiva, della tutela dei meno fortunati a carico della collettività, del potere come servizio: nati sul terreno religioso, essi sono stati recepiti, in modi e in gradi molto diversi nel tempo e nello spazio, dai poteri secolari e dagli Stati. E vi è anche la trasmissione di modelli del diritto canonico in quasi ogni campo dei diritti secolari, nel processo, nei contratti, nella gerarchia delle funzioni pubbliche, nel diritto penale.

Marco Può menzionare alcuni altri “caratteri originali” della civiltà europea?

Aps Ne richiamo alcuni, semplicemente enunciandoli, ma naturalmente questo capitolo meriterebbe ben altro spazio. Possiamo denominarli caratteri originali nel senso che sono nati in Europa, ma molti di essi si sono poi trasmessi ad altre parti del mondo, ad altri paesi e continenti e sono diventati patrimonio comune dell’umanità. Un esempio è costituito dalle Università quali strutture di formazione delle élites politiche ed economiche nelle quali l’insegnamento è impartito da chi abbia dimostrato la capacità di effettuare ricerche originali. Il principio della separazione/distinzione tra i poteri legislativo, esecutivo e giudiziario, cardine del moderno Stato costituzionale, è un modello europeo che dall’Inghilterra del Seicento si è trasmesso all’Europa, agli Stati Uniti e poi a molti altri Stati extraeuropei. La dottrina dei diritti dell’uomo – diritti di libertà, diritti di protezione contro gli abusi del potere – ha anch’essa origini europee che dal medioevo si sviluppano sino alla Dichiarazione del 1789, ai Bills of Rights e alle moderne Costituzioni; e che dal 1948 figurano nella Carta dei diritti delle Nazioni Unite, con un raggio di diffusione e recepimento (quanto meno potenziale…) esteso così all’intero pianeta. Il principio della sovranità popolare, le istituzioni della democrazia rappresentativa, il suffragio universale sono anche questi modelli europei, accolti in forme diverse nel tempo e nello spazio ben al di là dell’Europa. Le riforme che hanno emancipato dal secondo Ottocento in poi il proletariato dall’oppressione e dalla miseria indotte dalla prima industrializzazione sono state una faticosa conquista dell’Europa, a partire dall’Inghilterra che della rivoluzione industriale era stata la matrice. Gli istituti della previdenza sociale si sono anch’essi affermati non solo in Europa. E così pure la creazione del welfare state, concepito da Lord Beveridge nel corso della seconda guerra mondiale e trasformatosi in seguito nel “modello sociale europeo”. Anche la grande rivoluzione che nel corso del Novecento e in questo secolo ha portato e sta portando progressivamente alla emancipazione femminile ha avuto in Europa la sua fonte prima.


Template:Anchor VI. Il mondo di domani[modifica]

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Template:Anchor Europa federale: un progetto planetario[modifica]

Marco Vorrei a questo punto del nostro dialogo rivolgerLe alcune domande che mi sono posto e che corrispondono alle obiezioni di uno dei nostri interlocutori virtuali menzionati all’inizio, Mario. Il mondo di oggi è ormai un mondo globale e lo sarà ancor più quello di domani. L’ambiente e la sua tutela, i consumi energetici e le energie alternative, la rivoluzione informatica e telematica, il lavoro scientifico, le nuove tecnologie lo sviluppo demografico e le migrazioni di milioni di individui, persino le epidemie e i flagelli naturali, tutto questo avviene su scala mondiale. E allora, non Le sembra che la prospettiva dell’Europa e della sua unione politica sia già superata dai fatti e che convenga, per chi riflette sul futuro e vorrebbe lavorare a prepararlo, ragionare in chiave planetaria e non più in chiave solo europea?

Aps Anch’io mi sono interrogato più volte su questo. Le risposte che mi sono dato hanno un doppio versante. Da una parte occorre capire come l’Europa di oggi si colloca riguardo a questi grandi temi. Dall’altra parte si può immaginare come l’Unione europea, una volta che fosse a regime, potrebbe operare su scala globale. Premetto, per chiarezza, che per globalizzazione intendo sostanzialmente due realtà: da un lato l’interdipendenza sempre più stretta e più intensa tra le economie e i sistemi finanziari dei diversi Paesi dei cinque continenti, un fenomeno che ha oggi assunto dimensioni mai raggiunte prima; dall’altro, la presenza di istituzioni che hanno un raggio d’azione planetario; alcune pubbliche e promosse dagli Stati – dalle Nazioni Unite all’Organizzazione mondiale del commercio e alle Corti di giustizia internazionali, alcune delle quali molto recenti – altre private, nate spesso su base volontaria o promosse da imprese e gruppi di interesse, tra le quali le Organizzazioni non governative (Ong).

Marco Ma non sarà proprio per questa realtà di un mondo ormai globale che molti giovani oggi si sentono lontani dalla politica nazionale ed anche dalla politica europea perché si sentono piuttosto cittadini del mondo?

Aps Sentirsi cittadini del modo è importante, è bellissimo. Ma questa consapevolezza non elimina, non deve sostituire la propria appartenenza alle altre cerchie più limitate, dal comune alla regione, dallo Stato nazionale all’Europa, tutte reali e compatibili come abbiamo già detto. Aggiungo che forse nessuna alternativa quanto quella europea è altrettanto efficace per agire politicamente quale cittadino del mondo.

Non posso fare a meno, a questo proposito, di citare un’intuizione di Kant, il quale ha scritto che “l’associazione di popoli è progressivamente pervenuta a tal punto che la violazione di un diritto avvenuta in un punto della Terra è avvertita in tutti i punti” (Per la pace perpetua, terzo articolo); questo è stato scritto nel 1795, prima che i mezzi di comunicazione moderni e contemporanei venissero ad esistenza, portando il mondo intero sino all’interno delle nostre case.

Marco È un pensiero anticipatore straordinario! Tuttavia, se è vero che siamo ormai parte di un mondo globalizzato, ci si può chiedere se sia davvero così importante occuparsi e preoccuparsi dell’Europa e della sua unione politica; Lei ha già ricordato che solo il 7% della popolazione mondiale appartiene all’Europa e questa percentuale decrescerà ancora nei prossimi decenni.

Aps Anzitutto va detto che in questo 7% ci siamo noi e ci saranno i nostri e vostri figli e nipoti e pronipoti. Poter avere una voce e un’influenza in un mondo che si sta trasformando in profondità – con prospettive affascinanti ma anche con gravissimi rischi – è una ambizione giusta. Ma c’è di più: su molti fronti i cittadini europei hanno, nella loro maggioranza, convinzioni e tendenze di avanguardia, orientate verso un futuro di convivenza pacifica, di prosperità equilibrata, di tutela dei meno fortunati, di provvidenze sociali e sanitarie, di rispetto dei diritti umani e della democrazia. Perché rinunciare a svolgere un ruolo su questi fronti, a fianco dei grandi Stati di domani? Anche sui poteri dell’Onu l’atteggiamento degli europei è tendenzialmente avanzato, in una prospettiva cosmopolitica. Il primo a coniare questo termine è stato il filosofo Diogene: Alessandro Magno, condotto dagli Ateniesi a conoscere il celebre filosofo, gli chiese di quale città fosse originario; e Diogene rispose così: “io sono cosmopolita” cioè, alla lettera, “io sono cittadino del mondo”.

