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Da EU wiki.
(The State of Europeans 2018)
(Tiziano Terzani)
 
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= Juncker - Relazione =
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= Un indovino mi disse[[Image:Immagine 1.png|right|top]] =
  
[[File:Stato_dell'Unione_2018.png|border|left|thumb|200px|link=https://ec.europa.eu/commission/sites/beta-political/files/soteu2018-brochure_it_0.pdf|[https://ec.europa.eu/commission/sites/beta-political/files/soteu2018-brochure_it_0.pdf '''Stato dell'Unione 2018 - Le politiche''']]]
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== Tiziano Terzani ==
  
{{PDF|Stato_dell'Unione_2018_Jean-Claude_Juncker_Relazione.pdf |<big>'''Jean-Claude Juncker - Relazione sulle politiche'''</big>}}<br/>
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[[File:Terzani_Un-indovino-mi-disse.jpg|border|thumb|300px|'''Un indovino mi disse - Copertina''']]
Il Presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker ha presentato questa relazione durante il suo [https://ec.europa.eu/commission/priorities/state-union-speeches/state-union-2018_it '''discorso sullo stato dell’Unione'''] il 12 settembre 2018. Il discorso di quest’anno è stato fatto nell’imminenza delle elezioni europee del 2019 e nel dibattito in corso sul futuro dell’Unione europea.
 
  
Il Presidente Juncker ha fatto il punto della situazione per l’anno appena trascorso e hoa presentato le priorità per l’anno prossimo. Ha illustrato anche in che modo  la Commissione europea intende rispondere alle sfide più pressanti cui è confrontata l’Unione europea. Al discorso ha fatto seguito una discussione in Aula. È così che prende il via il dialogo con il Parlamento europeo e il Consiglio in preparazione del programma di lavoro della Commissione per l’anno prossimo.
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(pag. 106) <ref name="ftn1"><div style="margin-left:0.25cm;margin-right:0cm;">È il 1993, l'anno in cui un indovino cinese ha detto a Tiziano, nel 1976, di non prendere l'aereo per viaggiare. Tiziano ha cinquantacinque anni e da vent'anni è in Asia come giornalista. Dice: «E poi a me l’idea di non volare per un anno intero piaceva di per sé. Soprattutto come sfida. Pretendere che un vecchio cinese di Hong Kong potesse avere la chiave del mio futuro mi divertiva moltissimo. Mi pareva di fare un primo passo in un terreno ignoto. Ero curioso di vedere dove altri passi in quella direzione mi avrebbero portato. Se non altro mi avrebbero indotto a fare, per un po’, una vita diversa da quella di sempre.» [https://it.wikipedia.org/wiki/Tiziano_Terzani https://it.wikipedia.org/wiki/Tiziano_Terzani] </div></ref>Sono anni che dico di avere l’India nel mio futuro. Per questo ci portai la famiglia a celebrare il mio quarantesimo compleanno, dichiarando a tutti che un giorno avremmo avuto casa là. All’origine la ragione era semplice: ero diventato politicamente adulto negli anni ’50, quando a interessarsi del Terzo Mondo, come lo si chiamava allora, ci si imbatteva in due grandi miti: Gandhi e Mao, due diverse soluzioni per uno stesso problema, due opposte scommesse sui destini dei due più grandi popoli del mondo; due ipotesi di filosofia sociale da cui pareva che anche noi avessimo qualcosa da imparare. Siccome avevo poi passato anni in mezzo ai cinesi a cercar di capire che disastro fosse stato per loro il mito di Mao, mi pareva logico un giorno andare fra gli indiani a vedere quel che era successo del mito di Gandhi. Ogni volta che, vivendo a Pechino o a Hong Kong, ci sembrava di averne abbastanza della prosaicità, del pragmatismo dei cinesi o ci accorgevamo di avere noi stessi reazioni cinesi, ci dicevamo: «L’India. L’India». L’India era diventata, per me e per Angela, l’antidoto contro «il male giallo», quell’avvelenamento fatto d’amore e delusione, di piccole, infinite irritazioni e grande fedeltà che prende tutti quelli che mettono per un po’ radici nell’Impero di Mezzo e scoprono poi di non potersene più staccare.
  
<big>'''Indice.'''</big> Progressi sulle 10 priorità della Commissione europea / Relazione di attuazione delle politiche / Tabella di marcia per un’Unione più unita, più forte e più democratica: bilancio di un anno e prossime tappe / Un bilancio moderno al servizio di un’Unione che protegge, che dà forza e che difende: il quadro finanziario pluriennale 2021-2027 / Miglioramento della situazione economica / Fondo europeo per gli investimenti strategici / A 10 anni dall’inizio della crisi finanziaria, un settore finanziario più forte, più sicuro, più stabile / Sostegno alle riforme negli Stati membri dell’UE / Un nuovo capitolo per la Grecia / Accordo di partenariato economico UE-Giappone / Il partenariato chiave dell’UE con l’Africa / Il Corpo europeo di solidarietà / Legiferare meglio / L’UE mantiene le promesse: un’applicazione più efficace delle nostre decisioni comuni / Visite ai parlamenti nazionali / Dialoghi con i cittadini / L’opinione pubblica nell’UE
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Sarei andato volentieri a vivere in India quando i cinesi, nel 1984, prendendo per me una decisione che io non sarei mai riuscito a prendere – e con ciò facendomi un enorme favore –, mi arrestarono e mi espulsero dal loro paese. Ma a quel tempo non ci riuscii e passarono così altri anni. Non inutilmente. Nel frattempo ho vissuto cinque anni in Giappone, altri tre in Thailandia e alla vecchia ragione per voler andare in India se n’è aggiunta ora una nuova e molto più importante: voglio vedere se l’India, con la sua spiritualità e la sua follia, è capace di resistere alla scoraggiante ondata di materialismo che sta spazzando il mondo; voglio vedere se l’India è capace di fare quadrato, di restare diversa; voglio vedere se in India rimane vivo il seme di un’umanità che ha altre aspirazioni oltre quella di correre, ingorda, verso la modernità dell’Occidente.
  
= Juncker - Discorso =
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Vivendo a Bangkok ho avuto sotto gli occhi l’esempio più lampante di uno sviluppo impazzito, delle orribili conseguenze di quella logica modernista che nessuno sa fermare e che è alla base dell’abbrutimento e della perdita di identità dell’Asia. Guardandomi attorno mi son detto più volte che non c’è più una cultura in grado di resistere, di esprimersi con rinnovata creatività.
  
[[File:Stato_dell'Unione_2018_Discorso.png|border|right|thumb|200px|link=https://ec.europa.eu/commission/sites/beta-political/files/soteu2018-speech_it_0.pdf|[https://ec.europa.eu/commission/sites/beta-political/files/soteu2018-speech_it_0.pdf '''Stato dell'Unione 2018 - Il discorso''']]]
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La cultura cinese, umiliata dal confronto con l’Occidente, è moribonda almeno da un secolo e Mao, non a caso cercando di fondare una «Nuova Cina», ha finito per ammazzare quel poco della vecchia che restava. Senza più niente cui rifarsi, i cinesi ora non sognano che di diventare americani, con gli studenti che marciano sul Tien An Men dietro una statua, copia di quella della Libertà di New York, e i vecchi dirigenti marxisti-leninisti che fanno dimenticare i loro delitti e il loro voler restare attaccati al potere permettendo a tutti di correre dietro a sogni e illusioni di benessere occidentale.
  
{{PDF|Stato_dell'Unione_2018_Jean-Claude_Juncker_Discorso.pdf|<big>'''Jean-Claude Juncker - Discorso sullo stato dell'Unione - 12 settembre 2018'''</big>}}<br/>
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Quale altra cultura in Asia ha ancora una sua carica di fantasia, è ancora in grado di rigenerarsi, di produrre propri modelli, proprie alternative? Quella khmer, morta con Angkor otto secoli fa e di nuovo assassinata, nell’assurdo tentativo di rianimarla fatto da Pol Pot e dai Khmer Rossi? Quella vietnamita, capace solo di definirsi in termini di indipendenza politica? O quella balinese, ormai anch’essa prodotta in dosi pronte per l’uso dei turisti?
Signor Presidente, onorevoli deputati, talvolta la Storia avanza con discrezione e a piccoli passi e poi si allontana rapidamente. Così si può descrivere l'operato di una Commissione che dispone soltanto di un mandato di cinque anni per cambiare definitivamente il corso delle cose. L'attuale Commissione è un episodio, un breve momento nella lunga storia dell'Unione europea. Nei prossimi dodici mesi continueremo a lavorare per trasformare un'Unione europea imperfetta in un'Unione ogni giorno più perfetta. Talvolta la Storia nel senso vero e proprio del termine piomba senza preavviso nella vita delle nazioni e  la lascia solo dopo molto tempo. È questo che avvenne al momento della Grande Guerra che nel 1914 colse di sorpresa il continente europeo, dopo un 1913 soleggiato, calmo, tranquillo e ottimista. Nel 1913 gli europei si aspettavano di vivere a lungo in pace. Eppure l'anno successivo una guerra fratricida irruppe in Europa. Parlo di quel periodo non perché pensi che siamo sull'orlo di una nuova catastrofe. L'Unione europea è una garanzia di pace. Dovremmo essere felici di vivere in un continente in pace, un continente che conosce la pace grazie all'Unione europea. Dovremmo rispettare di più l'Unione europea, non infangarne l'immagine, difendere il nostro modo di essere e di vivere. Dovremmo accettare un patriottismo che non è diretto contro gli altri. E rifiutare un nazionalismo eccessivo che porta a respingere e detestare gli altri, che distrugge, che cerca dei colpevoli invece di cercare soluzioni che ci permettano di vivere meglio insieme. [...]
 
