Libro Bini-Smaghi La tentazione di andarsene

Da EU wiki.
Lorenzo Bini Smaghi
La tentazione di andarsene - Fuori dall'Europa c'è un futuro per l'Italia?
Copertina

Il Mulino - ISBN 978-88-15-27143-3 - 2017 - 201 pag. - Libro 15€, Ebook 11€

https://www.mulino.it/isbn/9788815271433

Lorenzo Bini Smaghi è presidente di Société Générale e visiting scholar al Weatherhead Centre for International Affairs di Harvard. Dal 2005 al 2011 ha fatto parte del Comitato esecutivo della Banca centrale europea.

Un volume estremamente chiaro che nella prima parte tratta il confronto fra le economie dell’Europa e degli Stati Uniti dal 1999 al 2015. Poi approfondisce il confronto fra alcuni paesi dell’Unione europea fra cui l’Italia e la Germania. Infine considera le difficoltà e gli svantaggi dell’uscita dell’Italia dall’euro. E propone alcune alternative basate da una parte sulle riforme strutturali necessarie all’Italia per crescere e dall’altra sulle riforme struttuali necessarie per completare il progetto di una vera Unione europea. Nelle conclusioni si dice:

Uscire dall’euro e rimanere nell’Unione

“Appare difficile uscire dall’euro senza un accordo con gli altri paesi, se non altro al fine di minimizzare le ripercussioni negative di un tale evento. Per poter introdurre controlli sui movimenti di capitale, necessari durante la transizione come si è ricordato sopra, ci vuole il consenso delle istituzioni europee, poiché la misura è in contrasto con la libera circolazione dei capitali. Vi è inoltre da considerare la modalità di rimborso delle posizioni debitrici del paese nei confronti del resto dell’Unione, a cominciare da quella con la Banca centrale europea, e l’eventualità di una ristrutturazione di queste posizioni, se il paese non può far fronte al pagamento immediato. Può esservi inoltre la necessità di ottenere un sostegno finanziario, per esempio per poter finanziare il debito pubblico nel caso in cui venisse meno l’accesso ai mercati. In sintesi, l’uscita dall’euro richiede un accordo con gli altri partner per ottenere le deroghe necessarie a contenere le ripercussioni negative sul sistema economico. Tale accordo sarebbe nell’interesse degli altri paesi, visto il rischio di contagio finanziario al resto dell’Unione, che come mostra l’esperienza degli ultimi anni, può essere molto forte. Se l’Italia decidesse di uscire dall’euro, si innescherebbe sicuramente una fase di forte instabilità anche per gli altri paesi, che richiederebbe massicci interventi da parte della BCE e delle altre politiche economiche. [...]

Di fatto, per non perdere i vantaggi di rimanere nell’Unione europea, si perderebbero quelli di uscire dall’euro. La sovranità monetaria ritrovata sarebbe comunque limitata e compensata dalla perdita di potere sulle altre politiche, a cominciare da quella fiscale e dalla gestione del debito pubblico. Se il paese non intendesse sottoporsi al monitoraggio stretto dell’Unione, e volesse usare la nuova moneta per migliorare la propria competitività a scapito degli altri, difficilmente potrebbe rimanere a far parte dell’Unione e del mercato unico. Si prefigurerebbe una «uscita dura» (hard-exit), con condizioni che certo non potrebbero essere vantaggiose per il paese. A quel punto, in effetti, non ci sarebbe alcun vantaggio per gli altri paesi di concedere a chi esce un trattamento speciale, che potrebbe incitare altri a seguire la stessa via.

In sintesi, uscire dall’euro e rimanere parte dell’Unione è un’opzione che può sembrare attraente, ma che non è realistica. [...]

Costruire una leadership italiana

[Un’opzione migliore è] rafforzare l’Europa [e per questo] non basta una leadership tedesca, ci vuole anche una leadership italiana. Contrariamente a quanto pensano i vittimisti, che abbondano nel nostro paese, il resto dell’Europa, a cominciare dalla Germania e dalla Francia, vuole un’Italia forte, leader, protagonista, fautrice di un progetto di integrazione più compiuto. Questa non è retorica, non è wishful thinking, è il frutto dell’esperienza di chi ha lavorato per oltre trent’anni su questioni europee, interagendo con i partner e con le istituzioni comunitarie. Tuttavia, per agire da leader sono necessarie alcune condizioni.

1. Capire gli altri. Se si vuole essere leader in questa Europa bisogna essere consapevoli di tale complessità e delle diverse sensibilità, che rendono talvolta difficile muoversi rapidamente ma al contempo evitano di commettere errori, in una direzione o nell’altra. La forza dell’Europa risiede nelle sue diversità, purché siano ricomposte e non generino immobilismo. Per essere leader bisogna dunque capire gli altri, anche perché, alla fine, le soluzioni si adottano se vanno incontro alle esigenze di tutti. Se non si capiscono le preoccupazioni degli altri, o si propongono soluzioni che non ne tengono conto, si rimane isolati. [...] Le critiche, i dissensi, non devono essere un modo per far vedere alla propria opinione pubblica che si è capaci di «battere il pugno sul tavolo». Non si può essere leader in Europa se si criticano costantemente gli altri, inclusi gli amici, in pubblico. Si è leader se si cerca di risolvere i problemi, assumendosi la responsabilità anche del fallimento.