Marco Quale è il ruolo dell’Europa attuale, in questo contesto?

Aps L’Europa rappresenta già oggi un elemento importante, anzi fondamentale nel processo di globalizzazione in corso. Costituisce il più grande mercato, non per il numero degli abitanti ma per il volume degli scambi. L’euro è la seconda moneta mondiale, dopo il dollaro. Sulla tutela dell’ambiente l’Europa è all’avanguardia, rispetto a tutti gli altri grandi Stati. Anche sulle energie alternative si sta muovendo con decisione. I suoi sistemi di welfare, che pure differiscono da Paese a Paese, sono i più avanzati rispetto a quelli del resto del mondo, dagli Stati Uniti alla Cina, dall’India all’America meridionale. Basti pensare ai sistemi sanitari nazionali, che costano in Europa molto meno rispetto agli Stati Uniti. Il livello medio di benessere e la qualità della vita sono i più alti rispetto a quelli degli altri Continenti.

Non solo: l’integrazione europea ha assicurato all’Europa tre quarti di secolo di pace interna, un risultato che non si era mai raggiunto in 2000 anni di storia. Attenzione: sto dicendo che questi grandi successi sono tutti, anche se in misura diversa, legati al processo di integrazione, sono successi dell’Unione europea. Questo fatto viene quasi sempre passato sotto silenzio, e non solo dagli avversari dell’unione politica. Come ha scritto Tommaso Padoa-Schioppa nel 2008 “solo l’Unione europea ha saputo elaborare la formula atta a governare il processo di internazionalizzazione […]; perciò l’Unione ha titolo e forza per esigere che questa formula sia applicata alla mondializzazione; ma a condizione che essa completi l’edificio dell’unione con la formazione di un governo capace di decidere e di agire sia all’interno che all’esterno”.

Marco Ma allora, se è così, il più è fatto! O no?

Aps Direi di no, per due ragioni. Perché la costruzione europea è ancora incompiuta e quindi a rischio, come abbiamo

visto sopra. E perché le sfide che la globalizzazione pone al mondo di domani, ma già alla realtà di oggi, sono tutt’altro che vinte, dai rischi terribili di guerre anche nucleari al degrado dell’ambiente, dall’energia alla povertà alla disoccupazione alla perdita di lavori tradizionali a causa delle innovazioni tecnologiche, dai rischi della finanza globale alla criminalità internazionale, per citarne solo alcune. Queste ed altre sfide non potranno venire affrontate se non a livello globale. Ma l’Unione europea, se saprà completare l’unione politica, sarà (meglio: potrà essere) all’avanguardia nel promuovere misure efficaci. Non solo è in molti campi già più avanti, ma possiede una vocazione cosmopolitica superiore rispetto ad ogni altra parte del mondo.

Marco Non mi è chiaro cosa questo significhi.

Aps Significa tre cose. Anzitutto la cultura europea, dalla Grecia sino al presente, ha sviluppato, come abbiamo già accennato sopra, un filone di pensiero che concepisce l’unità del genere umano come fine supremo dell’ordine politico, da conseguire nel rispetto della libertà e della democrazia. Inoltre, l’Europa sta portando avanti un modello di unione politica su base federale che, se completato, costituirà un modello (in parte lo è già) per altri continenti, dall’Africa all’America meridionale: ieri l’Europa ha diffuso il modello dello Stato nazionale, del quale gli effetti nefasti si sono visti nel Novecento e si vedono ancor oggi ad esempio in Africa e nel Medio oriente; domani potrebbe suggerire il modello federale.

Marco Lei parlava di tre ragioni a proposito del modello cosmopolitico europeo. Ma ne ha citate solo due…

Aps La terza è questa, ed è forse la più importante. Il progetto di unione politica federale dell’Europa è stato, sin dall’origine – da Kant ai Padri fondatori dell’Unione, Altiero Spinelli, Jean Monnet, ma non solo loro – un progetto aperto alla prospettiva di un’unione politica planetaria. Le memorie di questi personaggi sono chiarissime al riguardo: “unire l’Europa per unire il mondo” come si espresse Mario Albertini nel 1980. Ma solo un’Europa unita potrà esercitare un ruolo di avanguardia nel promuovere le istituzioni internazionali già esistenti, dalle Corti di Giustizia internazionali all’Organizzazione internazionale del commercio (Wto) ma soprattutto al livello più alto, alle Nazioni Unite, nate per tutelare la pace nel mondo. Questo intendevo dire parlando di vocazione cosmopolitica dell’Europa. L’Europa è la maggiore speranza di chi crede nell’ideale dell’unità politica del genere umano. E chi si batte per l’Unione europea si batte per un obbiettivo che supera l’Europa stessa e riguarda il mondo. Se l’Europa federale non vedrà la luce, questo ideale rischia di rimanere utopia ancora per secoli, forse per sempre.

Marco Lei parla continuamente di Europa federale ed ha chiarito già prima quali siano le istituzioni che l’Unione si è data, ispirate ai principi del federalismo. Ma Le chiedo di ritornare su questo punto, perché ho l’impressione che non molti sappiano distinguere tra “unione politica” e “unione federale”.

Aps La distinzione è di importanza fondamentale. L’unione europea che già oggi esiste e la cattedrale incompiuta di cui abbiamo parlato sono fondate sul modello politico del federalismo. Questo significa che l’Unione non è e non sarà uno Stato unitario, un Superstato, un Leviatano che assorbe e sostituisce gli Stati nazionali, ma una federazione di Stati che mettono in comune con efficacia e con metodo democratico alcune competenze, per obbiettivi non raggiungibili a livello nazionale, come abbiamo visto. Federazione significa questo. Il discorso sarebbe lungo, anche se affascinante: ma voglio almeno dire che la dottrina politica del federalismo costituisce un punto di arrivo rispetto alle grandi rivoluzioni politiche e istituzionali dell’età moderna, il liberalismo, il socialismo e la democrazia. Le incorpora tutte, con una dimensione sovranazionale che ad esse mancava.