  
= 60 buone ragioni =
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L’India, l’India! mi dicevo, coltivando la speranza – o forse l’illusione – di un’ultima spiaggia di spiritualità. L’India, dove c’è ancora abbastanza follia; l’India che dà ospitalità al Dalai Lama, l’India dove il dollaro non è ancora l’unica misura di grandezza. Per questo ho fatto piani per andare in India e ho preso un appuntamento per incontrare là l’altro evaso di Firenze, Chang Choub.
  
[[File:Sessanta_buone_ragioni.png|border|left|thumb|200px|link=https://ec.europa.eu/italy/sites/italy/files/60buoneragioni.pdf|[https://ec.europa.eu/italy/sites/italy/files/60buoneragioni.pdf '''Sessanta buone ragioni''']]]
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Per giorni la sua presenza rimase per la casa. Avevo invitato a cena uno studioso della Scuola Francese dell’Estremo Oriente perché mi parlasse dei suoi studi sui «poteri» dei tatuaggi buddhisti, e quando gli accennai allo strano ospite che avevo avuto disse: «Me lo ricordo benissimo a Katmandu, vent’anni fa. Era arrivato con una moglie inglese, ma fu preso da una crisi mistica e la lasciò Sì, era stato un giornalista ». Incredibile – diciamo – il caso!
  
{{PDF|60_buone_ragioni.pdf|<big>'''60 buone ragioni per cui abbiamo bisogno dell’Unione europea'''</big>}}<br/>
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Qualche giorno dopo venne a trovarmi una ricchissima signora di Hong Kong. Era a Bangkok per incontrare il suo guru, un monaco tibetano, seguace del Dalai Lama, «un maestro avanzatissimo», uno del grande jet set, di casa a New York, a Parigi, a Londra, sempre seguito da una corte di queste donne, di solito belle e benestanti. Lui fa il guru e le donne pagano i suoi conti, comprano i suoi biglietti d’aereo, gli organizzano la vita. «È la reincarnazione di un grande maestro, non riesce a occuparsi di queste cose», diceva, comprensiva, la signora, vittima consenziente – forse come Chang Choub? – della grande, sottile, storica vendetta del Tibet.
(''Alcuni passaggi del documento'') La burocrazia europea ha una pessima reputazione: molti credono che legioni di funzionari e istituzioni a Bruxelles vivano nel lusso a spese dei contribuenti. I dati, però, dimostrano tutt’altro. Circa 55 000 persone lavorano nelle istituzioni europee, di cui poco meno di 34 000 per la Commissione europea. Non sono poi tanti, se si pensa che il personale dell’UE è al servizio di ben 510 milioni di cittadini: praticamente un funzionario o agente dell’UE ogni 10 000 abitanti circa. A titolo di confronto, il settore pubblico italiano impiega 2,8 milioni di persone a fronte di una popolazione complessiva di 59 milioni di persone; l’Unione europea ha quindi un’amministrazione molto più modesta.
 
  
Anche lo stereotipo del funzionario europeo che fa la bella vita è una bufala. Lo stipendio base dei funzionari della Commissione parte da circa 2 300 euro mensili a inizio carriera, oltre alle indennità. Solo pochi alti funzionari percepiscono lo stipendio massimo di circa 16 000 euro al mese. Le retribuzioni dei funzionari dell’UE seguono la stessa evoluzione di quelle dei loro colleghi nazionali di un determinato gruppo di paesi.
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Davvero straordinario, il Tibet! Per secoli si tiene fuori del mondo, chiuso, inaccessibile, e per secoli, nell’isolamento, escludendosi da qualsiasi altro campo di ricerca, pratica la «scienza dell’interno». Poi arrivano i primi esploratori. All’inizio del secolo gli inglesi entrano a Lhasa, cinquant’anni dopo i cinesi occupano il paese, ne fanno una sorta di colonia e centomila tibetani scappano. Ma è con quella diaspora che s’innesca la bomba a tempo della vendetta.
  
L’UE è vantaggiosa anche per l’Italia. In termini di cassa, l’Italia versa nel bilancio dell’UE più di quanto non riceva sotto forma di pagamenti diretti, ed è il terzo contribuente netto dopo Germania e Francia. In termini relativi, però, ossia esaminando il costo pro capite e l’economia del paese, i maggiori contribuenti nel 2015 sono risultati i Paesi Bassi e la Svezia. L’Italia è la quarta potenza economica dell’UE ed è quindi naturale che contribuisca al bilancio dell’UE più di quanto riceva: si tratta di solidarietà con i paesi più poveri. Questo fa del nostro paese un contribuente netto (in opposizione a un beneficiario netto).
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Il buddhismo tibetano, prima praticato esclusivamente nelle regioni dell’Himalaya e in Mongolia, si propaga nel mondo. La capitale del Dalai Lama in esilio, a Dharamsala, a nord di Delhi, diventa meta di pellegrinaggio per migliaia di giovani occidentali in crisi. I guru tibetani che si installano ovunque, dalla Svizzera alla California, prendono il posto degli yogi che avevano in passato conquistato l’anima dell’Europa in cerca di esotismi. I dogmi, un tempo segreti, diventano best sellers; giovani guru, nati ormai in India e con l’unica pretesa di essere una reincarnazione di qualche vecchio maestro tibetano, diventano i portavoce di questa antica saggezza, seguiti da migliaia di adepti in tutto il mondo e accuditi da piccoli circoli di monache laiche e ricche. Bernardo Bertolucci fa un film sul Buddha – interpretazione tibetana – e ha come consigliere uno di questi giovani guru, nato a cresciuto fuori del Tibet, ma ovviamente anche lui la reincarnazione di un grande. Il Tibet è sulla bocca di tutti, il Dalai Lama diventa una figura mitica, una sorta di secondo papa, il papa giallo, ricevuto da tutti come capo spirituale, ma anche come capo del governo tibetano in esilio.
Se si calcola però il contributo italiano al bilancio dell’UE rispetto al numero di abitanti, l’Italia si piazza intorno al decimo posto della classifica dei pagamenti pro capite.
 
Non è possibile rispondere alla domanda se per un paese sia un vantaggio o uno svantaggio appartenere all’UE basandosi solo sulla classifica dei contribuenti netti. Il saldo netto non rispecchia adeguatamente i numerosi benefici derivanti dall’appartenenza all’UE, quali ad esempio la stabilità politica e la sicurezza, la libera circolazione e il mercato. Inoltre, gli investimenti europei sono erogati a beneficio dell’UE nel suo complesso e i fondi messi a disposizione di un paese possono apportare vantaggi anche alle imprese di altri Stati membri, come è successo ad esempio per un’impresa italiana che ha ricevuto 112 milioni di euro sotto forma di appalti per ammodernare una linea ferroviaria in Bulgaria con un progetto finanziato dell’UE.
 
  
= La storia europea =
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I cinesi, occupando il Tibet, hanno indirettamente gettato i semi del buddhismo tibetano nel mondo e si sono praticamente messi una bomba in casa. La simpatia per la causa tibetana cresce; l’interesse per l’aspetto spirituale diventa politico e il Dalai Lama, che entra, ospite d’onore, in Vaticano, alla Casa Bianca, all’Eliseo e nelle varie cancellerie del mondo, diventa il simbolo della lotta contro il regime totalitario di Pechino.
  
[[File:La_storia_europea.jpg|border|right|thumb|400px|link=http://ec.europa.eu/assets/epsc/files/the-european-story_epsc_it_web.pdf|[http://ec.europa.eu/assets/epsc/files/the-european-story_epsc_it_web.pdf '''La storia europea - Brochure''']]]
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L’altra faccia della stessa verità è che i «guru tibetani», venuti miticamente dalle vette dell’Himalaya, rappresentanti di un popolo vittima, portatori di spirito, sono l’alibi perfetto per la gente tutta protesa al materialismo, e che proprio per questo ha bisogno di riscattarsi, sentendosi in contatto con «le forze cosmiche», osservando le proprie «vibrazioni extraterritoriali» ed entrando in relazione con l’occulto.
  
{{PDF|La_storia_europea_60_anni_di_progresso_condiviso.pdf|<big>'''La storia europea: 60 anni di progresso condiviso'''</big>}}<br/>
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Il generale disorientamento di cui la nostra cultura soffre fa sì che la gente ha perso le proprie, prima naturali, resistenze contro questo tipo di turlupinature. Ogni ciarlatano è oggi in grado di vendere le sue pozioni purché dia loro un nome o una apparenza esotica.
Il 60° anniversario dei trattati di Roma (24 mar 2017) è un’occasione per riflettere sul futuro dell’Unione europea, guardando soprattutto al domani, ma valutando i decenni recenti. Oggi che alcuni dei principi fondamentali degli Stati democratici e delle economie avanzate sembrano minacciati, è quanto mai importante ricordare gli obiettivi originari dell’integrazione europea.
 
La storia dell’Europa unita è fatta di pace, democrazia, solidarietà e libertà, così come di prosperità, uguaglianza, benessere e sostenibilità. Ora che viviamo un passaggio critico di questa storia, è utile rievocare i principi che ci uniscono in quanto europei e i successi ottenuti insieme, e di cui godiamo tutt’oggi.
 