2. Basta vittimismo. Per esercitare leadership bisogna smettere di pensare e sostenere che tutti i mali vengono dall’euro o dall’Europa. Bisogna avere il coraggio di riconoscere le proprie responsabilità. Certo, è facile attribuire le colpe di tutti i problemi ad altri, in particolare all’Europa. Ma questo atteggiamento è in fin dei conti poco credibile. Il vittimismo non funziona anche perché gli altri partner europei ci osservano. E spesso non capiscono perché ci lamentiamo o critichiamo le istituzioni comunitarie, dove partecipiamo e decidiamo insieme, per poi dissentire quando torniamo a casa. Perché siamo entrati nella moneta unica, sottoscrivendo i trattati e le regole, se poi non vogliamo rispettarli più o vogliamo cambiarli? Perché abbiamo condiviso le norme sull’unione bancaria e le direttive connesse, in particolare quelle sul bail in, se poi non vogliamo applicarle, e nemmeno spiegarle ai cittadini? Perché abbiamo approvato il fiscal compact, se poi vogliamo disdirlo? Perché prendiamo impegni di risanamento delle finanze pubbliche, anche riguardo all’utilizzo dei margini di flessibilità di bilancio, se poi nel giro di pochi mesi ce li rimangiamo? La risposta che spesso viene data a tale obiezione è che sono stati i governi precedenti ad accettare regole ingiuste. Ma che credibilità può avere un paese dove si cambia continuamente opinione, e dove i governi successivi, anche quando sostenuti dalla stessa maggioranza parlamentare, rinnegano gli impegni di quelli precedenti?

3. Una visione e una strategia coerenti. Per avere un ruolo di leader in Europa si deve avere una visione precisa sull’assetto futuro, non basata su slogan ma su un disegno chiaro, e una strategia su come realizzare tale assetto. Visione e strategia devono essere coerenti tra di loro. Per esempio, se si vuole realizzare una piena unione economica e fiscale, bisogna individuare un percorso di armonizzazione fiscale e una strategia di convergenza delle finanze pubbliche, prima di condividere i poteri. Da questo punto di vista, la posizione italiana non sempre è stata coerente. Una delle proposte più popolari presso i governi italiani è quella di creare degli Eurobond, ossia dei titoli di stato garantiti dall’intera Unione, invece che dai singoli stati. Questa proposta porterebbe notevoli vantaggi, favorendo un meccanismo quasi automatico di assorbimento degli shock. Favorirebbe in particolare l’Italia, il cui debito pubblico è più alto degli altri. Questa proposta non può tuttavia essere adottata in assenza di altre misure coerenti, riguardanti il governo della finanza pubblica europea – in particolare per quel che riguarda l’emissione degli stessi Eurobond – e comportamenti dei governi nazionali in linea con tale cambiamento. Non è pensabile adottare Eurobond senza delle regole stringenti, ancor più di quelle attuali, sulla finanza pubblica dei paesi membri, o senza concordare un processo decisionale condiviso per l’emissione di questi titoli. La proposta degli Eurobond non è pertanto coerente con la richiesta di rimettere in discussione il fiscal compact o chiedere più margini per una politica fiscale espansiva, come minacciato in varie occasioni dal governo italiano. Non è coerente con la reazione stizzita ai rilievi della Commissione europea sulle leggi di bilancio, come è spesso avvenuto in questi anni, perché un eventuale Eurobond richiederebbe comunque decisioni, e dunque discussioni sull’impostazione della politica di bilancio.

4. Una questione di metodo. La leadership di un paese nell’ambito europeo non si esercita solo al livello dei capi di stato e di governo, in occasione delle riunioni europee o di quelle bilaterali, suggellate da foto di gruppo destinate a proiettare un’immagine elitista. La leadership si esercita a tutti i livelli di governo e dell’amministrazione, che si devono interfacciare con quelli delle istituzioni comunitarie e degli altri paesi rilevanti. Essa si concretizza in un metodo di lavoro mirato ad assicurare chiarezza e coerenza delle posizioni, su tutte le questioni rilevanti, con continuità nel tempo. Le posizioni, dalle proposte strategiche alle linee tattiche, vanno discusse e condivise con le controparti europee a tutti i livelli. Le idee geniali, le proposte ambiziose, possono suscitare simpatia e creare tendenza, ma senza un lavoro assiduo e paziente non riescono a incidere sul percorso comunitario. [...] A guidare non può essere solo il vertice, deve essere coinvolta tutta la struttura politica e amministrativa del paese.

Queste sono solo alcune indicazioni per trasformare l’ambizione di leadership in fatti concreti, non tutti eclatanti, ma essenziali per risolvere le sfide che aspettano il paese, e l’Unione, nei prossimi anni.”

Indice

Ringraziamenti

Introduzione

1. Un confronto spietato

2. … ma non troppo

3. Le divergenze europee, e quelle dell’Italia

4. Troppo risparmio, pochi investimenti

5. Non è l’austerità

6. Non è il cambio dell’euro

7. L’impotenza monetaria

8. Tassi d’interesse, crescita e debito

9. La crisi bancaria

10. L’incertezza istituzionale

11. È la produttività, stupido!

12. Convergenze parallele

13. Una diagnosi non condivisa

14. Avanzare o indietreggiare?

15. La crisi di fiducia

16. Fatti, non solo promesse

17. La crisi degli stati nazionali

18. Le mani legate

19. Il rischio di isolamento

20. La Brexit

21. America first!

22. La tentazione di andarsene

23. Rimanere

Prima l’Italia
È la produttività, stupido!
L’illusione della sovranità monetaria
Un colpo di stato
Niente Europa senza euro

24. Guidare

Un po’ di cultura (europea)
Basta vittimismo
Una visione e una strategia (coerenti)
È una questione di metodo

Post Scriptum. La 34a falsa verità. «L’Europa si occupa solo della dimensione dei cetrioli»