I confini istituzionali di una federazione sono di due ordini: da una parte i livelli territoriali inferiori mantengono le loro prerogative, a cominciare dagli Stati nazionali; dall’altra parte, la federazione ha le caratteristiche di un ordine costituzionale democratico, in quanto il potere legislativo, il potere di governo e il potere giudiziario sono esercita ti, in via esclusiva o in codecisione, da organi diversi: per l’Europa, i Consigli, la Commissione, il Parlamento eletto, la Corte di giustizia. Il federalismo, al quale si ispira la costruzione europea, è un modello esemplare per le istituzioni politiche del futuro: coniuga autonomia e interdipendenza, evita le autocrazie fondate sull’accentramento e sul mancato equilibrio tra i poteri, possiede la doppia legittimazione democratica del voto popolare e della Camera degli Stati. Inoltre, la federazione implica l’accettazione dei livelli territoriali inferiori e di quelli superiori, sino al livello planetario; implica cioè un concetto non esclusivo di sovranità.

Marco Lei ha chiarito la dimensione territoriale del federalismo politico. Ma se oggi il mondo è globale, il territorio come elemento di aggregazione non ha perduto importanza?

Aps Questo è un punto importantissimo, ha fatto bene a sollevarlo! Dico subito che qui non possiamo approfondire la questione, mi limito a richiamare pochi punti. Quando parliamo della necessità di un perimetro di regole per disciplinare la concorrenza, per diminuire le crescenti disuguaglianze non solo sociali ma anche tra le imprese, per contrastare la formazione di potenti monopoli e oligopoli per taluni settori dell’economia, per arginare le deviazioni dei circuiti mediatici, per intervenire al di là delle frontiere nazionali o continentali in difesa dei diritti, per combattere la criminalità internazionale, per disciplinare il soft law delle pratiche negoziali transnazionali, tutto questo (e molto altro) implica, in forme diverse, la messa a punto di strategie ed anche di istituzioni nuove, in larga misura ancora da studiare e da realizzare. È un capitolo vasto e difficile della globalizzazione, che oggi viene studiato da molti (Cassese, 2016; Economist, 17 novembre 2018) e per il quale alcune possibili scelte future sono già state delineate. Occorre mettere punto anche forme nuove di legittimazione democratica, diverse rispetto a quelle delle democrazie tradizionali e delle stesse democrazie rappresentative. Tuttavia non per questo la prospettiva del federalismo politico perde di incisività, tutt’altro, perché una serie di interventi dei poteri pubblici sovranazionali sarà comunque necessaria.

Marco Nel contrasto tra sovranisti ed europeisti che, come Lei ha sottolineato all’inizio, sarà il fronte decisivo dell’elezione europea del 2019, io credo di aver notato una differenza di fondo non solo sui programmi ma nel modo di proporli. I sovranisti, i nazionalisti sembrano animati da una tensione emotiva che si manifesta nei toni e che preclude ogni confronto sereno su soluzioni non semplicemente distruttive. Ma questo non rischia di pregiudicare la causa europea?

Aps Lei ha ragione a sollevare questo problema. I sovranisti fanno appello a emozioni e suscitano pulsioni che vanno al di là (o piuttosto restano al di qua) delle argomentazioni razionali. E questo non solo in Italia: pensiamo alla Baviera, all’Ungheria, all’Austria. Gli europeisti controbattono punto per punto e le loro ragioni non vengono contestate razionalmente. Senonché nel votare, gli elettori sono sempre fortemente influenzati dalle emozioni. E la politica non è certo solo ragione, è passione e dunque emozione. Ciò che ha reso possibile la costruzione europea è stata la rivolta morale contro le guerre del Novecento, è stata una autentica passione civile. Guai a pensare che questo rischio di guerre non esista più; ma ora premono altre pulsioni, soprattutto quelle indotte dall’insicurezza, dalle immigrazioni incontrollate, dalla paura del domani per il mondo del lavoro. E allora chi soffia sul fuoco di questi sentimenti ha grande spazio. Potrebbe vincere la partita. Bisogna assolutamente riuscire a far sentire ai cittadini, agli elettori che la costruzione europea è una potente fonte di sicurezza e di pace per il domani. Bisogna suscitare anche l’emozione per l’ideale europeo; e vorrei invitare tutti all’ascolto di un breve filmato accessibile su internet, che a me è parso bellissimo, realizzato a Norimberga nel 2014.[9]

Bisogna suscitare una nuova passione civile per l’Europa unita. Io vedo anche questo nostro dialogo come un tentativo di far vivere questa passione.

Template:Anchor La politica, i giovani, la scuola[modifica]

Marco Lei ha parlato di rischi gravissimi per il mondo di domani. A cosa si riferiva?

Aps Mi riferivo a prospettive ormai evidenti a chiunque voglia osservare la realtà. Sono i progressi della ricerca scientifica, dalla genetica alle tecnologie avanzate, a rendere possibile e prossimo il raggiungimento di traguardi straordinari, sino a ieri impensabili: sulla durata della vita umana, sulla lotta vittoriosa contro le carestie, contro le malattie, contro la fatica fisica e molte sofferenze che per millenni hanno afflitto l’umanità.

Ma contestualmente, proprio questi progressi mettono a rischio la sopravvivenza della specie umana e della vita stessa sulla Terra: dalla minaccia nucleare allo sfruttamento delle risorse del pianeta, dalla manipolazione genetica sino alla rivoluzione digitale e telematica che potrebbe sviluppare forme di dominio occulto sulla vita individuale e collettiva, forme abnormi di intelligenza artificiale lesiva di ogni libertà. Pericoli immensi, non scontati, non inevitabili, ma contrastabili solo con gli strumenti dell’informazione corretta e della democrazia. Cioè con gli strumenti della politica. Ecco perché la politica resta fondamentale.

Marco Oggi il mondo è già globale nella produzione, negli scambi, nella finanza, nella criminalità. In cosa dovrebbe ancora diventare globale?

Aps Nella politica. Beninteso, non nel senso che debba nascere uno Stato mondiale. Come già Kant aveva acutamente osservato. il rischio di una dittatura a livello planetario sarebbe terrificante. No, quello che dovrebbe svilupparsi – e che in misura ancora embrionale si sta sviluppando attraverso l’Onu e le altre organizzazioni internazionali – è un sistema politico federale costituito da grandi Stati e da federazioni di Stati (come l’Unione europea). Le decisioni più importanti, quelle che debbono rispondere alle sfide della guerra e della pace, dell’ambiente e dell’economia planetaria sarebbero assunte democraticamente entro uno schema istituzionale di federazione politica.

Marco Perché Lei ritiene necessario che la globalizzazione si estenda anche al livello politico?