Ci sono state battute d’arresto, indubbiamente, e le sfide del futuro possono a volte apparire insormontabili. Per questo, è necessario un periodo di dialogo e riflessione. Fare il bilancio delle conquiste e dei fallimenti che hanno tracciato il cammino dell’Europa unita potrebbe essere un buon punto di partenza.<br/>
 
'''Pace.''' Il periodo più lungo di pace e stabilità nella storia d’Europa è iniziato con la creazione delle Comunità europee.<br/>
 
'''Democrazia.''' L’Unione europea è l’unione di democrazie più grande al mondo.<br/>
 
'''Solidarietà.''' In più di dieci Paesi, oltre il 40% degli investimenti pubblici sono finanziati da fondi dell’Unione.<br/>
 
'''Libertà.''' Si esprime nel diritto dei cittadini di muoversi e soggiornare liberamente all’interno dell’Unione europea. Nel rispetto della vita privata e la tutela dei dati personali, la libertà di pensiero, di religione, di assemblea, di espressione e d’informazione.<br/>
 
'''Prosperità.''' Negli ultimi vent’anni il PIL medio pro capite nell’Unione è pressoché raddoppiato. In alcuni degli Stati più poveri è aumentato di 10 volte.<br/>
 
'''Scoperta.''' L’Unione ha finora investito circa 200 miliardi di euro per finanziare la ricerca, nuovi prodotti e nuove tecnologie che migliorano la nostra vita col più vasto programma plurinazionale di ricerca al mondo.<br/>
 
'''Opportunità.''' In quanto europei, siamo liberi di vivere, lavorare e trascorrere la pensione in ogni Paese d’Europa. Gli europei che lavorano in un altro Stato membro sono attualmente 6,5 milioni. Grazie al mercato unico i voli sono meno costosi, viaggiare è meno burocratico. Le tariffe di roaming saranno ben presto abolite completamente.
 
Dal 1987, anno della sua istituzione, il programma Erasmus ha dato la possibilità a 9 milioni di persone di studiare, seguire una formazione, fare volontariato o avere un’esperienza professionale all’estero.<br/>
 
'''Uguaglianza di genere.''' La parità tra donne e uomini è uno dei valori costitutivi dell’Unione. Il divario retributivo di genere è ora ridotto al 16%. Attualmente nelle università europee si laureano più donne che uomini. Le donne europee hanno il punteggio medio più alto al mondo nell’indice delle libertà personali.<br/>
 
'''Benessere.''' Nell’Unione tutti i lavoratori hanno diritto a quattro settimane di ferie retribuite all’anno. Tutte le donne europee hanno diritto ad almeno 14 settimane di congedo di maternità e tutti i genitori hanno il diritto individuale al congedo parentale per la nascita o l’adozione di un figlio.<br/>
 
'''Sostenibilità.''' Le città europee sono tra quelle con i minori livelli di inquinamento atmosferico, soprattutto grazie ai divieti imposti per tempo sugli inquinanti. Il riciclaggio dei rifiuti nei comuni d’Europa è passato dal 30% nel 2004 al 43% nel 2014. Dal 2010 al 2015 l’Unione ha investito di più nelle energie rinnovabili che in qualsiasi altra fonte di energia, per cui oggi la capacità installata di rinnovabili pro capite è tre volte quella della media mondiale.<br/>
 
'''Influenza.''' L’Unione europea è il più grande blocco commerciale del mondo. Il valore delle esportazioni totali dell’Ue-27 si aggira attorno ai 5,8 milioni di euro, ossia oltre un terzo delle esportazioni mondiali, più di due volte e mezzo le esportazioni della Cina e più del triplo di quelle degli Stati Uniti. L’Unione è il principale partner commerciale di 80 Paesi. L’Unione europea e i suoi Stati membri sono il primo donatore di aiuti. Nel 2015, hanno erogato oltre la metà dell’aiuto pubblico mondiale allo sviluppo.<br/>
 
'''Diversità.''' Nell’Unione si parlano 24 lingue ufficiali e oltre 60 lingue autoctone regionali o minoritarie. L’Unione è basata sull’idea di ‘unità nella diversità’. Le identità nazionali sono tutelate dal Trattato sull’Unione europea. Per non pregiudicare le competenze nazionali o regionali, l’Unione ha sancito il principio di sussidiarietà, in base al quale essa interviene per trattare i problemi collettivi che non possono essere risolti individualmente dagli Stati membri. La ricchezza culturale dell’Europa ne fa la prima destinazione turistica del pianeta.
 
  
= Antonio Padoa-Schioppa - Le politiche dell’Unione europea =
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Sono anch’io vittima di questo fenomeno? È per questo che passo giorni ad ascoltare Chang Choub? Che gioco con la profezia di non prendere aerei e che dico di «sì» quando si tratta di vedere un nuovo indovino?
  
[[File:Aps_Perche_lEuropa.jpg|border|left|thumb|200px|link=Aps-III_Strutture,_politiche,_storia_dell’Unione#Le_politiche_dell’Unione]]
 
[[Aps-III_Strutture,_politiche,_storia_dell’Unione#Le_politiche_dell’Unione|<big>'''Antonio Padoa-Schioppa - Le politiche dell’Unione europea'''</big>]]<br/>
 
Un estratto dal volume di Antonio Padoa-Schioppa, [https://www.ledizioni.it/prodotto/perche-leuropa/ ''Perché l'Europa - Dialogo con un giovane elettore'']<br/>.<br/>
 
Con il mercato unico l’Europa ha realizzato in un trentennio, attraverso un procedimento straordinariamente articolato, l’obbiettivo della libera circolazione di persone, merci, servizi e capitali entro l’Unione. Per conseguire questo obbiettivo è stato necessario adottare una legislazione comune e una moneta unica, in modo da garantire la concorrenza e la stabilità monetaria. Con la politica di promozione attiva della libera concorrenza l’Unione ha assicurato ai consumatori prodotti migliori a prezzi competitivi ed ha in pari tempo favorito la crescita dell’economia degli Stati membri incentivando e tutelando l’iniziativa imprenditoriale.
 
L’Atto unico del 1986, ma soprattutto il trattato di Maastricht del 1992 hanno esteso le competenze dell’Unione alla dimensione sociale e alla solidarietà, destinando importanti risorse allo sviluppo rurale, alla formazione del capitale umano, agli affari marittimi e alla pesca, all’innovazione e all’istruzione e soprattutto alle politiche di coesione, le quali hanno lo scopo di ridurre le disparità economiche e sociali tra le diverse regioni d’Europa. Non solo: da Maastricht in poi l’Unione persegue politiche di tutela dell’ambiente e del territorio, politiche di formazione per i giovani e per i lavoratori, politiche di investimento nella ricerca, politiche di protezione dei consumatori, interventi a favore del patrimonio culturale europeo, razionalizzazione del sistema dei trasporti, promozione di una comune politica dell’energia, linee comuni sulla sanità pubblica ed altro ancora.
 
  
La trama che tiene insieme le politiche è stata costruita intorno ai tre macro obiettivi di cui si parlava prima: crescita, coesione e stabilità della moneta. Essa si è strutturata, dopo il trattato di Maastricht, in vasti piani di intervento che hanno preso il nome di “strategie”, per indicare una modalità decisionale e di implementazione. Tra queste si possono ricordare la Strategia europea per l’occupazione (Seo, dal 1997), e la Strategia Lisbona 2010 ora confluita nella Strategia Europa 2020. Quest’ultima indica le priorità della crescita e riguarda l’occupazione, la ricerca scientifica e lo sviluppo tecnologico, i cambiamenti climatici e l’energia, l’istruzione e la lotta contro la povertà e l’esclusione sociale; e si deve realizzare in partenariato con gli Stati membri.
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La donna che mi aveva fatto da interprete con l’indovino cieco era riuscita a fissare l’appuntamento con il suo bonzo astrologo. Così un pomeriggio, sempre fingendo di essere di passaggio a Bangkok, mi feci venire a prendere da lei e da una sua amica nell’atrio dell’Oriental Hotel.
  
= The State of Europeans 2017 =
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L’amica della mia signora era di origine cinese, era una donna d’affari, importatrice di apparecchiature mediche per gli ospedali della Thailandia e guidava una Volvo. Anche lei era sui quarantacinque-cinquant’anni. Ex bella donna lasciatasi ingrassare. Per poco amore! Decisi, osservandola, e mi divertii a pensare che, partendo da quell’osservazione, avrei potuto anch’io fare l’indovino, parlarle del suo passato e del suo futuro.
  
[[File:Cuocolo_The_State_of_Europeans_2017.png|border|right|thumb|200px|link=http://www.fondazioneaegboroli.it/images/pdf/The%20State%20of%20Europeans.pdf|[http://www.fondazioneaegboroli.it/images/pdf/The%20State%20of%20Europeans.pdf '''The State of Europeans 2017''']]]
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Si traversò il Chao Paya su uno dei tanti ponti. Nel quartiere di Bang Khun Non si lasciò la strada squallida, avvilente di cemento con i mucchi di spazzatura, le casucce di nessuna forma e ci si addentrò su per una stradina vecchia e angusta. Dopo un duecento metri si arrivò nello spazio quieto e silenzioso di un tempio buddhista. Non di quelli tutti bianchi e oro, con i pezzi di ceramica e di specchi rotti che luccicano al sole, ma di quelli semplici, austeri, tutti di legno, con i lunghi dormitori, i tetti dai begli intagli sotto le gronde e le grandi finestre con le tonache arancione dei bonzi messe ad asciugare dopo il bucato. Faceva un caldo soffocante, ma due grandi alberi, dalle fronde scurissime, davano a quel complesso di edifici un’aria di grande frescura.
  
{{PDF|Cuocolo_The_State_Of_Europeans_2017.pdf|<big>'''Lorenzo Cuocolo - The State of Europeans 2017'''</big>}}<br/>
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Il monaco che cercavamo era sui cinquant’anni e stava seduto sul pavimento di legno di teak di una bella, larga, ombreggiata terrazza, circondato da barattoli di caffè teiere cinesi, tazzine e vassoietti, rotoli di carta igienica, pacchetti di sigarette e due ventilatori. Due giovani sposi, suoi parenti, gli facevano da assistenti, porgendogli, con i soliti gesti di dovuta sottomissione, quel che di volta in volta gli necessitava e sventolavano di tanto in tanto un loro bambino di pochi mesi che con il biberon in bocca dormiva, innocente, fra due grossi libri di astrologia e un quadrante da geomante.
(''Dalla Prefazione'') '''L’Europa fragile'''. A sessant’anni dalla firma dei Trattati di Roma, l’Unione europea affronta sfide cruciali, in parte esogene, in parte specifiche. Le prime sono legate ai grandi fenomeni globali, le seconde derivano dalla scelta dell’integrazione sovranazionale e dal percorso compiuto in questi decenni, insieme e singolarmente, dai Paesi europei che nel corso del tempo si sono uniti alla casa comune. Le trasformazioni dei modelli economici e produttivi determinate dall’evoluzione tecnologica, i fenomeni migratori, il terrorismo, il cambiamento climatico, le nuove (e rinnovate) tensioni geopolitiche che si avvicendano nel mondo sono tutte forze che mettono in discussione l’equilibrio internazionale, per come l’abbiamo conosciuto a partire dalla fine della seconda guerra mondiale.
 
  
A livello europeo, parallelamente, la crisi economico-finanziaria con le sue diverse conseguenze, prima fra tutte la disoccupazione, i dubbi sull’unione monetaria, le incertezze sul mercato unico, le contraddizioni sul fronte dei confini esterni (rifugiati, migranti, commercio internazionale, etc.), il progressivo allontanamento fra i cittadini, i governi nazionali e le istituzioni comunitarie hanno spesso esacerbato le dinamiche in atto a livello globale, innescando purtroppo un effetto “pro-ciclico” che contribuisce a rendere l’Unione europea particolarmente fragile.
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Il bonzo, che aveva una bella testa, e tatuaggi sul petto e sulle braccia, beveva in continuazione del tè e fumava una sigaretta dopo l’altra. Il buddhismo thai è estremamente tollerante e permissivo. Uno dei comandamenti di un monaco è di non usare intossicanti e la maggior parte dei buddhisti mette il tabacco in questa categoria. Ma non i thailandesi, che considerano invece sigarette e tè i migliori mezzi per combattere la fame nel lungo periodo di digiuno quotidiano.
  
'''Indice.''' La riforma delle istituzioni / Il mercato unico / L’unione monetaria e i mercati finanziari / Welfare e politiche sociali / La politica estera e di difesa / La politica di asilo e di immigrazione / Trasporti / Ambiente / Energia / La tutela dei consumatori / L’Europa dei giovani / L’Europa e il digitale
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Anche leggere il futuro sarebbe contro le regole. Il Buddha aveva proibito di farlo, ma in questo i Thai seguono la tradizione di un discepolo, Mogellana, che, subito dopo la morte del Maestro, con i poteri acquisiti grazie ai suoi insegnamenti e alla meditazione, si mise a fare l’indovino.
  
= The State of Europeans 2018 =
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Il bonzo ci accolse con un gran sorriso e un bel rutto. Era mezzogiorno, lui aveva appena finito il suo grande pasto della giornata e fino alla colazione, all’alba del giorno dopo, non avrebbe più mangiato niente di solido.
  
[[File:Cuocolo_The_State_of_Europeans_2018.png|border|left|thumb|200px|link=http://www.fondazioneaegboroli.it/images/pdf/The_State_of_Europeans_2018.pdf|[http://www.fondazioneaegboroli.it/images/pdf/The_State_of_Europeans_2018.pdf '''The State of Europeans 2018''']]]
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La donna d’affari si fece sotto per prima, strisciando in ginocchio. Era la seconda volta che andava lì, senza però dire il suo nome, né di chi fosse moglie. Il marito era un fedele discepolo e un assiduo frequentatore di quel bonzo, e lei, a sua insaputa, voleva appunto farsi predire il futuro dalla stessa persona che lo leggeva a lui.
  
{{PDF|Cuocolo_The_State_Of_Europeans_2018.pdf|<big>'''Lorenzo Cuocolo - The State of Europeans 2018'''</big>}}<br/>
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La seduta durò un’oretta, ma la parte sorprendente venne subito. «Tuo marito è pieno di amanti e tu dovresti chiedere il divorzio», disse il bonzo. La donna rise divertitissima. La mia interprete mi spiegò che la storia delle amanti era assolutamente vera e che la sua amica aveva già fatto tutti i preparativi per divorziare. Temeva solo che il marito non avrebbe firmato i documenti o che le avrebbe chiesto un sacco di soldi per farlo.
(''Dall'Introduzione'') Questo volume è dato alle stampe nel settantesimo anno dall’entrata in vigore della Costituzione italiana. E proprio questa ricorrenza può essere la chiave di lettura del nuovo impegno profuso in una pubblicazione dichiaratamente europeista, ma al tempo stesso oggettivamente volta a mettere in evidenza gli errori di percorso e le necessarie riforme che devono riallineare la costruzione europea al progetto ideale dei fondatori e alle esigenze della società di oggi e del futuro. Settant’anni di Repubblica italiana sono stati in larghissima parte accompagnati dalla costruzione europea. La fortuna della Costituzione italiana è inscindibilmente legata a quella del più grande edificio all’interno del quale ha potuto svilupparsi. Pensare, oggi, che il nostro Paese possa sganciarsi dall’Europa e dalle sue istituzioni significa non solo mettere a rischio la tenuta di un percorso che ha garantito la pace nel continente per il periodo più lungo nella sua storia, ma anche indebolire la tenuta del sistema costituzionale italiano, che nell’Europa trova il proprio completamento e rafforzamento.
 
  
Nel nostro Paese, come in altri dell’Unione, la distinzione emergente sembra essere divenuta quella tra sovranisti ed europeisti. Sono saltate le geografie consolidate della politica: destra e sinistra presentano confini incerti e, comunque, si dimostrano inclini ad accordi trasversali, appunto tenuti insieme dalla condivisione o meno del progetto europeo. I movimenti contrari all’Europa hanno acquisito forza in molti Paesi, legittimate dai cittadini nelle tornate elettorali. Sono, quindi, da prendere sul serio. Le difficili condizioni di vita di molti, la scarsità di posti di lavoro e la poca fiducia nel futuro vedono scricchiolare la certezza che l’integrazione europea sia la strada maestra verso il benessere diffuso, da intendersi non solo in chiave economica, ma anche – e soprattutto – in chiave di tutela dei diritti fondamentali dei cittadini. Sicuramente, quindi, l’Europa ha compiuto errori, come li hanno compiuti gli Stati che la compongono e che hanno troppo spesso ragionato secondo interessi propri e non comuni. Solo un’Europa dei popoli, un’Europa dei diritti e dei doveri, un’Europa della solidarietà, del lavoro e dello sviluppo potrà reggere, da un lato, le sfide globali e, dall’altro, le minacce che provengono dall’interno, ad opera di forze politiche nazionali che sempre più tendono a disgregare la costruzione comune.
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«Tu devi lasciare la casa in cui vivi con tuo marito e andare ad abitare altrove. Se fai il trasloco nel mese di ottobre, tutto ti andrà bene», continuò il bonzo e la mia interprete mi bisbigliò che l’amica, di nascosto, si era già comprata un appartamento suo.
  
'''Indice.''' La riforma delle istituzioni / Il mercato unico / L’unione monetaria e i mercati finanziari / La politica estera e di difesa / Il fisco / Il welfare e le politiche sociali / La politica di asilo e di immigrazione / L’Europa dei giovani / La tutela della privacy in Europa / L’alimentazione e i prodotti territoriali / L’economia “circolare” dell’Unione europea / Il settore farmaceutico tra salute e mercato / L’Unione europea e il turismo: dove andiamo oggi? / L’Europa e lo sport
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«Una volta nella casa nuova», continuò il bonzo, «hai una scelta da fare: un nuovo marito o tanti soldi. Attenta: se avrai anche solo un boy-friend, non diventerai mai ricca.» Dinanzi alla prospettiva di diventare ricca, la donna del boy-friend non ne volle sapere e disse: «Tu, Venerabile, aiutami a fare cento milioni di baht e io ti compro una Mercedes!» E come per far vedere che diceva sul serio, tirò fuori da una grossa borsa, che si era trascinata dietro, un bel thermos elettrico e glielo porse cerimoniosissimamente a due mani, sfiorando con la fronte il pavimento.
  
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Il resto, specie nella traduzione, diventava banale e poco interessante, e io finii per addormentarmi disteso sulle belle tavole di legno. Mi svegliarono quando anche la mia interprete era stata vista e consigliata. Toccava a me.
  