Aps Perché altrimenti sarebbe impossibile contrastare gli effetti negativi, gli eccessi, le prevaricazioni, le violenze che le società generano inevitabilmente se non esiste un sistema istituzionale entro il quale il bilanciamento tra i diversi poteri sia in grado di contrastare queste patologie, tutt’altro che immaginarie. Ciò è vero anche per il sistema degli scambi, della produzione e della finanza. Oggi i poteri pubblici si sono indeboliti, anche in conseguenza della globalizzazione. E c’è bisogno di un riequilibrio, che a livello mondiale ancora non ha la possibilità di nascere proprio per la debolezza delle istituzioni internazionali, le quali debbono avere anch’esse una legittimazione democratica. Per questo ho parlato di una carenza della politica che andrebbe corretta. Il rafforzamento della Nazioni Unite, ad esempio, che ha al centro una riforma del Consiglio di sicurezza, potrà raggiungersi solo se sarà portato avanti a livello politico dai grandi Stati: tra i quali dovrebbe esserci l’Unione europea…

Marco Dunque il raggio della politica va ben al di là del quadro nazionale. E allora Le chiedo in che modo secondo Lei un giovane dovrebbe occuparsi di politica?

Aps Ci sarà, ci deve essere una piccola minoranza di giovani che per vocazione – sì, parlerei di vocazione, in un senso non poi tanto lontano da quello con il quale si parla di vocazione a fare il medico, l’insegnante, persino il sacerdote – sceglierà la via della politica: la politica nel suo significato alto, come vocazione a conquistare legittimamente il potere al fine di contribuire a “cambiare il mondo” nella direzione dei propri ideali. Pochi sceglieranno invece di dedicare una parte del loro tempo ad una militanza politica ideale, volontaria, ad esempio sul terreno del federalismo. E poi ci sono gli altri giovani, la stragrande maggioranza.

Ognuno di loro cercherà la sua via nelle diverse direzioni dell’attività umana. Ma ognuno dovrebbe conservare e coltivare in sé anche una scintilla di “anima politica” nel senso nobile e alto del termine: sentire la responsabilità di essere “cittadino” di ciascuna delle cerchie alle quali appartiene, che vanno dalla propria città al mondo. Ogni cittadino deve essere anche politico, insieme custode della sua polis e cosmopolita. La democrazia può vivere solo così.
In questa dimensione, l’Europa costituisce un tassello fondamentale. Come ho cercato di mostrare in questo nostro dialogo, oggi la via per avanzare verso un mondo più giusto e sano passa proprio per l’Europa. L’unità politica dell’Europa, un’Europa federale e non uno stato soffocatore delle autonomie, è un traguardo non solo per gli europei di oggi e di domani, ma per l’intero pianeta.

Marco Ascoltandola, io avverto in Lei una tensione ideale che a me personalmente piace molto, anzi mi entusiasma. E tuttavia anch’io ho incontrato amici e compagni che la pensano come alcuni da Lei evocati all’inizio. Pensano che tutti questi siano solo bei discorsi, sogni di illusi: perché il potere, gli interessi sono da sempre e saranno per sempre la sola realtà che si impone; ciò che conta sarebbe solo la politica reale (la Realpolitik, mi sembra che così la chiamino i tedeschi). E allora, chi crede nell’Europa federale sta forse nel mondo dei sogni?

Aps Vede Marco, io non nego affatto il peso schiaccian te degli interessi costituiti né della Realpolitik. Da storico del diritto, sarei sciocco se lo facessi. La storia è anche un cumulo di tragedie collettive. Molte di esse sono opera dell’uomo: guerre, genocidi, schiavitù e servitù di popoli interi, feroci dittature ed altro ancora. Illudersi che il dolore e le pulsioni aggressive possano scomparire dalla storia umana sarebbe sbagliato, irreale. Ma la storia non è solo questo. Essa include traguardi che a priori sarebbero sembrati (anzi, erano valutati) irraggiungibili, perché in contrasto con forze e con interessi possenti. Sembravano utopie irrealizzabili, ma sono diventate realtà..

Marco Potrebbe farmi qualche esempio?

Mi limito a rammentarne alcuni tra i molti possibili. La cristianizzazione dell’Impero romano tardo-antico è un fenomeno grandioso e impressionante, se si considera la profondità delle radici religiose e politiche sulle quali era sorto ed era cresciuto l’Impero. Nella seconda metà del Settecento una sovrana asburgica della più alta nobiltà europea e il figlio di lei, rispettivamente Maria Teresa d’Austria e Giuseppe II, riuscirono in appena quarant’anni a smantellare il monopolio dei due più formidabili centri di potere che da secoli dominavano in Europa (e non sempre, sia chiaro, senza risultati importanti e talora eccelsi): il patriziato e la Chiesa. Tra il 1789 e il 1791 l’Assemblea costituente francese introdusse, con votazioni ispirate al principio di democrazia, una serie di centinaia di leggi che avviarono la Francia, e più tardi l’Europa, verso un regime di eguaglianza dei diritti e di libertà economica e civile. E si deve osservare che in entrambi i casi fu determinante l’intervento del patriziato, prima ancora di quello della nascente borghesia. Il principio della progressività delle imposte, fondamentale per diminuire le disuguaglianze, ancora ai primi del Novecento era considerato tabù negli Stati Uniti, mentre due decenni più tardi fu accolto in misura che oggi ci sembra inarrivabile, sino ad oltre il 70% per i redditi maggiori.

E ancora: l’abolizione della schiavitù e delle servitù personali; la libertà di pensiero, d’espressione, di religione; lo stato di diritto con la distinzione tra i poteri; la sovranità popolare; la tutela di chi lavora e di chi non può pagarsi le cure; la parità tra uomo e donna; le carte dei diritti a livello planetario; last not least, l’integrazione europea. Nessuno, ancora all’inizio del Settecento, ancora nel corso dell’Ottocento e del primo Novecento prevedeva che questi traguardi sarebbero stati possibili.

Lei pensa che ciascuno di questi storici risultati non abbia conosciuto resistenze, ostacoli, strategie astute e possenti per sabotarli?

Marco Ma come, allora, tutto questo è stato possibile?

Aps Nella storia operano molte forze. Tra queste, anche la forza morale e la forza della ragione. Io sono convinto che in una società umana, in qualsiasi parte della Terra, se non è in atto una pulsione emotiva e aggressiva in fase acuta, la maggioranza delle persone è favorevole non solo alla pace ma a una convivenza civile, rispettosa del prossimo ed anche disponibile ad aiutare chi ne ha bisogno. Certamente, ci sono anche le pulsioni contrarie, come Freud, che Lei ha ricordato, sapeva ed ha espresso così bene. Ma il modello di un ordine internazionale di stampo federale esorcizza la guerra senza la pretesa di cambiare la natura umana, con le sue ineliminabili ascendenze animali. Altro è uccidersi, altro è competere civilmente nell’economia, nella politica ed anche nella cultura, così come nello sport.

La morale e la ragione possono imporsi anche rispet to alle forze del potere e degli interessi, soprattutto quando vi sia anche una componente degli interessi a spingere in questa direzione. Abbiamo visto che fu Jean Monnet ad intuire che per il progetto di integrazione europea bisognava coniugare gli interessi e i valori: è stata questa la chiave del successo del mercato unico. Fu ancora Monnet ad affermare che l’Europa si è fatta e si costruirà attraverso i modi in cui saprà rispondere alle crisi. Fu Spinelli a constatare che l’ideale europeo sinora è risorto ogni volta, dopo le sconfitte, come un’Araba fenice dalle sue ceneri.