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Scrissi su un pezzo di carta il giorno della mia nascita e l’ora. Non quella di Firenze, le otto di sera, ma l’equivalente a Bangkok, le due del pomeriggio. In verità non ho mai saputo con esattezza l’ora della mia nascita, né me ne sono mai preoccupato. Mi ricordavo solo che mia madre diceva che era successo «prima di cena».
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Il bonzo fece dei gran calcoli, consultò il quadrante e un grosso libro, poi con una biro, su un pezzo di carta bianca, tracciò dei cerchi in mezzo a un quadrato – il mio oroscopo, apparentemente –, ci fece dei segni e mi chiese di rispondere alle sue domande. Doveva verificare – disse – se l’ora di nascita che gli avevo dato, specie con la differenza di fusi orari, era quella giusta e l’unico modo era controllare alcune cose del mio passato, così da poter poi essere sicuro di leggere nel giusto futuro. Era come se ci fossero varie cartelle per diversi tipi di destino e lui, prima di procedere, doveva essere sicuro di consultare quella esatta. Lo poteva fare solo verificando alcuni fatti obiettivi nel mio passato.
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«Tu sei ricco?»
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«No», rispondo io, colpito di nuovo dal fatto che questa dei soldi sembra essere l’ossessione di tutti gli indovini, bonzi o ciechi che siano.
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«Ma i numeri dicono che lo sei», insiste lui. Gli spiego che da piccolo la mia famiglia era così povera che, durante la guerra, non si aveva abbastanza da mangiare e che mia madre faceva ogni tanto degli strani «dolci» in cui metteva anche della segatura.
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Il bonzo fa delle smorfie, riguarda i suoi segni sull’oroscopo e continua: «Ma tu in passato hai fatto grandi affari e una volta hai anche perso tanti milioni tutti assieme».
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«No. Non ho mai fatto affari e in tutta la mia vita non ricordo di aver comprato una singola cosa per poi rivenderla », gli dico.
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Il bonzo resta interdetto e assume un’aria preoccupata: «Ma forse l’ora in cui dici di essere nato non è quella giusta. È possibile che sia stato una mezz’ora prima?» Ha un momento di esitazione: «Anzi, può darsi che sia stato tre quarti d’ora prima», dice con l’aria di scusarsi.
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«Possibilissimo!» dico io. «E poi forse nel 1938 in Italia c’era l’ora legale... e la differenza con Bangkok sarebbe stata di un’altra ora.»
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Questo lo rincuora. «Dimmi se è vero quello che ti dico ora e così siamo sicuri d’avere l’ora giusta.»
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Sono pronto.
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«Tu sei sposato da molti anni...» (Bravo! Ci siamo! gli rispondo mentalmente.) «...tua moglie è un carattere più forte di te...» (Difficile ammetterlo, ma è vero!) «...e tu sei qualcosa come uno scrittore o un giornalista!» (E questa?!) «Il tuo cervello è buono, sei uno dritto e sincero.» (Insomma!)
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Ammetto che più o meno tutto vero e lui gongola: «Ricordatelo allora ogni volta che vedi un astrologo: non le otto di sera, ma le sette, le sette e un quarto!» E con questo dà il via alle sue visioni.
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«Tu hai come una corazza attorno a te, i tuoi nemici non ti possono far nulla, nemmeno ferire. Quanto ai soldi...» (Rieccoci con questi soldi!) «...ne avrai sempre; a volte più, a volte meno, ma non sarai mai povero. Tu sei intelligente e il tuo numero fortunato è il cinque. Hai una vita di alti e bassi. A volte sei esaltato, a volte depresso...» (Verissimo, c’è in tutti gli oroscopi della Vergine!) «Se hai in progetto di fare qualcosa di speciale per quest’anno, forza, realizzalo! Questo è un anno buono» (Certo che ho un piano; quello di non volare...) «Il 1990 e il 1991 non sono stati anni particolarmente buoni...» (Ti sbagli. Il ’91 in particolare fu splendido, feci il mio grande viaggio attraverso l’Unione Sovietica, scrissi un libro...) «Quelli che vengono però saranno ottimi.»
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«Venerabile, non vedi dei pericoli nella mia vita?» chiedo.
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«Ottima domanda», dice, soddisfatto. «No. Non ne vedo», sentenzia dopo aver fatto grandi calcoli.
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«Ma come? Anni fa mi fu detto che il 1993 è per me un anno pericoloso e che non debbo prendere aerei...»
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Il bonzo guarda e riguarda le sue carte e convintissimo dice: «No, assolutamente, no. Nel passato, sì, sei stato in pericolo di vita varie volte, ma ora no. Hai domande?»
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«Dove è meglio che viva: in Asia o in Europa?» chiedo.
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Il bonzo ora è davvero a suo agio e parla a ruota libera: «Tu devi vivere qui e là, ma non dove sei nato...» (Hai ragione, bonzo mio, Firenze è una garanzia di rifugio, ma certo non un posto in cui potrei vivere, almeno ora.) «...L’ideale per te è essere sempre in movimento. Se vivi sempre nello stesso posto il tuo cervello smette di funzionare.» (Verissimo, sono al mio meglio quando sono paracadutato da qualche parte di cui non so nulla; la curiosità è la mia migliore molla.)
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Ascoltavo le parole del bonzo che la mia interprete traduceva e mi ci ritrovavo. Mi pareva che l’uomo guardasse come a una sorta di identikit in cui, grosso modo, i tratti che mi rendono riconoscibile c’erano tutti. Ma riconoscibile a chi? Soprattutto a me, che ovviamente tendevo a far collimare quello che il bonzo diceva con la realtà. Già. Non è questo che si fa, istintivamente, con un indovino? Lui dice una cosa, specie sul passato, e noi si cerca di trovare l’evento che calzi. Si cerca di fargli la rima.
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Arrivarono altre donne che salirono, rispettose e timorose, le scale di legno, portando i loro regali. Il mio tempo era scaduto, ma chiesi ancora: «Se voglio migliorare la mia vita debbo cambiare qualcosa? Debbo cambiar moglie? Cambiar mestiere? Smettere di vestirmi sempre tutto di bianco?»
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Il bonzo rise divertito e, convintissimo, disse di lasciare tutto com’era. L’avrei fatto comunque, ma mi fece piacere che fossimo d’accordo.
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Seduta chiusa. Inchini, soldi messi discretamente sotto il librone e rinculo di tutti, strisciando, con i piedi all’indietro, verso le scale.
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Appena furono lontane dalla vista del bonzo, le due donne si abbracciarono e cominciarono un cinguettio che solo in parte mi venne tradotto. In sostanza erano entusiaste dei suoi «poteri », dei consigli che aveva dato sul divorziare e sul fare soldi.
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Mi resi conto che anche questo bonzo in verità non aveva parlato d’altro. Tutti uguali, questi veggenti, monaci o no! Tutti presi solo a cercare risposte sulla materialità della vita, come fossero intonati sui loro clienti per i quali i soldi sono l’unica grande ossessione, l’unico scopo dell’esistenza.
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Rientrammo in macchina a Bangkok, attraverso la solita città cinese con le sue migliaia di botteghe, una accanto all’altra; ciascuna con dietro il banco o dietro la cassa un cinese che alla sorte chiede solo di essere ricco. Mi rendevo conto che fino a quel momento nessuno degli indovini che avevo visto aveva mai usato la parola felicità come se questa fosse inesistente, o irrilevante. O forse irraggiungibile? Strano che importi così poco a tanta gente!
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Guardavo la donna al volante della Volvo e pensavo alla leggerezza con cui era disposta a rinunciare all’amore pur di diventare milionaria e come delle sue ricchezze avrebbe dato una percentuale al bonzo sotto forma di una Mercedes! Anche lei cinese...
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Cinesi erano tutti i proprietari dei negozi che vedevo dal finestrino, cinesi i traghettatori sul fiume, cinesi i padroni delle industrie alimentari, cinesi i costruttori dei grattacieli, cinesi i banchieri, gli assicuratori, gli speculatori, cinesi tutti quelli che distruggevano Bangkok! Già, eccoli, i responsabili! pensavo, con la macchina di nuovo bloccata nel traffico.
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Bangkok è condannata, ma a mandarla al capestro non sono i Thai: sono i cinesi, installatisi qui al massimo da una o due generazioni. Venuti dal Sud della Cina, come emigranti per sfuggire alle guerre e alle carestie di casa loro, i cinesi si sono trovati in Thailandia meglio che in ogni altro paese del Sud-Est asiatico. Grazie alla tolleranza della gente e del buddhismo, qui hanno trovato lavoro, si sono sposati, e sono, senza difficoltà, diventati cittadini a pieno diritto. Esperti artigiani, abilissimi commercianti, i cinesi hanno presto accumulato enormi ricchezze e hanno lentamente sottratto le sorti economiche di questa città ai suoi originari abitanti, i thailandesi, gente poco adatta alla guerra e agli affari, tendenzialmente giocosi e sempre più pronti a divertirsi che a lavorare.
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Batti un gong e vedrai un Thai che accenna un passo di danza, suona uno zufolo e tutto un gruppo alza le mani in aria, muove i fianchi e si mette a ballare. «Mai pen rai» è la loro frase più comune. Significa «Non importa», «Pazienza », «Lascia stare», «Perché preoccuparsi?» Il vento ha buttato giù il tetto della casa? Mai pen rai. Le strade di Bangkok si allagano regolarmente al primo acquazzone? Mai pen rai. La città è diventata invivibile? Mai pen rai.
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I cinesi, con la loro innata praticità hanno approfittato enormemente di questo atteggiamento dei Thai, diventando i padroni della città E non bisogna lasciarsi ingannare dalle apparenze! Il signore che si presenta con un nome come Chapronwangnatan o simili non è un thailandese. È il signor Wang, cinese, che si è dato una vernice locale. Più lunghi sono i nomi apparentemente thai, più probabile è che fra quelle sillabe si nasconda il breve, originario nome di un cinese.
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La più grande festa dei cinesi è l’inizio del Nuovo Anno lunare. In Thailandia quei tre giorni non sono ufficialmente riconosciuti come vacanza, ma Bangkok si blocca, le strade si svuotano, le banche chiudono, perché i cinesi, che controllano la più grossa fetta dell’attività economica della città fanno vacanza.
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Lo stesso è ormai vero in diversa misura negli altri paesi del Sud-Est asiatico. Se un giorno, per uno schiribizzo, tutti i cinesi della regione decidessero di stare a casa, di non lavorare e di chiudere le loro aziende, gli indonesiani non avrebbero più auto con cui muoversi, sigarette da fumare né carta su cui scrivere; i filippini non avrebbero più navi con cui spostarsi fra le loro migliaia di isole e i giapponesi non avrebbero più gamberi nelle loro pentole. La maggior parte dei grattacieli in costruzione nei vari paesi resterebbe incompiuta e l’intero continente tremerebbe, perché sono i cinesi della diaspora a finanziare i vari «draghi», sono loro il motore della «miracolosa » locomotiva che anima il boom economico lungo le coste della Cina: loro, i discendenti dei coolies, dei mercanti, dei poveracci partiti nel corso di alcuni decenni verso il Nan yang, il mare del Sud, in cerca di fortuna.
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Le mie due donne chiacchieravano ancora fra di loro di cose che non capivo e io rimuginavo su questi straordinari, micidiali cinesi, missionari di praticità e materialismo, che con la loro energia stanno cementificando il mondo di tutti, dall’Asia al Canada, dove decine di migliaia di ricchi si stanno ora trasferendo da Hong Kong in vista del suo ritorno alla Cina nel 1997.
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Mi ricordai che una delle prime grandi storie a puntate che scrissi per Der Spiegel vent’anni fa era appunto su questi cinesi d’oltremare, allora visti come possibili quinte colonne di Mao, per cui sempre sospetti e spesso vittime di pogrom razziali. Quanto è cambiato il mondo in vent’anni!
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Versione attuale delle 13:21, 19 mag 2024

Un indovino mi disse[modifica]

Tiziano Terzani[modifica]

Un indovino mi disse - Copertina

(pag. 106) [1]Sono anni che dico di avere l’India nel mio futuro. Per questo ci portai la famiglia a celebrare il mio quarantesimo compleanno, dichiarando a tutti che un giorno avremmo avuto casa là. All’origine la ragione era semplice: ero diventato politicamente adulto negli anni ’50, quando a interessarsi del Terzo Mondo, come lo si chiamava allora, ci si imbatteva in due grandi miti: Gandhi e Mao, due diverse soluzioni per uno stesso problema, due opposte scommesse sui destini dei due più grandi popoli del mondo; due ipotesi di filosofia sociale da cui pareva che anche noi avessimo qualcosa da imparare. Siccome avevo poi passato anni in mezzo ai cinesi a cercar di capire che disastro fosse stato per loro il mito di Mao, mi pareva logico un giorno andare fra gli indiani a vedere quel che era successo del mito di Gandhi. Ogni volta che, vivendo a Pechino o a Hong Kong, ci sembrava di averne abbastanza della prosaicità, del pragmatismo dei cinesi o ci accorgevamo di avere noi stessi reazioni cinesi, ci dicevamo: «L’India. L’India». L’India era diventata, per me e per Angela, l’antidoto contro «il male giallo», quell’avvelenamento fatto d’amore e delusione, di piccole, infinite irritazioni e grande fedeltà che prende tutti quelli che mettono per un po’ radici nell’Impero di Mezzo e scoprono poi di non potersene più staccare.

Sarei andato volentieri a vivere in India quando i cinesi, nel 1984, prendendo per me una decisione che io non sarei mai riuscito a prendere – e con ciò facendomi un enorme favore –, mi arrestarono e mi espulsero dal loro paese. Ma a quel tempo non ci riuscii e passarono così altri anni. Non inutilmente. Nel frattempo ho vissuto cinque anni in Giappone, altri tre in Thailandia e alla vecchia ragione per voler andare in India se n’è aggiunta ora una nuova e molto più importante: voglio vedere se l’India, con la sua spiritualità e la sua follia, è capace di resistere alla scoraggiante ondata di materialismo che sta spazzando il mondo; voglio vedere se l’India è capace di fare quadrato, di restare diversa; voglio vedere se in India rimane vivo il seme di un’umanità che ha altre aspirazioni oltre quella di correre, ingorda, verso la modernità dell’Occidente.

Vivendo a Bangkok ho avuto sotto gli occhi l’esempio più lampante di uno sviluppo impazzito, delle orribili conseguenze di quella logica modernista che nessuno sa fermare e che è alla base dell’abbrutimento e della perdita di identità dell’Asia. Guardandomi attorno mi son detto più volte che non c’è più una cultura in grado di resistere, di esprimersi con rinnovata creatività.

La cultura cinese, umiliata dal confronto con l’Occidente, è moribonda almeno da un secolo e Mao, non a caso cercando di fondare una «Nuova Cina», ha finito per ammazzare quel poco della vecchia che restava. Senza più niente cui rifarsi, i cinesi ora non sognano che di diventare americani, con gli studenti che marciano sul Tien An Men dietro una statua, copia di quella della Libertà di New York, e i vecchi dirigenti marxisti-leninisti che fanno dimenticare i loro delitti e il loro voler restare attaccati al potere permettendo a tutti di correre dietro a sogni e illusioni di benessere occidentale.

Quale altra cultura in Asia ha ancora una sua carica di fantasia, è ancora in grado di rigenerarsi, di produrre propri modelli, proprie alternative? Quella khmer, morta con Angkor otto secoli fa e di nuovo assassinata, nell’assurdo tentativo di rianimarla fatto da Pol Pot e dai Khmer Rossi? Quella vietnamita, capace solo di definirsi in termini di indipendenza politica? O quella balinese, ormai anch’essa prodotta in dosi pronte per l’uso dei turisti?

L’India, l’India! mi dicevo, coltivando la speranza – o forse l’illusione – di un’ultima spiaggia di spiritualità. L’India, dove c’è ancora abbastanza follia; l’India che dà ospitalità al Dalai Lama, l’India dove il dollaro non è ancora l’unica misura di grandezza. Per questo ho fatto piani per andare in India e ho preso un appuntamento per incontrare là l’altro evaso di Firenze, Chang Choub.

Per giorni la sua presenza rimase per la casa. Avevo invitato a cena uno studioso della Scuola Francese dell’Estremo Oriente perché mi parlasse dei suoi studi sui «poteri» dei tatuaggi buddhisti, e quando gli accennai allo strano ospite che avevo avuto disse: «Me lo ricordo benissimo a Katmandu, vent’anni fa. Era arrivato con una moglie inglese, ma fu preso da una crisi mistica e la lasciò Sì, era stato un giornalista ». Incredibile – diciamo – il caso!

Qualche giorno dopo venne a trovarmi una ricchissima signora di Hong Kong. Era a Bangkok per incontrare il suo guru, un monaco tibetano, seguace del Dalai Lama, «un maestro avanzatissimo», uno del grande jet set, di casa a New York, a Parigi, a Londra, sempre seguito da una corte di queste donne, di solito belle e benestanti. Lui fa il guru e le donne pagano i suoi conti, comprano i suoi biglietti d’aereo, gli organizzano la vita. «È la reincarnazione di un grande maestro, non riesce a occuparsi di queste cose», diceva, comprensiva, la signora, vittima consenziente – forse come Chang Choub? – della grande, sottile, storica vendetta del Tibet.

Davvero straordinario, il Tibet! Per secoli si tiene fuori del mondo, chiuso, inaccessibile, e per secoli, nell’isolamento, escludendosi da qualsiasi altro campo di ricerca, pratica la «scienza dell’interno». Poi arrivano i primi esploratori. All’inizio del secolo gli inglesi entrano a Lhasa, cinquant’anni dopo i cinesi occupano il paese, ne fanno una sorta di colonia e centomila tibetani scappano. Ma è con quella diaspora che s’innesca la bomba a tempo della vendetta.

Il buddhismo tibetano, prima praticato esclusivamente nelle regioni dell’Himalaya e in Mongolia, si propaga nel mondo. La capitale del Dalai Lama in esilio, a Dharamsala, a nord di Delhi, diventa meta di pellegrinaggio per migliaia di giovani occidentali in crisi. I guru tibetani che si installano ovunque, dalla Svizzera alla California, prendono il posto degli yogi che avevano in passato conquistato l’anima dell’Europa in cerca di esotismi. I dogmi, un tempo segreti, diventano best sellers; giovani guru, nati ormai in India e con l’unica pretesa di essere una reincarnazione di qualche vecchio maestro tibetano, diventano i portavoce di questa antica saggezza, seguiti da migliaia di adepti in tutto il mondo e accuditi da piccoli circoli di monache laiche e ricche. Bernardo Bertolucci fa un film sul Buddha – interpretazione tibetana – e ha come consigliere uno di questi giovani guru, nato a cresciuto fuori del Tibet, ma ovviamente anche lui la reincarnazione di un grande. Il Tibet è sulla bocca di tutti, il Dalai Lama diventa una figura mitica, una sorta di secondo papa, il papa giallo, ricevuto da tutti come capo spirituale, ma anche come capo del governo tibetano in esilio.