Marco Questa risposta induce a sperare. Anche perché le crisi non mancano di certo!

Aps L’Europa unita può costituire un’altra di queste utopie realizzabili; anzi, questo traguardo è tanto più alla portata in quanto in larga misura l’utopia dell’unione si è già realizzata! Ho usato non a caso la metafora della cattedrale incompiuta. Ma bisogna volerla completare. Nell’Ottocento, molti giovani furono pronti a morire per veder raggiunto l’ideale dell’unità nazionale. Per l’Europa non si muore, ma l’ideale non è meno nobile.

Marco Ancora sul terreno della politica, mi piacerebbe sapere cosa ne pensa del divario sinistra-destra e come si inserisce all’interno di questo discorso l’europeismo?

Aps Quanto al contrasto destra-sinistra, secondo me i punti fermi sono tre.

I La contrapposizione tradizionale tra socialismo reale e liberalismo è scomparsa con la caduta del primo modello, rivelatosi fallimentare e perciò imploso.
II La contrapposizione destra-sinistra è tuttora attuale ed anzi fondamentale, nella forma di una dialettica politica tra chi ritiene che le regole della concorrenza e del mercato siano le più adeguate perché sufficienti ad assicurare il massimo benessere possibile ad ogni comunità politica e chi, invece, pur risconoscendo senza ambiguità la funzione essenziale del mercato e della libera concorrenza, ritiene necessaria la presenza attiva di strumenti di politica economica di natura pubblicistica fondati sulla democrazia politica, non solo per disciplinare il mercato che non può vivere senza regole ma anche: a) per quegli interventi di investimento su beni pubblici ai quali i privati non possono provvedere perché privi di ritorni immediati in termini di profitto (istruzione, sanità, tutela del territorio, difesa, sicurezza, ricerca fondamentale); b) per gli interventi di sostegno alle condizioni di povertà, in primo luogo attraverso un sistema fiscale ispirato alla progressività.
III Quanto alla contrapposizione tra un approccio nazionale e un approccio sovranazionale ai temi di politica economica e di sicurezza che sono sul tappeto di ogni Stato contemporaneo, lo spartiacque passa in realtà all’interno di ciascuno dei due schieramenti, quello della destra e quello della sinistra, come aveva lucidamente previsto già il Manifesto di Ventotene. Infatti all’interno di ciascuno dei due schieramenti ci sono coloro i quali ritengono che spetti al solo Stato nazionale adottare le opportune strategie e coloro i quali riconoscono la necessità di affidare un ruolo ad istituzioni sovranazionali (quali l’Unione europea o l’Onu o il Wto per il commercio internazionale) là dove il livello nazionale si mostri inadeguato.

Marco Resta però il fatto di cui abbiamo parlato all’inizio: molti giovani non ritengono importante votare, o addirittura dichiarano che la politica non gli interessa. L’astensionismo così elevato, da parte di cittadini di ogni età, suscita tante domande: come si spiega?

Aps Per approfondire questo tema ci vorrebbe un altro dialogo, e non basterebbe… Mi limito a brevissimi spunti. L’astensionismo colpisce oggi tutte le democrazie, anche le più antiche e avanzate; negli Stati Uniti si avvicina al 50%. Si possono avanzare diverse spiegazioni. Ne elenco alcune in ordine sparso. Vi è la repulsione per troppe carriere politiche compiute senza alcun rispetto per la correttezza, spesso attraverso pratiche corruttive o canali non limpidi, eppure coronate da successo e gratificate con privilegi oggi ritenuti inammissibili. Vi è il disincanto di molti elettori verso la politica e verso i partiti, che promettono molto prima del voto e poi deludono le attese.

Marco È un quadro impressionante.

Aps La complessità dei problemi e la loro stretta interconnessione rende impossibili soluzioni semplici di problemi complessi, sicché la delusione nei confronti di chi li presentava come agevolmente risolubili si manifesta nel rigetto della politica tout court. Non vi è trasparenza nei modi in cui le scelte vengono fatte, le discussioni parlamentari sono spesso una palestra di asserzioni drastiche e poco persuasive. La selva delle infinite norme dei regolamenti, spesso tra loro contradittori come lo sono le leggi, esaspera il cittadino. Sia la stampa che la televisione, in modi diversi, enfatizzano della politica solo i lati negativi, gli scandali, le polemiche, le questioni personali, e il cittadino crede che non ci sia altro e che tutti i politici siano eguali; il che è falso. I messaggi diffusi su Internet troppo spesso veicolano insulti volgari e opinioni tanto più perentorie quanto più infondate.

Ma soprattutto, l’errore di quasi tutti i politici è di puntare sul breve termine, ignorando la prospettiva più ampia del rapporto intergenerazionale, deludendo in particolare proprio i giovani. Infine (ma l’elenco potrebbe continuare) i sondaggi quasi quotidiani distolgono il governo e il parlamento dall’azione di medio periodo, l’unica in grado di portare a risultati validi. È l’atteggiamento che Tommaso Padoa-Schioppa definì nel 2009 con un’espressione divenuta corrente, la politica della “veduta corta”.

Marco Ma la politica non è costretta ad agire sul breve termine per ragioni elettorali?

Aps La politica è certamente indotta a questo. Ma non vi è necessariamente costretta. Perché misure impopolari adottate ad esempio all’inizio di una legislatura possono risultare positive all’opinione pubblica addirittura già prima della fine della stessa legislatura, è accaduto più volte. E perché in alcune circostanze e per alcune scelte un politico di alto profilo (sono rari, questo è vero) può persino rischiare consapevolmente l’impopolarità. Quando Helmut Kohl nel 1990 sostenne la creazione dell’euro sapeva perfettamente quale fosse l’attaccamento dei tedeschi al marco, un attaccamento ben giustificabile in base al loro passato. Ma Kohl, dopo essersi assicurato che il Trattato garantisse la piena autonomia della Banca centrale europea, si batté per la moneta europea, perché – così disse allora – l’unione politica della quale l’euro costituiva un pilastro sarebbe stata per i cittadini europei del ventunesimo secolo “una questione di guerra o di pace”. Sono parole che ancor oggi destano una profonda impressione.

Marco A me pare che la veduta corta non sia solo dei politici. La televisione insegue anch’essa l’immediato, pare sempre che debba rincorrere il sensazionalismo, le emozioni forti. E per di più mi sembra tutt’altro che neutra.

Aps Sulla deformazione comunicativa dei media e di internet, che abbiamo già evocata, purtroppo non ci sono dubbi. E i rimedi non sono semplici, perché bisogna evitare ogni forma di censura, ma in pari tempo predisporre gli strumenti per smontare le false informazioni: un compito arduo ma essenziale per assicurare un futuro alle democrazie rappresentative.

Marco Nulla da fare, allora?

Aps Alcuni rimedi esistono, ampiamente discussi da chi studia la realtà politica. Si sono introdotte istituzioni distinte da quelle politiche in senso stretto, a partire dalle Corti costituzionali, che hanno poteri sostanzialmente legislativi di peso spesso determinante anche sul piano politico. Opera ormai in molti Paesi un folto gruppo di Agenzie indipendenti e non elettive: per la concorrenza, contro la corruzione, per la borsa, per i media, anch’esse indirettamente politiche. Esistono forme di “democrazia partecipativa”, gruppi di lavoro, commissioni di studio, infiniti convegni che elaborano analisi e strategie spesso lungimiranti, anche se per lo più trascurate da chi ha il potere di decidere. Esistono anche forme di democrazia diretta, a partire dai referendum, viziati però in molti casi da finalità estranee, da domande mal poste, da spinte politiche strumentali. Grave è soprattutto l’insufficiente formazione del cittadino, che costituirebbe il vero rimedio efficace. E questo ci conduce al tema della scuola.

Marco La politica viene sempre più associata a corruzione, carrierismo, interessi individualisti. I pochi ragazzi che conosco impegnati in politica mi hanno lasciato intendere più volte di ambire anzitutto al successo personale. Altri mi dicono: ”sentiamo più politico, e quindi più incisivo, occuparci del mondo dei social che del Parlamento, percepiamo più vicino a noi un gruppo facebook che la Camera dei deputati”.

Aps Ma è davvero così diffuso tra i giovani questo disinteresse?

Marco Per rendere meglio l’idea mi permetta di farle un esempio di un episodio che mi è accaduto di recente: io abito al Lido, una piccola isola di Venezia, resa nota dal celebre Festival del cinema. Il Lido è un piccolo gioiello per Venezia non solo per il Festival, ma anche per importanti luoghi storici che vi si possono trovare. Di recente è stata organizzata una manifestazione cittadina in difesa di uno di questi luoghi, lasciato in stato di abbandono e degrado. Mi ha colpito molto vedere quanto senso civico animasse tutti gli anziani dell’isola e come alla manifestazione mancasse totalmente la presenza giovanile. Proposi a una mia compagna di corso fuori sede di andare, ma mi rispose che non abitando al Lido non sentiva sua la causa. Provocatoriamente le chiesi di quale città si sentisse cittadina attiva, ma non seppe rispondermi.

Aps L’episodio è davvero significativo. Si capisce quanto sia fondamentale ricevere a scuola una formazione civile, una educazione civica; e questo sin dai primi anni, addirittura sin dall’asilo. L’educazione civica è fondamentale. Gli ideali e la visione del mondo che un individuo porta poi con sé nella vita quasi sempre nascono negli anni giovanili, nell’adolescenza.

Marco Lei pensa che lo spazio per farsi ascoltare ci sia, presso i giovani?

Aps Ci sono comunicatori che questo lo sanno fare: ad esempio giornalisti come Rumiz, cantanti e attori come Bono degli U2 e Benigni. Loro hanno detto e scritto, non a caso proprio in queste settimane, che quando parlano di Europa, i giovani si entusiasmano. E la mia esperienza di molti anni, anzi di decenni, va nello stesso senso: oggi trovo più facile far capire l’importanza dell’ideale europeo di quanto non fosse dieci o quindici anni fa; e non solo presso i giovani. Forse perché gli avversari dell’Unione europea sono diventati tanti e fanno ricorso a toni perentori. E poi c’è un dato importantissimo; i sondaggi recenti confermano che anche in Italia il 60% dei giovani crede nell’Europa; e persino in Gran Bretagna i giovani avevano in maggioranza votato sì all’Europa.

Marco A scuola e all’università di Europa si parla poco, sono rari i professori che affrontano i temi di cui abbiamo parlato. Perché, secondo Lei?

Aps In parte dipende dai programmi, che all’educazione civica dedicano uno spazio insufficiente. Questo è molto grave. La scuola è istruzione ma è (dovrebbe essere..) anche e forse soprattutto educazione: educazione al vivere civile, educazione alla conoscenza dei principi di fondo della Costituzione. Più in generale, compito della scuola è l’educazione al culto (uso non a caso questo termine impegnativo) del vero del buono e del bello. L’impegno all’educazione civica non deve valere solo nei confronti di chi viene in Italia da fuori e nulla sa della nostra storia, ma anche per ogni giovane che deve sentirsi cittadino del proprio Paese ed insieme anche cittadino europeo e cittadino del mondo, come abbiamo detto prima.

Forse almeno in parte la scarsa propensione degli insegnanti a parlare di questi temi è dovuta al timore di sembrare politicamente schierati e di essere tacciati di parzialità nei confronti di giovani ignari. Il timore è comprensibile ed anche condivisibile. Ma da un lato è vero che l’atteggiamento di fondo di un docente quasi sempre il giovane lo percepisce anche senza dichiarazioni esplicite; dall’altro lato va detto che non si tratta di fare propaganda politica in senso stretto, questo assolutamente no, bensì di aiutare i giovani a ragionare sui fatti della storia di oggi, sul modo in cui questi possono venir comunicati e spesso anche profondamente deformati dal circuito mediatico e dalla stampa. Occorre fornire gli strumenti che permettano di valutare sia ciò che l’Unione europea già ora rappresenta nella realtà, sia ciò che essa può in prospettiva significare per il mondo di domani: nelle ambizioni, nelle scelte, nella cultura, nel contesto di un mondo globalizzato. È giusto e necessario ragionare su questi temi anche a scuola.

Template:Anchor Conclusione[modifica]

Marco Credo di avere elementi per rispondere a chi dei miei amici mi dice “la politica non mi interessa”; a chi mi aveva detto “non voterò all’elezione europea del 2019”; e a chi

mi ha dichiarato che andrà a votare “contro l’Europa”. Mi permetta di chiederLe un’ultima cosa: come condensare in poche parole il perché di un necessario impegno di ognuno, in particolare di ogni giovane, per la politica e per l’Europa?

Aps Ognuno di noi deve sentirsi non solo quale individuo che cerca di realizzare al meglio il proprio percorso di vita e di lavoro, ma anche quale cittadino del suo Paese, dell’Europa e del mondo, cioè “cosmopolita”, benché la stragrande maggioranza di noi e di voi non abbia scelto né sceglierà di fare della politica la sua professione. L’Europa ha in sé elementi di cultura e di progettualità per un futuro di pace e di benessere che potranno risultare determinanti anche a livello globale, ma solo se ci sarà un’unione politica federale entro il nostro Continente. Mai prima d’ora si era tentato di dar vita pacificamente ad un’unione di Stati-nazione che per secoli si erano combattuti, pur facendo parte di una medesima civiltà. Il punto d’arrivo è ormai prossimo. Persino l’ideale supremo di un’unione politica del genere umano sotto il segno della libertà e della democrazia non è più solo un sogno remoto, che si dissolve al risveglio. Ci sono segnali di un processo costruttivo ormai avviato. L’Europa può essere determinante nel tentare di trasformare l’utopia in realtà concreta.