I cinesi, occupando il Tibet, hanno indirettamente gettato i semi del buddhismo tibetano nel mondo e si sono praticamente messi una bomba in casa. La simpatia per la causa tibetana cresce; l’interesse per l’aspetto spirituale diventa politico e il Dalai Lama, che entra, ospite d’onore, in Vaticano, alla Casa Bianca, all’Eliseo e nelle varie cancellerie del mondo, diventa il simbolo della lotta contro il regime totalitario di Pechino.

L’altra faccia della stessa verità è che i «guru tibetani», venuti miticamente dalle vette dell’Himalaya, rappresentanti di un popolo vittima, portatori di spirito, sono l’alibi perfetto per la gente tutta protesa al materialismo, e che proprio per questo ha bisogno di riscattarsi, sentendosi in contatto con «le forze cosmiche», osservando le proprie «vibrazioni extraterritoriali» ed entrando in relazione con l’occulto.

Il generale disorientamento di cui la nostra cultura soffre fa sì che la gente ha perso le proprie, prima naturali, resistenze contro questo tipo di turlupinature. Ogni ciarlatano è oggi in grado di vendere le sue pozioni purché dia loro un nome o una apparenza esotica.

Sono anch’io vittima di questo fenomeno? È per questo che passo giorni ad ascoltare Chang Choub? Che gioco con la profezia di non prendere aerei e che dico di «sì» quando si tratta di vedere un nuovo indovino?


La donna che mi aveva fatto da interprete con l’indovino cieco era riuscita a fissare l’appuntamento con il suo bonzo astrologo. Così un pomeriggio, sempre fingendo di essere di passaggio a Bangkok, mi feci venire a prendere da lei e da una sua amica nell’atrio dell’Oriental Hotel.

L’amica della mia signora era di origine cinese, era una donna d’affari, importatrice di apparecchiature mediche per gli ospedali della Thailandia e guidava una Volvo. Anche lei era sui quarantacinque-cinquant’anni. Ex bella donna lasciatasi ingrassare. Per poco amore! Decisi, osservandola, e mi divertii a pensare che, partendo da quell’osservazione, avrei potuto anch’io fare l’indovino, parlarle del suo passato e del suo futuro.

Si traversò il Chao Paya su uno dei tanti ponti. Nel quartiere di Bang Khun Non si lasciò la strada squallida, avvilente di cemento con i mucchi di spazzatura, le casucce di nessuna forma e ci si addentrò su per una stradina vecchia e angusta. Dopo un duecento metri si arrivò nello spazio quieto e silenzioso di un tempio buddhista. Non di quelli tutti bianchi e oro, con i pezzi di ceramica e di specchi rotti che luccicano al sole, ma di quelli semplici, austeri, tutti di legno, con i lunghi dormitori, i tetti dai begli intagli sotto le gronde e le grandi finestre con le tonache arancione dei bonzi messe ad asciugare dopo il bucato. Faceva un caldo soffocante, ma due grandi alberi, dalle fronde scurissime, davano a quel complesso di edifici un’aria di grande frescura.

Il monaco che cercavamo era sui cinquant’anni e stava seduto sul pavimento di legno di teak di una bella, larga, ombreggiata terrazza, circondato da barattoli di caffè teiere cinesi, tazzine e vassoietti, rotoli di carta igienica, pacchetti di sigarette e due ventilatori. Due giovani sposi, suoi parenti, gli facevano da assistenti, porgendogli, con i soliti gesti di dovuta sottomissione, quel che di volta in volta gli necessitava e sventolavano di tanto in tanto un loro bambino di pochi mesi che con il biberon in bocca dormiva, innocente, fra due grossi libri di astrologia e un quadrante da geomante.

Il bonzo, che aveva una bella testa, e tatuaggi sul petto e sulle braccia, beveva in continuazione del tè e fumava una sigaretta dopo l’altra. Il buddhismo thai è estremamente tollerante e permissivo. Uno dei comandamenti di un monaco è di non usare intossicanti e la maggior parte dei buddhisti mette il tabacco in questa categoria. Ma non i thailandesi, che considerano invece sigarette e tè i migliori mezzi per combattere la fame nel lungo periodo di digiuno quotidiano.

Anche leggere il futuro sarebbe contro le regole. Il Buddha aveva proibito di farlo, ma in questo i Thai seguono la tradizione di un discepolo, Mogellana, che, subito dopo la morte del Maestro, con i poteri acquisiti grazie ai suoi insegnamenti e alla meditazione, si mise a fare l’indovino.

Il bonzo ci accolse con un gran sorriso e un bel rutto. Era mezzogiorno, lui aveva appena finito il suo grande pasto della giornata e fino alla colazione, all’alba del giorno dopo, non avrebbe più mangiato niente di solido.

La donna d’affari si fece sotto per prima, strisciando in ginocchio. Era la seconda volta che andava lì, senza però dire il suo nome, né di chi fosse moglie. Il marito era un fedele discepolo e un assiduo frequentatore di quel bonzo, e lei, a sua insaputa, voleva appunto farsi predire il futuro dalla stessa persona che lo leggeva a lui.

La seduta durò un’oretta, ma la parte sorprendente venne subito. «Tuo marito è pieno di amanti e tu dovresti chiedere il divorzio», disse il bonzo. La donna rise divertitissima. La mia interprete mi spiegò che la storia delle amanti era assolutamente vera e che la sua amica aveva già fatto tutti i preparativi per divorziare. Temeva solo che il marito non avrebbe firmato i documenti o che le avrebbe chiesto un sacco di soldi per farlo.

«Tu devi lasciare la casa in cui vivi con tuo marito e andare ad abitare altrove. Se fai il trasloco nel mese di ottobre, tutto ti andrà bene», continuò il bonzo e la mia interprete mi bisbigliò che l’amica, di nascosto, si era già comprata un appartamento suo.

«Una volta nella casa nuova», continuò il bonzo, «hai una scelta da fare: un nuovo marito o tanti soldi. Attenta: se avrai anche solo un boy-friend, non diventerai mai ricca.» Dinanzi alla prospettiva di diventare ricca, la donna del boy-friend non ne volle sapere e disse: «Tu, Venerabile, aiutami a fare cento milioni di baht e io ti compro una Mercedes!» E come per far vedere che diceva sul serio, tirò fuori da una grossa borsa, che si era trascinata dietro, un bel thermos elettrico e glielo porse cerimoniosissimamente a due mani, sfiorando con la fronte il pavimento.

Il resto, specie nella traduzione, diventava banale e poco interessante, e io finii per addormentarmi disteso sulle belle tavole di legno. Mi svegliarono quando anche la mia interprete era stata vista e consigliata. Toccava a me.

Scrissi su un pezzo di carta il giorno della mia nascita e l’ora. Non quella di Firenze, le otto di sera, ma l’equivalente a Bangkok, le due del pomeriggio. In verità non ho mai saputo con esattezza l’ora della mia nascita, né me ne sono mai preoccupato. Mi ricordavo solo che mia madre diceva che era successo «prima di cena».

Il bonzo fece dei gran calcoli, consultò il quadrante e un grosso libro, poi con una biro, su un pezzo di carta bianca, tracciò dei cerchi in mezzo a un quadrato – il mio oroscopo, apparentemente –, ci fece dei segni e mi chiese di rispondere alle sue domande. Doveva verificare – disse – se l’ora di nascita che gli avevo dato, specie con la differenza di fusi orari, era quella giusta e l’unico modo era controllare alcune cose del mio passato, così da poter poi essere sicuro di leggere nel giusto futuro. Era come se ci fossero varie cartelle per diversi tipi di destino e lui, prima di procedere, doveva essere sicuro di consultare quella esatta. Lo poteva fare solo verificando alcuni fatti obiettivi nel mio passato.

«Tu sei ricco?»

«No», rispondo io, colpito di nuovo dal fatto che questa dei soldi sembra essere l’ossessione di tutti gli indovini, bonzi o ciechi che siano.

«Ma i numeri dicono che lo sei», insiste lui. Gli spiego che da piccolo la mia famiglia era così povera che, durante la guerra, non si aveva abbastanza da mangiare e che mia madre faceva ogni tanto degli strani «dolci» in cui metteva anche della segatura.

Il bonzo fa delle smorfie, riguarda i suoi segni sull’oroscopo e continua: «Ma tu in passato hai fatto grandi affari e una volta hai anche perso tanti milioni tutti assieme».

«No. Non ho mai fatto affari e in tutta la mia vita non ricordo di aver comprato una singola cosa per poi rivenderla », gli dico.

Il bonzo resta interdetto e assume un’aria preoccupata: «Ma forse l’ora in cui dici di essere nato non è quella giusta. È possibile che sia stato una mezz’ora prima?» Ha un momento di esitazione: «Anzi, può darsi che sia stato tre quarti d’ora prima», dice con l’aria di scusarsi.

«Possibilissimo!» dico io. «E poi forse nel 1938 in Italia c’era l’ora legale... e la differenza con Bangkok sarebbe stata di un’altra ora.»

Questo lo rincuora. «Dimmi se è vero quello che ti dico ora e così siamo sicuri d’avere l’ora giusta.»

Sono pronto.

«Tu sei sposato da molti anni...» (Bravo! Ci siamo! gli rispondo mentalmente.) «...tua moglie è un carattere più forte di te...» (Difficile ammetterlo, ma è vero!) «...e tu sei qualcosa come uno scrittore o un giornalista!» (E questa?!) «Il tuo cervello è buono, sei uno dritto e sincero.» (Insomma!)

Ammetto che più o meno tutto vero e lui gongola: «Ricordatelo allora ogni volta che vedi un astrologo: non le otto di sera, ma le sette, le sette e un quarto!» E con questo dà il via alle sue visioni.