Marco Dunque, un’utopia realizzabile?

Aps Fallire, come è accaduto per tante civiltà anche gloriose del passato, o invece arrivarci, completare la cattedrale – non dimentichiamolo, la cattedrale è già una realtà – questo dipenderà in gran parte da voi giovani, dalla vostra generazione. Per riuscire ci vorrà non solo la pressione degli interessi pro-europei, non solo la forza della ragione, ma la passione di chi crede che un futuro di pace e di benessere per tutti, in Europa e nel mondo, siano ideali raggiungibili, nei quali e per i quali vale la pena di credere e di lavorare.


Template:Anchor Nota bibliografica[modifica]

Per chi volesse approfondire alcuni dei temi dei quali si tratta nel Dialogo, indichiamo qui alcuni volumi scelti tra moltissimi altri, privilegiando i testi in lingua italiana.

Classici dei Federalismo[modifica]

Dante Alighieri, Monarchia (1311), Spoleto 2010

Immanuel Kant, Idea di una storia universale dal punto di vista cosmopolitico (1784); Id., Per la pace perpetua (1795), in Id., Scrittti di filosofia politica, Firenze 1969

Alexander Hamilton, James Madison, John Jay, Il Federalista (1778), Bologna 1997

Altiero Spinelli, Ernesto Rossi, Eugenio Colorni, Il Manifesto di Ventotene, Milano 2006

Altiero Spinelli, Una strategia per gli Stati Uniti d’Europa, a cura di Sergio Pistone, Bologna 1989

Mario Albertini, Il federalismo, Bologna 1993

Autobiografie[modifica]

Jacques Delors, Mémoires, Paris 2004

Jean Monnet, Mémoires, Paris 1976

Altiero Spinelli, Come ho tentato di diventare saggio, I-II, Bologna 1984-1987

Trattato di Lisbona (2009), testi, commentari, sintesi[modifica]

Bengt Beutler e al., L’Unione europea, Bologna 1998

Codice dell’Unione europea, […] Tue e Tfue commentati articolo per articolo, a cura di Carlo Curti Gialdino, Napoli 2012

Paul Craig, Gráinne de Búrca, European Law, Text, Cases and Materials, Oxford 20115

Lorenzo Cuocolo (a cura di), The state of Europeans, Milano 2018

Robert Schūtze, European Union Law, Cambridge 2015

Storia dell’Unione europea[modifica]

Antonio Padoa-Schioppa, Verso la federazione europea? Tappe svolte di un lungo cammino, Bologna 2014

Riccardo Perissich, L’Unione europea, Una storia non ufficiale, Milano 2008

Storia del diritto in Europa[modifica]

Antonio Padoa-Schioppa, Storia del diritto in Europa dal medioevo all’età contemporanea, Bologna 20162

Economia e moneta dell’Unione europea[modifica]

Lorenzo Bini Smaghi, 33 false verità sull’Europa. Bologna 2014

Paul De Grauwe, Economia dell’Unione monetaria, Bologna 201610

Guido Montani, L’economia politica dell’integrazione europea, Torino 2008

Tommaso Padoa-Schioppa, L’euro e la sua Banca centrale, L’Unione dopo l’Unione, Bologna 2004

Joseph Stiglitz, L’euro, Come una moneta comune minaccia il futuro dell’Europa, Torino 2016

Riforme per l’Unione europea[modifica]

Sergio Fabbrini, Sdoppiamento, una prospettiva nuova per l’Europa, Roma Bari 2017

Institutional reforms in the European Union, Memorandum for the Convention, Roma 2002

Ulrike Guérot, Warum Europa eine Republik werfen muss, Eine politische Utopie, München 2017.

Alberto Majocchi, European Budget and sustainable Growth, The Role of a Carbon Tax, Peter Lang 2018 (in stampa)

Domenico Moro, Verso la difesa europea, Bologna 2018

Dario Velo, Quale Europa? Il modello europeo nella storia contemporanea, Bari 2018

Valutazioni sull’Unione europea[modifica]

Carlo Bastasin, Saving Europe, Anatomy of a Dream, Washington 2012

Lorenzo Bini Smaghi, La tentazione di andarsene, fuori dall’Europa c’è un futuro per l’Italia?, Bologna 2017

Alessandro Cavalli, Alberto Martinelli, La società europea, Bologna 2015

Europa sfida per l’Italia, a cura di M. Dassù, S. Micossi, R. Perissich, Luiss Univ. Press 2017

L’Europe en formation, “Revue d’Etudes sur la construction européenne”, (54), 2013

Joshka Fischer, Se l’Europa fallisce?, Milano 2015

Alberto Martinelli, Mal di nazione, Contro la deriva populista, Milano 2016

Jeremy Rifkin, Il sogno europeo, Milano 2004

Barbara Spinelli, La sovranità assente, Torino 2014

Giacomo Vaciago, Un’anima per l’Europa, Bologna 2014

L’Europa e il mondo[modifica]

Ulrich Beck, La crisi dell’Europa, Bologna 2012

Ulrich Beck e Edgar Grande, L’Europa cosmopolita, Roma 2006

Sabino Cassese, Chi governa il mondo? Bologna 2013

Id., Territorio e potere, Un nuovo ruolo per gli Stati? Bologna 2016

Anthony Giddens, L’Europa nell’età globale, Roma-Bari 2007

Jürgen Habermas, Questa Europa è in crisi, Roma-Bari 2011

Mark Leonhard, Why Europa will run the 21st Century, London and New York 2005

Lucio Levi, Crisi dello Stato e governo del mondo, Torino 2005

The Next Capitalistic Revolution, “The Economist, November 17, 2018, Special report

Tommaso Padoa-Schioppa, Dodici settembre, Il mondo non è al punto zero, Milano 2002

Id., La veduta corta, conversazione con Beda Romano, Bologna 2009

Tzvetan Todorov, Il nuovo disordine mondiale, Riflessioni di un cittadino europeo, Milano 2003

Luigi Zanzi, Il federalismo e la critica della ragion politica, Manduria-Bari-Roma 2014


Template:Anchor Siti Web sull’Unione europea[modifica]

Un breve elenco di siti che trattano dell’Unione europea (alcuni dei quali già inseriti nel testo del Dialogo)

Sito ufficiale dell’Unione europea.[modifica]

Il portale è disponibile in tutte le lingue dell’Unione (qui di séguito quello in lingua italiana), ma molti tra i documenti sono solo in inglese, peraltro accessibili anche partendo dal portale italino:

https://europa.eu/european-union/index_it

Tra i maggiori comparti interni del sito figurano quelli intitolati rispettivamente a:

- Informazioni essenziali sull’UE;

- Diritto dell’Unione europea (trattati, legislazione, giurisprudenza);

- Documento e pubblicazioni (Documenti ufficiali, statistiche, open data)

Bilancio UE 2017[modifica]

http://ec.europa.eu/budget/annual/index_en.cfm?year=2017

Bilancio UE Spese ed entrate 2014-2020[modifica]

http://ec.europa.eu/budget/figures/interactive/index_en.cfm

https://ec.europa.eu/commission/sites/beta-political/files/where-does-the-money-go_en.pdf

Piano pluriennale UE 2021-2017, Risoluzione del Parlamento europeo, 14 marzo 2018[modifica]

http://www.europarl.europa.eu/sides/getDoc.do?pubRef=-//EP//TEXT+TA+P8-TA-2018-0075+0+DOC+XML+V0//IT

Piano pluriennale UE 2021-2027, Proposta della Commissione[modifica]

European Commission 2 may 2018 - European Budget for the Future

http://europa.eu/rapid/press-release_IP-18-3570_it.htm

Parlamento europeo[modifica]

Progetto di riforma dei trattati, 15 febbraio 2017[modifica]

http://www.europarl.europa.eu/sides/getDoc.do?pubRef=-//EP//TEXT+TA+P8-TA-2017-0049+0+DOC+XML+V0//EN

Fiscal Compact[modifica]

https://www.ilpost.it/2014/04/17/fiscal-compact/

Fondo Salvastati (ESM)[modifica]

http://www.european-council.europa.eu/eurozone-governance/esm-treaty-signature?lang=it

Prodotto interno lordo per abitante, Dati ONU[modifica]

http://data.un.org/Data.aspx?d=SNAAMA&f=grID%3A103%3BcurrID%3AUSD%3BpcFlag%3A1

Redditi pro capite in Italia dall’Unità a oggi[modifica]

http://www.reforming.it/articoli/pil-capite-dall-unita-oggi

http://www.reforming.it/articoli/pil-capite-dall-unita-oggi#.W7zXbRMzZPM

Fondi europei e strategie[modifica]

Libro Bianco sul futuro dell’Europa (2017): Commissione europea[modifica]

https://ec.europa.eu/commission/future-europe/white-paper-future-europe-and-way-forward_it

Fondo europeo per gli investimenti (Feis)[modifica]

https://ec.europa.eu/commission/priorities/jobs-growth-and-investment/investment-plan-europe-juncker-plan/european-fund-strategic-investments-efsi_it

Fondi europei per le imprese (2018)[modifica]

https://www.ilsole24ore.com/art/impresa-e-territori/2018-10-29/da-giovedi-guida-sole-24-ore-programmi-gestione-diretta-e-pon-e-por-202545.shtml?uuid=AEOhElXG&fromSearch

Strategia Europa 2020[modifica]

https://maurovarottoblog.com/2014/03/24/europa-2020

Fondi europei 2021-2017, Politiche di coesione[modifica]

https://www.ilsole24ore.com/ebook/impresa-e-territori/2018/fondi-europei-ue-2021-2027/index.shtml

Bandi 2019 per la digitalizzazione[modifica]

https://www.ilsole24ore.com/fcsvc?cmd=checkcredit&chId=30&docPath=%252

Piano Juncker per l’Italia[modifica]

https://ec.europa.eu/commission/priorities/jobs-growth-and-investment/investment-plan-europe-juncker-plan/investment-plan-results/investment-plan-italy_en

Metodo di coordinamento aperto[modifica]

https://ec.europa.eu/culture/policy/strategic-framework/european-coop_it

Pilastro europeo dei diritti sociali - Scheda informativa[modifica]

https://ec.europa.eu/commission/sites/beta-political/files/european_pillar_of_social_rights.pdf

Pilastro europeo dei diritti sociali - Sito web[modifica]

https://ec.europa.eu/commission/priorities/deeper-and-fairer-economic-and-monetary-union/european-pillar-social-rights_en

Carta dei diritti, Riforme (Parlamento europeo)[modifica]

http://barbara-spinelli.it/author/redazione/ dicembre 2018

Migranti[modifica]

Migranti, Dossier statistico[modifica]

http://www.dossierimmigrazione.it/pagina.php?cid=1_9

Migranti, Piano di ricollocamento 2015, Commissione e Consiglio[modifica]

https://ec.europa.eu/home-affairs/sites/homeaffairs/files/what-we-do/policies/european-agenda-migration/background-information/docs/20160713/factsheet_relocation_and_resettlement_-_state_of_play_it.pdf

Migranti, Proposte della Commissione le ricollocazione 2016-2018[modifica]

https://ec.europa.eu/home-affairs/what-we-do/policies/european-agenda-migration/proposal-implementation-package_en

https://ec.europa.eu/commission/news/eu-budget-future-2018-may-02_en

Migranti, Centri di accoglienza in Italia[modifica]

http://www.dirittierisposte.it/Schede/Persone/Immigrazione-e-cittadinanza/immigrazione_clandestina_e_centri_per_l_immigrazione_id1119968_art.aspx#Cosa%20sono%2Migranti0i%20Centri%20di%20accoglienza%20e%20dove%20si%20trovano

Stranieri in Italia[modifica]

https://www.tuttitalia.it/statistiche/cittadini-stranieri-2018/

https://www.lenius.it/quanti-sono-gli-immigrati-in-italia-e-in-europa/

Centri di formazione per migranti in Italia[modifica]

http://www.ilgiornale.it/news/politica/migranti-e-centri-formazione-nuovo-business-100-milioni-1513647.html

Centri di formazione per migranti in Europa[modifica]

http://bancadati.anpalservizi.it/bdds/download?fileName=C_21_Strumento_2426_documenti_itemName_0_documento.pdf&uid=f41483c0-668e-4c03-b5f0-2fdab94f4670

Freud Einstein 1932[modifica]

http://www.public.asu.edu/~jmlynch/273/documents/FreudEinstein.pdf

Alcuni siti sull’Europa[modifica]

Movimento federalista europeo[modifica]

http://www.mfe.it/site/

Euractive[modifica]

https://www.euractiv.com/

Europa in movimento[modifica]

http://www.europainmovimento.eu/

Cosa si fa in Europa per me[modifica]

https://www.what-europe-does-for-me.eu/it/portal

Centro Studi sul Federalismo, Torino[modifica]

http://www.csfederalismo.it/

Institut Jacques Delors, Paris[modifica]

http://institutdelors.eu/

Elezioni europee 2019[modifica]

https://www.stavoltavoto.eu/

Inno all’Europa, Norimberga 2014[modifica]

https://www.youtube.com/watch?v=a23945btJYw