«Tu hai come una corazza attorno a te, i tuoi nemici non ti possono far nulla, nemmeno ferire. Quanto ai soldi...» (Rieccoci con questi soldi!) «...ne avrai sempre; a volte più, a volte meno, ma non sarai mai povero. Tu sei intelligente e il tuo numero fortunato è il cinque. Hai una vita di alti e bassi. A volte sei esaltato, a volte depresso...» (Verissimo, c’è in tutti gli oroscopi della Vergine!) «Se hai in progetto di fare qualcosa di speciale per quest’anno, forza, realizzalo! Questo è un anno buono» (Certo che ho un piano; quello di non volare...) «Il 1990 e il 1991 non sono stati anni particolarmente buoni...» (Ti sbagli. Il ’91 in particolare fu splendido, feci il mio grande viaggio attraverso l’Unione Sovietica, scrissi un libro...) «Quelli che vengono però saranno ottimi.»

«Venerabile, non vedi dei pericoli nella mia vita?» chiedo.

«Ottima domanda», dice, soddisfatto. «No. Non ne vedo», sentenzia dopo aver fatto grandi calcoli.

«Ma come? Anni fa mi fu detto che il 1993 è per me un anno pericoloso e che non debbo prendere aerei...»

Il bonzo guarda e riguarda le sue carte e convintissimo dice: «No, assolutamente, no. Nel passato, sì, sei stato in pericolo di vita varie volte, ma ora no. Hai domande?»

«Dove è meglio che viva: in Asia o in Europa?» chiedo.

Il bonzo ora è davvero a suo agio e parla a ruota libera: «Tu devi vivere qui e là, ma non dove sei nato...» (Hai ragione, bonzo mio, Firenze è una garanzia di rifugio, ma certo non un posto in cui potrei vivere, almeno ora.) «...L’ideale per te è essere sempre in movimento. Se vivi sempre nello stesso posto il tuo cervello smette di funzionare.» (Verissimo, sono al mio meglio quando sono paracadutato da qualche parte di cui non so nulla; la curiosità è la mia migliore molla.)

Ascoltavo le parole del bonzo che la mia interprete traduceva e mi ci ritrovavo. Mi pareva che l’uomo guardasse come a una sorta di identikit in cui, grosso modo, i tratti che mi rendono riconoscibile c’erano tutti. Ma riconoscibile a chi? Soprattutto a me, che ovviamente tendevo a far collimare quello che il bonzo diceva con la realtà. Già. Non è questo che si fa, istintivamente, con un indovino? Lui dice una cosa, specie sul passato, e noi si cerca di trovare l’evento che calzi. Si cerca di fargli la rima.

Arrivarono altre donne che salirono, rispettose e timorose, le scale di legno, portando i loro regali. Il mio tempo era scaduto, ma chiesi ancora: «Se voglio migliorare la mia vita debbo cambiare qualcosa? Debbo cambiar moglie? Cambiar mestiere? Smettere di vestirmi sempre tutto di bianco?»

Il bonzo rise divertito e, convintissimo, disse di lasciare tutto com’era. L’avrei fatto comunque, ma mi fece piacere che fossimo d’accordo.

Seduta chiusa. Inchini, soldi messi discretamente sotto il librone e rinculo di tutti, strisciando, con i piedi all’indietro, verso le scale.

Appena furono lontane dalla vista del bonzo, le due donne si abbracciarono e cominciarono un cinguettio che solo in parte mi venne tradotto. In sostanza erano entusiaste dei suoi «poteri », dei consigli che aveva dato sul divorziare e sul fare soldi.

Mi resi conto che anche questo bonzo in verità non aveva parlato d’altro. Tutti uguali, questi veggenti, monaci o no! Tutti presi solo a cercare risposte sulla materialità della vita, come fossero intonati sui loro clienti per i quali i soldi sono l’unica grande ossessione, l’unico scopo dell’esistenza.

Rientrammo in macchina a Bangkok, attraverso la solita città cinese con le sue migliaia di botteghe, una accanto all’altra; ciascuna con dietro il banco o dietro la cassa un cinese che alla sorte chiede solo di essere ricco. Mi rendevo conto che fino a quel momento nessuno degli indovini che avevo visto aveva mai usato la parola felicità come se questa fosse inesistente, o irrilevante. O forse irraggiungibile? Strano che importi così poco a tanta gente!

Guardavo la donna al volante della Volvo e pensavo alla leggerezza con cui era disposta a rinunciare all’amore pur di diventare milionaria e come delle sue ricchezze avrebbe dato una percentuale al bonzo sotto forma di una Mercedes! Anche lei cinese...

Cinesi erano tutti i proprietari dei negozi che vedevo dal finestrino, cinesi i traghettatori sul fiume, cinesi i padroni delle industrie alimentari, cinesi i costruttori dei grattacieli, cinesi i banchieri, gli assicuratori, gli speculatori, cinesi tutti quelli che distruggevano Bangkok! Già, eccoli, i responsabili! pensavo, con la macchina di nuovo bloccata nel traffico.

Bangkok è condannata, ma a mandarla al capestro non sono i Thai: sono i cinesi, installatisi qui al massimo da una o due generazioni. Venuti dal Sud della Cina, come emigranti per sfuggire alle guerre e alle carestie di casa loro, i cinesi si sono trovati in Thailandia meglio che in ogni altro paese del Sud-Est asiatico. Grazie alla tolleranza della gente e del buddhismo, qui hanno trovato lavoro, si sono sposati, e sono, senza difficoltà, diventati cittadini a pieno diritto. Esperti artigiani, abilissimi commercianti, i cinesi hanno presto accumulato enormi ricchezze e hanno lentamente sottratto le sorti economiche di questa città ai suoi originari abitanti, i thailandesi, gente poco adatta alla guerra e agli affari, tendenzialmente giocosi e sempre più pronti a divertirsi che a lavorare.

Batti un gong e vedrai un Thai che accenna un passo di danza, suona uno zufolo e tutto un gruppo alza le mani in aria, muove i fianchi e si mette a ballare. «Mai pen rai» è la loro frase più comune. Significa «Non importa», «Pazienza », «Lascia stare», «Perché preoccuparsi?» Il vento ha buttato giù il tetto della casa? Mai pen rai. Le strade di Bangkok si allagano regolarmente al primo acquazzone? Mai pen rai. La città è diventata invivibile? Mai pen rai.

I cinesi, con la loro innata praticità hanno approfittato enormemente di questo atteggiamento dei Thai, diventando i padroni della città E non bisogna lasciarsi ingannare dalle apparenze! Il signore che si presenta con un nome come Chapronwangnatan o simili non è un thailandese. È il signor Wang, cinese, che si è dato una vernice locale. Più lunghi sono i nomi apparentemente thai, più probabile è che fra quelle sillabe si nasconda il breve, originario nome di un cinese.

La più grande festa dei cinesi è l’inizio del Nuovo Anno lunare. In Thailandia quei tre giorni non sono ufficialmente riconosciuti come vacanza, ma Bangkok si blocca, le strade si svuotano, le banche chiudono, perché i cinesi, che controllano la più grossa fetta dell’attività economica della città fanno vacanza.

Lo stesso è ormai vero in diversa misura negli altri paesi del Sud-Est asiatico. Se un giorno, per uno schiribizzo, tutti i cinesi della regione decidessero di stare a casa, di non lavorare e di chiudere le loro aziende, gli indonesiani non avrebbero più auto con cui muoversi, sigarette da fumare né carta su cui scrivere; i filippini non avrebbero più navi con cui spostarsi fra le loro migliaia di isole e i giapponesi non avrebbero più gamberi nelle loro pentole. La maggior parte dei grattacieli in costruzione nei vari paesi resterebbe incompiuta e l’intero continente tremerebbe, perché sono i cinesi della diaspora a finanziare i vari «draghi», sono loro il motore della «miracolosa » locomotiva che anima il boom economico lungo le coste della Cina: loro, i discendenti dei coolies, dei mercanti, dei poveracci partiti nel corso di alcuni decenni verso il Nan yang, il mare del Sud, in cerca di fortuna.

Le mie due donne chiacchieravano ancora fra di loro di cose che non capivo e io rimuginavo su questi straordinari, micidiali cinesi, missionari di praticità e materialismo, che con la loro energia stanno cementificando il mondo di tutti, dall’Asia al Canada, dove decine di migliaia di ricchi si stanno ora trasferendo da Hong Kong in vista del suo ritorno alla Cina nel 1997.

Mi ricordai che una delle prime grandi storie a puntate che scrissi per Der Spiegel vent’anni fa era appunto su questi cinesi d’oltremare, allora visti come possibili quinte colonne di Mao, per cui sempre sospetti e spesso vittime di pogrom razziali. Quanto è cambiato il mondo in vent’anni!


  1. È il 1993, l'anno in cui un indovino cinese ha detto a Tiziano, nel 1976, di non prendere l'aereo per viaggiare. Tiziano ha cinquantacinque anni e da vent'anni è in Asia come giornalista. Dice: «E poi a me l’idea di non volare per un anno intero piaceva di per sé. Soprattutto come sfida. Pretendere che un vecchio cinese di Hong Kong potesse avere la chiave del mio futuro mi divertiva moltissimo. Mi pareva di fare un primo passo in un terreno ignoto. Ero curioso di vedere dove altri passi in quella direzione mi avrebbero portato. Se non altro mi avrebbero indotto a fare, per un po’, una vita diversa da quella di sempre.» https://it.wikipedia.org/wiki/Tiziano_Terzani